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Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2009
XXXI
TRIBUNALE DI LECCE
Seconda sezione civile
SENTENZA n°
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Lecce in persona del G.U. Dr.ssa Grazia Errede ha pronunciato la seguente
SENTENZA ex art. 281 sexies c.p.c.
Nella causa di primo grado iscritta al n. 2062/00 R.G. promossa
Da
G. D. e P. Antonio, rappresentati e difesi dall'Avv. Antonio Tanza
Attori
Contro
Istituto S.Paolo IMI s.p.a., con sede in Torino, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Cosima Corvino e Gino Cavalli
Convenuta
All'udienza odierna la causa è stata discussa oralmente dai procuratori delle parti
* * *
Con la domanda introduttiva gli attori hanno chiesto: 1) dichiararsi la risoluzione del contratto di mutuo relativamente alla quota sottoscritta dai coniugi P. per grave inadempimento contrattuale ed extracontrattuale della Banca; 2) dichiarare la nullità e l'inefficacia della clausola di determinazione del tasso ultralegale in quanto contraria alla normativa antiusura; 3) condannare la banca alla ripetizione delle somme indebitamente percette nonché al risarcimento di tutti i danni indicati nella misura di lire 50 milioni o nell'altra di giustizia, con vittoria di spese.
Costituendosi l'Istituto Bancario ha chiesto il rigetto delle avverse richieste ed argomentazioni deducendone l'assoluta infondatezza.
In punto di fatto, occorre premettere che: 1) il 14.3.21990 l'impresa Immobiliare M. stipulò con il S.Paolo Imi un contratto di mutuo fondiario, cui seguì in data 18.2.1992 l'erogazione di lire 899.700.000; 2) in data 14.6.1993 i coniugi G.-P. acquistarono dall'Impresa M.o un appartamento facente parte del plesso finanziato con i solidi del mutuo con S.Paolo Imi, accollandosi una quota del predetto mutuo per l'importo di lire 84.000.000, cui seguirono regolari pagamenti fino al mese di aprile 2000 mediante addebito delle rate sul c/c 10/00802440 acceso presso S.Paolo Imi.
Ed allora, quanto alla richiesta in ordine alla declaratoria di nullità della clausola di determinazione degli interessi a tasso superiore a quello cd. soglia, deve evidenziarsi come la domanda non possa essere accolta posto che il contratto di mutuo di cui si discute risulta stipulato il 14.3.1990, vale a dire in epoca precedente all'entrata in vigore della 1.108/9, la cui disciplina non si applica infatti ai contratti precedentemente stipulati come chiarito dallo stesso legislatore con d.l. n.2394 del 29.12.2000 successivamente conv. in legge n.24/2001 che, interpretando autenticamente la 1.108/96 ha espressamente stabilito che ai fini dell'art. 644 c.p. e 1815 co.2 c.c. si intendono usurari gli interessi stabiliti dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento. Il caso, pertanto, sfugge alla sanzione di nullità di cui all'art. 1815 co.2 come riformulato dalla 1.108/96, ma tuttavia l'inapplicabilità di tale sanzione non esclude -come peraltro ritenuto dalla prevalente giurisprudenza- che gli interessi riguardanti rapporti in corso che superino il tasso-soglia siano interessi usurari e che siano perciò non dovuti per la parte eccedente quel tasso alla luce del disposto di cui all'art. 2 1.108/96, norma imperativa sopravvenuta ispirata ad un generale principio di non abuso del diritto (cfr. Trib. Milano 15.10.2005). Ciò posto, e rilevato che il CTU dr. Mazzeo ha avuto modo di accertare come nel corso del rapporto il tasso-soglia sia stato superato a partire dal 30.6.1998 consentendo alla Banca di percepire indebitamente la somma di lire 3.913.233 (cfr. relazione depositata il 4.2.2004, pag. 17 ipotesi A), tale importo deve essere restituito agli attori.
Con riguardo poi alla questione concernente la capitalizzazione trimestrale degli interessi in relazione al c/c sul quale venivano addebitate le rate di mutuo, il giudicante non può che evidenziarne la nullità risultando ormai pacifico il principio di diritto secondo il quale `La clausola di un contratto bancario che preveda la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente deve reputarsi nulla in quanto basata su un uso negoziale (ex art. 1340 c.c.) e non su un uso normativo (ex arti. 1 e 8 delle preleggi al c.c.) come esige l'art. 1283 c.c., laddove prevede che l'anatocismo non possa ammettersi (salve le ipotesi della domanda giudiziale e della convenzione successiva alla scadenza degli interessi) in mancanza di usi contrari'. L'inserimento della clausola nel contratto, in conformità alle cosiddette norme bancarie uniformi predisposte dall'ABI non esclude la suddetta nullità, poiché a tali norme deve riconoscersi soltanto il carattere di usi negoziali, non quello di usi normativi (Cass. sent.12507 dell'11.11.99).
Com'è noto la Cassazione, mutando il precedente indirizzo, ha escluso l'esistenza di un uso normativo in deroga al divieto di anatocismo di cui all'art. 1283 c.c.: 'La previsione contrattuale della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, in quanto basata su un uso negoziale e non su una vera e propria norma consuetudinaria è nulla, in quanto anteriore alla scadenza degli interessi' (Cass. sent. 2374 del 16.3.99). Peraltro, poco dopo l'affermazione di tale principio lo stesso legislatore è intervenuto introducendo, con l'art. 25 del D.lgs. n. 342/99, al primo comma dell'art. 120 TU due nuove disposizioni. Con la prima (che ha introdotto il 2^ comma dell'art. 120) ha attribuito al CICR il potere di stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria (con delibera del 9.2.2000 il CICR ha provveduto all'incombente riconoscendo la possibilità di capitalizzazione degli interessi creditori e debitori simmetrici). Con la seconda, che ha introdotto il co. 3^ dell'art. 120 TU, ha stabilito che 'Le clausole relative alla produzione di interessi su interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2^, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera che stabilirà altresì le modalità ed i tempi dell'adeguamento. In difetto di adeguamento le clausola divengono inefficaci e l'inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente'. Su tale ultima previsione è tuttavia intervenuta la Corte Costituzionale con la pronuncia n. 425/2000, dichiarandone la incostituzionalità nella parte in cui stabiliva la validità ed efficacia delle clausole relative alla capitalizzazione degli interessi passivi contenute nei contratti anteriori al D.Igs 432/99 e fino all'entrata in vigore della delibera CICR (22.4.00) che ha stabilito le modalità ed i criteri per la produzione di interessi su interessi. Di recente, le Sezioni Unite della Suprema Corte con la nota pronuncia n. 21095 del 7 ottobre-4 novembre 2004 hanno definitivamente escluso la possibilità di formazione di un uso negoziale che possa derogare al divieto di anatocismo. La clausola di applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi risulta affetta da nullità siccome non supportata da usi normativi ed inidonea a derogare la disposizione imperativa di cui all'art. 1283 c.c. Non può ritenersi vigente nel nostro ordinamento un uso normativo che autorizzi gli istituti di credito a procedere alla capitalizzazione trimestrale, poiché un uso di tal portata non risulta essere stato esistente nel nostro ordinamento in epoca anteriore o coeva al 1942, ed inoltre le norme bancarie uniformi emesse dall'ABI non sono fonti di produzione del diritto ma solamente schemi contrattuali uniformi che l'associazione delle imprese di credito propone ai suoi associati. Di fronte alla pratica generalizzata degli istituti di credito di inserire nei contratti bancari (peraltro stipulati con moduli prestampati predisposti dalle banche) la capitalizzazione trimestrale degli interessi, l'atteggiamento mentale dei clienti non è quello di accettazione di una pattuizione ritenuta conforme ad un precetto giuridico, ma piuttosto quella di una sorta di adesione necessaria (secondo la regola del prendere o lasciare) ad una clausola imposta dal contraente più forte. Né tali condizioni possono essere contrastate dal rilievo della mancata contestazione -da parte del cliente-debitore-ndegli estratti di conto corrente inviati poiché detta contestazione afferisce al profilo contabile degli addebiti e degli accrediti, ma non si estende alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano, né l'approvazione o la mancata impugnazione del conto comportano che il debito fondato su un negozio nullo, annullabile o inefficace resti definitivamente incontestabile (cfr. Cass. sent.10186 del 26.7.2001). Come rilevato in giurisprudenza, inoltre, l'uso normativo postula la contestuale ricorrenza di due requisiti, rispettivamente di carattere oggettivo e soggettivo consistenti nella uniforme e costante ripetizione di una determinata condotta accompagnata dalla consapevolezza di osservare una norma giuridica, sicchè l'uso -come la norma- deve possedere i requisiti della generalità e dell'astrattezza. In tale contesto, poco rileva che la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente alla banca trovi generale riscontro nei loro rapporti, posto che l'applicazione della capitalizzazione stessa discende dalla previsione contenuta negli schemi contrattuali predisposti dalle banche in base a norme bancarie uniformi aventi natura patrizia: la prassi cosi instaurata si collega al modo di operare di uno dei soggetti del rapporto -la banca- cui il cliente non può di fatto sottrarsi. Tale ricostruzione porta ad escludere che l'osservanza della prassi sia accompagnata dalla convinzione di attuare una regola volta a disciplinare giuridicamente determinate situazioni: in sostanza, nell'ambito dei rapporti bancari il cliente stipula sulla base delle condizioni generali fissate dalla banca, ed il fatto stesso che si avverta la necessità di inserire la clausola anatocistica tra quelle condizioni ne valorizza la natura negoziale, non normativa. Poiché tuttavia il CTU ha accertato che il c/c intestato agli attori presentava, per tutta la durata del rapporto, un saldo a credito, conseguentemente non è avvenuta alcuna capitalizzazione di interessi a debito del cliente sicché non vi è luogo a ripetizione di alcuna somma in favore degli attori.
(…)
PQM
Il Tribunale di Lecce seconda sezione definitivamente decidendo nel giudizio n. 2062/00 RG così provvede:
1) dichiara la nullità del contratto di c/c stipulato tra le parti nella parte in cui prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi;
2) condanna la banca convenuta a restituire agli attori la somma di curo 1994,30 (già lire 3.913.233) oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo;
3) rigetta ogni altra richiesta delle parti;
4) compensa in ragione del 50% le spese di lite e condanna la Banca alla rifusione del residuo in favore degli attori che si liquida in euro 1800,00 per diritti, euro 2.500 per onorari, oltre spese, iva, cap e rimborso forfetario come per legge. Spese di CTU a carico di entrambe le parti in ragione del 50% cadauna.
Lecce, 7.10.2009 Il G.U.
Dott. Grazia ERREDE
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