Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


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Sent. 2006: Biagini / Mps e Teramo

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2006

TRIBUNALE DI LECCE
REPUBBLICA ITALIANA

In nome del popolo italiano

Il Tribunale di Lecce, prima sezione civile, in persona del Giudice Unico dr. Oronzo De Pascalis,
ha pronunziato la seguente

SENTENZA n. 1959/2005


Nella causa civile iscritta al n. 2388/99 del ruolo generale

Tra

BIAGINI TINA, rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Tanza, mandato in atti,
attrice

Contro

MPS GESTIONE CREDITI BANCA S.p.A., con sede in Siena, in nome e conto di Ulisse 2 S.p.A., con sede in Milano, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Raffaele Fatano, mandato in atti,
convenuta
^^^^

All'udienza del 28.2.2005 le parti precisavano le conclusioni come da verbale di causa.
°0°

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con atto di citazione notificato in data 28.9.1999 Biagini Tina conveniva dinanzi a questo Tribunale la Banca del Salento per sentir accertare e dichiarare “
la invalidità e la nullità parziale dei singoli contratti di apertura di credito e di conto corrente oggetto del rapporto tra la parte attrice e la Banca, particolarmente in relazione alle clausole di determinazione e di applicazione degli interessi ultralegali, dell'anatocismo trimestrale, della provvigione di massimo scoperto, dei costi, delle competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese”, nonché l'accertamento, a mezzo del ricalco delle competenze,dell'esatto dare-avere tra le parti contrattuali, con condanna della convenuta alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre interessi.
In particolare,l'attrice sosteneva:
- che la clausola contrattuale di determinazione degli interessi secondo le condizioni praticate dalle aziende di credito sulla piazza era nulla poiché priva di determinazione e financo di determinabilità e che, per tale motivo, al rapporto doveva essere applicato il tasso legale annuo, sia sui saldi attivi che su quelli passivi;
- che l'applicazione di interessi anatocistici era illegittima per inesistenza, tra l'altro, di un uso nominativo che consentisse di pattuire convenzionalmente la capitalizzazione trimestrale di interessi non ancora scaduti e che, comunque, il saggio degli interessi anatocistici doveva essere pari a quello legale;
- che nulla doveva all'Istituto di credito a titolo di commissioni di massimo scoperto perché a tal riguardo nulla era stato contrattualmente pattuito;
- che la Banca del Salento, seppur per una consolidata prassi bancaria, aveva lucrato interessi, a seguito della “
aggiunta o sottrazione di un certo numero dei c.d. giorni banca alla valuta effettiva”.
La Banca convenuta, costituitasi, contestava la pretesa avversa e, assumendo di essere creditrice della Bigini, in via riconvenzionale chiedeva la condanna dell'attrice “
al pagamento della somma di lire 1.831.000 derivante dallo scoperto del conto corrente n. 69500/0, oltre interessi convenzionali come pattuiti”.
In data 23.12.2002 la Banca del Salento era incorporata dalla Banca Monte dei Paschi di Siena, sicchè all'udienza del 14.4.2003 il giudizio era interrotto.
Dopo la riassunzione a cura dell'attrice, si costituiva MPS Gestione Crediti S.p.A., quale mandataria di Ulisse 2 S.p.A.
In corso di causa era disposta C.T.U.
Quindi, precisate le conclusioni, la causa è stata ritenuta per la decisione dopo il decorso dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE


Vanno esaminate singolarmente le varie questioni secondo l'ordine seguito nell'atto di citazione.

I

L'attrice ha in primo luogo invocato la nullità della clausola di determinazione dell'interesse ultralegale mediante riferimento al c.d. “uso di piazza”. Infatti, il contratto di conto corrente inter partes, con riferimento al tasso di interesse, all'art. 7 prevedeva: “Gli interessi dovuti dal correntista all'Azienda di credito, salvo patto diverso, si intendono determinati alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza e producono a loro volta interessi nella stessa misura”.
Orbene, tale clausola va dichiarata nulla ai sensi dell'art. 4, comma 3, della legge 17.2.1992 n. 154 (norma poi confermata dall'art. 117 del successivo Decreto Legislativo 1.9.1993 n. 385)
Sul punto la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la convenzione relativa alla determinazione degli interessi è validamente stipulata, in ossequio al disposto di cui all'art. 1284, terzo comma, c.c. quando il relativo tasso risulti determinabile e controllabile in base ai criteri in essa oggettivamente indicati e richiamati. Una clausola contenente un generico riferimento
“ alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza” può, pertanto, ritenersi univoca se coordinata alla esistenza di vincolati discipline fissate su larga scala nazionale con accordi di cartello, ma non anche quando tali accordi contengono riferimenti a diverse tipologie di tassi e non consentono, per la loro genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso fare concreto riferimento (v. Cass. 10.11.1997 n. 11042; 8.5.1998 n. 4696; 19.7.2000 n. 9465; 2.12.2003 n. 14684).
Nel caso in esame l'elemento estrinseco di riferimento non permette una sicura ed oggettiva determinazione della prestazione di interessi, al di fuori di valutazioni unilaterali e discrezionali da parte della banca stessa, vuoi perché non esiste alcuna pubblicazione ufficiale che certifichi le
condizioni usuali, vuoi perché non esistono parametri univoci di riferimento sufficientemente certi in grado di sopperire all'assoluta carenza delle predette condizioni.

II

La seconda questione investe la clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi.
Tale clausola, sulla base dell'indirizzo ormai consolidato della corte di Cassazione( v., da ultimo, SS.UU. 4 novembre 2004 n. 21095), deve essere dichiarata nulla perché si fonda su di un uso negoziale e no su di un uso normativo; come tale non dà luogo al fenomeno dell'insersione automatica nel contratto e non è suscettibile di derogare alle condizioni previste dall'art.1283 c.c.

III

Anche la contestazione circa l'obbligo di pagare la commissione di massimo scoperto va accolta.
Tale voce di addebito, confluita sul conto della cliente, è nulla perché non è prevista dal contratto e, dunque, si sostanzia in una ulteriore e non pattuito aggravio di interessi corrispettivi rispetto a quelli convenzionalmente stabiliti per l'utilizzazione dell'apertura di credito.
Per altro, essendo indeterminati i criteri di applicazione della commissione di massimo scoperto, concorre un ulteriore profilo di invalidità, costituito dalla indeterminatezza dell'oggetto dell'obbligazione.

IV

Nulla è anche la clausola dei c.d. giorni valuta per gli addebiti e gli accrediti, in quanto gli stessi, nel caso di specie, non risultano computati in relazione al giorno in cui è stata effettuata l'operazione bancaria. Sono stati infatti fittiziamente allungati i giorni solari del prestito e sono stati, al contrario, decurtati i giorni del deposito di denaro da parte del cliente.

V

La mancata tempestiva contestazione dell'estratto conto non ha reso inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti e non ha implicato, per la Bigini, decadenza dal diritto di contestare il fondamento giuridico dei titoli di debenza.
L'incontestabilità delle risultanze del conto in conseguenza dell'approvazione tacita dello stesso, a norma dell'art. 1832 c.c. , si riferisce agli addebiti ed agli accrediti considerati nella loro consistenza pecuniaria, ma no estende la sua efficacia anche al titolo giuridico in base al quale le annotazioni stesse sono effettuate.
Va altresì considerato che l'approvazione (o la mancata impugnazione) del conto non può comportare che il debito resti definitivamente incontestabile, anche quando esso risulti fondato su di un negozio o su di una clausola invalida o inefficace.
Nella specie l'attrice ha fatto valere la nullità della clausola relativa agli interessi ad uso piazza, così allegando una ragione che attiene al titolo, sicché non vi è spazio per ritenere preclusa l'impugnazione.

VI

Sulla base di quanto premesso e tenuto conto della nullità delle clausole innanzi richiamate (quelle relative agli interessi uso piazza, alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, alla Commissione di massimo Scoperto, ai giorni valuta), al rapporto in esame vanno applicati, in sostituzione, il tasso legale ed il regime di capitalizzazione annuale; va applicato il regolamento delle valute alla data in cui sono stati effettuati i versamenti ed i prelevamenti dei correlativi importi.
La consulenza tecnica d'ufficio del dr.Amedeo Maizza, muovendo dalla considerazione che il contratto di apertura di credito risale al 27.6.1986 (in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge n. 154/92), ha correttamente ricalcato le competenze al tasso legale, depurando il conto da tutti gli oneri non espressamente pattuiti.
Il credito della Bigini al 30.9.1999 (data in cui si ferma la richiesta della Banca) ammonta ad € 2.582,92.
La pretesa della Bigini non può ritenersi prescritta, perché la prescrizione inizia a decorrere solo dalla chiusura del rapporto.
La domanda dell'attrice va accolta per il predetto importo, mentre va rigettata la riconvezionale, perché non sussiste alcun credito della Banca.
Le spese seguono la soccombenza

P.Q.M.

Il Tribunale di Lecce, in persona del Giudice Unico, pronunciando sulla domanda proposta da Bigini Tina con atto notificato il 28.9.1999, nonché sulla riconvenzionale proposta con comparsa 22.11.1999 da MPS Gestione Crediti, S.p.A. nella qualità in atti, così provvede:
1) accoglie la domanda e, per l'effetto, condanna la società convenuta al pagamento a favore dell'attrice della somma di € 2.582,92, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo;
2) rigetta la riconvezionale;
3) condanna la società convenuta al pagamento a favore dell'attrice delle spese processuali, liquidate in € 3.810,00, di cui € 15,00 per spese, € 1.795,00 per diritti ed € 2.000,00 per onorario, oltre rimborso forfetario spese generali, IVA e C.A.
Lecce, 20 luglio 2005

Il Giudice Unico
Oronzo DE PASCALIS

Depositato in Cancelleria, 21 novembre 2005

II

TRIBUNALE DI TERAMO
REPUBBLICA ITALIANA

In nome del popolo italiano

Il Tribunale di Teramo, prima sezione civile, in persona del Giudice Unico dr. Giuseppe MARCHEGGIANI,
ha pronunziato la seguente

SENTENZA n. 23/2006

Nella causa civile iscritta al n. 685/02 del ruolo generale

Tra

D'ANREAMATTEO Giuseppe, rappresentata e difesa dall'avv. Antonio TANZA e Avv. Alberto LORENZI, mandato in atti,

attore

Contro

BANCA POPOLARE DELL'ADRIATICO SPA rappresentata e difesa dall'avv. Pietro REFERZA;
Conclusioni delle parti
All'udienza del 5 ottobre 2005 gli Avv.Tanza e Marano (per l'Avv.Lorenzi), per l'attore, hanno precisato le conclusioni "riportandosi a quelle in atti ed in particolar modo, viste le risultanze della c.t.u., chiedono la condanna della banca al pagamento della somma di € 49.024,85, oltre interessi semplici dal 1° aprile 2002 all'effettivo soddisfo, salvo differente somma [...] di Giustizia".
L'Aw.Referza, per la Banca Popolare dell'Adriatico s.p.a., ha concluso: "[...] A) gli interessi a credito del correntista non sono stati calcolati sulla base del tasso accordato dalla Banca, o legale, ma in base al tasso sostitutivo di cui all'art. 117 T.U. 385/93, che li rapporta ai tassi nominali massimi dei B.O.T. annuali. Tale applicazione di interessi conduce ad evidenti, inaccettabili incongruenze atteso che negli anni 1992/1994 il tasso dei B.O.T. ha toccato punte del 16/17% e che il parametro in questione sostituisce il saggio (manchevole) che la Banca applica al cliente, e non viceversa [...]; B) l'operazione contabile avrebbe dovuto essere eseguita considerando prescritti, in relazione alla giurisprudenza del Tribunale di Teramo, i crediti (comunque contestati) del correntista derivanti dai versamenti indebiti, perché diretti al pagamento di somme accessorie contabilizzate in base ad una clausola sospetta di nullità, eseguiti nel periodo anteriore al decennio dalla notifica dell'atto introduttivo. C) Avrebbe dovuto essere applicato l'art.1194 c.c., atteso che il conto ha spesso presentato un saldo attivo, e le sue vicende testimoniano una cospicua alternanza tra saldo negativo e saldo positivo. La norma consente, o, più propriamente, impone di riesporre i movimenti di conto imputando ogni rimessa liquida ed esigibile, registrata su un conto sconfinante, prima al pagamento degli interessi, poi del capitale, con la conseguenza di incidere sull'effetto anatocistico.
D) II consulente avrebbe dovuto considerare la pattuizione per iscritto dei tassi di interesse, documentata dalle produzioni tempestivamente effettuate dalla Banca sub e), d), e), almeno con riguardo alle operazioni espressamente contemplate nei documenti. E) L'ausiliario non ha comunque reso pienamente intelligibili i procedimenti di calcolo adottati. F)L'ausiliario avrebbe dovuto applicare il criterio della capitalizzazione annuale".

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 5 aprile 2002 D'Andreamatteo Giuseppe esponeva:
- che dal 9 dicembre 1986 intratteneva con la Banca Popolare dell'Adriatico s.p.a. un rapporto di apertura di credito con affidamento prima sul c.c. 72238, trasferita sul c.c. 3731/06, presso la Filiale di Silvi (TE);
- che la Banca aveva inviato al correntista un saldo contabile recante un presunto passivo al 31 gennaio 2002 di € 9.050,81 ed aveva imposto rientri a breve scadenza ed ulteriori garanzie;
- che a nulla era valsa la proposta di transazione formulata dall'attore.
L'attore deduceva la nullità parziale dell'apertura di credito con scoperto per i seguenti motivi:
I) nullità della clausola di determinazione dell'interesse ultralegale mediante rinvio al c.d. "uso piazza", con conseguente applicabilità dell'interesse legale annuale sui saldi attivi e passivi;
II) illegittimità della pattuizione ed applicazione della capitalizzazione trimestrale dell'interesse composto, previsto nell'art.7 del contratto originario e del successivo del 6 giugno 1990 in assenza di usi normativi;
III) inammissibilità della provvigione di massimo scoperto trimestrale in assenza di pattuizione e per la non riconducibilità ad alcuna fonte normativa;
IV) determinazione della valuta per mancata previsione contrattuale circa l'antergazione e postergazione dei giorni di valuta;
V) tasso effettivo globale conseguentemente ed eventualmente accertabile come violativo delle disposizioni in materia di usura ex lege n° 108 del 1996;
VI) illegittima eventuale segnalazione alla centrale rischi della Banca d'Italia.
D'Andreamatteo Giuseppe concludeva con le seguenti richieste: "[...] sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art.25, comma 2, del d.lgs. 4 agosto 1999 n° 342 nella parte in cui senza alcuna delega demanda al CICR di stabilire le modalità ed i criteri di produzione degli interessi sugli interessi.
1. Accertare e dichiarare la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1284, 1346, 2697 e 1418 c.c., dell'art. 7 comma 3, delle condizioni generali del contratto apertura di credito e di conto corrente n° 72238, girocontato nel c/c n° 3731/06, oggetto del rapporto tra le parti del presente giudizio, relativa alla determinazione degli interessi debitori con riferimento alle condizioni usualmente praticate dalle Aziende di credito sulla piazza e, per l'effetto, dichiarare la inefficacia degli addebiti in c/c per interessi ultralegali applicati nel corso dell'intero rapporto e l'applicazione in via dispositiva, ai sensi dell'ari. 1284, comma 3, c.c. degli interessi al saggio legale tempo per tempo vigente;
2. accertare e dichiarare la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1283, 2697 e 1418 c.c., dell'art.7, commi 2 e 3, delle condizioni generali del contratto apertura di credito e di conto corrente n° 72238, girocontato nel c/c n° 3731/06, oggetto del rapporto tra le parti del presente giudizio, relativa alla capitalizzazione trimestrale di interessi, competenze, spese ed oneri applicata nel corso dell'intero rapporto e, per l'effetto, dichiarare la inefficacia di ogni e qualsivoglia capitalizzazione di interessi al rapporto in esame;
3. accertare e dichiarare la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt.1325 e 1418, degli addebiti in c/c per non convenute commissioni sul massimo scoperto trimestrale; comunque prive di causa negoziale;
4. accertare e dichiarare la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt.1284, 1346. 2697 e 1418 c.c., degli addebiti di interessi ultralegali applicati nel corso dell'intero rapporto sulla differenza in giorni-banca tra la data di effettuazione delle singole operazioni e la data della rispettiva valuta; nonché per mancanza di valida giustificazione causale;
5. accertare e dichiarare, per l'effetto, l'esatto dare-avere tra le parti del rapporto sulla base della riclassificazione contabile del medesimo in regime di saggio legale di interesse,senza capitalizzazione, con eliminazione di non convenute commissioni di massimo scoperto e di interessi computati sulla differenza in giorni-banca tra la data di effettuazione delle singole operazioni e la data della rispettiva valuta;
6. determinare il tasso effettivo globale (TEG) dell'indicato rapporto bancario;
7. accertare e dichiarare, previo accertamento del tasso effettivo globale, la nullità e l'inefficacia di ogni e qualsivoglia pretesa della convenuta banca per interessi, spese, commissioni e competenze per contrarietà al disposto di cui alla legge 7 marzo 1996 n° 108, perché eccedente il c.d. tasso soglia nel periodo trimestrale di riferimento, con l'effetto, ai sensi degli artt.1339 e 1419 c.c., della applicazione del tasso legale senza capitalizzazione;
8. condannare la convenuta banca alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate e/o riscosse oltre agli interessi legali creditori in favore dell'odierno istante;
9. in ogni caso, condannare la banca convenuta al risarcimento dei danni patiti dall'attore, in relazione agli artt. 1337, 1338, 1366, 1376 c.c. da determinarsi in via equitativa [... ]".
La Banca Popolare dell'Adriatico s.p.a. si costituiva in giudizio per sollevare eccezioni che, per comodità, vengono esposte nello stesso ordine della citazione:
I) la validità della pattuizione di interessi eccedenti la misura legale per sufficiente determinatezza dell'indicazione del tasso per relationem;
II) esistenza di uso normativo, in materia di anatocismo bancario, da ritenersi legittimo, giusta l'art.1857 c.c., nonostante il mancato richiamo nell'art.1831 c.c.; in ogni caso prescrizione quinquennale del diritto al rimborso di somme trattenute dalla Banca a titolo di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi;
III) legittima applicazione di commissioni di massimo scoperto, in relazione alla necessità di remunerazione della Banca per la distrazione da altri impieghi fruttiferi delle somme a disposizione del correntista per prelievi allo scoperto;
IV) preclusione delle contestazioni sollevate dalla controparte in merito alle date di valuta, applicate conformemente alle indicazioni dell'art.7, terzo comma, del contratto, per omesso rilievo specifico in sede di ricezione degli estratti-conto;
V) inesistenza dell'applicazione di tassi usurari, per la cui determinazione era esclusa la possibilità di computo della commissione di massimo scoperto, giusta la circolare della Banca d'Italia 1° ottobre 1996;
VI) infondatezza della doglianza circa la segnalazione della "sofferenza" alla Centrale rischi, non operata dall'Istituto di credito, costituente comunque un obbligo a garanzia del funzionamento del sistema creditizio nel suo insieme.
La Banca Popolare dell'Adriatico s.p.a. chiedeva il rigetto della domanda.
A seguito di scambio di memorie ex art.183, 5° comma, c.p.c., ammessa c.t.u. contabile ed acquisitine i risultati, all'udienza del 5 ottobre 2005 la causa veniva assegnata a sentenza.

Motivi della decisione

D'Andreamatteo Giuseppe ha chiesto il riconoscimento del diritto al rimborso di somme indebitamente trattenute dalla banca denunziando il mancato rispetto, da parte di questa, di disposizioni relative alla determinazione dei crediti e dei debiti del correntista in relazione alle operazioni compiute nel corso del rapporto.
In ordine al primo motivo di doglianza - illegittimità dell'addebito di interessi passivi in misura extra-legale in assenza di valida pattuizione scritta -si osserva che nel contratto di conto corrente è previsto all'art.7 che il tasso d'interesse a debito del correntista è stato pattuito con riferimento a quelli usualmente praticati dagli Istituti di credito sulla piazza.
La clausola, in quanto genericamente riferita a tassi usualmente praticati senza alcun riferimento all'esistenza di discipline vincolanti derivanti da accordi di cartello su scala nazionale, risulta inidonea a soddisfare il requisito della forma scritta previsto per la determinazione degli interessi in misura extra-legale dall'art.1284 c.c., come chiarito dalla S.C. con giurisprudenza costante (Cass. 29 novembre 1996, n. 10657; conf. Cass. 10 novembre 1997, n. 11042; Cass. 6 maggio 1998, n. 4696; Cass. 23 giugno 1998, n. 6247).
Né può ritenersi idoneo a superare l'indeterminabilità del tasso l'essere il mancato recesso da parte del cliente dal rapporto, a seguito della comunicazione di variazioni sfavorevoli al correntista delle condizioni contrattuali con l'invio degli estratti-conto successivi al 8 luglio’92
Il mancato recesso non preclude le successive contestazioni, da parte del correntista, dei tassi applicati dalla banca giusta la disciplina di cui all'art.6, commi 1 e 5, della legge n. 154 del 1992, in vigore dal 9 luglio 1992.
La previsione è ribadita nell’art.118 d.P.R. 385/93, in base al quale, se nei contratti di durata è convenuta la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni, le variazioni sfavorevoli sono comunicate al cliente nei modi e nei termini stabiliti dal CICR. Le variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le prescrizioni del presente articolo sono inefficaci. Entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione scritta, ovvero dell'effettuazione di altre forme di comunicazione attuate ai sensi del comma 1, il cliente ha diritto di recedere dal contratto senza penalità e di ottenere, in sede di liquidazione del rapporto, l'applicazione delle condizioni precedentemente praticate".
Le disposizioni sopra riportate, da ritenersi applicabili, ratione temporis, per il periodo del rapporto successivo al 8 luglio 1992 ed al 31 dicembre 1993, recano una disciplina, in deroga a quella ordinaria valevole fino al 8 luglio 1992, di natura esclusivamente suppletiva rispetto alla volontà delle parti ed in funzione di conservazione di essa, confermata nella regolamentazione organica successiva.
L'art.117, comma 5, d.P.R. 385 cit. prevede a partire dal 1° gennaio 1994 che "la possibilità di variare in senso sfavorevole al cliente il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione deve essere espressamente indicata nel contratto con clausola approvata specificamente dal cliente". La norma precisa (comma 6) che "sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati" e che "In caso di inosservanza del comma 4 e nelle ipotesi di nullità indicate nel comma 6 (mancata determinazione del tasso), si applicano: a) il tasso nominale minimo e quello massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro del tesoro, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive; b) gli altri prezzi e condizioni pubblicizzati nel corso della durata del rapporto per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi; in mancanza di pubblicità nulla è dovuto".
Le disposizioni citate, viste nel loro insieme, dettano un regime differenziato da quello comune in tema di novazione oggettiva, con una valutazione legale tipica di acccttazione della modifica delle condizioni contrattuali da parte del cliente nei contratti bancari, contemperata dal riconoscimento della facoltà per lo stesso di continuare a fruire delle condizioni accettate solo mediante recesso e fino alla operatività di questo. La disciplina, fortemente limitativa dei diritti di una delle parti contrattuali, è evidentemente applicabile solo nei limiti nei quali è destinata a consentire l'adeguamento delle condizioni contrattuali a sopraggiunte modifiche di condizioni contrattuali derivanti da determinazioni assunte dal sistema bancario in relazione ad una pluralità di rapporti, sì da configurare un regime di carattere eccezionale, del quale va pertanto esclusa l'estensione analogica a casi diversi. Tra i casi esclusi è compresa certamente l'ipotesi della mancata pattuizione scritta di tassi di interesse extra-legali in un contratto nullo in parte qua, ancorché stipulato prima dell'entrata in vigore della disciplina stessa..
Fino al 8 luglio 1992 va pertanto applicata la disciplina ordinaria, dettata nel terzo comma dell'art.1284 c.c., giusta il quale gli interessi superiori alla misura legale non convenuti per iscritto sono dovuti nella misura legale, disposizione che va interpretata, per giurisprudenza costante, nel senso di prevedere la nullità della clausola solo per la parte corrispondente alla differenza tra il tasso legale e quello convenuto, con riferimento alla quale l'ordinamento interviene non per espungerla dal regolamento patrizio senza riconnettervi alcun effetto, bensì per sostituirla con la disciplina legale (Cass. 14 gennaio 1997, n. 280).
Nella sentenza da ultimo citata si è precisato, altresì, che, poiché l'atto scritto concernente la stipulazione degli interessi in misura superiore a quella legale è costitutivo del relativo rapporto obbligatorio, a norma dell'art.1284 c.c. è privo di rilevanza giuridica il riconoscimento che di esso il debitore faccia ex post.
Tale riconoscimento non è ravvisabile nella mancata contestazione degli estratti-conto con l'indicazione del tasso degli interessi passivi, in considerazione dell'esigenza, pure sottolineata dalla giurisprudenza (cfr. Cass. 5 agosto 1991, n. 8561), che la convenzione successiva al sorgere del diritto agli interessi, ancorché idonea a sopperire alla mancata pattuizione preventiva, deve essere scritta. Quest'ultima condizione, insita nella previsione della forma ad substantiam sia secondo la disciplina dell'art.1284 c.c. sia secondo le nuove disposizioni di cui agli arti. 5 L.154/92 e 117 d.P.R. 385/93, è rilevabile, a sua volta, solo in presenza di documento sottoscritto dalla parte. Nel mancato assolvimento dell'onere previsto nell'art.1836 c.c., non è ravvisabile riconoscimento della spettanza alla banca di interessi extra-legali.
In applicazione dell'art.5 L. 154/92 e della disciplina analoga contenuta nell'art. 117 d.P.R. 385/93, s'impone l'esigenza di determinazione in base ai tassi sostitutivi delle somme dovute alla banca a titolo d'interessi dal correntista per i periodi in cui il conto ha presentato un saldo passivo dal 8 luglio 1992. Va precisato che, per l'individuazione del tasso sostitutivo pari al rendimento dei B.O.T. annuali, deve farsi riferimento ad emissioni precedenti a ciascuna chiusura trimestrale del conto, anziché a quelle precedenti alla "conclusione del contratto" in senso letterale. Quest'ultima interpretazione avrebbe l'effetto di rendere applicabile un tasso di sostituzione che, attesa la dinamica riduttiva dei rendimenti dei titoli di Stato dal 8 luglio 1992 in poi, porrebbe il tasso annuo effettivo globale del contratto al di sopra della soglia usuraria nei periodi più recenti, in contrasto con la sopravvenuta disciplina imperativa di cui alla legge n°108 del 1996, valevole dal 1° aprile 1997 (data di efficacia del primo decreto di determinazione dei tassi medi nazionali).
Con il secondo motivo è stata denunziata illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi (c.d. anatocismo).
La produzione degli interessi passivi è prevista nell'art.7 del contratto di conto corrente, il quale, ai commi secondo e terzo, prevede, rispettivamente: "I conti che risultino, anche saltuariamente, debitori vengono [...] chiusi contabilmente, in via normale, trimestralmente e cioè a fine marzo, giugno, settembre e dicembre, applicando agli interessi dovuti dal Correntista e alle competenze di chiusura valuta data di regolamento del conto fermo restando che a fine d'anno [...] saranno applicati gli interessi dovuti dall'Azienda di credito [...]. Gli interessi dovuti dal Correntista all'Azienda di credito si intendono determinati al tasso di cui in premessa al presente contratto [...]".
La clausola di capitalizzazione degli interessi, contenuta nella seconda parte del comma 2, si pone in contrasto con la norma imperativa contenuta nell'art.1283 c.c., la quale ammette la produzione di interessi sugli interessi scaduti, in mancanza di usi contrari, solo dal giorno della domanda giudiziale ,o per effetto di una convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi.
La S.C. ha chiarito, con orientamento ormai costante a seguito di mutamento del precedente indirizzo interpretativo, seguito per circa un ventennio, come gli usi contrari di cui alla norma citata possano essere identificati solo in quelli anteriori all'entrata in vigore del codice civile, per doversi ritenere quelli formatisi in epoca successiva inidonei a valere in deroga a disposizioni inderogabili di legge, ai sensi dell’art.8 delle preleggi (Cass., S.U., 4 novembre 2004, n.21095).
La capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista nel contratto di apertura di credito in conto corrente, sebbene applicata in seguito all'adozione, da parte degli Istituti di credito, di moduli predisposti a stampa per la regolazione di tali rapporti, in adesione al testo delle c.d. Norme bancarie uniformi approvate in sede associativa dall'A.B.I., non è, tuttavia, rispondente ad un uso normativo. Di questa fonte del diritto difetta, infatti, il requisito soggettivo, della persuasione generale, da parte degli operatori economici che intrattengono rapporti con gli Istituti di credito, di adeguarsi al disposto di una norma giuridica, come si desume, in particolare, dall'esistenza della prassi di contrattazione delle condizioni contrattuali solo per gli aspetti economici riguardanti la misura di tassi debitori ed altri oneri (commissioni di massimo scoperto) a carico del correntista e quella dei tassi creditori.
Resta, invece, esclusa qualsiasi possibilità di intervento del correntista stesso nella disciplina della materia della contabilizzazione degli interessi e della relativa periodicità, che rappresentano, proprio in conseguenza dell'adozione dei ricordati moduli uniformi, aspetti del rapporto riservati alla determinazione della banca, che il cliente è chiamato solo ad accettare con la sottoscrizione delle relative clausole.
La banca ha ritenuto l'art. 1831 c.c., seppur non richiamato nell'art.1857 c.c., applicabile al conto corrente bancario, in considerazione dell'immediata disponibilità del saldo in qualsiasi momento del rapporto. Tal disponibilità, rendendo superflua l'espressa previsione di chiusure contabili anteriori allo scioglimento del rapporto, renderebbe ragione del mancato rinvio all'art.1831 c.c., norma che dovrebbe, nondimeno, ritenersi applicabile al conto corrente bancario come a quello ordinario per identità della ragione giustificatrice.
La deduzione non è condivisibile per i seguenti motivi.
Nel conto corrente ordinario la chiusura del conto con la liquidazione del saldo è fatta alle scadenze stabilite dal contratto o dagli usi e, in mancanza, al termine di ogni semestre, computabile dalla data del contratto.
Parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto che nel conto corrente bancario troverebbe applicazione analogica la norma di cui all'art.l831che, in tema di conto corrente ordinario, prescinde dalla disciplina generale dettata dall’art.1283 cc, rimettendo alla disponibilità delle parti la determinazione delle scadenze di chiusura del conto, sicché l'anatocismo sarebbe un effetto della liquidazione del saldo (che si verifica alla chiusura del conto) e della mancata richiesta di pagamento dello stesso(Trib. Roma 22 giugno 2000 e Trib. Bari 28 febbraio 2001).
Nel conto corrente ordinario la chiusura del conto corrisponde al termine del rapporto e comporta la liquidazione del saldo; all'eventuale ripresa del rapporto il saldo costituisce la prima rimessa di un nuovo conto e quindi è produttiva d'interessi ai sensi dell'art.1825 c.c., senza che possa porsi alcun problema di deroga al disposto dell’art.1283 c.c. in materia di anatocismo.
Nel conto corrente di corrispondenza la chiusura trimestrale, prevista in presenza di saldo debitore, non costituisce risoluzione del rapporto, potendo questa intervenire, giusta la previsione dell'art.1855 c.c., in caso di operazione regolata in conto corrente a tempo indeterminato, a seguito di recesso con preavviso. La riapertura del conto nel trimestre successivo non costituisce novazione del contratto, con la conseguenza che gli interessi a credito della banca non possono considerarsi alla stregua di prima rimessa di un nuovo conto, ma mantenendo la natura di accessori, restano soggetti alla disciplina dell'art.1283 c.c., ossia non sono produttivi di interessi.
Il mancato richiamo dell'art.1831 c.c. nell'art.1857 c.c. è stato ritenuto superabile con il ricorso all'analogia, possibile quando la disciplina di riferimento abbia lo stesso fondamento razionale sicché risulti legittimo accertare se sussista nelle norme espresse e particolari un principio nel quale far rientrare anche il caso non preveduto.
Una controindicazione specifica a tal procedimento nel caso in esame si rinviene tuttavia nell'intitolazione dell’art.1857 c.c. (norme applicabili), potendo da essa constatarsi come il richiamo alle norme espressamente indicate sia il frutto di una scelta meditata anziché un indice della comune matrice della disciplina del contratto di conto corrente ordinario e del regime delle operazioni bancarie regolate in conto corrente.
L'esame delle norme espressamente richiamate rivela che il mancato richiamo dell'art.1831 non è conseguenza di un'omissione involontaria, ma il risultato della diversa scelta del legislatore di disciplinare le operazioni regolate in conto corrente con riferimento al mandato, figura eterogenea rispetto al contratto di conto corrente ordinario, giusta quanto stabilisce l'art.1856 c.c. con riguardo alla responsabilità della banca per l'esecuzione degli incarichi ricevuti dal correntista.
L'art.1826 c.c., il quale specifica che l'esistenza del conto corrente non esclude il diritto al rimborso delle spese ed i diritti di commissione per le operazioni che danno luogo alle rimesse, si riallaccia alla regola dell'onerosità, propria del mandato, ai sensi dell’art.1709 c.c., e, quanto alle spese, a quella dell’art.1720 c.c., limitandosi ad aggiungere che tali diritti sono inclusi nel conto, salvo convenzione contraria.
Il richiamo dell'art. 1826 c.c. si rivela pertanto giustificato dalla sola identità del mezzo tecnico -l'annotazione in conto - nelle operazioni bancarie, senza comportare l'assimilazione del regolamento in conto corrente di tali operazioni al caso in cui sussista un contratto di conto corrente ordinario.
L'art. 1829 c.c. (crediti verso terzi ) attribuisce alla clausola "salvo incasso", presunta nel conto corrente ordinario come nel regolamento di operazioni bancarie in conto corrente, la diversa portata di condizione risolutiva del trasferimento dei crediti nel primo e di condizione sospensiva dell'accreditamento nel secondo. Si tratta cioè di clausola che nel conto corrente bancario rende noto come la banca, non acquistando la disponibilità della somma se non al momento dell'incasso del credito, non è tenuta - come prevede, appunto, anche l'art.1719 c.c. per il mandatario - ad eseguire l'ordine di pagamento a terzi per conto del correntista, finché non abbia incassato i titoli da questo versati nel conto ad integrazione della provvista.
L'art.1832 c.c. (approvazione del conto), prevedendo che l'estratto - conto formi oggetto di un'approvazione esplicita o implicita da parte del correntista, garantisce la certezza dell'incontestabilità dei pagamenti a terzi effettuati dalla banca, in relazione alla conformità di essi ad ordini del correntista stessa, consentendo tuttavia - ciò che si pone in una logica perfettamente coerente con la qualità di mandatario assunta dalla banca - che eventuali errori di scritturazione o di calcolo, per omissioni o duplicazioni, possano essere impugnati dal cliente che, in caso di impugnativa fondata, sarà pertanto legittimato a chiedere al mandatario la rettifica del conto, come è in facoltà del mandante poter chiedere.
A conclusione delle considerazioni svolte si rileva che la tecnica normativa del richiamo usata nell'art.1857 c.c. non può indurre a ritenere l'applicabilità delle norme sul contratto di conto corrente ordinario alle operazioni bancarie regolate in conto corrente al di fuori dei casi espressamente richiamati, con la conseguenza di doversi escludere l'operatività per il conto corrente bancario della regola della chiusura periodica come fondamento di giustificazione dell'addebito degli interessi sul saldo trimestrale, semestrale e con qualsiasi altra cadenza temporale. In base a tali rilievi va ritenuta la nullità dell'art.7, secondo comma, del contratto di conto corrente intercorso fra D'Andreamatteo Giuseppe e la Banca Popolare dell'Adriatico s.p.a. n. 3731.06.
Quanto alla pretesa sanatoria della nullità, si osserva che, con il d.lgs. 342/99, il Governo ha esercitato il potere legislativo delegato per la determinazione delle modalità di produzione di interessi sugli interessi scaduti, conferitogli con la legge 128 del 1998.
La Corte costituzionale, con la sentenza n.425 del 17 ottobre 2000 ha tuttavia, dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'ari. 76 Cost., in relazione all'art. 1 comma 51. n. 128 del 1998, l'art. 25 comma 3 d.lg. 4 agosto 1999 n. 342, osservando doversi escludere che l'art. 1 comma 5 1 n. 128 del 1998, con il quale era stata conferita al Governo la delega per l'emanazione di "disposizioni integrative e correttive" del testo unico bancario emanato con d.lg. n. 385 del 1993, avesse potuto legittimare una disciplina di sanatoria (per il passato) e di validazione anticipata (per il periodo compreso tra la data di entrata in vigore del decreto delegato e quella della prevista delibera del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio) di clausole anatocistiche bancarie del tutto avulsa da qualsiasi riferimento al tipo di vizio riscontrabile e alle cause di inefficacia da considerare irrilevanti e, quindi, priva della necessaria e sicura rispondenza (diretta o indiretta) ai principi e criteri informatori del t.u. bancario.
La deliberazione del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio del 9 febbraio 2000, con la quale è stata prevista, all'art.2, la produzione di interessi sugli interessi scaduti con le periodicità contrattualmente stabilite, ha imposto il rispetto di condizioni di uguale trattamento nell'ambito di ogni singolo rapporto di conto corrente nel conteggio degli interessi creditori e debitori. Difetta, nel caso concreto, una valida pattuizione in tal senso, essendosi la Banca astenuta dal far presente l'intervento di una negoziazione della periodicità di chiusura contabile in caso di accertamento nel saldo periodico di debito a carico del correntista.
La disposizione del comma 3 dell’art.25 d.lgs.342 del 1999 non può assumersi, pertanto, quale fondamento di legittimità della pretesa della Banca di capitalizzazione degli interessi a debito del correntista neanche per il periodo intercorso tra la data dell'entrata in vigore della delibera CICR (22 aprile 2000, sessantesimo giorno dalla sua pubblicazione nella G.U. del 22 febbraio 2000) e la data di riferimento del calcolo degli interessi, assunta a base dei conteggi affidati al C.T.U. nominato nel corso dell'istruttoria.
In comparsa conclusionale la banca, con richiamo all'art.
2034 c.c., ha dedotto che la capitalizzazione trimestrale degli interessi era stata accettata dal correntista quale adempimento di un dovere sociale, implicante l'irripetibilità delle somme al detto titolo trattenute dall'Istituto di credito nel corso del rapporto contrattuale.
La deduzione si fonda sul presupposto dell'esistenza di una prassi riconosciuta come conforme a regole di correttezza (obbligazioni naturali).
L'art.2034 c.c. va ritenuto applicabile in caso di pagamento spontaneo di interessi extra-legali non pattuiti per iscritto, presupposto che non ricorre nel caso in cui una banca abbia proceduto all'addebito di interessi ultra-legali sul conto corrente del cliente per sua esclusiva iniziativa e senza alcuna autorizzazione da parte del cliente medesimo (v. Cass. 9 aprile 1984, n. 2262).
A maggior ragione il presupposto del pagamento spontaneo non è ravvisabile quando la banca procede altresì alla capitalizzazione degli interessi, senza alcuna legittimità, trattandosi evidentemente di pretesa applicazione di clausola contrattuale priva di efficacia obbligatoria e non certo rispondente al riconoscimento da parte del cliente della conformità di essa ad una prassi valida nei rapporti tra le banche ed i clienti.
Esclusa la sussistenza del divieto di ripetizione ex art. 2034 c.c., va riconosciuto il diritto al rimborso delle somme indebitamente trattenute.
In ordine all'affermata illegittimità delle commissioni di massimo scoperto si osserva quanto segue. A ben intendere la giustificazione causale dell'addebito impugnato è utile richiamare la pur nota distinzione tra conto scoperto e conto semplicemente passivo.
Va subito osservato che tal distinzione è sottintesa anche nel contratto per cui è causa all'art.6, lettera e) giusta il quale l'eventuale scoperto consentito oltre il limite dell'apertura di credito non comporta l'aumento di tale limite.
Dalla clausola si evince che la banca si riserva la facoltà di eseguire pagamenti per conto del correntista a titolo di anticipazione di spese per l'esecuzione del mandato con diritto al rimborso ex art.1720 c.c. giusta la disciplina generale di tale tipo di contratto, in cui il mandante è obbligato, ex art.1719 c.c., a somministrare all'altra parte i mezzi necessari per l'esecuzione degli incarichi affidatile. Tali mezzi, nella specie, sono rappresentati dalle somme che la banca si sia obbligata a tenere a disposizione del correntista in forza della linea di credito eventualmente accordatagli in aggiunta agli importi accreditati in conto corrente ex art.4 del contratto, importi, questi ultimi, dei quali il correntista acquista il diritto di disporre solo quando la banca abbia effettuato l'incasso dei relativi titoli. Le somme accreditate prima di tale incasso rappresentano la provvista del correntista beneficiario di apertura di credito o altra forma di finanziamento e determinano la passività del conto, destinata a dar luogo ad atti di ripristino della provvista, qualora il beneficiario sia autorizzato, come avviene di regola nell'apertura di credito, a ripristinare la sua disponibilità con versamenti successivi all'utilizzo di essa (art.1843 c.c.).
In tali operazioni la banca non assume un rischio particolare ove si consideri che il versamento da parte del correntista diretto a ripristinare la disponibilità trova la sua causa appunto in tal ripristino, senza potersi configurare come atto solutorio di un debito verso la banca, assoggettabile a revocatoria fallimentare nel caso di successiva insolvenza del correntista stesso.
Diversa è la situazione nel caso in cui la banca abbia evaso un incarico di pagamento a terzi per conto del correntista privo di tale affidamento per aver esaurito il credito o per carenza originaria della relativa apertura (non configurabile questa ai sensi dell'art.4 del contratto nella semplice circostanza dell'avergli la banca consentito di disporre dell'importo dei titoli salvo buon fine prima di averne effettuato l'incasso).
Nella situazione suddetta la banca attua il pagamento per conto del mandante "allo scoperto", sicché matura un credito al cui rimborso ha diritto (solo) nella qualità di mandatario ai sensi dell'art.1720 c.c,. seppur con facoltà di inserimento nel conto ex art.1826 c.c., senza poter invocare altra causa negoziale di fronte alla eventuale contestazione di conoscenza dello stato di difficoltà nel quale versava il mandante nel momento in cui la stessa ha ricevuto il pagamento a rimborso del credito così maturato. Si tratta pertanto di un servizio che, ancorché previsto nel contratto e disciplinato in relazione alle modalità di documentazione del relativo credito mediante inserimento nel conto corrente, è estraneo alla causa delle operazioni ordinariamente regolate in conto corrente.
La remunerazione non può ritenersi compresa fra le spese di tenuta del conto per la differenza che intercorre tra queste ed il servizio di anticipazione allo scoperto, il quale ultimo presuppone, per le ragioni esposte, un monitoraggio attuale circa la solvibilità del correntista ed ulteriore rispetto agli accertamenti compiuti dalla dipendenza della banca accreditante in sede di eventuale apertura di credito.
La commissione di massimo scoperto va inoltre distinta dagli interessi spettanti alla banca sulle passività del conto, trattandosi di remunerazione di un servizio estraneo alla tenuta del conto ed al connesso servizio di cassa, con la conseguente inapplicabilità dell'obbligo di pattuizione espressa per iscritto ai sensi dell'art.1284 c.c., applicabile in relazione all'epoca di stipula del contratto.
Segue che, in ordine alla misura della commissione, si configura operante la pattuizione per fatti concludenti derivante dalla mancata contestazione, per un lungo arco di tempo, degli estratti-conto esaminati dal C.T.U.ed inviati dalla banca prima della data d'entrata in vigore della nuova disciplina in materia di contratti bancari, approvata con il d.lgs. n°385 del 1993, che ha previsto il rispetto della forma scritta per tutte le pattuizioni relative ad oneri a carico del cliente (art.116).
Va conclusivamente ritenuta la spettanza in favore della banca delle commissioni di massimo scoperto nella misura determinata dall'ausiliare.
Quanto alla denunzia di applicazione di tassi usurari, occorre fare riferimento alla disciplina dettata dalla legge n.108 del 1996 con la quale è stato previsto che la convenzione di interessi usurari, determinando la nullità del contratto in parte qua, rende indebita la prestazione del mutuatario con riferimento all'intero importo degli interessi anziché limitatamente
all'eccedenza di essi rispetto alla soglia legale, eccedenza per la quale si riteneva in passato essere ammessa la ripetibilità.
La nuova disciplina è stata dichiarata irretroattiva con la norma d'interpretazione autentica di cui all'art.1 D.L. 394 del 2000 (1. 24/01).
Nel caso di contratto stipulato prima dell'entrata in vigore della legge antiusura, continua ad essere operante la convenzione relativa agli interessi a suo tempo validamente posta dalle parti.
Nella diversa ipotesi di mancata valida pattuizione e di conseguente variabilità del tasso via via applicato, la verifica circa il carattere usurario o meno degli accessori va operata fra dati omogenei nella collocazione temporale, ossia fra i tassi soglia annualmente pubblicati dal M.E.F.e quelli praticati dall'istituto di credito nello stesso periodo.
L'unità di misura viene determinata in base ad una rilevazione nazionale ordinata per tipologie contrattuali con inclusione per ciascuna di esse di tutti gli oneri posti a carico del cliente, escluse solo le spese per imposte e tasse ed il relativo carico viene aumentato della metà ai fini della determinazione della soglia usuraria ex art.21.108/90.
La mancata inclusione, giusta relazione peritale, delle spese per commissioni di massimo scoperto, in conformità con direttiva della Banca d'Italia, comporta la necessità di esclusione dal tasso specifico in esame della stessa voce.
Il tasso medio nazionale, dovendo essere confrontato con quello specifico per potersi determinare lo scostamento di questo dalla media, va assunto come dato di base indipendentemente dalla conformità o meno della rilevazione da cui deriva al disposto della norma in precedenza richiamata, la quale presuppone in ogni caso che i tassi posti a raffronto vengano determinati con gli stessi elementi, criteri e norme.
Nessuna contestazione investendo la legittimità di tale scomputo dal tasso medio nazionale delle commissioni di massimo scoperto, i risultati peritali vanno ritenuti pienamente condivisibili nell'esclusione del superamento del tasso soglia in periodi in cui il conto ha presentato, giusta gli estratti, una situazione di debito per il correntista. Segue che la domanda di rimborso di somme indebitamente trattenute per addebito di interessi usurari non può essere accolta.
Va da ultimo osservato che la contestazione riguardante l'illegittimità di antergazione e postergazione delle valute rispetto ai prelievi e versamenti sul conto corrente è stata genericamente sollevata senza alcuna indicazione delle singole operazioni per le quali si sarebbe verificato l'abuso, con la conseguenza che la classificazione delle operazioni tenuta presente dal C.T.U. resta incontestabile.
La banca ha contestato l'accredito al correntista di interessi calcolati in base al tasso sostitutivo di cui all'art.117 T.U.B. anziché a quello accordato o legale.
In ordine all'affermata applicabilità del tasso convenzionale, si osserva che la parte attrice ha dedotto la nullità dell'accordo di determinazione degli interessi passivi, per indeterminabilità oggettiva, ma ha anche chiesto l'accertamento, a mezzo del ricalcolo delle competenze, dell'esatto dare e avere tra le parti ai fini della restituzione delle somme indebitamente versate. In tale contestazione è compresa quella di illegittimità della determinazione degli interessi attivi, per i quali manca nel contratto la specificazione del tasso.
Segue che, stante l'inidoneità della mancata contestazione degli estratti conto a valere come sostitutivo dell'atto scritto indispensabile ai fini della determinazione anche del tasso d'interesse attivo, questo deve ritenersi fissato in applicazione delle regole suppletive applicabili ratione temporis durante il rapporto contrattuale.
Nel periodo del rapporto anteriore al 9 luglio 1992 è applicabile il disposto
dell'art.1284, secondo comma, c.c. per cui gli interessi convenzionali si calcolano al saggio legale non avendone le parti determinato la misura.
Per il periodo successivo in cui trova applicazione la disciplina introdotta con l'art.5 della legge n. 154 del 1992, poi trasfuso nell'art. 117 d.lgs. n. 385 del 1993, è operante l’etero -integrazione automatica del contratto prevista in tali norme.
Vanno quindi ritenuti corretti i conteggi peritali conformi a tal impostazione.
Con il secondo rilievo la banca è tornata ad eccepire la prescrizione estintiva degli interessi attivi maturati in costanza del rapporto.
Giova a tal proposito richiamare il principio affermato dalla giurisprudenza per cui il momento iniziale del termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme indebitamente trattenute dalla banca a titolo di interessi su un'apertura di credito in conto corrente coincide con la chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che da luogo ad una pluralità di atti esecutivi, sicché è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro (cfr. Cass. 9 aprile 1984, n. 2263). Segue che, prima della chiusura definitiva del conto, il diritto non può essere fatto valere, ciò che, a norma dell'art.2935 c.c., impedisce la decorrenza della prescrizione, sicché l'eccezione va disattesa.
La banca ha poi contestato il mancato rispetto da parte del C.T.U. del criterio legale d'imputazione dei pagamenti prima agli accessori e poi al capitale.
Neanche tal contestazione è condivisibile.
L'ausiliare ha infatti riclassificato le operazioni in relazione alla loro natura di versamenti o prelevamenti a seguito della compiuta ricostruzione dei movimenti contabili, che ha portato a rideterminare i saldi periodici. In tal modo si è verificata una nuova imputazione, nel rispetto dell'art.
1194 c.c,. con riferimento ai saldi il cui segno negativo per il correntista ha trovato conferma anche all'esito del ricalcalo degli interessi passivi in misura legale (o pari al rendimento dei B.O.T.) e senza capitalizzazione, restando ovviamente esclusa l'imputabilità dei versamenti in presenza di nuovi saldi attivi ad (ormai accertati come inesistenti) ulteriori debiti del correntista, a favore del quale sono state pertanto accreditate le somme residue dopo tali imputazioni, come giacenze produttive di interessi attivi.
Con altro rilievo la banca si è doluta della mancata considerazione nei conteggi peritali dei tassi d'interesse risultanti dalle distinte di sconto prodotte con la memoria istruttoria nonché di quello indicato nel contratto per operazioni su effetti in data 31.12.2000 pure prodotto in atti.
L'indicazione del tasso, contenuta nella sola distinta di sconto 1989 è inidonea ad integrare la prova scritta della pattuizione di interessi nella misura ivi indicata (15%) ai fini del conteggio delle competenze della banca nel conto corrente.
L'esame della ricostruzione dei movimenti di questo operata dal C.T.U., i cui risultati sono esposti nella tabella 7, pone in evidenza come l'operazione debba essere consistita nell'accredito del netto ricavo delle operazioni di incasso dei documenti commerciali ammessi allo sconto.
Segue che la movimentazione del conto, rilevata dall'ausiliare, è stata determinata già al netto della percentuale d'interesse pattuita per l'anticipazione. In mancanza di deduzione e prova della sussistenza di un accordo diretto a regolare nella stessa misura fissa, anziché in quella variabile secondo gli usi su piazza, i movimenti passivi del conto, questo rimane assoggettato all'indicata disciplina convenzionale nulla per difetto della determinazione scritta degli interessi, e pertanto sostituita da quella legale.
Nei contratti per operazioni di sconto su effetti non si rinvengono pattuizioni scritte relative a tassi d'interesse.
L'ultimo documento da esaminare, contenente invece l'indicazione di tassi, è quello di presentazione allo sconto di effetti diretti, ossia di cambiali emesse dal correntista stesso in favore della banca per il conseguimento di una particolare linea di credito. Si tratta infatti di n.12 effetti a scadenze mensili dal 31 gennaio al 31 dicembre 2001 di lire 1.000.000 ciascuno ed il cui importo complessivo risulta accreditato (lire 12.000.000) nella stessa data (21.12.2000) della citata distinta nel conto corrente (tabella 29 quartultima riga allegata alla relazione peritale). Dal coordinamento dei dati acquisiti si evince che l'accreditamento in conto corrente è avvenuto da parte della banca, operante non già nella veste di mandataria all'incasso per conto del correntista (nella distinta non risulta barrata la casella salvo buon fine - sbf - bensì quella sconto finanziario), ma nella veste di mutuante. E' allora evidente che l'indicazione del tasso nella distinta è meramente ripetitiva di quella apposta sulle cambiali finanziarie. Il rilascio di tali titoli sottintende un'operazione essenzialmente diversa da quelle oggetto di regolamento in conto corrente, destinate come sono le cambiali ad essere usate dalla banca come titoli esecutivi in caso di mancato rispetto del piano rateale del prestito, sicché l'unico momento di coincidenza dell'operazione con l'uso del conto è quello di accreditamento (operazione attiva) dell'importo mutuato, senza alcun ulteriore effetto sul regolamento
degli interessi, al cui pagamento il debitore restava obbligato in forza e nella misura derivante dal titolo del finanziamento (contratto di mutuo).
Va pertanto esclusa l'incidenza dell'operazione sulla determinazione del tasso debitore valevole per il conto corrente.
I criteri di calcolo adottati dall'ausiliare risultano poi pienamente intelligibili ed evincibili dalla parte espositiva dell'elaborato come del tutto conformi alle indicazioni fornite con i quesiti.
L'ultimo rilievo, attinente alla mancata capitalizzazione annuale degli interessi, si rivela anch'esso infondato in mancanza di deduzione e prova della rinegoziazione delle condizioni di capitalizzabilità su base paritetica in relazione a quanto previsto nella delibera CICR 9 febbraio 2000, entrata in vigore il 22 aprile 2000, in esecuzione della delega contenuta nell'art.25 d. Igs 4 agosto 1999, n 394. In ogni caso va rilevato che la ricostruzione dei movimenti contabili dal 22 aprile 2000 ha posto in evidenza un costante saldo attivo per il correntista, con la conseguenza del doversi escludere la necessità che lo stesso potesse far valere il mancato adeguamento della clausola di capitalizzazione in base alla normativa citata. In base ai risultati peritali va riconosciuta l'esistenza del saldo a credito del correntista di euro 43.006,65 al 31 gennaio 2002, data finale del calcolo indicata in citazione con riferimento
alla richiesta di rettifica del saldo (pag.2), a fronte della somma indicata dalla banca come debito del correntista alla stessa data (euro 9.050,81).
In mancanza di deduzione e prova del recesso di una delle parti e dell'intervento di altra causa di scioglimento del contratto, la domanda diretta al riconoscimento del diritto alla liquidazione del saldo rettificato e di condanna della banca al pagamento, non può essere accolta e la pronunzia va limitata all'accertamento della rettifica ed alla condanna della banca al
conseguente riaccredito a favore del correntista.
In mancanza di prova della violazione di obblighi contrattuali ulteriori rispetto a quello di adeguamento spontaneo alle prescrizioni di legge da parte della banca, neanche la domanda
di risarcimento dei danni può essere accolta.
Attesa la peculiarità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per la compensazione in ragione della metà delle spese processuali, che, liquidate come da dispositivo, seguono per la residua quota la soccombenza della banca. Le spese di c.t.u. , liquidate con separato decreto, vanno poste definitivamente a carico della convenuta.
P.Q.M.
Il Tribunale di Teramo, definitivamente pronunciando nella causa civile promossa con citazione notificata il 5 aprile 2002 da D'Andreamatteo Giuseppe conto la SPA BANCA POPOLARE dell'ADRIATICO, così decide nel contraddittorio delle parti:
a) accoglie le domande sub 1 e 2 delle conclusioni della citazione e, per l'effetto, dichiara lla nullità delle clausole del contratto di conto corrente bancario n. 3731.06, intercorso fra D'ANDREAMATTEO Giuseppe e la BANCA POPOLARE dell'ADRIATICO Spa in data 6 giugno 1990, circa la determinazione per relationem del saggio d'interesse ed alla capitalizzazione degli interessi;
b) accoglie parzialmente la domanda sub 5) della citazione, e per l'effetto, dichiara tenuta e condanna la convenuta a rettificare l'importo del saldo del c/c n. 3731.06 al 31 gennaio 2002, con annotazione a credito del correntista della somma di euro 43.006,65 in luogo di quella a debito dello stesso di euro 9.050,81;
c)
rigetta le domande sub 3), 4), 6), 7), 8) e 9) della citazione;
d) compensa per metà le spese di lite e condanna la BANCA POPOLARE dell'ADRIATICO Spa a rimborsare all'attore la parte non compensata delle spese stesse, che liquida, per l'intero in complessivi euro 8.093,50 di cui euro 7,50 per spese esenti, euro 350,00 per spese imponibili, euro 3.736,00 per diritti ed euro 4.000,00 per onorari, oltre rimborso spese generali, IVA e CAP come per legge;
e) pone definitivamente a carico della convenuta le spese di CTU liquidate con separato decreto.
Così deciso in Teramo il
7 gennaio 2006
Il Giudice
Dott. Giuseppe MARCHEGGIANI




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