Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


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Sentenza Lecce 2007

Cirio

N. 824/07 SENT.
N. 1742 CRON.
N. 1719 REP.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Civile di Lecce - Seconda Sezione Civile

Composto dai Magistrati:
dott. Francesco Giardino Presidente
dott.ssa Grazia Errede Giudice Rel.
Dott. Paolo Moroni Giudice
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta nel registro generale affari contenziosi sotto il numero d’ordine 381 dell’anno 2005, assunta in decisione all’udienza collegiale del 19.3.2007, vertente

TRA

Calabrese Giuseppina, rappresentata e difesa dall’Avv. Antonio Tanza, mandato in atti;

Attrice

CONTRO

BANCA Monte dei Paschi di Siena, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Stefano San Martino, mandato in atti;

Convenuta

E

C.O.N.S.O-B. COMMISSIONE NAZIONALE PER LE SOCIETA’ E LA BORSA, in persona del Presidente e legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avv. Giovanni De Santis;

Convenuta

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 27.10.2004 Calabrese Giuseppina - premesso di aver acquistato in data 18.3.2002 tramite la Banca convenuta della quale era cliente, obbligazioni Cirio, denominate nell’ordine di acquisto “Cirio Del Monte 7,75%” senza indicazione alcuna del codice ISIN (che è il codice degli strumenti finanziari), per un controvalore di € 130.000,00 - esponeva che il direttore della filiale sig. Giuseppe Barletta ed il funzionario Piero Bambù avevano asserito trattarsi di obbligazioni emesse dalla omonima società italiana operante nel settore agroalimentare, notoriamente solida; che, in realtà, già nella primavera del 2000, il Gruppo Cirio era entrato in un’irreversibile fase di crisi patrimoniale, senza che di ciò l’esponente fosse messa al corrente, con la conseguente perdita dell’intero capitale investito, nonché di € 10.118,99 a titolo di lucro cessante che avrebbe guadagnato se avesse acquistato per il medesimo periodo di tempo titoli di stato, al tasso del 3%, oltre al danno esistenziale da quantificarsi secondo il prudente apprezzamento del giudice; in particolare deduceva che la banca intermediaria era incorsa in gravi inadempimenti comportanti responsabilità civile professionale e, soprattutto, aveva omesso di fornirle adeguate informazioni sul rischio connaturato all’acquisto di quel titolo, del quale non le aveva consegnato il prospetto informativo dell’emissione, né fatto conoscere il relativo rating; che, infine, la banca convenuta neppure le aveva fornito alcuna informazione sul progressivo peggioramento delle condizioni economiche dell’emittente, il cui tracollo finanziario veniva dalla deducente appreso soltanto dagli organi di informazione.
Censurava inoltre l’omesso espletamento dell’attività di vigilanza da parte della CONSOB, volta ad impedire che l’intermediario finanziario agisca in situazione di conflitto d’interessi con il risparmiatore, nonché a garantire la stabilità dei mercati e la trasparenza delle operazioni finanziarie.
Dedotta, pertanto, la responsabilità di entrambi i convenuti, adiva il Tribunale perché venisse accertata e conseguentemente dichiarata la nullità del contratto di negoziazione/collocamento delle obbligazioni de quo per contrarietà a norme imperative, nonché, in via gradata, il suo annullamento per conflitto di interessi, ovvero la risoluzione del medesimo per grave inadempimento, con conseguente condanna dei convenuti al risarcimento dei danni come innanzi specificati, oltre interessi, e rivalutazione, con vittoria di spese e competenze del giudizio.
Si costituiva la Banca Monte dei Paschi di Siena in persona del legale rappresentante pro-tempore, la quale contestava l’avversa domanda deducendone l’infondatezza in fatto ed in diritto.
Costituendosi a sua volta la CONSOB la quale chiedeva il rigetto della domanda principale per difetto di legittimazione passiva e per infondatezza delle argomentazioni poste a sostegno della stessa, con salvezza di spese e competenze del giudizio.
Esaurito il procedimento incidentale dinanzi al Presidente volta alla declaratoria di inammissibilità dell’istanza di fissazione di udienza collegiale notificata dalla Banca convenuta, la trattazione della causa proseguiva con il rituale scambio tra le parti di memorie difensive ex artt. 6 e 7 e 10 D.Lgs. 5/2003, quindi in data 17.7.2007 Calabrese depositava istanza di fissazione dell’udienza collegiale. Con decreto del 2.10.2006 il Giudice delegato fissava udienza collegiale rigettando le istanze istruttorie delle parti e riservando al Collegio la decisione in ordine all’ammissione delle CTU richieste dall’attrice, quindi all’udienza odierna la causa veniva trattenuta per la decisione su tutto quanto rimesso all’esame del Collegio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda è fondata e merita accoglimento.
In via preliminare deve confermarsi il decreto di fissazione dell’udienza collegiale in ordine al rigetto delle richieste istruttorie relative alle prove orali, atteso che effettivamente i dati cartacei esibiti agli atti consentono di pervenire ad una valutazione sulla natura degli strumenti finanziari oggetto del giudizio nonché sulle modalità seguite per la loro cessione all’attrice.
L’analitica disamina cui sono pervenute le numerose sentenze di merito già occupatesi della materia de quo, consente inoltre di disporre di sufficienti elementi di conoscenza senza dover ricorrere ad una consulenza tecnico-contabile. Quanto alla richiesta consulenza medica, l’attrice ha sostanzialmente abbandonato in sede di discussione la domanda di risarcimento del danno esistenziale, sicché non v’è luogo all’espletamento di consulenza medica.
Nel merito va rilevato che i titoli oggetto del giudizio sono obbligazioni “corporate” (emesse cioè da società industriali) senza l’attribuzione dl alcun rating da parte di agenzie specializzate.
In ordine alle modalità seguite per la cessione di tali prodotti finanziari
alla risparmiatrice, va osservato che i bond in questione (circostanza questa non contestata dalla banca) erano stati emessi in Lussemburgo e ceduti poi sul mercato secondario non regolamentato (cd. over the counter) alla clientela retail (cioè agli investitori non professionali) dopo che i titoli avevano superato oltre alla fase del cd. grey market, anche quello del cd. mercato primario, nel quale essi vengono emessi e trovano collocamento presso i portafogli degli investitori istituzionali che compongono il consorzio di collocamento e/o garanzia i quali, a loro volta, vengono ricercati dai cd. lead managers (costituiti di regola da banche di investimento) sulla base di uno specifico mandato loro conferito dalla società emittente.
Va ulteriormente precisato che, secondo la disciplina delle emissioni in questione sull’euromercato, una volta formato il consorzio di collocamento, i lead managers fissano il prezzo del bond unitamente alla data del lancio e redigono l’offering circular che contiene una serie di informazioni sull’emittente (in particolare sulla composizione della compagine sociale, sull’indebitamento complessivo, sul patrimonio, etc.), l’indicazione dei soggetti che garantiscono l’emissione, nonché il regime giuridico della stessa (in particolare le modalità del rimborso, le condizioni per il rimborso anticipato, i presupposti del default ed il cross-default, il regime fiscale, i diritti ed i doveri degli obbligazionisti).
Sennonché, in relazione alle osservazioni svolte dalla difesa di parte attrice, circa il mancato rispetto delle regole di cui agli artt. 94 e 100 del T.UL.F., deve preliminarmente escludersi che l’emissione del prestito obbligazionario (denominato anche notes) sull’euromercato, avvenuta secondo le modalità sopra descritte, rientri nell’ambito della disciplina di sollecitazione all’investimento (in tal senso vedasi Trib. Monza sent. n. 218/05 in www.ilcaso.it) la quale viene definita dall’art. 1 lett. t) del t.u.l.f. come “ogni offerta, invito ad offrire o messaggio promozionale, in qualsiasi forma rivolto al pubblico, finalizzati alla vendita o alla sottoscrizione di prodotti finanziari”, si caratterizza per il fatto di essere destinata ad una pluralità indistinta di soggetti e, in relazione ad essa, l’art. 94 del t.u.l.f prevede l’obbligo in capo agli offerenti di redigere il prospetto informativo e di comunicarlo preventivamente alla CONSOB.
Le modalità di cessione degli strumenti finanziari in concreto seguite, rientrano invece nell’ambito della negoziazione su base individuale, disciplinata dagli artt. 1, co. V, lett. a) e b) del t.u.l.f. e 32 del regolamento CONSOB n.11522/98, in relazione alla quale non è previsto un obbligo di prospetto (va inoltre segnalato che la Banca d’Italia nel bollettino n. 41 del novembre 2003 ha affermato che la sequenza “assunzione a fermo” - cioè acquisto da parte della banca di obbligazioni quotate sull’euromercato e collocate agli investitori professionali in esenzione della procedura sulla sollecitazione al pubblico risparmio, ai sensi dell’art. 100, I co., lett. a) del t.u.l.f. “negoziazione sul mercato secondario”, non integra violazione dell’obbligo di prospetto neanche in presenza di attività propositive da parte degli intermediari).
Conseguentemente, va accolta l’eccezione di legittimazione passiva sollevata dalla CONSOB, che appare assorbente rispetto alle ulteriori argomentazioni sviluppate dalla convenuta.
Ciò premesso va rilevato, con riguardo all’emissione in questione, che il consorzio di collocamento era costituito da Euromobiliare Investment Bank, Banca Akros s.p.a., Banca Commerciale Italiana, Banca Intermobiliare s.p.a., Caboto-Gruppo Intesa ed infine Mediobanca s.p.a., dovendosi subito precisare che nessuno di tali istituti risulta appartenereal gruppo BMPS, né alcuna società dello stesso è noto che abbia svolto attività di lead manager ovvero di co-lead manager: di talché l’invocato conflitto d’interessi non può sussistere.
Né pare ragionevole ritenere che il conflitto di interessi ricorre allorquando l’intermediario diviene portatore dell’interesse al conseguimento della commissione; in tali situazioni vi è la normale contrapposizione di interessi delle controparti che si verifica in tutti i rapporti contrattuali (come è stato esattamente rilevato da Trib. Venezia, sent. del 22 novembre 2004, pubbl. su I contratti, 2005, 5),
occorre invece che l’intermediario abbia un interesse “a trasferire al cliente quell’elevatissimo rischio che altrimenti correrebbe in proprio” detenendo appunto quei titoli che il cliente acquisisce, mentre risulta provato per tabulas che la BMPS abbia acquistato i titoli negoziati in data contestuale alla sottoscrizione medesima.
Deve, invece, ritenersi nella fattispecie che la banca abbia violato le disposizioni di cui agli art. 21 e ss. D.Lgs. 24/2/98 n.58 (cd. t.u.f.) e 28 del regolamento Consob 1/7/98 n. 11522 che impongono precisi obblighi a carico dell’istituto di credito. Tali norme stabiliscono in particolare che nella prestazione di servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono comportarsi ‘con diligenza, correttezza e trasparenza’, e devono operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati (suitability rule). Grava in primo luogo sul proponente l’investimento uno specifico obbligo di informazione circa le caratteristiche fondamentali del contratto ed in particolare è necessario che il risparmiatore abbia avuto adeguata informazione circa il tipo e le caratteristiche essenziali del prodotto. Orbene, premesso che il relativo onere probatorio incombeva alla banca convenuta (art. 23 u.c. del d.lgs. 58/98), deve in questa sede rilevarsi che a fronte dell’ordine di negoziazione dei bond Cirio conferito in data 18.3.2002 non risultano consegnati all’attrice né la documentazione contenente le informazioni di cui all’art. 61 del Reg. Consob, né il documento sul rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari. Non risulta cioè che la banca abbia fornito all’attrice le fondamentali informazioni circa la natura giuridica della società emittente i titoli obbligazionari, il suo volume di affari, il suo capitale sociale, ecc., né l’esistenza di eventuali rapporti societari e/o obbligatori tra la banca e l’emittente, né
la redditività media dei titoli negoziati. Obbligo di informazione che necessariamente comprendeva in particolare l’indicazione della natura altamente rischiosa dell’investimento, desumibile dall’essere i titoli originariamente destinati ad investitori qualificati, dall’assenza di rating e dall’esame del bilancio del gruppo Cirio, che evidenziava una criticità verosimilmente nota all’interno dell’istituto, secondo le dichiarazioni rese in sede parlamentare dall’amministratore delegato del gruppo, dovendosi ritenere, sotto tale profilo, che la banca sia obbligata a conoscere tali dati e, conseguentemente a riferirli al cliente. Né risulta che la banca avesse richiesto informazioni in ordine al profilo cliente prima dell’investimento specifico.
Ciò posto, e rilevato che la normativa considerata, essendo posta a tutela dell’ordine pubblico economico, integra norme imperative, deve ritenersi che la relativa violazione renda applicabile la sanzione di nullità del contratto comminata dall’art. 1418 c.c. operante anche in caso di mancanza di un’espressa previsione in tal senso da parte delle singole disposizioni violate, e tanto anche in linea con consolidati orientamenti nomofilattici (Cass. 7.3.2001 n. 3272).
Ne consegue, in accoglimento della specifica domanda attrice, la dichiarazione di nullità del contratto in esame stante la sua contrarietà alle norme imperative di legge (art. 21 TUF in relazione all’art. 1418 c.c.), cui consegue la condanna della banca alla restituzione della somma versata dall’attrice in esecuzione dei contratto in esame (con diritto a rientrare in possesso dei titoli) al netto degli interessi maturati ed effettivamente corrisposti. Su tale importo vanno inoltre corrisposti gli interessi legali dalla notifica della citazione al soddisfo.
Priva di significative allegazioni risulta l’ulteriore richiesta di risarcimento del danno esistenziale che, pertanto, va rigettata.
Le spese della presente procedura, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale di Lecce, Seconda Sezione Civile, definitivamente. pronunciando nel giudizio n. 381/2005, così provvede:
dichiara la nullità del contratto di negoziazione delle obbligazioni Cirio Del Monte 7,75%” senza indicazione alcuna del codice ISIN e per l’effetto condanna la Banca Monte dei Paschi di Siena al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di euro 130.000,00 - salva la detrazione di eventuali interi maturati ed effettivamente corrisposti - oltre interessi legali nei termini di cui in motivazione;
condanna Banca Monte dei Paschi di Siena al pagamento delle spese di lite sostenute dall’attrice, che si liquidano in euro 3.500 per onorari, euro 1.700,00 per diritti, oltre spese documentate, iva, cap e rimborso forfetario come per legge da distrarsi in favore del procuratore antistatario;
rigetta le altre domande.
Il Presidente
Dott. F. Giardino

Il relatore Dott.ssa G. Errede
Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2007

Omissione di informazioni nelle negoziazioni finanziarie: tra nullità virtuale ed inadempimento contrattuale
Nota a sentenza Tribunale di Lecce, Sez. II Civ., 7 maggio 2007, n. 824


Il Tribunale di Lecce, con la recentissima sentenza n. 824 del 7 maggio 2007, è tornato sull’argomento della negligenza professionale della banca nella negoziazione di strumenti finanziari, segnatamente di obbligazioni Cirio.
Già in passato i giudici Salentini avevano avuto occasione di esprimersi sull’argomento (per tutte, Tribunale di Lecce, Sez. II Civ., 12/04/06, n. 1105) statuendo in linea di principio una sorta di spartiacque tra un periodo di negoziazione più remoto, in cui era plausibile che la banca intermediaria non conoscesse i rischi dell’investimento nelle obbligazioni emesse dal Gruppo di Cragnotti, e quello successivo in cui essa era (o doveva essere) in possesso di conoscenze tali da permettere una valutazione di elevata rischiosità di quell’investimento.
Nella richiamata sentenza si osservava, infatti, che la mancanza di rating da parte di agenzie specializzate, le “
gravi distonie” e i “notevoli squilibri di natura finanziaria” rilevabili sin dal bilancio della società capogruppo dell’anno 1999, la destinazione originaria delle obbligazioni ad investitori qualificati avrebbero dovuto costituire un campanello d’allarme per le banche negoziatrici, e che tali dati avrebbero dovuto essere comunicati all’investitore, in assolvimento degli obblighi informativi, nonché eventualmente addotti come causa di inadeguatezza dell’investimento.
Sempre quella decisione, poi, traeva dall’onere probatorio di cui all’art. 23, comma 6, TUIF l’obbligo per l’intermediario di fornire siffatte informazioni per iscritto al cliente, eventualmente all’interno della clausola dell’ordine di acquisto che avverte l’investitore dell’inadeguatezza dell’operazione con riferimento alle informazioni acquisite dal cliente ex art. 28, comma 1, lett. a), Reg. Consob n. 11522.
Conseguentemente, considerava violati gli obblighi informativi sulla base della documentazione acquisita, non ritenendo liberatoria per la banca la prova di aver fornito verbalmente le informazioni necessarie.
L’orientamento acuto di molti giudici di merito, non solo leccesi (si veda anche Tribunale di Torre Annunziata, Sez. II Civ., sentenza del 22/11/06, n. 1320), è diventato dunque quello di rigettare le richieste istruttorie orali delle parti, ritenendo sufficiente per la definizione del giudizio la documentazione prodotta dalle parti, dalla quale, pertanto, può già emergere l’eventuale difetto di informazioni ricevute dall’investitore.
Tali principi sono stati accolti in toto e consolidati nella recente sentenza n. 824/07.
Anche tale sentenza è il frutto di un esame meramente cartolare dei documenti contrattuali sottoscritti (e non sottoscritti) dall’investitore. Le richieste istruttorie relative alle prove orali, infatti, sono state tutte rigettate, atteso che “
effettivamente i dati cartacei esibiti agli atti consentono di pervenire ad una valutazione sulla natura degli strumenti finanziari oggetto del giudizio nonché sulle modalità seguite per la loro cessione all’attrice”. Premesso infatti che “il relativo onere probatorio incombeva alla banca convenuta (art. 23 u.c. D.Lgs. n. 58/98)… non risultano consegnati all’attrice né la documentazione contenente le informazioni di cui all’art. 61 Reg. Consob, né il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari. Non risulta cioè che la banca abbia fornito all’attrice le fondamentali informazioni circa la natura giuridica della società emittente i titoli obbligazionari, il suo volume di affari, il suo capitale sociale, né l’esistenza di eventuali rapporti societari c/o obbligatori tra la banca e l’emittente, né la redditività media dei titoli negoziati… Né risulta che la banca avesse richiesto informazioni in ordine al profilo cliente prima dell’investimento specifico”.
Dunque, l’opacità ed insufficienza dell’ordine di acquisto sottoscritto dal cliente, la non tempestiva consegna allo stesso del documento sui rischi generali di cui all’art. 28, lett. b), Reg. Consob n. 11522/98 (che va rilasciato quanto meno contestualmente alla stipula dell’investimento), e la non tempestiva richiesta di compilare la scheda per l’individuazione del profilo dell’investitore di cui all’art. 28, lett. a), Reg. Consob cit. (incombente che va espletato anch’esso quanto meno contestualmente alla stipula dell’investimento), sono elementi che bastano per decretare la violazione da parte dell’intermediario dei propri obblighi informativi.
Alla luce di tale principio, che, giova ripetere, va consolidandosi presso tutti i tribunali italiani, già la verifica della sussistenza di vizi formali nella documentazione contrattuale sottoscritta dall’investitore (in primis l’omessa sottoscrizione del contratto di negoziazione, con conseguente nullità formale dell’investimento ex art. 23 D.Lgs. n. 58/98, nonché la mancanza di avvertenze specifiche sull’ordine di acquisto, il mancato rilascio del documento sui rischi generali e la mancata richiesta di compilare la scheda profilo cliente) potrebbe deporre in favore della fattibilità del giudizio contro la banca negoziatrice, la quale, pertanto, onde evitare inutili spese processuali e soprattutto la pubblicità negativa conseguente ad un’eventuale sentenza di condanna, sarebbe opportuno che, in siffatte circostanze, proponga una seria offerta transattiva.
Tornando alla sentenza in commento, alla comunanza delle premesse rispetto alle precedenti statuizioni il Tribunale Salentino non ha fatto però seguire le medesime conclusioni.
Laddove, infatti, nella decisione del 2006 il Collegio aveva stabilito che la violazione degli obblighi informativi in un investimento finanziario comporta la risoluzione del contratto finanziario per grave inadempimento contrattuale della banca negoziatrice, con condanna di quest’ultima al risarcimento del danno patrimoniale cagionato all’investitore, risentendo presumibilmente della prima (e finora unica) statuizione di legittimità (cfr. Cass. Civ., Sez. I, sentenza del 29 settembre 2005, n. 19024), la quale ha avuto senz’altro il pregio di aver esteso anche al contratto concluso la risarcibilità dei danni da responsabilità precontrattuale, oggi invece “
Rilevato che la normativa considerata, essendo posta a tutela dell’ordine pubblico economico, integra norme imperative, deve ritenersi che la relativa violazione renda applicabile la sanzione di nullità del contratto comminata dall’art. 1418 c.c. operante anche in caso di mancanza di un’espressa previsione in tal senso da parte delle singole disposizioni violate, e tanto anche in linea con consolidati orientamenti nomofilattici (Cass. 7.3.2001 n. 3272)”.
Il Tribunale di Lecce torna dunque ad abbracciare il principio di nullità virtuale, che pare invece abbandonato dalla Cassazione. Peraltro, anche altri giudici di merito sono rimasti costanti nell’applicarlo (del medesimo distretto di Corte d’Appello, tra le altre, Tribunale di Brindisi, sentenza del 21 luglio 2006, n. 701), nonostante il contrario orientamento di legittimità.
Sarebbe conseguentemente auspicabile una statuizione sul punto delle Sezioni Unite della Suprema Corte, al fine di dirimere una volta per tutte la controversia se la nullità di un contratto consegua o meno esclusivamente a vizi intrinseci dello stesso.
Ma la questione non tocca le sorti dell’investitore malcapitato: sia alla declaratoria di nullità virtuale del contratto che alla pronuncia della sua risoluzione per grave inadempimento della banca negoziatrice, conseguono infatti, sia pure sub specie delle differenti accezioni rispettivamente della restituzione del capitale investito e del risarcimento del danno patrimoniale subito, effettivi benefici ristoratori.
Il problema potrebbe al più involgere l’aspetto dell’appellabilità della sentenza.
Riteniamo però che, qualunque sia l’orientamento accolto dal Giudice del gravame, l’esistenza di vizi formali che decretano pacificamente l’omissione di informazioni da parte della banca negoziatrice comporterebbe al più la riforma della sentenza eventualmente impugnata limitatamente alla natura del vizio del contratto (nullità o risoluzione per inadempimento), ma resterebbero ferme le conseguenze (restitutorie o risarcitorie) in favore dell’investitore danneggiato.
Avv. Antonio Tanza

Avv. Maria Serena Camboa


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