Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


Vai ai contenuti

Menu principale:


Ordinanza Tacconi 2° troncone

Parmalat

TRIBUNALE DI MILANO
UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PREUMINARI
DOTT. CESARE TACCONI

N. 44206103 RGNR
N. 7199/03 RG GP

ORDINANZA

Il Giudice,

sciogliendo la riserva formulata all’udienza del 20/12/06

osserva
sulle richieste di esclusione, da parte delle difese dl alcuni imputati, degli enti esponenziali rappresentativi di interessi diffusi che si sono costituiti parte civile:
si sono Costituiti parte civile i seguenti enti esponenziali:

Codacons
Confconsumatori
Movimento di difesa del cittadino
Adusbef

I reati contestati comportano la lesione del regolare funzionamento del mercato degli strumenti finanziari e, di conseguenza, l’interesse ed il diritto del singolo investitore / risparmiatore a corrette comunicazioni, informazioni e prospettazioni circa le condizioni economiche delle società che operano sul mercato finanziario.
Il presupposto, secondo un condivisibile orientamento della giurisprudenza della Cassazione, perché l’Ente esponenziale sia legittimato a far valere una pretesa risarcitoria è che l’interesse diffuso perseguito dall’Ente sia volto alla salvaguardia di una situazione localmente e storicamente determinata, salvaguardia che deve essere stata fatta propria, quale specifico scopo dell’Ente (In tal senso, tra le altre, Cass. sez, III 5/4/02 n. 796 Kiss Gunter; 9/7/96 n. 8699 Perotti; 2/2/96 n. 207 Russo; 30/6/95 Montone; 15/6/93 Benericetti; 10/3/93 Tessarolo).
Una lesione del diritto dell’Ente al conseguimento dello scopo per cui si è Costituito è ipotizzabile, quindi, purchè tale scopo attenga in via specifica, esclusiva o prevalente alla materia in questione (ossia alla tutela dei risparmiatori / investitori).
Occorre che la detta finalità emerga dallo Statuto e che quest’ultimo non faccia generici ed onnicomprensivi riferimenti alla tutela dei consumatori e degli utenti di beni e servizi.
Ammettere la legittimazione ad agire ad Ente che annovera, tra gli scopi sociali, una generica ed indeterminata tutela del consumatore, tenuto conto dell’amplissimo spettro in cui possono farsi rientrare i bisogni e gli interessi di quest’ultimo, comporterebbe un inammissibile allargamento a soggetti che non possono vantare alcuna lesione dl diritti.

Tra i menzionati Enti l’unico legittimato a costituirsi parte civile è Adusbef (Associazione per la difesa degli utenti dei servizi bancari e finanziari) con l’avv. Tanza (adusbef@studiotanza.it)
Ed infatti lo scopo dell’Ente, ex art. 1 dello Statuto del 3/5/87, è quello di operare sul territorio nazionale e locale per tutelare, assistere, rappresentare e difendere gli utenti del servizi bancari e finanziari dei fondi comuni di investimento e di qualsiasi altra funzione direttamente e indirettamente correlata all’esercizio dell’attività creditizia. Sì tratta, in sostanza, di associazione nata per la tutela ed assistenza specifiche ed esclusive della categoria dei risparmiatori / investitori, ossia di quel soggetti potenziali diretti danneggiati dalle condotte delittuose. Conseguentemente, coincidendo l’interesse tutelato dalle norme poste a tutela del regolare funzionamento del mercato degli strumenti finanziari con l’interesse e lo scopo dell’Ente, ben può, in presenza della lesione del detto interesse, ipotizzarsi un danno dell’Ente. E’ inoltre soddisfatto il requisito di cui all’art. 78 comma I lettera d) c.p.p. in quanto l’atto di costituzione di parte di civile di Adusbef indica le ragioni della domanda risarcitoria.

Ad analoghe conclusioni non può giungersi riguardo agli altri tre Enti.

Confconsumatori: l’art. 2 dello Statuto (approvato il 25 — 26 giugno 2005), relativo allo scopo dell’Ente, prevede finalità di solidarietà sociale e di rappresentanza e tutela dei consumatori elencando, a titolo esemplificativo, i seguenti campi di intervento:
1) tutela dei diritti e degli interessi legittimi delle persone nel confronti delle imprese e delle P.A,
2) difesa del consumatore nel confronti delle aziende pubbliche o private di beni e servizi,
3) difesa e tutela del consumatore nella qualità di risparmiatore, investitore, contribuente in relazione ai prodotti o servizi bancari, creditizi, finanziari, assicurativi e postali,
4) pluralismo, obbiettività e trasparenza dell’informazione e della comunicazione anche pubblicitaria,
5) accesso e utilizzo sicuro per i cittadini di tutte le tecnologie di trasmissione e comunicazione dati,
6) tutela della salute,
7) difesa del patrimonio artistico ed ambientale,
8) tutela dei soggetti deboli.

Movimento di Difesa del Cittadino Onlus: l’art. 2 dello Statuto del 19/2/05 prevede i seguenti campi di intervento:
1) tutela dei diritti e degli interessi delle persone nei confronti delle P.A.,
2) difesa del consumatore nei confronti delle aziende pubbliche o private di beni e servizi,
3) difesa e tutela del consumatore nella qualità di risparmiatore, investitore, contribuente in relazione ai prodotti o servizi bancari,creditizi, finanziari, assicurativi e postali,
4) corretto rapporto tra cittadini e giustizia,
5) pluralismo, obbiettività e trasparenza dell’informazione e della comunicazione anche pubblicitaria,
6) accesso e utilizzo sicuro per i cittadini dl tutte le tecnologie di trasmissione e comunicazione dati,
7) tutela della salute,
8) tutela dei soggetti deboli,
9) tutela ambientale,
10) sicurezza alimentare,
11)promozione e divulgazione delle cultura,
12) promozione e realizzazione del diritti degli immigrati,

Codacons, l’art. 2 dello Statuto prevede quale esclusiva finalità dell’Ente:
la tutela dei diritti e degli interessi dei consumatori ed utenti, degli immigrati e dei rifugiati, nei confronti dei soggetti pubblici e privati produttori o erogatori di beni e servizi anche al fine di contribuire ad eliminare le distorsioni del mercato determinate dalla commissione di abusi e da altre fattispecie di reati contro la P.A,
la tutela del diritti e degli interessi Individuali e collettivi dei consumatori ed utenti nel confronti di qualsiasi soggetto, anche in sede giudiziaria, mediante azioni risarcitorie anche in tema di danno ambientale, la tutela della salute, la vigilanza sulla corretta gestione del territorio da parte della P.A. In materia di pubblici servizi, ivi compreso il credito, le assicurazioni, il mercato mobiliare, il servizio farmaceutico, i trasporti, le telecomunicazioni, la tutela degli utenti del servizi finanziari e creditizi in genere ivi compresa la prevenzione dell’usura a differenza di Adusbef, le finalità di Codacons, Confconsumatori, Movimento di difesa del Cittadino hanno uno spettro amplissimo con conseguente insussistenza della esclusività, o prevalenza, dello scopo di tutela dei risparmiatori che, invece, fonderebbe un diritto risarcitorio in capo all’Ente.

B) sulle richieste di esclusione delle parti civili costituitesi nel confronti dei responsabili amministrativi ex D.L.vo 231/01

A sostegno della possibilità dl costituirsi parte civile nei confronti dei responsabili amministrativi ex D.L.vo 231/01 le difese adducono le seguenti argomentazioni (In particolare memoria Avv. Grosso difensore delle parte civile Aba più altri).
In primo luogo la legittimazione a costituirsi parte civile nei confronti del responsabile amministrativo trova il suo fondamento nell’art. 2043 c.c.: qualunque fatto illecito, di qualunque tipo esso sia, che abbia cagionato un danno risarcibile, obbliga il responsabile al risarcimento.
La configurazione di un serie di illeciti, qualificati come amministrativi dal D.L.vo 231/01, in combinazione con l’art. 2043 c.c. legittima il danneggiato ad adire l’autorità giudiziaria civile per chiedere al soggetto responsabile il risarcimento del danni scaturiti dalla commissione di detti illeciti. Posto che la costituzione di parte civile nei processo penale altro non è che esperimento o trasferimento in tale processo di una pretesa civilistica di tipo aquiliano, ne consegue che il danneggiato è legittimato alla detta costituzione nei confronti del responsabile amministrativo, e ciò può avvenire sulla base dell’art. 185 c.p., norma civile in relazione alla quale non sussiste divieto di analogia e che costituisce la specificazione dell’art. 2043 c.c., e dell’art. 74 c.p.p., norma di carattere processuale e non penale e, pertanto, anche In questo caso, non soggetta al divieto di analogia.
Anche prescindendo dalla insussistenza del divieto di analogia per le dette norme, la attribuzione al giudice penale della competenza a giudicare degli illeciti di cui ai D.L.vo 231/01 comporta la configurazione legislativa di un nuovo ed autonomo caso, non esistente al momento della emanazione degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p., in cui un’azione civile fondata sull’art 2043 c.c. può essere trasferita nella sede penale secondo i principi generali
In secondo luogo l’illecito amministrativo coincide in toto con i reati previsti quale possibile fonte della responsabilità amministrativa dell’ente. Lo dimostrano alcune norme previste del D. L.vo: artt. 3, 5, 6, 21, 22, 26, nonché la rubrica della sezione terza,
In terzo luogo, a sostegno della tesi, sono invocabili gli artt. 34 e 35 del D. L.vo.
A confutazione delle dette considerazioni il Giudice rileva quanto segue:
il principio generale della possibilità del trasferimento o dell’esercizio dell’azione civile per risarcimento danni, ex art. 2043 c.c., nel procedimento penale trova la sua regolamentazione negli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p.
Queste ultime due norme delimitano la portata generale dell’art. 2043 c.c. nel senso Che se è vero che qualsiasi fatto illecito obbliga al risarcimento è altresì vero che, nel procedimento penale, può azionarsi la pretesa civile unicamente in ordine ai danni derivanti da reato, dei quali risponderanno il colpevole o le persone che devono rispondere per il reato del detto colpevole a norma delle leggi Civili. E’ pertanto evidente la inscindibile correlazione tra danno e reato: in tanto è esercitabile l’azione civile nel processo penale in quanto il danno risarcibile sia riconducibile al reato.
L’ente, nei procedimento ex D.L.vo 231/01, non risponde del reato ma del fatto diverso dal reato, ossia nell’ipotesi in cui commesso il reato da parte della persona fisica nell’interesse o a vantaggio dell’ente (art. 5) — l’ente non abbia adottato ed efficacemente attuato i modelli di organizzazione, gestione e controllo, idonei ad impedire che la detta persona fisica commetta il reato (artt. 6 e 7).
Può sostenersi che, qualora l’ente incorra nelle dette omissioni, sussiste una responsabilità virtuale per tali omissioni, che si concretizza solo al momento della commissione del reato.
E’ evidente, pertanto, la netta distinzione tra illecito dell’ente ed li reato. D’altra parte la detta distinzione è ben evidenziata nel D. L.vo laddove si fa ripetutamente riferimento alla responsabilità amministrativa: nell’intitolazione del Capo I, delle Sezioni I e III, del Capo III negli artt. 2, 3, negli artt. 9 e 22, 34, 36, 37, 38, 43, 44, 45, 55, 56, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 66, 69, 71, 74, 78, 83, 85, nonché negli artt. 1, 2,, 3, 4, 7 delle relative disposizioni regolamentari (norme tutte dove si parla di illeciti amministrativi dipendenti da reato e di sanzioni amministrative). Sussistendo, quindi, la inequivocabile distinzione tra reato della persona fisica ed illecito dell’ente non può ritenersi che la nozione di “reato” contenuta nell’art, 185 c.p. possa estendersi, in seguito all’entrata in vigore del D. L.vo 231/01, anche all’illecito dell’Ente.
Impossibile inoltre invocare l’analogia o l’interpretazione estensiva in relazione alla disposizione dell’art 185 c.p.
Esse, infatti, potrebbero solo concernere le conseguenze restitutorie o risarcitorie del reato o le persone che devono rispondere per il fatto del colpevole ai sensi delle leggi civili. Potrebbero operare solo con riguardo, quindi, all’insieme delle norme civili che concernono restituzioni e risarcimento, ma non possono concernere, ed il divieto è sancito dall’art. 14 delle preleggi, la parte dell’art. 185 c.p. relativa alla menzione al reato, quale presupposto dell’obbligo risarcitorio.
Reato dunque e non illecito dell’Ente.

Pur essendo le dette considerazioni risolutive non può non rilevarsi che il dettato normativa del D. L.vo 231/01 da un lato non prevede né richiama l’istituto della costituzione di parte civile, fatto significativo posto che la detta normativa disciplina molteplici istituti paralleli a quelli penali e processuali (si pensi, ad esempio, al principio di legalità, alla successione delle leggi, al sistema sanzionatorio, a quello cautelare, alla prescrizione, alla contumacia, alle fasi delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, al riti speciali), d’altro lato specifiche disposizioni di legge che nella legge processuale penale menzionano la parte civile, o comunque ad essa fanno riferimento, sono ribadite nel decreto in questione senza alcun riferimento a quest’ultimo soggetto processuale.
Ed infatti:
l’art 54 del decreto, relativo al sequestro conservativo, prevede tassativamente che possa essere richiesto dal PM in relazione alla dispersione delle garanzie per il pagamento della sanzione pecuniaria.
Si tratta di norma che ricalca l’art. 316 c.p.p. che consente analoga richiesta alla parte civile in relazione alle obbligazioni civili derivanti da reato.
L’art. 54 non solo non prevede alcun potere in capo alla parte civile ma - a conferma che non si tratta di norma che semplicemente omette di prevedere un potere di una parte processuale che comunque potrebbe essere presente nel procedimento contro l’Ente, ma di norma che segnala inequivocabilmente che la detta parte non può agire nei confronti dell’ente imputato dell’illecito amministrativo — nel richiamare espressamente la disciplina del sequestro conservativo del c.p.p., con riferimento all’art 316 c.p.p. limita il richiamo al relativo quarto comma, omettendo il comma secondo (ossia quello che consente la richiesta anche alla parte civile) ed il comma terzo (che stabilisce che il sequestro richiesto dal P.m. giova anche alla parte civile).
Trattandosi di norme di rilevante importanza per detta parte, in quanto dirette a garantire il soddisfacimento proprio della pretesa civilistica, ossia il risarcimento, il fatto che non siano ribadite nel D. Lvo 231/01 non può essere considerata una mera dimenticanza del legislatore: si tratta invero di una precisa ed inequivocabile scelta legislativa nel senso di non prevedere nel procedimento in questione la parte civile.
Né può dirsi che la lacuna è colmabile dall’art. 34, ossia dalla norma affermante che, per il procedimento relativo agli illeciti amministrativi dipendenti da reato, si osservano le norme previste dal Capo III del decreto (relativo al procedimento dl accertamento e di applicazione delle sanzioni amministrative) e le disposizioni processuali penali in quanto compatibili.
Da un lato, quest’ultimo inciso comporta che non tutti gli istituti non previsti dal decreto possano applicarsi “tout court”, al procedimento amministrativo.
Ma vi è di più: il concetto di compatibilità comporta che l’eventuale ricorso alla trasposizione di un istituto dalla sede di un corpo normativo ad un’altra debba essere vagliata con particolare attenzione interpretativa.
Questa particolare attenzione determina che la detta trasposizione non possibile che venga effettuata in un blocco normativa in cui alcun cenno, neanche indiretto, vi è all’istituto in questione, anzi, una delle facoltà più significative attribuita alla parte civile (la detta possibilità di richiedere il sequestro conservativo) viene addirittura esclusa,
Ma non solo nessuna traccia vi è della parte civile nella disposizione relativa al sequestro conservativo, ma anche in altre norme.
Così nella Sezione I del Capo II, dove si fa riferimento alla responsabilità patrimoniale dell’ente, la norma (art. 27) sancisce che l’ente risponde con Il suo patrimonio o con il fondo comune dell’obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria (nessun riferimento, quindi, al danno risarcibile).
L’art 69 prevede che, in caso di condanna, il Giudice applica all’ente le sanzioni e lo condanna al pagamento delle spese processuali. Nessun riferimento al risarcimento del danno laddove il c.p.p. prevede una articolata normativa in tema di decisione sulle questioni civili (artt. 538 e segg. c.p,p.). In tema di archiviazione, poi, l’art. 58 non preveda, cosi come l’art. 408 comma 2 c.p.p., alcun avviso alla persona offesa della determinazione del Pm di procedere alla archiviazione dei procedimento (laddove la persona offesa è frequentemente anche danneggiata dal reato ed è quindi una potenziale parte civile che ha interesse all’esercizio dell’azione penale onde poi esercitare l’azione).
Sulla stessa linea si pone l’art. 61 comma 2 del decreto che stabilisce ciò che deve contenere, a pena di nullità, il decreto che dispone il giudizio nei confronti dell’ente: alcun riferimento viene fatto alla indicazione di parti differenti dall’ente, laddove il corrispondente art. 429 comma primo lettera a) del c.p.p. stabilisce che oltre alle generalità dell’imputato il decreto deve anche indicare quelle delle altre parti private (tra cui, appunto, la parte civile).
Particolarmente significativa la norma di cui all’art. 59 del decreto: essa prevede, attraverso il rinvio all’art. 405 c.p.p, che la contestazione da parte del Pm all’ente dell’illecito amministrativo viene effettuata in via ordinaria mediante la richiesta di rinvio a giudizio. Detta contestazione deve contenere gli dementi identificativi dell’ente, l’enunciazione in forma chiara e precisa del fatto che può comportare l’applicazione delle sanzioni amministrative, l’indicazione dei “reato” da cui l’illecito dipende e dei relativi articoli di legge e delle fonti di prova.
Da un lato manca l’indicazione della persona offesa, laddove il corrispondente art. 417 c.p.p. la prevede.
Ma ancor più significativo, a conferma della netta distinzione tra comportamento — non reato addebitabile all’Ente e comportamento - reato addebitabile alla persona fisica/imputata, è che la norma distingue espressamente il fatto da cui deriva la responsabilità dell’ente dal reato.
Distinzione che, ovviamente, non è necessaria in tema di responsabilità penale in quanto vi è corrispondenza e coincidenza tra fatto e reato, tanto è che l’art 417 c.p.p. parla di enunciazione in forma chiara e precisa del “fatto”.
Il detto art. 59 secondo comma del decreto dà chiara conferma, pertanto, che una cosa è il reato, altra cosa è il fatto addebitabile all’ente.
Ed ancora: il decreto 231 intitola la Sezione II del Capo III “soggetti, giurisdizione e competenza” ed in essa non vi è alcuna menzione della parte civile, differentemente da quanto avviene nel libro I del c.p.p. (parimenti dedicato ai soggetti del procedimento) in cui vi è compiutamente disciplinata la detta parte.
Da ultimo: nemmeno la disciplina delle impugnazioni (artt. 71. — 73 del D.L.vo) fa riferimento alle questioni civili.
A sostegno della tesi opposta, il richiamo alle disposizioni del decreto che prevedono la possibilità dell’Ente che abbia risarcito il danno di ottenere una riduzione della sanzione pecuniaria (art 12) e di non essere sottoposto a sanzione interdittiva (art 17) e quello all’art. 35 che estende all’ente la disciplina processuale dell’imputato, non sono pertinenti.
La possibilità risarcitoria dell’Ente, evidentemente finalizzata ad una sanzione inferiore ed a non essere sottoposto a sanzione interdittiva, è argomento neutro.
La seconda disposizione, poi, contiene la precisazione che la disciplina processuale dell’imputato è estesa all’Ente solo se compatibile.
Questa delimitazione non può essere intesa unicamente con riferimento a quegli istituti che, evidentemente, non potrebbero trovare applicazione per gli enti (si pensi, ad esempio, ai provvedimenti limitativi della libertà personale) e per cui, quindi, non ci sarebbe alcun bisogno di specificarne l’inapplicabilità, ma deve essere letta alla luce del sistema complessivo e secondo i criteri in precedenza evidenziato.
In sostanza gli elementi a sostegno dell’inammissibile esperimento dell’azione civile nei confronti del responsabile amministrativo sono tali che comportano, appunto, l’incompatibilità di cui parla l’art. 35 del decreto.
Va aggiunto che l’art. 35 limita il richiamo alle disposizioni processuali, laddove l’art. 185 c.p. non può certamente considerarsi pura norma processuale.
Né da ultimo può invocarsi l’art. 8 del decreto e sostenersi che negare la costituzione di parte civile nei confronti dell’Ente significherebbe, nei casi previsti da detta norma, privare il danneggiato della possibilità dl rivalersi nel processo penale.
La detta norma, infatti, ancora conferma la distinzione tra reato e fatto generatore dell’illecito amministrativo con le conseguenze già ampiamente evidenziate.

C) Sulla richiesta dl esclusione delle parti civili Parmalat Finanziaria Spa in amministrazione straordinaria in persona del Commissario Straordinario Dott. Bondi e della Parmalat S.p.A.

Si sono costituite parte civile la Parmalat Finanziaria Spa in amministrazione straordinaria in persona del Commissario Straordinario e la Parmalat Spa quale assuntore, in seguito al concordato omologato dal Tribunale di Parma con sentenza 1/10/05 n. 22, di ogni azione spettante alle società interessate dalla proposta di concordato, ivi comprese le azioni risarcitorie già promosse dal Commissario Straordinario.
La costituzione della Parmalat Finanziaria Spa in amministrazione straordinaria trova il suo fondamento nell’art. 97 del D.L.vo 270/99.
Il comma 1. bis dell’art. 8 del D.L. 23/12/03 n. 347 convertito nella L. 18/2/04 n. 39 (introdotto dalla legge 27/12/06 n. 296) prevede che la facoltà di costituirsi parte civile (come detto già prevista dall’art. 97 del D. L.vo 8/7/99 n. 270) è esercitata dal Commissario Straordinario e che nel caso di concordato con assunzione detta facoltà è esercitata, dopo la chiusura della procedura a norma dell’art. 4 bis comma 11 (chiusura che avviene con il passaggio in giudicato della sentenza che approva il concordato), dall’assuntore del concordato.
Aggiunge la norma che se al momento della chiusura della procedura il Commissario Straordinario è costituito parte civile nel processo penale, l’assuntore subentra nell’azione anche se è scaduto Il termine dl cui all’art. 79 del c.p.p.
L’art, 8 comma 1 bis citato disciplina chiaramente ed inequivocabilmente fa fattispecie in esame: sino al passaggio in giudicato della sentenza di approvazione del concordato, che sancisce la chiusura della procedura di amministrazione straordinaria, la legittimazione a costituirsi parte civile spetta al Commissario Straordinario, dopo la chiusura della procedura la stessa compete all’assuntore del concordato. La norma prevede inoltre l’ipotesi in cui la Costituzione di parte civile sia stata esperita dal Commissario Straordinario prima del passaggio in giudicato della sentenza di approvazione del concordato e, quindi, si trovi in tale veste nei procedimento penale ai momento di chiusura della procedura di amministrazione straordinaria, stabilendo il subentro nell’azione risarcitoria da parte dell’assuntore anche al di fuori del termine previsto dall’art 79 c.p.p. per la costituzione di parte civile. Poichè dalla copia della sentenza del Tribunale di Parma 1/10/85 n. 22, allegata all’atto di costituzione di parte civile della Parmalat Spa, non. risulta il passaggio in giudicato della detta sentenza è giocoforza ritenere che, allo stato, la legittimazione a costituirsi parte civile è solo della Parmalat Finanziaria spa in amministrazione straordinaria in persona del Commissaario Straordinario e non della Parmalat Spa, ossia dell’assuntare, di cui pertanto deve essere disposta l’esclusione.

D) sulla richiesta di esclusione della parte civile Farmland Dairies LLC Litigation Trust

È stata richiesta l’esclusione di detta parte civile per insussistenza della legittimazione.
La Farmland si è costituita, in persona del legale rappresentante, adducendo di essere stata società del gruppo Parmalat, che il 30/4/03 si era impegnata ad erogare alla Parmalat Spa un prestito di 100 milioni di dollari, che tale somma era stata ottenuta dalla vendita della propria linea di produzione alla Genera Electric Capital Corporation (GECC) per la somma di 100 milioni di dollari con conclusione con la GECC di un contratto di lese back per pari importo, che in seguito aveva eseguito pagamenti per 80 milioni dl dollari, che qualora i dirigenti della società avessero immaginato la falsità di dati Parmalat non avrebbero sottoscritto l’accordo o, quantomeno, avrebbero sospeso i versamenti non appena rilevata l’impossibilità di Parmalat di restituire il capitale, che a causa della detta operazione la Farrnland, oltre al danni subiti, non è stata in grado di rispettare il contratto di lease back con la GECC ed ha dovuto sottoporsi a procedura concorsuale.
Alla luce di detta prospettazione appaiono rispettati i requisiti dell’art. 78 lettera d) del c.p.p. posto. che la parte civile ha indicato le ragioni poste a fondamento della domanda.
Dall’esame dell’atto di costituzione di parte civile e della procura speciale appaiono inoltre rispettate le formalità previste dall’art. 78 lettere a), b), c), e) c,p.p.
Va pertanto rigettata la richiesta di esclusione.

P.Q.M.


dichiara


l’inammissibilità delle costituzioni di parte civile nei confronti dei responsabili amministrativi ex D. L.vo 231/01

dispone

l’esclusione delle parti civili costituitesi nei confronti dei detti responsabili amministrativi

dispone

inoltre l’esclusione delle seguenti parti civili:
Codacons,
Confconsumatori,
Movimento di Difesa del Cittadino,
Parmalat Spa

rigetta

le ulteriori richieste di esclusione.

Milano 24 gennaio 2007

Il Giudice
Dott. Cesare TACCONI



Questo sito è di proprietà dello Studio Legale TANZA | antonio.tanza@gmail.com

Torna ai contenuti | Torna al menu