Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


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Galatina / Lecce

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2013

TRIBUNALE DI LECCE
SEZIONE DISTACCATA DI GALATINA
Il Giudice

Nella causa civile iscritta al n. 495/08 R.G. promossa da
M. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. Antonio Tanza ed elettivamente domiciliato nello studio di questi in Galatina al Corso Porta Luce n. 20

Contro

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., rappresentato e difeso dall'Avv. Paolo Federico FEDELE ed elettivamente domiciliato nello studio di questi in Lecce alla Via Imbriani n. 30
Visto il ricorso ex art. 700 cpc - in corso di causa - depositato in data 17 dicembre 2012 dalla M. srl, ritenuto:

In fatto

Il giudizio n. 495 R.G. del 2008 è stato introdotto dalla M. Srl al fine di ottenere il ricalcolo dell'esatto dare-avere relativo ad un rapporto di apercredito utilizzata con scoperto su un c/c principale, con secondari confluenti, intrattenuto dall'attrice con la banca.
Nel corso del giudizio è stata espletata (depositata il 10 novembre 2010) CTU econometrica che ha evidenziato, alla data del 1° marzo 2008, un saldo "ricalcolato" di euro 38.383,46 (senza capitalizzazione: cfr. SU 24418/10), nettamente inferiore a quello riportato nell'e/c bancario e pari ad euro 147.386,23.
Il CTU, chiamato a chiarimenti, in data 13 febbraio 2012 depositava un ulteriore schema il quale evidenziava, anche tenuto conto del quesito formulato dal CTP della banca, che il presunto credito bancario ammontava ad euro 49.510,72; mentre applicando un ulteriore criterio suggerito da parte attrice il credito veniva ridotto ad euro 32.742,66.
Con ricorso ex art. 700 cpc depositato, in data 17 dicembre 2012, in corso di causa, la M. Srl deduceva che, nel corso del giudizio ordinario, la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., a fronte di un "accordato" di euro 240.000 abbia segnalato un "rischio di revoca" ma "utilizzato" per euro 474.418, così come risulta dalla documentazione prodotta a sostegno del ricorso.

In diritto

La presentazione del ricorso in corso di causa determina una situazione di non sussidiarietà nella gestione della fattispecie con differenti possibili strumenti processuali, poiché diversamente decidendo si appesantirebbe oltremodo la parte attrice con un aggravamento dell'onere della prova sia sull'esistenza del fumus boni juris che del periculum in mora, essendo evidente che un ricorso ex novo (promosso anche con diverso procedimento) non godrebbe appieno (in termini temporali, ma anche di cognizione) delle difese e del materiale raccolto nel procedimento ordinario naturale del giudizio in cui viene promosso (specialmente se dura da vari anni).

Sul fumus boni juris

L'esigenza di celerità propria della cognizione cautelare può essere praticamente assicurata sia sulle cadenze ordinatorie del processo, autorizzando p. es. termini di comparizione brevissimi nonché l'omissione di ogni formalità non essenziale al contraddittorio (si veda l'art. 669 sexies cpc); dall'altro si deve legittimare il giudice a decidere anche sulla base di materiale probatorio incompleto, qualora il tempo necessario per il completamento dell'istruttoria si appalesi troppo lungo in relazione alle concrete esigenze di velocità di tutela. Il fumus boni iuris o "parvenza di buon diritto è la prima condizione che in limine litis il giudice è chiamato ad accertare, sulla base, di una cognizione strutturalmente semplificata rispetto al giudizio di merito, per poter così concedere alla parte istante un provvedimento d'urgenza. Le difese espletate dalle parti e la conferma di alcuni pacifici principi anche nella recente giurisprudenza (cfr. SU n. 24418/2010), nonché gli esiti della CTU sulla base dei quesiti proposti, muniscono il ricorso sia della sussistenza della situazione giuridica soggettiva posta a fondamento della domanda cautelare, che del giudizio di probabilità e di verosimiglianza della bontà delle domande della ricorrente: i risultati della CTU alla stregua dei quesiti proposti evidenziano, quanto meno, una forte discrasia relativa al dato numerico risultante dal saldo bancario, rispetto a quello ricalcolato.

Sul periculum in mora

L'esistenza di un certo comportamento illecito (ad es. capitalizzazione composta ed altre competenze illegittime) della convenuta è stato dimostrato essere ancora in corso ed è produttivo di un pregiudizio imminente e irreparabile, potenzialmente in continuo aumento, per parte ricorrente, determinando una situazione di non sussidiarietà della gestione della presente fattispecie con differenti strumenti. E' quindi provata, anche quantitativamente a mezzo di CTU, l'attualità del pericolo per la ricorrente di essere esposta a subire danni, sempre maggiori, sino alla definizione del giudizio di merito. L'irreparabilità del pregiudizio che giustifica l'accoglimento del ricorso ex art. 700 c.p.c., va intesa non solo nel senso di irreversibilità del danno alla situazione soggettiva di cui si invoca la cautela ma anche come insuscettibilità di tutela piena ed effettiva della situazione medesima all'esito del giudizio di merito: trattasi, in altri termini, di fattispecie che ricorre ove l'istante abbia a disposizione strumenti risarcitori per la riparazione del pregiudizio sofferto ma gli stessi non appaiano in grado di assicurare una tutela satisfattoria completa, con conseguente determinarsi di uno "scarto intollerabile" tra danno subito e danno risarcito (cfr. Tribunale di Catanzaro, sezione seconda, ordinanza del 10.2.2012 - Dott. LANIA), come accade per i danni derivanti da errata segnalazione alla centrale dei rischi, dove il risarcimento avviene pressoché equitativamente, senza riuscire a cogliere la fatalità degli stessi.
Una perdurante errata e considerevole segnalazione di "sconfinamento", in quanto idonea a provocare un abbassamento del rating del segnalato con un ingiustificato innalzamento dei tassi e competenze, comporta la "saturazione delle possibilità di credito" limitando apprezzabilmente le ulteriori possibilità di ricorrere al credito ed è idonea a provocare la risoluzione dei rapporti di credito in essere.
Sussistono, altresì i presupposti per provvedere inaudita altera parte ex art. 669 sexies cpc potendo, in ipotesi, la previa convocazione della parte resistente pregiudicare l'attuazione del provvedimento stante i tempi brevissimi relativi alla comunicazione della Banca alla centrale dei rischi relativa al mese di novembre, nonchè la successiva del mese di dicembre 2012.

P.Q.M.

Visto l'art. 700 c.p.c.

Ordina

alla BANCA MONTE dei PASCHI di SIENA S.p.A.:
1
. di rettificare immediatamente, con la notifica del presente atto, la segnalazione effettuata e le successive da effettuarsi alla Centrale Rischi presso la Banca d'Italia, segnalando una somma debitoria (voce "utilizzato"), non superiore a € 49.510,72 (dato evidenziato in CTU, seppur nell'ipotesi più sfavorevole alla ricorrente), compresa nei limiti voce "accordato operativo" (pari ad € 240.000,00);
2. di redigere, sulla scorta dei quesiti e metodologie indicate in CTU, con esclusione delle modalità relative a capitalizzazioni in favore della banca, i nuovi saldi ricalcolati del c/c, depositandoli nella prossima udienza di comparizione;

fissa

per la comparizione delle parti avanti a se per la revoca, modifica o conferma del decreto ai sensi dell'art. 669 sexies cpc l'udienza del 03 gennaio 2013, nei 15 giorni dall'emissione del presente procedimento, assegnando alla ricorrente termine fino a giorni 8 dall'emissione del presente rimedio, per la notifica alla controparte del ricorso e del presente provvedimento, riservando ogni ulteriore pronuncia (anche relativamente alle spese della presente fase) all'esito della fissata udienza.
Si comunichi, Galatina, 20 dicembre 2012
Il Giudice
Alessandro MAGGIORE


All'udienza del 3 gennaio 2012 la banca si costituiva ed il Tribunale si riservava nuovamente, adottando il seguente provvedimento:

TRIBUNALE DI LECCE
SEZIONE DISTACCATA DI GALATINA
Il Giudice

Nella causa civile iscritta al n. 495/08 R.G. promossa da
M. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. Antonio Tanza ed elettivamente domiciliato nello studio di questi in Galatina al Corso Porta Luce n. 20

Contro

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., rappresentato e difeso dall'Avv. Paolo Federico Fedele ed elettivamente domiciliato nello studio di questi in Lecce alla Via Imbriani n. 30
Con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato in data 17 dicembre 2012, la M. s.r.l., chiedeva a questa Autorità Giudicante, verificata la sussistenza degli estremi di cui all'art. 700 c.p.c., con decreto ed inaudita altera parte, o altro provvedimento, di voler ordinare alla BANCA MONTE dei PASCHI di SIENA S.p.A.:
1) di rettificare immediatamente il saldo derivante dal c/c bancario n. 631003.80 (già n. 5.72 ed ancor prima 9013.56) e collegati sulla base della CTU in atti;
2) operando l'immediata rettifica della segnalazione effettuata alla Centrale Rischi presso la Banca d'Italia e le future da effettuarsi, con l'evidenza di un utilizzo pari ad euro 32.742,66 (unico dato allo stato attendibile), non attuando illegittime variazioni dello status dell'azienda, ciò al fine di evitare il pacifico e certo ingiusto danno al patrimonio della M. Srl nelle more della conclusione dell'azione di merito, diretta ad accertare l'esatto dare-avere tra le parti in causa.
Con decreto emesso in data 20 dicembre 2012 questo Giudice ravvisando, alla luce di una sommaria valutazione dei fatti e degli elementi di diritto, l'esistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora, nonché la sussistenza dei presupposti per provvedere inaudita altera parte ex art. 669 sexies c.p.c., attesi i tempi brevissimi relativi alla comunicazione della Banca alla centrale dei rischi relativa al mese di novembre, nonché la successiva del mese di dicembre 2012, disponeva: - a carico della banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a. l'immediata rettifica, con la notifica del detto decreto, della segnalazione effettuata e le successive da effettuarsi alla Centrale dei Rischi presso la Banca d'Italia, segnalando una somma debitoria (voce "utilizzo"), non superiore a Euro 49.510,72 (dato evidenziato in CTU, seppur nell'ipotesi più sfavore alla ricorrente), compresa nei limiti voce "accordato operativo" (pari ad Euro 240.000,00); - di redigere, sulla scorta dei quesiti e metodologie indicate in CTU, con esclusione delle modalità relative a capitalizzazioni in favore della banca, i nuovi saldi ricalcolati del c/c, depositandoli nella prossima udienza di comparizione.
Fissava, altresì, la comparizione delle parti avanti a sé per la revoca, modifica o conferma del decreto ai sensi dell'art. 669 sexies c.p.c. all'udienza del 3 gennaio 2013, assegnando alla ricorrente termine perentorio fino a 8 giorni dall'emissione del decreto, per la notifica al resistente del detto decreto e del ricorso cautelare, riservando ogni ulteriore pronuncia (anche relativamente alle spese della presente fase) all'esito della fissata udienza.
All'udienza citata compariva in giudizio il ricorrente che depositava l'originale della copia autentica del ricorso cautelare con pedissequo provvedimento, regolarmente notificato, nonché computo dei saldi ricalcolati al 31 dicembre 2012.
Compariva, altresì, parte resistente la quale depositava memoria avverso ricorso ex art. 700 c.p.c. in corso di causa con la quale contestava sotto vari profili la pretesa della ricorrente e chiedeva la declaratoria della inammissibilità ed improcedibilità del ricorso, o il suo rigetto per carenza dei requisiti di legge in quanto, in particolare: 1) in via preliminare ed assorbente, nel presente giudizio parte ricorrente non ha promosso alcuna azione risarcitoria in danno della Banca in relazione a quella che ritiene una illegittima segnalazione alla Centrale rischi; 2) nel merito, per mancata prova della sussistenza del periculum in mora e del fumus boni iuris; comunque, per mancanza del periculum in mora. Concludeva pertanto per la revoca del provvedimento emesso il 20.12.2012 inaudita altera parte; la dichiarazione dell'avverso ricorso inammissibile, irricevibile ovvero improcedibile con condanna di controparte ex art. 96 c.p.c., nonché al pagamento delle spese della presente fase cautelare. Parte resistente con la detta memoria, coglieva, altresì l'occasione per domandare a questo Giudice l'emissione di ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. per l'importo di Euro 49.510,72 per come quantificato dalla c.t.u. per dott. B., oltre interessi e rivalutazione monetaria decorrenti dal 16.12.2008 data del deposito della comparsa di costituzione con domanda riconvenzionale della banca nel presente giudizio.
A riguardo, parte resistente deduceva che ricorrono tutti gli elementi della detta norma essendosi chiusa l'istruttoria ed essendo stata fissata per il 12.02.2013 l'udienza per la precisazione delle conclusioni.
Parte ricorrente insisteva per la conferma del provvedimento de quo e per il rigetto dell'avversa istanza di ordinanza ex art. 186 quater c.p.c.
All'esito dell'udienza questo Giudice assumeva la causa in riserva.
Tanto premesso, si osserva quanto segue:
- Preliminarmente deve essere rigettata l'eccezione d'inammissibilità, irricevibilità ed improcedibilità della tutela del ricorso per non aver parte ricorrente promosso nel presente giudizio alcuna azione risarcitoria in danno della Banca in relazione a quella che ritiene una illegittima segnalazione alla Centrale rischi. In verità, nel caso in esame è di tutta evidenza che la necessità cautelare non è mai stata legata ad un'azione risarcitoria, bensì alla corretta comunicazione alla Centrale dei Rischi presso la Banca d'Italia dell'esatto dare-avere. Il giudizio n. 495 R.G. del 2008 è stato introdotto dalla M. Srl al fine di ottenere il ricalcolo dell'esatto dare-avere relativo ad un rapporto di apercredito utilizzata con scoperto su un c/c principale, con secondari confluenti, intrattenuto dall'attrice con la banca e detto ricalcolo costituisce elemento fondamentale per la comunicazione alla Centrale dei Rischi presso la Banca d'Italia del saldo.
Detta comunicazione, inoltre, è dovuta per legge in quanto si tratta di un servizio gestito dalla Banca d'Italia e disciplinato dalla delibera del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR) del 29 marzo 1994 e dalle circolari emanate dalla Banca d'Italia fra le quali vi è la circolare n, 139 dell'11 febbraio 2004 ( cfr. D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 51 e art. 53, comma 1, lett. b), art. 67, comma 1, lett. b), artt. 106 e 107 - come integrati: a) dalla Delib. Comitato interministeriale del credito e del risparmio (CICR) 29 marzo 1994; b) dalla Circolare Banca d'Italia n. dell'11 febbraio 1991 in tema di istruzioni per gli intermediari creditizi nel testo risultante dall'8^ aggiornamento del 14 novembre 2001 e dal provvedimento della Banca d'Italia del 5 agosto 1995 denominato "Obbligo di partecipazione degli intermediari finanziari al servizio di centralizzazione dei rischi gestito dalla Banca d'Italia ed infine dalle "Modifiche alla Circolare 139/91. Centrale dei rischi. Istruzioni per gli intermediari Creditizi" della stessa Banca d'Italia del novembre 2009). Il punto 6.5 del foglio informativo così dispone: "Se ci sono errori nelle segnalazioni trasmesse, gli intermediari devono inviare subito le relative rettifiche. La C.R. acquisisce le rettifiche e le comunica immediatamente a tutti gli intermediari che avevano ricevuto l'informazione errata". In sostanza, dunque, nel caso in esame la CTU è servita a delineare l'oggetto della domanda, ovvero l'esatto saldo e, dunque, anche il dato che la banca avrebbe dovuto comunicare alla C.R.-
- Del pari devono essere rigettate le eccezioni di merito sollevate da parte resistente volte a sostenere la revoca del provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. in corso di causa per non aver parte ricorrente provato la sussistenza dei presupposti del periculum in mora e del fumus boni iuris e comunque per insussistenza degli stessi. Infatti, il risultato della CTU che si discosta fortemente dal saldo dell'e/c bancario, già di per sé, prova il fumus boni iuris, quanto al periculum in mora è oramai acquisito nella giurisprudenza di merito ma anche in quella di legittimità (Cassazione civile sez. I, 24 maggio 2010, n. 12626 Banca Carime c/ I.MAR.FA. SRL) che l'errata segnalazione alla C.R. provoca un danno "in re ipsa" e la misura cautelare serve proprio ad evitare/limitare quel danno.
Segue l'accoglimento del ricorso e la conferma del predetto provvedimento.
La pronuncia delle spese deve essere rimessa al giudizio di merito trattandosi di provvedimento di accoglimento di misura cautelare.
- Quanto all'istanza di emissione di ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. per l'importo di Euro 49.510,72 per come quantificato dalla c.t.u. per dott. Bellantone, oltre interessi e rivalutazione monetaria decorrenti dal 16.12.2008, la stessa non può trovare accoglimento non ricorrendone i presupposti, anche perché il saldo indicato dalla difesa della banca non è l'unico risultato rilevato dal CTU, anzi è quello più favorevole alla banca. Inoltre non risulta depositato agli atti il computo richiesto nel provvedimento cautelare.

P.Q.M.

Visti gli artt. 700 c.p.c. e 186-quater c.p.c.
Ogni diversa istanza disattesa
1) accoglie il ricorso proposto da M. s.r.l. nei confronti della banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a. e per l'effetto, a conferma del provvedimento emesso inaudita altera parte in data 20 dicembre 2012, condanna il resistente all'immediata rettifica della segnalazione effettuata e le successive da effettuarsi alla Centrale dei Rischi presso la Banca d'Italia, segnalando una somma debitoria (voce "utilizzo"), non superiore a Euro 49.510,72 (dato evidenziato in CTU, seppur nell'ipotesi più sfavore alla ricorrente), compresa nei limiti voce "accordato operativo" (pari ad Euro 240.000,00);
2) dichiara chiusa la fase d'urgenza;
3) Spese all'esito del giudizio di merito
Si comunichi
Così deciso in Galatina, l'8 gennaio 2013

Il Giudice
Alessandro MAGGIORE

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale civile di Lecce - Seconda Sezione civile - nella persona del giudice, dott. Paolo Moroni, ha pronunciato all'esito dell'udienza dell'8 giugno 2012 la seguente

SENTENZA n. 328 del 25 gennaio 2013

nel procedimento civile iscritto al n. 2470 del ruolo generale dell'anno 1998 avente ad oggetto: ripetizione di indebito;
promosso da
O. Dr. C. R. sas di R. R. & C., già O. Dr. C. R. srl, in persona del legale rappresentante pro-tempore, nonché R. R. e R. A., assis.ti e difesi dall'avv. Antonio Tanza, giusta procura a margine dell'atto di citazione;

-attore

contro

Banca Carime spa, in persona del legale rappresentante pro-tempore, assis.ta e difesa dall'avv. Giorgio Costantino, giusta procura a margine dell'originale della comparsa di costituzione;

-convenuta

nonché contro

IntesaBCl Gestione Crediti spa, quale successore a titolo particolare di Banca Carime spa, in persona del legale rappr.te pro-tempore, assis.ta e difesa dall'avv. Giorgio Costantino, giusta procura in calce all'originale della comparsa di intervento depositata il 27.5.2002;

-interveniente volontario


In primis vanno rigettate tutte le eccezioni preliminari di parte convenuta: quanto a quella di incompetenza, non avendo le parti agli artt. 20 dei rispettivi contratti pattuito la deroga con carattere di esclusività, come richiesto dall'art. 29, 2° co., cod. proc. civ.
In merito alla disponibilità manifestata dal legale rappresentante della società attrice con missiva del 23.1.1995 ad estinguere, sia pure parzialmente, il debito risultante all'epoca sul conto corrente alla stessa società intestato, non potendo in alcun modo rivestire tale dichiarazione i caratteri di una confessione stragiudiziale, avendo già in quella lettera, anzi, la parte interessata contestato le condizioni pattuite e quelle applicate relative al conto, tanto che lo stesso scritto risultava essere di accompagnamento al versamento a saldo di un importo minore da quello risultante dalle risultanze contabili del rapporto.
Peraltro, la Corte di Cassazione ha precisato che "La ricognizione di debito titolata, che comporta la presunzione fino a prova contraria del rapporto fondamentale, si differenzia dalla confessione, che ha per oggetto l'ammissione di fatti sfavorevoli al dichiarante e favorevoli all'altra parte. Ne consegue che la promessa di pagamento, ancorché titolata, non ha natura confessoria, sicché il prominente può dimostrare l'inesistenza della causa e la nullità della promessa..." [Cass. Sez. 5.7.2004 n. 12285].
Nella parte motivazionale della richiamata pronuncia la stessa Corte ha avuto modo di precisare che la ricognizione di debito ha per oggetto rapporti giuridici, oppure opinioni o valutazioni e comporta la presunzione fino a prova contraria del rapporto fondamentale, mentre la confessione riguarda fatti sfavorevoli al dichiarante e favorevoli all'altra parte. Ne consegue che la promessa di pagamento, anche quando sia titolata, perché contenente l'indicazione della "causa debendi", non assume per questo natura confessoria, "sicché, anche in tale ipotesi vige la regola - stabilita dall'ultima parte dell'art. 1988 c. c. - secondo cui il promittente può dimostrare l'inesistenza della causa e, perciò, la nullità della promessa; mentre le particolari limitazioni di prova poste dall'art. 2732 c.c. (impossibilità di revocare la confessione non determinata da errore di fatto o da violenza) per la confessione, potranno trovare applicazione quando, nel contesto dello stesso documento, accanto alla volontà diretta alla promessa, coesista la dichiarazione di fatti storici dai quali scaturisce il rapporto fondamentale" [cfr. sent. cit. in motivazione, ma anche Cass. Sez. III, 15.5.2009 n. 11332].
Ciò premesso, nella lettera in questione la società attrice non aveva fatto altro che mostrare la sua disponibilità a ripianare la passività di conto senza alcun riferimento al rapporto giuridico fondamentale, mancando, dunque, in quelle dichiarazioni gli estremi della confessione tanto dal punto di vista oggettivo che con riguardo all'animus, non potendo comunque la predette dichiarazioni incidere sulla qualificazione giuridica del fatto o del rapporto ovvero sull'invalidità totale o parziale dello stesso, come nel caso di specie, avendo parte attrice fatto valere la nullità di clausole contrattuali da cui è scaturito il debito poi dalla stessa riconosciuto.
[…]
Ciò premesso, quanto alla determinazione del tasso di interesse, deve osservarsi come "In tema di contratti bancari, la clausola, stipulata anteriormente all'entrata in vigore della legge sulla trasparenza bancaria 17 febbraio 1992, n. 154, la quale, per la pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale, si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, è in ogni caso divenuta inoperante a partire dal 9 luglio 1992 - data di acquisto dell'efficacia delle disposizioni della citata legge qui rilevanti, ai sensi dell'art. 11 della medesima -, atteso che la previsione imperativa posta dall'art. 4 della legge (poi trasfuso nell'art. 117 del testo unico 1 settembre 1993, n. 385), là dove sancisce la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse, se non incide, in base ai principi regolanti la successione delle leggi nel tempo, sulla validità delle clausole contrattuali inserite in contratti già conclusi, impedisce tuttavia che esse possano produrre per l'avvenire ulteriori effetti nei rapporti ancora in corso. Ad un tal riguardo, per rapporti in corso devono intendersi i rapporti, anteriormente costituiti, non ancora esauriti, alla data di inizio dell'operatività della norma sopravvenuta, per non avere il debitore, indipendentemente dalla pregressa "chiusura" del conto corrente bancario, adempiuto alla propria obbligazione, atteso che la già riferita innovazione impinge sulle stesse caratteristiche del sinallagma contrattuale, generatore di conseguenze obbligatorie protraentisi nel tempo" [Cass. Sez. I, 18.9.2003 n. 13739].
E' così evidente che gli interessi da applicarsi al caso di specie siano quelli legali, con riferimento a quelli previsti dal codice civile fino all'entrata in vigore dell'art. 117 del T.U. in materia bancaria, che deve invece trovare applicazione per il periodo successivo.

Con riferimento all'anatocismo, risulta ormai pacifico il principio di diritto secondo il quale "la clausola di un contratto bancario che preveda la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente deve reputarsi nulla in quanto basata su un uso negoziale (ex art. 1340 c.c.) e non su un uso normativo (ex artt. 1 e 8 delle preleggi al c.c.) come esige l'art. 1283 c.c., laddove prevede che l'anatocismo non possa ammettersi (salve le ipotesi della domanda giudiziale e della convenzione successiva alla scadenza degli interessi) in mancanza di usi contrari".
L'inserimento della clausola nel contratto, in conformità alle cosiddette norme bancarie uniformi predisposte dall'ABI, non esclude la suddetta nullità, poiché a tali norme deve riconoscersi soltanto il carattere di usi negoziali, non quello di usi normativi (Cass. sent. 12507 dell'11.11.99).
Tale orientamento, dopo talune oscillazioni ed un intervento legislativo volto a garantire la perdurante validità di tali previsioni pattizie convenute nel passato (introduzione di un nuovo 3° comma all'art. 120 T.U.B.), novella cassata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 425/2000, ha trovato definitivo suffragio con la pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte n. 21095 del 7 ottobre-4 novembre 2004, con la quale è stata definitivamente esclusa la possibilità di formazione di un uso negoziale che possa derogare al divieto di anatocismo.
L'esclusione dell'uso normativo comporta la declaratoria di nullità della clausola, in quanto questa, imponendo una capitalizzazione trimestrale anteriore alla scadenza degli interessi, si pone in contrasto con la norma inderogabile dell'art. 1283 c.c.

Una volta ritenuta la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi, reputa questo giudice di dover aderire - condividendosene appieno le argomentazioni - a quell'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale non è possibile sostituire l'anatocismo trimestrale con quello annuale, posto che, come correttamente osservato, "la contrarietà a norma imperativa di cui all'art. 1283 c.c. involge l'intero contenuto della clausola (e non solo quindi la parte di essa relativa alla periodicità della capitalizzazione); è la pattuizione in contratto dell'anatocismo ad essere nulla, onde secondo i principi generali trattasi di contratto nullo ab origine privo di qualsiasi pattuizione di capitalizzazione, trimestrale come annuale come di diversa periodicità. Non vi è possibilità di sostituzione legale o di inserzione automatica di clausole prevedenti capitalizzazioni di diversa periodicità, in quanto l'anatocismo è consentito dal sistema soltanto in presenza di determinate condizioni, in mancanza delle quali esso rimane giuridicamente non pattuito tra le parti" (Trib. Pescara 3.6.2005, giudice dr. Falco; Trib. Mantova 21.1.2005, giudice dr. Bernardi).
Tale orientamento ha, peraltro, trovato di recente l'avallo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali hanno ritenuto che la previsione della capitalizzazione annuale per gli interessi creditori non può essere estesa agli interessi debitori, una volta accertata la nullità di quella - convenuta dalle parti per questi ultimi - di capitalizzazione trimestrale; tanto alla luce dei criteri di ermeneutica contrattuale e, in particolare, di quello di interpretazione sistematica delle clausole; non emerge da alcun elemento, infatti, che le parti - quando hanno convenuto la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi (nel caso di specie, nell'art. 7 c. 2 di entrambi i contratti) - abbiano anche previsto la sua sostituzione con la capitalizzazione annuale (di cui all'art. 7, quanto agli interessi a credito), nell'ipotesi di nullità della stessa; pertanto, "dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall'art. 1283 cod. civ. (il quale osterebbe anche ad un'eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale), gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare alcuna capitalizzazione" [cfr. sent. 2.12.2010 n. 24418].

[…]
Priva di pregio appare l'eccezione dell'Istituto di credito secondo cui la domanda di parte attrice non potrebbe trovare accoglimento perché nessuna contestazione era mai stata mossa avverso gli estratti conto trasmessi.
È, infatti, pacifico in giurisprudenza che l'incontestabilità delle risultanze del conto ex art. 1832 c.c. si riferisce agli accrediti ed agli addebiti considerati nella loro realtà effettuale e non riguarda, invece, i debiti fondati su un negozio nullo, annullabile o inefficace [tra le tante, Cass., 26.07.200.1, n. 10186; C. Appello Catania, sez. I, 19.05.2008, n. 671].
Nel caso di specie, le clausole di pattuizione degli interessi anatocistici mediante rinvio ad usi piazza sono nulle, per quanto sopra detto, e perciò possono essere contestate anche al di là dei limiti di tempo di cui all'art. 1832 c.c.

[…]


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