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Pagina 2008 BARI/Melfi

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2008

VII


TRIBUNALE DI BARI
SEZIONE I CIVILE
SENTENZA N: 859 del 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NIME DEL POPOLO ITALIANO


Il Giudice del Tribunale di Bari - in composizione monocratica - Dott. Saverio U. de Simone, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al N. 2798/99 R.G.A.C. vertente

T R A

XXX Giulio Vannio e XXX Luisa, rappresentati e difesi con mandato a margine dell'atto di citazione dagli Avv.ti Antonio TANZA e Flavio LORUSSO

- ATTORI –

E

CARIPUGLIA S.p.A., BANCA CARINE S.p.A. ed INTESA GESTIONE CREDITI S.p.A., nella qualità di procuratore di BANCA INTESA S.p.A., rappresentate e difese dall'Avv. Giorgio COSTANTINO

- CONVENUTE -

OGGETTO: Azione per la declaratoria di nullità delle clausole di un contratto di c/c e di accertamento del rapporto di dare-avere tra le parti.
CONCLUSIONI: all'udienza del 12/12/2007 la causa passava in decisione ex art. 190 c. p. c. sulle conclusioni rassegnate contestualmente dai procuratori delle parti, che si riportavano ai rispettivi scritti difensivi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 3/6/99 XXX Giulio Vannio e XXX Luisa, in qualità il primo di titolare di un rapporto di c/c e la seconda di fideiussione, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari la CARIPUGLIA-BANCA CARIME .S.p.A. e la CARIPLO S.p.A., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore, per ivi sentir dichiarare, previa sospensione del giudizio ex art. 177 del Trattato CEE, l'incompatibilità delle norme ABI con le disposizioni degli artt. 85 ed 86 del Trattato istitutivo della CEE, la nullità del contratto di c/c e di apertura di credito in essere con la banca relativamente alle clausole con le quali erano stati pattuiti interessi ultra legali e la capitalizzazione degli interessi sugli interessi in violazione degli artt. 1284 e 1283 C. C., l'invalidità di ogni altra obbligazione connessa all'impugnato rapporto bancario (csm, giorni valuta e spese varie non concordate), determinare il corretto rapporto di dare ed avere tra le parti, il costo effettivo annuo del rapporto bancario condannare la CARIPUGLIA alla restituzione delle somme indebitamente addebitate al correntista ed al risarcimento dei danni provocati dalla segnalazione dei loro nominativi alla centrale rischi della Banca d'Italia.
Gli attori deducevano che il XXX intratteneva con la CARIPUGLIA-BANCA CARIME un rapporto di apertura di credito con affidamento mediante scopertura sul c/c n. 2578 garantito dalla fideiussione prestata da sua moglie XXX Luisa che, aperto nel maggio 1988, era tuttora in corso.
Deducevano che la banca pretendeva di vantare un credito di £. 56.552.197 al 31/3/99 e che, nonostante i loro tentativi di comporre la vertenza, essi erano stati "soffocati" dalle richieste di "rientrare a breve" e/o di fornire ulteriori garanzie.
Il 20/1/99, infine, la CARIPLO aveva comunicato loro che il rapporto in questione le era stato ceduto dalla CARIPUGLIA.
Si costituiva in giudizio la BANCA CARIME S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, ed eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva per non aver mai intrattenuto alcun rapporto con gli attori: legittimata passiva era solo la CARIPUGLIA la quale, a sua volta, aveva poi ceduto il credito alla CARIPLO.
Si costituiva altresì in giudizio INTESA GESTIONE CREDITI S.p.A., nella sua qualità di procuratrice di CARIPLO S.p.A., poi fusa in BANCA INTESA S.p.A., impugnando e contestando il contenuto dell'atto di citazione, del quale chiedeva l'integrale rigetto.
La banca sottolineava che con lettera del 17/9/98 gli attori avevano sottoscritto un piano di rientro riconoscendo il debito riveniente dal contratto di c/c, del quale avevano specificato i termini e le modalità di pagamento.
Nel merito sosteneva che la clausola "uso piazza" era perfettamente valida ed efficace, al pari della capitalizzazione trimestrale degli interessi, che rispondeva ad un valido uso normativo; parimenti dovute erano le cms, intese come corrispettivo dell'obbligo assunto dalla banca di tenere determinate somme a disposizione del cliente.
In corso di causa gli attori chiedevano con ricorso ex art. 700 c.p.c. di ordinare alla banca di ritirare o revocare la segnalazione alla centrale rischi della Banca d'Italia.
Dichiarato inammissibile il ricorso, veniva disposta una C.T.U., poi integrata con la formulazione di ulteriori quesiti; la causa veniva infine assegnata a sentenza all'udienza indicata in epigrafe sulle conclusioni contestualmente precisate dai procuratori delle parti.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Le ragioni poste a base della domanda sono fondate, seppur solo parzialmente, sicché la stessa va accolta per quanto di ragione con le conseguenze di legge in tema di spese processuali.
1.- Preliminarmente va rimarcato che gli attori non hanno riproposto in sede di precisazione delle conclusioni (e quindi nemmeno nella memoria conclusionale) la questione della sospensione della causa per sottoporre alla Corte di Giustizia la decisione sull'interpretazione degli artt. 85 e 86 del Trattato CEE e della normativa antitrust, che deve ritenersi abbandonata (cfr. Cassaz. Civ., Sez. III, 11/3/98 n. 2673).
2.- Nel caso di specie, quindi, oggetto del giudizio è l'accertamento negativo del credito preteso dalla banca previa declaratoria di nullità di alcune clausole contrattuali e la determinazione dell'esatto importo del quale gli attori chiedono la restituzione.
3.- Pregiudizialmente ed in rito va dichiarato il difetto di legittimazione passiva di BANCA CARIME S.p.A.
Dalla documentazione versata in atti emerge che gli attori, ed in particolare il XXX, intrattenne un rapporto di apertura di credito con appoggio dello scoperto su c/c con la CARIPUGLIA S.p.A., cui è subentrata poi la CARIPLO S.p.A. cessionaria del credito ex art. 58 del D. Leg.vo n. 385/93.
Peraltro, successivamente alla stipula dell'atto di cessione, la CARIPUGLIA S.p.A. è stata incorporata per fusione in BANCA INTESA S.p.A.: ne consegue la totale estraneità al presente giudizio di BANCA CARINE, soggetto diverso da quello cui il rapporto de
quo agitur fa capo.
4.- In punto di diritto gli attori hanno dedotto che il preteso riconoscimento di debito contenuto nella lettera del 17/9/98, prodotta dalla banca per chiedere il rigetto della domanda, non preclude loro la possibilità di dedurre la nullità od invalidità del rapporto giuridico sottostante, costituente l'oggetto di quella ricognizione.
La tesi è condivisibile.
E' risaputo che la ricognizione di debito ex art. 1988 C. C. ha natura giuridica di promessa unilaterale e che non costituisce fonte generale di obbligazione, ma produce effetti obbligatori solo nei casi previsti dalla legge.
Trattasi di un negozio unilaterale recettizio, avente ad oggetto una dichiarazione di volontà con cui una parte si obbliga ad una determinata prestazione, al quale si applicano, in quanto compatibili, le norme che disciplinano la materia contrattuale (anche in materia di vizi della volontà).
Quella prodotta dalla banca è una dichiarazione-ricognizione titolata, nella quale viene richiamato appunto il titolo, e cioè la ragione del debito riconosciuto: nella lettera suddetta, infatti, il correntista e la fideiubente riconoscono di essere debitori della banca della complessiva somma di £. 81.108.578 in relazione al c/c n. 2578, oltre interessi ed accessori dall'1/7/98 al tasso del 7,875%.
Tale negozio unilaterale, però, "...non costituisce autonoma fonte di obbligazione ma ha soltanto effetto confermativo di un precedente rapporto fondamentale, venendo ad operarsi in forza dell'art. 1988 -- nella cui previsione rientrano anche le dichiarazioni titolate un'astrazione meramente processuale della causa debendi...dalla cui esistenza e validità non può prescindersi sotto il profilo sostanziale; con il conseguente venir meno di ogni effetto vincolante della promessa ove rimanga giudizialmente provato che il rapporto fondamentale non è mai sorto, o è invalido o si è estinto" (cfr. Cassaz. Civ., 8/5/84 n. 2800).La ricognizione di debito, dunque, lascia impregiudicata la questione dell'efficacia sostanziale della dichiarazione, atteso che la norma presenta una valenza esclusivamente processuale: il beneficiario della dichiarazione é esonerato dall'onere di provare il rapporto fondamentale, e quindi di dare la dimostrazione dei fatti che giustificano il credito oggetto della ricognizione.
Sotto, il profilo sostanziale, invece, la ricognizione non può far sorgere un'obbligazione inesistente: se nulla era dovuto, il dichiarante potrà sempre legittimamente contestare la propria qualità di debitore, con onere a suo carico di dimostrare che il credito ex adverso preteso è in tutto o in parte insussistente o deriva da causa illecita.
Tale conclusione è confermata da un autorevole insegnamento della S. C., compendiatile nella seguente massima: "L'effetto giuridico che la norma di cui all'art. 1988 c. c. ricollega alla promessa unilaterale di pagamento, sia essa pura o titolata, è conseguenza dell'astrazione processuale della causa debendi, con la conseguenza che il promissario, agendo in giudizio per l'adempimento dell'obbligazione, ha soltanto l'onere di provare la promessa unilaterale di pagamento e non anche l'esistenza del rapporto giuridico che sta a fondamento della promessa stessa e di cui l'obbligazione, assunta nel contenuto della dichiarazione negoziale unilaterale, è elemento strutturale; è stabilita, cioè, a favore del promissario una
relevatio ab onere probandi, restando invece totalmente a carico del promittente l'onere di provare l'inesistenza, l'invalidità o l'estinzione del rapporto fondamentale, sia questo menzionato o meno nella promessa unilaterale di pagamento" (cfr. Cassaz. Civ., 10/3/81 n. 1351 e, più di recente, Cassaz. Civ., Sez. I, 9/2/2001 n. 1831).
Ne consegue che il dichiarante può sempre dimostrare l'invalidità totale o parziale del rapporto fondamentale: il che è proprio quello che gli attori hanno chiesto di fare, deducendo l'illegittimità della clausola contrattuale che prevede l'applicazione d'interessi ultralegali mediante il richiamo ai tassi normalmente praticati "su piazza" nonché di quella che consente all'istituto la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori.
4.1.- Né può ritenersi che la ricognizione di debito titolata contenuta nella citata lettera costituisca una vera e propria "confessione stragiudiziale", con l'ulteriore conseguenza che essa non solo sarebbe efficace sotto il profilo sostanziale, ma sarebbe altresì revocabile solo per errore di fatto o violenza (arg. ex art. 2732 C. C.); ciò perché la confessione ha il contenuto di una dichiarazione non di volontà ma solo di scienza, che ha per oggetto fatti obiettivi e non rapporti giuridici e che, quindi, è qualificabile non come negozio giuridico ma in termini di mero atto giuridico, quantunque ad esso venga riconosciuto l'effetto di prova legale (cfr. Cassaz. Civ., 18/2/77 n. 735).
5.- Dal contratto di c/c emerge pacificamente che la BANCA ha proceduto ad applicare gli interessi debitori in ossequio alla nota clausola (v. art. 7 co 3° del contratto di c/c in atti) che richiama "...le condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza..."; tale richiamo, però, non è idoneo a provare la pattuizione di un tasso debitore ultralegale che, come è risaputo, deve risultare espressamente per iscritto ex art. 1284 co 3° C. C.
Tale rilievo basterebbe da solo a far dichiarare la nullità dei relativi contratti in forza del combinato disposto degli artt. 1325 e 1418 C. C., essendo indeterminabile un suo elemento essenziale (l'oggetto) ex art. 1346 C. C., se non soccorresse la disposizione dell' art. 1419 co 2° C. C. in tema di sostituzione delle clausole nulle con quelle legali: "La convenzione relativa alla pattuizione degli interessi in misura superiore a quella legale, in difetto della forma scritta richiesta ad substantiam, è colpita da nullità solo per la parte relativa alla differenza tra il tasso legale e quello convenuto, con riferimento alla quale l'ordinamento interviene non per espungerla dal regolamento pattizio senza riconnettervi alcun effetto, bensì per sostituirla con la disciplina legale" (cfr. Cassaz. Civ., Sez. II, 14/1/97 n. 280).
5.1.- Né può sostenersi che il tasso debitore sia stato accettato dal correntista e non potrebbe più essere contestato per non avere egli impugnato gli estratti conto nei termini di legge: la mancata tempestiva contestazione delle singole partite di debito non impedisce certo al cliente di contestare in radice la validità e l'efficacia del rapporto giuridico sostanziale con la BANCA che è fonte di quelle annotazioni (cfr. Cassaz. Civ., Sez. I, 11/3/96 n 1978 e Cassaz. Civ., Sez. II, 14/1/97 n. 280, già innanzi citata).
5.2.- In ordine al minimum richiesto per l'identificazione dell'oggetto del contratto, l'indirizzo giurisprudenziale consolidatosi prima dell'entrata in vigore della legge sulla trasparenza bancaria (cfr., in proposito, Cassaz. Civ., 3/2/94 n. 1110; Cassaz. Civ., 7/3/92 n. 2745 ed altre) riconosceva efficacia alla clausola c. d. "uso piazza" sul rilievo che le relative condizioni vengono determinate su scala nazionale, sicché il rinvio al tasso usuale vale comunque ad ancorarlo a criteri oggettivi, di agevole riscontro e non influenzabili
ad libitum dal singolo istituto di credito.
L'orientamento citato, che legittimava una prassi bancaria che rendeva di fatto incontrollabile da parte del cliente il tasso debitore di volta in volta applicato, è di recente mutato anche a seguito delle sollecitazioni dei Giudici di merito (cfr. Trib. Milano, 24/2/92, Trib. Pavia, 1/10/93, Trib. Napoli, 25/3/94), i quali avevano ripetutamente dichiarato la radicale nullità di quella clausola sia per la violazione dell'obbligo imposto dall'art. 1284 C. C. di pattuire per iscritto gli interessi in misura ultralegale sia per 1a sua assoluta genericità, che non consentiva di determinare l'oggetto della prestazione in violazione dell'art. 1346 C. C.
Tale portato giurisprudenziale, tradottosi sul piano normativo nell'espressa previsione della nullità di siffatte clausole, introdotta dall'art. 4 L. n. 154/92 e dall'art. 117 co 6° D. Leg.vo n. 385/93, ha indotto la S. C. a mutare orientamento ed a statuire che il generico riferimento alle "condizioni di piazza" non soddisfa di per sé il requisito dell'oggettiva determinabilità del tasso di interesse, il quale, sia pure per relationem, deve essere fissato fin dal momento della stipulazione del contratto in base ad elementi certi ed oggettivi che escludano ogni successiva valutazione discrezionale della banca (cfr. Cassaz. Civ., 13/3/96 n. 2103; Cassaz. Civ. 29/11/96 n. 10657; Cassaz. Civ., 10/11/97 n. 11042; Cassaz. Civ., 8/5/98 n. 4696, Trib. Trani, 11/7/98 e, più di recente, Cassaz. Civ., Sez. I, 28/3/2002 n. 4490 ed altre successive quali Cassaz. Civ., 2/10/03 n. 14684 e nello stesso senso, Cassaz. Civ., 20/8/03 n. 12222).
Nel caso di specie la banca non ha neppure esibito le delibere A. B. I. ovvero gli accordi di cartello cui far riferimento, omettendo così di provare la conformità del tasso debitore applicato alle condizioni di piazza, sicché deve concludersi che il tasso applicato sia espressione di proprie scelte discrezionali, incontrollabili e non preventivamente concordate nelle forme di legge, in insanabile contrasto con le norme codicistiche più volte innanzi richiamate.
5.3.- Gli interessi passivi, addebitati sulla scorta di una clausola contrattuale nulla, devono quindi ritenersi conteggiati illegittimamente,e non possono trasformarsi in crediti incontestabili ex art. 1832 C. C. (come già innanzi rilevato) per il semplice fatto di non essere stati impugnati per tempo: l'inoppugnabilità, infatti, attiene unicamente al profilo contabile degli addebiti ma non impedisce di contestare la validità od efficacia delle singole annotazioni.
Ciò perché, in difetto di una pattuizione del tasso nelle forme legali, il negozio è radicalmente nullo in parte qua e quindi il rapporto obbligatorio sottostante, dal quale le singole partite derivano, é consequenzialmente inefficace ed improduttivo di effetti giuridici: come la S. C. ha avuto modo di affermare a più riprese, anche di recente, "Nel contratto di conto corrente, 1'incontestabilità delle risultanze del conto conseguente all'approvazione tacita dell'estratto conto, a norma dell'art. 1832 c.c., si riferisce agli accrediti ed agli addebiti considerati nella loro realtà effettuale, ma non impedisce la contestazione della validità e dell'efficacia dei rapporti obbligatori da
cui essi derivino, nè l'approvazione o la mancata impugnazione del conto comportano che il debito fondato su di un negozio nullo, annullabile, inefficace (o, comunque, su situazione illecita) resti definitivamente incontestabile" (cfr., da Cassaz. Civ., Sez. 1, 26/07/2001, n. 10186).
6.- L'esposizione debitoria del correntista é stata calcolata dalla banca anche in violazione della norma che sancisce il divieto degli interessi anatocistici.
E' ormai nota la giurisprudenza della S. C. affermatasi nel corso degli ultimi anni - che questo Giudice condivide in
toto e che qui deve intendersi pedissequamente richiamata - che ha definitivamente sancito l'illegittimità di tale pratica perché costituente espressione non di un uso normativo ex art. 1283 C. C. - fondato sulla costanza della pratica (c. d. usus) e sulla convinzione della sua cogenza (c.d. opinio iuris ac necessitatis) - bensì negoziale, ed ha quindi dichiarato la nullità della previsione, contenuta nei contratti di c/c bancario, avente ad oggetto la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente (cfr. Cassaz. Civ., Sez. III, 30/3/99 n. 3096; Sez. I, 16/3/99 n. 2374, Cassaz. Civ., Sez. I, 28/3/2002 n. 4490 già innanzi richiamata e, da ultimo, Cassaz. Civ. SS. UU. 4/11/2004 n. 21095).
7.- Va dunque dichiarata la nullità parziale del contratto di c/c con la consequenziale necessità di ricalcolare l'esposizione debitoria del correntista e, quindi, anche il debito della fideiubente.
In ossequio alla giurisprudenza della S. C. in tema di sostituzione delle clausole nulle con quelle legali già innanzi richiamata, che questo Giudice condivide appieno, il C.T.U. ha effettuato il calcolo della posizione debitoria del correntista scaturente dal contratto di c/c, in ossequio ai quesiti formulatigli.
Tenendo conto del capitale, del tempo e del tasso legale vigente, escludendo dal calcolo la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, effettuando la capitalizzazione annuale tanto degli interessi attivi che passivi ex artt. 820 e 1284 co 2° e 2948 n. 4 C. C. trattandosi, questa si, di pratica conforme ad un uso normativo (v. Trib. Bari 28/6/2006 n. 1803 e numerose altre pronunciate da questo stesso Giudice), il C. T. U. - il cui operato, immune da vizi logici e di metodo, è pienamente condivisibile - é pervenuto a determinare correttamente l'ammontare del rapporto di dare ed avere tra le parti, riconoscendo un credito in favore dell'attore-correntista di £.128.564.119 alla data del 16/6/99 (v. pag 32 della relazione), pari ad € 66.444,31, oltre interessi legali dal 16/6/99 al soddisfo.
7.1.- Non può invece essere applicato, quale tasso sostitutivo rispetto al saggio illegittimo c. d. "uso piazza", quello previsto dall'art. 117 co 7° del D. Leg.vo n.385/93: trattasi,infatti, di norma priva di effetti
retroattivi, come stabilisce espressamente l'art. 161 co 6°s.l.,secondo cui "
i contratti già conclusi ed i procedimenti esecutivi in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo restano regolati dalle norme anteriori" (cfr., a conforto della tesi qui seguita dell'irretroattività del c.d. tasso sostitutivo, Cassaz. Civ., Sez. III,. 18/4/2001 n. 5675).
7.2.- Neppure può essere applicato il c. d.
top rate il quale, a differenza del prime rate - che è determinabile in quanto viene stabilivo a livello centrale e viene poi comunicato agli istituti di credito -, dipende invece dai rapporti della banca con la sua migliore clientela ed è quindi indeterminabile.
8.- Il C.T.U. ha correttamente espunto dal calcolo le commissioni di massimo scoperto.
Premesso che il giudice può sempre rilevare
ex officio la nullità ex art. 1421 C. C. della commissione di massimo scoperto perché "Nella controversia promossa per far valere diritti che presuppongono la validità del contratto o di una clausola di esso, la nullità dell'uno o dell'altra è rilevabile d'ufficio se sono acquisiti al processo elementi idonei a porla in evidenza, in considerazione del potere - dovere del giudice di verificare la sussistenza delle condizioni dell'azione" (cfr. Cassaz. Civ., Sez. III, 6/8/2002, n. 11772), sta di fatto che nel corso del rapporto la banca convenuta ha addebitato al correntista tali commissioni benché esse non fossero state in alcun modo pattuite in contratto.
Il C.T.U. ha sottolineato che il contratto di c/c non esplicitava alcuna indicazione in ordine alla misura delle c.s.m.: deve concludersi, pertanto, che tali partite di debito siano state illegittimamente applicate non solo perché non concordate e frutto di una decisione unilaterale della banca ma anche perché sostanzialmente prive di causa, atteso che gli oneri relativi alla gestione del conto, in difetto di diversi accordi tra le parti, trovano la loro naturale remunerazione. nella previsione degli interessi passivi sicché l'addebito di oneri ulteriori si traduce, nella sostanza, in un inaccettabile aggravio degli interessi corrispettivi.
9.- Dichiarata, quindi, la nullità delle clausole uso piazza e di capitalizzazione trimestrale degli interessi e dichiarate non dovute le cms(...)
Tuttavia la banca è tenuta a revocare immediatamente la segnalazione, dato l'esito del presente giudizio.
11.- Le spese seguono la soccombenza nel rapporto tra gli attori e la INTESA GESTIONE CREDITI S.p.A. mentre possono essere compensate per ragioni di equità sostanziale quelle del rapporto con BANCA CARIME, dichiarata estranea al presente giudizio.

La sentenza è provvisoriamente esecutiva per legge ex art. 282 c. p. c.

PQM

il Giudice del Tribunale di Bari, Sez. I, in composizione minicratica, definitivamente pronunciando nel contraddittorio fra i procuratori delle parti, sulla domanda proposta con atto di citazione notificato il 3 giugno 1999 da M. G. V. e M. L. nei confronti della Caripuglia Spa, della Banca CARIME Spa e della CARIPLO Spa, cui è subentrata in corso di causa Intesa Gestione Crediti Spa nella sua qualità di procuratrice di CARIPLO Spa, poi fusa in Banca Intesa Spa, così provvede:
1) dichiara il difetto di legittimazione passiva di Banca Carime Spa;
2) dichiara la nullità parziale del contratto di c/c intercorso tra la Banca convenuta ed il correntista;
3) accoglie la domanda per quanto di ragione e per l'effetto condanna Intesa Gestione Crediti a pagare in favore di M. G. V. la somma di € 66.444,31 oltre interessi legali dal 16 giugno 1999 al soddisfo;
4) ordina ad INTESA GESTIONE CREDITI di revocare la Segnalazione dei nominativi degli attori alla Banca d'Italia;
5) condanna Intesa Gestione Crediti Spa al pagamento delle spese e competenze del giudizio, che liquida in complessivi euro 7.300,00, di cui euro 3.500,00 per diritti, euro 3.800,00 per onorari, oltre IVA e CAP come per legge e del rimborso forfettario delle spese generali, oltre le spese del CTU;
6) compensa le spese nel rapporto processuale tra gli attori e la Banca Carime Spa;
7) dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva per legge.
Bari, li 18 marzo 2008
IL GIUDICE
SAVERIO U. DE SIMONE

Depositato nella Cancelleria del 3 aprile 2008


VIII
REPUBBLICA ITALIANANOME DEL POPOLO ITALIANODI MELFI

Il Tribunale Civile di Melfi, in persona del Giudice Unico dr. Roberto Scillitani, ha pronunciato la seguente

SENTENZA


Nella causa civile in prima istanza iscritta al n. 1006/2001 Rg. Ac., assunta in decisione alla udienza del 21.12.2007, con la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., avente per oggetto: restituzione somme;

TRA

R. M., rappresentato e difeso dagli Avv. Tanza Antonio e Nolé Vito ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, come da procura a margine della citazione, attore;

CONTRO


Banco di Napoli s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli Avv. Palmarini Enzo (giusta procura ad lites del 16.11.2000 per notar Mazzocca di Napoli - rep. 48950) e Spirito Giuseppe, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'Avv. Di Chio, come da procura a margine della comparsa di risposta, convenuto;


Conclusioni
(come da svolgimento del processo)
Svolgimento del processo

Con citazione notificata in data 11.12.2001 R. M. conveniva davanti a questo Tribunale il Banco di Napoli s.p.a. e, dopo aver premesso di aver intrattenuto con tale istituto di credito dal 7.12.1984 un rapporto di c/c bancario mediante affidamento con facoltà di scopertura (n. 27/1078), il cui ultimo saldo contabile aveva esposto un presunto passivo, deduceva la nullità parziale di tale contratto per illegittima determinazione degli interessi determinati mediante rinvio ai ed. accordi interbancari e al cd. uso piazza, per illegittima pattuizione ed applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi ed oneri passivi, per inammissibile addebito della provvigione di massimo scoperto (mai pattuita), per indeterminatezza ed indeterminabilità della valuta; sollecitando quindi l’accertamento del Tasso effettivo globale del rapporto inter partes, chiedeva dichiararsi la illegittimità degli interessi ultralegali addebitati dalla convenuta in forza delle predette clausole e verificarsi l’esatto rapporto di dare-avere tra le parti mediante determinazione degli interessi al saggio legale, con eliminazione delle commissioni di massimo scoperto e degli interessi computati sulla differenza in giorni tra la data di effettuazione delle singole operazioni e la data della rispettiva valuta; chiedeva altresì accertarsi il superamento delle predette poste passive del cd. tasso soglia di cui alla L. 108/1996, con condanna del Banco di Napoli alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate, oltre risarcimento del danno e spese del giudizio.
Il Banco di Napoli s.p.a., costituitosi, eccepiva preliminarmente la nullità della citazione per genericità del relativo contenuto nonché la prescrizione di ogni pretesa di restituzione dell’attore; nel merito contestava ogni avversa doglianza e concludeva per l’accoglimento delle suddette eccezioni preliminari e per il rigetto nel merito della domanda; in via subordinata e riconvenzionale, chiedeva rideterminarsi il saldo debitore mediante il calcolo degli interessi al tasso convenzionale con capitalizzazione trimestrale nel rispetto delle variazioni di cui alla L. 107/1996, e condannarsi l’attore al pagamento del relativo saldo contabile, con vittoria di spese.
le conclusioni.scadenza dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., quindi, la causa era trattenuta in decisione.

Motivi della Decisione

Va preliminarmente rigettata l’eccezione di nullità della citazione, contenendo questa una sufficiente specificazione delle doglianze dell'attore, rispetto alle quali -del resto- parte convenuta non ha avuto alcuna difficoltà ad interloquire.
Analogamente infondata è l’eccezione del convenuto di prescrizione di ogni pretesa di restituzione avanzata dall’attore, sicuramente decennale ex art. 2946 c.c., trattandosi di ripetizione di indebito.
Circa la decorrenza del termine decennale di prescrizione, poi, il Supremo Collegio ha contribuito a chiarire (cfr. Cass. 10127/2005) che nella ipotesi di reclamo da parte del correntista delle somme indebitamente trattenute dalla banca per interessi calcolati in misura ultralegale senza valida pattuizione
il dies a quo non può iniziare dalla data in cui ciascun pagamento è stato effettuato, in virtù del legame intercorrente fra una pluralità di atti esecutivi in virtù dell’unicità del rapporto giuridico derivante da un contratto unitario (conf., C. 2004/5720, C. 1998/3783, C. 1984/2262, C. 1956/2488).
Essendo allora il rapporto di conto corrente tra le parti ancora in essere alla data del 30.9.2001, tale eccezione deve essere rigettata.
Nel merito, la domanda principale è fondata.
Invero, nel contratto di conto corrente del 7.12.1984 era stato previsto, attraverso l’art. 57, che “i rapporti di dare ed avere vengono chiusi contabilmente in via normale a fine dicembre di ogni portando in conto (…), con valuta data di regolamento; i conti che risultino anche saltuariamente debitori vengono invece chiusi contabilmente, in via normale, trimestralmente, e cioè a fine marzo, giugno, settembre e dicembre (...). Gli interessi dovuti dal correntista al banco, salvo patto diverso, si intendono determinati alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza e producono a loro volta interessi nella stessa misura”.
Tale clausola del contratto di conto corrente in esame è affetta da nullità sia nella parte in cui prevede la determinazione degli interessi con riferimento al cd. uso piazza, sia in quella relativa alla capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente.
Circa il primo di tali profili, va anzitutto rilevato che sul piano normativo le clausole di determinazione
per relationem del tasso di interessi sono state dichiarate nulle dall’art.4 della L.154/92, prima, e dall’art.117, comma 6°, D. Lgs 385/1993, cioè da disposizioni normative entrate in vigore successivamente all’apertura del rapporto di conto corrente oggetto del contendere.
Sul punto, pur affermando la non diretta applicabilità delle nuove norme sulla trasparenza bancaria ai rapporti sorti anteriormente alla loro entrata in vigore, tuttavia la Suprema Corte ha finito per modificare il proprio risalente indirizzo, stabilendo che
il generico riferimento alle condizioni di piazza non soddisfa di per se stesso il requisito di oggettiva determinabilità del tasso d'interesse, il quale. sia pure per relationem, deve essere determinato sin dal momento della stipulazione del contratto in. base ad elementi certi ed oggettivi che escludano ogni .successiva valutazione discrezionale della banca (cfr., Cass.l3 marzo 1996, n. 2103, in Foro. it. , 1997, Z, 1939; Cass. 29 novembre 1996, n. 10657; Cass. 10 novembre 1997, n. 11042; Cass. 8 maggio 1998, n. 4696; Cass. 23 giugno 1998, n. 6247).
Più precisamente, in tema di contratti bancari stipulati nel regime anteriore alla entrata in vigore della disciplina dettata dalla legge 17 febbraio 1992, n. 154, sulla a quella legale, si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, è priva del carattere della sufficiente univocità, per difetto di univoca determinabilità dell'ammontare del tasso sulla base del documento contrattuale.
e non può quindi giustificare la pretesa della banca al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale quando faccia riferimento a parametri locali. mutevoli e non riscontrabili con criteri di certezza (e non anche quando rimandi ad una disciplina stabilita su scala nazionale in termini chiari e vincolanti, sempre che questa non sia a sua volta nulla in quanto integrante accordi di cartello, vietati dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287; Cass. civ., Sez. I, 25/02/2005, n. 4094).
Effettivamente la piazza (intesa come zona localmente delimitata, in cui ha sede lo sportello bancario presso il quale è acceso il rapporto di conto corrente) non esprime condizioni usuali in qualche modo uniformi per tutti gli operatori bancari ivi presenti. A riprova di ciò è sufficiente considerare, come hanno evidenziato i giudici di legittimità (v., Cass.29 novembre 1996, n.10657), che ormai da diverso tempo non esistono più accordi bancari intesi nel senso di vincolanti discipline convenzionali con cui venivano fissati su scala nazionale i tassi attivi e passivi (il cosiddetto cartello bancario); essi sono stati sostituiti da un sistema di raccomandazioni e di rilevazioni da parte dell’ABI inidonee, in quanto tali; a realizzare quella uniformità di comportamenti che permetteva di considerare gli accordi come fonte di individuazione delle condizioni usualmente praticate:
Di talché può verificarsi, e generalmente si verifica, che non solo fra un istituto di credito e l’altro, ma anche nell'ambito operativo della stessa azienda bancaria, i tassi praticati non abbiano un andamento uniforme: in sostanza, i tassi e le condizioni applicati al rapporto vengono unilateralmente imposti ed altrettanto soprattutto in forza di decisioni unilaterali prese dalla banca stessa, sulla base della propria autonoma valutazione dell’andamento del mercato, dei propri margini di profitto, della valutazione della solvibilità del cliente, della convenienza del rapporto commerciale con lui di altre variabili. Ne deriva che il correntista - durante l’esecuzione del contratto - non è posto nelle condizioni di conoscere se ed in base a quali elementi la banca abbia inteso applicare (o variare) una determinata misura degli interessi e delle altre condizioni economiche del rapporto.
Ora, nel caso di specie, la banca convenuta non ha fornito alcuna indicazione circa la conformità del tasso di interesse concretamente applicato al rapporto di c/c alle “condizioni di piazza”, né ha provato che i tassi applicati erano stati già predeterminati al momento della stipulazione del contratto, in base a criteri oggettivi che tenessero conto, ad es., della qualificazione del cliente in relazione alla sua affidabilità ed al tipo di operazioni da eseguire, in presenza di tale carenza probatoria, non può escludersi che i tassi applicati al rapporto siano stati determinati dalla banca sulla scorta di sue valutazioni discrezionali, in contrasto con le disposizioni degli artt.1284 e 1346 c.c..
Né può assumere rilievo ostativo a tale conclusione il tasso degli interessi a debito per il correntista specificato in contratto nella misura del 21%, essendo questo solo il tasso iniziale del rapporto alla data di apertura del conto corrente.
Ne consegue che nel rapporto in esame gli interessi devono essere computati al tasso legale, in virtù di quanto previsto dall'art. 1284, ult. co., c.c..
E' innegabile, poi, che la banca abbia capitalizzato gli interessi a debito ogni tre mesi, come peraltro può evincersi dagli estratti conto prodotti dall'attore.
Questa opinione, pure condivisa dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le ultime, Cass. 17 aprile 1997, n.3296; Cass. 18 dicembre 1998, n.12675), è stata sottoposta ad una puntuale ed (a parere del Tribunale) inconfutabile revisione critica dalle sezioni unite della Suprema Corte, avendo questa precisato che la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi configurano violazione del divieto di anatocismo di cui all'art. 1283 c.c,, non rivenedosi l’esistenza di usi normativi che soli potrebbero derogare al divieto imposto dalla suddetta norma, neppure nei periodi anteriori al mutamento giurisprudenziale in proposito avvenuto nel 1999, non essendo idonea la contraria interpretazione giurisprudenziale seguita fino ad allora a conferire normatività a una prassi negoziale che si è dimostrata poi essere contra legem (cfr., Cass. civ., Sez. Unite, 04/11/2004, n.21095).
E ciò conformemente alle precedenti pronunce (cfr., Cass. 16 marzo 1999, n. 2374; Casa. 30 marzo 1999, n. 3096; Cass. 11 novembre 1999, n. 12507 e n. 12508) con cui i giudici di legittimità avevano già affermato la natura negoziale e non normativa dell’uso bancario della capitalizzazione trimestrale degli interessi a carico del debitore, con la conseguente nullità assoluta ed inderogabile della relativa clausola, se anteriore alla scadenza degli interessi, perché in contrasto con la norma imperativa dell’art. 1283 c.c..
Sulla ritenuta illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi nessuna influenza possono ormai spiegare le recenti modifiche al T.U. sulla legge bancaria n. 385/93, introdotte dal D.Lgs. 4.8.1999, n. 342, dovendosi escludere l’applicabilità della nuova disciplina sulle modalità di calcolo degli interessi ai rapporti bancari sorti anteriormente all'entrata in vigore del suddetto decreto delegato, per effetto della dichiarazione d’incostituzionalità dell’art. 25, comma 3, pronunciata dalla Corte.
Questo Tribunale ritiene di condividere tale nuovo orientamento del Giudice di legittimità, avendone fatto applicazione in precedenti analoghe controversie. Ora, nella specie, è indiscutibile che il saldo del rapporto di conto corrente inter partes è il risultato dell’applicazione dell’anatocismo, realizzato in violazione dell’art. 1283 c.c., vale a dire secondo un meccanismo di calcolo illegittimo, desumendosi ciò implicitamente dalle difese dello stesso Banco di Napoli, che non ha contestato tale operazione deducendone piuttosto ripetutamente la legittimità. Né appare rilevante la mancata contestazione da parte dell’attore degli estratti conto nei termini di legge, perché tale ipotetica approvazione non preclude la possibilità di negare in radice la validità e la efficacia del rapporto giuridico sostanziale che è fonte delle annotazioni (cfr., Cass. 25 luglio 2001, n. 10129; Cass. 14 maggio 1998, n. 4846; Cass. 11 marzo 1996, n. 1978; Cass. 24 luglio 1986, n. 4735; Cass. 14 febbraio 1984, n. 1112).
Non essendo inoltre stata pattuita in contratto né la capitalizzazione annuale degli interessi passivi né la commissione di massimo scoperto (C.M.S.), anche tali poste passive vanno espunte dal calcolo dell’esatto rapporto di dare-avere tra le parti. Alla luce di tali argomentazioni, dunque, la CTU integrativa espletata dal dr. Di Ciommo Antonio ha contribuito ad accertare la sussistenza di saldo attivo per l’attore, pari ad E 44.515,49, alla data del 30.9.2001.
Tale risultato non ha formato oggetto di contestazioni, neppure da parte del Banco di Napoli, avendo questo solo invocato l’applicazione della capitalizzazione quanto meno annuale degli interessi e la C.M.S..
Ne deriva che la predetta conclusione del CTU può senz’altro essere fatta propria da questo giudicante, in quanto immune da vizi logici o da contraddizioni, con la conseguenza che il Banco di Napoli deve essere condannato a restituire il favore dell’attore il predetto importo, oltre -trattandosi di debito di valuta- gli interessi legali dalla data della domanda fino al soddisfacimento.
(…)
In considerazione, infine, dell'esito complessivo del giudizio, si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti ¼ delle spese processuali, con conseguente condanna del convenuto alla rifusione della residua quota (anche relativa a tutte le spese di CTU), come liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Civile di Melfi, in persona del Giudice Unico dr. Roberto Scillitani, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con citazione notificata in data 11.12.2001 R. M. nei confronti del Banco di Napoli s.p.a.
Dichiara la nullità parziale del contratto di conto corrente inter partes, limitatamente a quanto previsto nella relativa clausola 57;
Accoglie la domanda di restituzione e, per l'effetto, condanna il Banco di Napoli al pagamento in favore dell'attore della complessiva somma di e 44.515,49, oltre interessi legali dalla data della domanda fino al soddisfacimento;
Rigetta la domanda di risarcimento danni avanzata dall’attore;
Rigetta la domanda subordinata riconvenzionale avanzata dal convenuto;
compensa tra le parti ¼ delle spese processuali e condanna il convenuto alla rifusione dei residui ¾ in favore dell'attore, liquidati per tale quota in complessivi Euro 3.182.00 ( di cui Euro 120,00 per esborsi, Euro 1.442,00 per diritti ed il residuo per onorari), oltre spese generali ed accessori di legge;
pone definitivamente a carico di parte convenuta i ¾ di tutte le spese di CTU.

Così deciso in Melfi, il 7.4.2008 Il Giudice Unico
dott ROBERTO SICILLITANI



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