Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


Vai ai contenuti

Menu principale:


Siracusa / App. Le

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2014

Tribunale di Siracusa, Giud. Dott. Sebastiano CASSANITI, Sent. n. 10 del 7 gennaio 2014


TRIBUNALE DI SIRACUSA
Prima Sezione Civile

in persona del Giudice Unico dott. Sebastiano Cassaniti ha emesso la seguente,

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 3571/2003 RG, avente ad oggetto "ripetizione dell'indebito" promossa da:

(omisis) rappresentati e difesi dall'Avv. Antonio Randazzo, che li rappresenta e difende, unitamente e disgiuntamente all'Avv. Antonio Tanza del foro di Lecce, giusta procura a margine dell'atto di citazione.

-ATTORI-

contro

BANCA ANTONIANA POPOLARE VENETA spa, (PI 0269168O20), in persona dcl legale rappresentante p.t., con sede legale in Padova, Piazzetta Turati n. 2, elettivamente domiciliata in Siracusa, via Adda n. 33, presso lo studio dell'avvocato Igino La Rocca, che la rappresenta e difende giusta procura generale alle liti in atti;

- CONVENUTO-

IN FATTO E IN DIRITTO

(omissis)

Quanto ai rilievi mossi dalla parte convenuta, questo Giudice ritiene doversi condividere l'orientamento secondo cui nei rapporti regolati in conto corrente non ricorrono i presupposti per l'applicabilità dell'art. 1194 c.c. Infatti, l'operatività della norma in esame presuppone la simultanea esistenza dei caratteri, della liquidità e della esigibilità sia del credito per capitale che del credito accessorio (per interessi o per spese) sicché, fino a quando siano incerti, illiquidi o inesigibili sia il credito per capitale che quelle accessorio, il debitore non è soggetto al divieto di imputare il pagamento al capitale (Cass. nn. 16448/09, 9510107, 20904/05, 6022/03, 5707/97). Pertanto, dal momento che solo con la chiusura del conto corrente il debito, relativo anche agli interessi, diventa certo ed esigibile, l'art. 1194 c.c. non può trovare applicazione in un momento precedente, non potendo i saldi passivi trimestrali in corso di rapporto essere qualificati

come debiti certi ed esigibili.
(omissis)

Parimenti, va rigettata la domanda riconvenzionale avanzata dall'istituto di credito convenuto. Costituisce infatti principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui l'accertata nullità delle clausole che prevedono, relativamente agli interessi dovuti dal correntista, tassi superiori a quelli legali e la capitalizzazione trimestrale impone la rideterminazione del saldo finale mediante la ricostruzione dell'intero andamento del rapporto, sulla base degli estratti conto a partire dall'apertura del medesimo, che la banca ha l'onere di produrre ove agisca per ottenere il pagamento del saldo passivo (v. da ultimo, Cass. n. 21466/2013).
Ebbene, nella specie, la mancanza degli estratti conto iniziali del rapporto per cui è causa - evidenziata anche dalla difesa della convenuta - impedisce di ritenere provato il credito vantato dalla banca, nonostante l'accertamento peritale, il cui esito à rilevante in relazione alla domanda di ripetizione, ma non è conducente ai fini dell'accertamento del credito della convenuta stante il rilevato difetto probatorio.

(omissis)


Appello Lecce - II^ Civ. - Cons. Est. Dott. Grazia ERREDE, Sent. n. 20 del 16 gennaio 2014

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Lecce - Sezione seconda Civile - composta dai Signori:
1) Dott. Giovanni BUQUICCHIO - Presidente
2) Dott. Cinzia MONDATORE - Consigliere
3) Dott. Grazia ERREDE - Consigliere estensore
ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 20/2014

nella causa civile in unico grado iscritta al N. 33 del Ruolo Generale delle cause dell'anno 2006, trattata e passata in decisione all'udienza collegiale del 04 Giugno 2013.

TRA

SANPAOLO IMI S.p.A., con sede in Torino alla piazza San Carlo n° 156, P. I. n° 06210280019, in persona dell'amministratore delegato e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Miccolis ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Lecce alla piazza Verdi n° 16, giusta procura in calce all'atto di appello.

- APPELLANTE -

D. M. A., … , elettivamente domiciliato in Lecce alla via Martiri d'Otranto n° 4, presso lo studio degli avv.ti Antonio Tanza e Salvatore De Gaetanis,

- APPELLATO - APPELLANTE INCIDENTALE -

All'udienza di precisazione delle conclusioni i procuratori delle parti hanno così concluso:

IL PROCURATORE DELL'APPELLANTE

Voglia l'Ecc.ma Corte di Appello di Lecce, così provvedere:
1) In via principale, accogliere l'integrale appello e conseguente riforma della sentenza di primo grado e, per l'effetto, condannare il sig. De Masi Antonio alla restituzione della somma complessiva di € 68.129,52 oltre interessi legali dal 26/05/2006 fino al soddisfo.
2) In via gradata, in qualsiasi ipotesi di accoglimento parziale dell'appello e conseguente modifica della sentenza di primo grado, chiede la condanna del sig. De Masi Antonio alla restituzione in favore dell'appellante della differenza tra la somma corrisposta in esecuzione della sentenza di primo grado (€ 68.129,52) ed il minor importo a debito della Banca rideterminato dal C.T.U. nel giudizio di appello, sempre con maggiorazione di interessi legali dal 26/05/2005 fino al soddisfo.
3) In ogni caso, con vittoria delle spese e competenze del doppio grado del giudizio.

I PROCURATORI DELL'APPELLATO ED APPELLANTE INCIDENTALE

Voglia l'Ecc.ma Corte di Appello di Lecce, così provvedere:
a) Nel merito rigettare l'appello principale, confermando le statuizioni della sentenza ed in accoglimento dell'appello incidentale proposto, riformare la sentenza impugnata nella parte in cui dichiara la nullità della clausola contrattuale che regola le valute applicabili sul conto in riferimento agli accrediti ed addebiti e, per l'effetto, dichiarare la nullità di tale clausola.
b) Con vittoria di spese, competenze ed onorari di entrambi i giudizi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione ritualmente notificata D. M. A. conveniva in giudizio la S.P. I. s.p.a. per ivi sentire, con riferimento al rapporto bancario di apertura di credito con affidamento mediante scopertura su conto corrente n.10/6250:
1) dichiarare la nullità e/o inefficacia e/o comunque l'illegittimità della clausola del contratto relativa alla determinazione dell'interesse ultralegale mediante rinvio al cd. "uso piazza";
2) dichiarare l'illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi;
3) dichiarare l'illegittimità dell'addebito relativo alle c.m.s poiché giammai pattuite;
4) dichiarare la nullità degli addebiti di interessi ultralegali sulla differenza in giorni tra la data di effettuazione delle singole operazioni e la data della rispettiva valuta;
5) previo accertamento del TAEG, dichiarare la nullità di ogni pretesa eccedente il tasso soglia;
6) accertare l'esatto dare-avere tra le parti sulla base della riclassificazione contabile del rapporto, con condanna della Banca alla restituzione dell'indebito percetto.
Costituendosi, la Banca contestava le avverse argomentazioni e richieste, chiedendone il rigetto.
Istruito il giudizio con prova documentale e CTU, con sentenza del 29.11.2005 il Tribunale condannava la Banca convenuta al pagamento, in favore dell'attore, della somma di euro 48.268,08 oltre interessi e spese di lite, ivi compresa la CTU. A sostegno della decisione il Tribunale, rilevata l'infondatezza dell'eccezione, sollevata dalla banca, circa l'incontestabilità delle operazioni bancarie addebitate sulla base delle clausole impugnate in ragione della mancata contestazione, da parte del cliente, degli estratti conto regolarmente inviati dall'istituto di credito, avuto riguardo alla salvezza della questione relativa alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori da cui derivavano debiti ed accrediti, e rilevata altresì l'infondatezza dell'argomentazione difensiva secondo la quale nella fattispecie ricorreva un'ipotesi di soluti retentio, attesane l'insussistenza degli estremi, riteneva:
1) la nullità del rinvio all'uso piazza per la determinazione del tasso di interesse osservando che la stessa si presentava come assolutamente generica e non consentiva l'esatta individuazione del tasso debitorio, con conseguente applicabilità al rapporto del tasso legale tempo per tempo vigente siccome previsto anche dalla normativa di settore;
2) la nullità della clausola relativa alla capitalizzazione trimestrale difettando la natura di uso normativo della stessa, cui seguiva - ad avviso del giudicante - la sua sostituzione con il sistema della capitalizzazione semplice;
3) l'indebita percezione delle cms poiché non previste in contratto.
Avverso tale decisione interponeva appello la Banca.
Resisteva D. M. proponendo altresì appello incidentale.
Nel corso del presente giudizio veniva disposto supplemento di CTU, quindi, all'udienza del 4.6.2013 la causa veniva trattenuta per la decisione sulle conclusioni delle parti in atti trascritte, con assegnazione dei termini di rito per conclusionali e repliche.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di gravame la Banca appellante deduce l'erroneità della decisione di disattendere l'eccezione relativa alla "soluti retentio", formulata in primo grado onde resistere alla domanda di ripetizione delle somme indebitamente versate dal correntista. Secondo la tesi difensiva, il primo giudice avrebbe delibato del tutto sommariamente la questione, limitandosi ad evidenziare l'insussistenza dei requisiti circa l'adempimento di obbligazioni naturali, senza tenere in debito conto la giurisprudenza di segno contrario (di merito e legittimità) pure invocata dalla Banca. La censura è infondata, condividendo questa Corte le motivazioni addotte dal primo giudice a sostegno della decisione di disattendere l'eccezione in rassegna. Correttamente risulta infatti affermata l'insussistenza dei requisiti richiesti dall'art. 2034 c.c. onde escludere la ripetibilità degli adempimenti riguardanti le obbligazioni naturali, vale a dire la consapevolezza dell'inesistenza di un obbligo giuridico, la spontaneità, il dovere morale o sociale. Ad integrazione della motivazione sul punto della sentenza impugnata, mette peraltro conto richiamare il testo normativo del primo comma dell'art. 2034 c.c., che espressamente recita: "Non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali". Nel caso -come quello in esame - di pagamento di interessi, quindi, certamente difetta il requisito dell'adempimento di doveri morali o sociali, posto che il correntista pone in essere un adempimento cui ritiene essere tenuto per effetto di dovere giuridico scaturente dal contratto, di cui ignora l'invalidità. Difetta inoltre la spontaneità dell'adempimento, poiché l'esecuzione è certamente coartata dalla consapevolezza del correntista di essere a ciò tenuto in forza dell'esistenza del vincolo contrattuale. Peraltro, la stessa pronuncia nomofilattica richiamata dall'appellante, la n. 819/2000, appare in linea con quanto sinora sostenuto, laddove qualifica come esecuzione di obbligazione naturale, con la conseguente irripetibilità della prestazione, il pagamento di interessi in misura superiore al tasso legale effettuato, tuttavia, in totale assenza di convenzione scritta, laddove invece nella fattispecie è pacifica l'esistenza di una clausola contrattuale riguardante il tasso debitorio (si riporta di seguito il passo di interesse: "Questa Corte ha già evidenziato altra volta come la facoltà d'imputare i pagamenti ricevuti ad estinzione del debito per interessi extralegali non possa essere riconosciuta al creditore in difetto d'una valida pattuizione degli interessi stessi ex art. 1284 terzo comma CC e come, mancando pattuizione siffatta, il debitore possa bensì pagare, per sua determinazione, gli interessi in misura superiore a quella legale - assolvendo in tal modo ad un'obbligazione naturale con conseguente irripetibilità di quanto pagato - ma, ove egli non abbia manifestato una volontà in tal senso, il creditore non possa destinare le somme ricevute al soddisfacimento di una obbligazione meramente naturale del solvens invece che all'estinzione d'altra obbligazione che, validamente sorta, consente l'esercizio d'azioni giudiziarie nei confronti del debitore").
Sul punto, quindi, la sentenza merita conferma.
Con il secondo motivo di impugnazione la Banca si duole della mancata motivazione in ordine alla mancata applicazione delle convenzioni di tasso. Secondo la tesi in esame, il primo giudice avrebbe, nella determinazione del tasso di interesse ultralegale applicabile al rapporto, obliterato completamente - senza motivazione - le convenzioni di tasso intercorse tra il correntista e la banca in epoca successiva all'entrata in vigore della normativa sulla trasparenza bancaria, ritenendo applicabile al c/c dedotto in giudizio, acceso il 9.3.1992, il tasso sostitutivo previsto dall'art. 117 d.lgs. 385/93 per le ipotesi di mancanza di una valida pattuizione del tasso di interesse ultralegale, a far data dall'entrata in vigore della 1. 154/92 e fino alla notifica dell'atto di citazione, senza peraltro considerare che le normativa sulla trasparenza bancaria non aveva efficacia retroattiva sicché le clausole di rinvio all'uso piazza contenute nei contratti stipulati in epoca precedente dovevano considerarsi del tutto valide ed efficaci.
A riguardo del motivo in esame, osserva il Collegio quanto segue.
Innanzi tutto, onde pervenire alla declaratoria di invalidità della clausola di rinvio all'uso piazza contenuta nel contratto dedotto in giudizio (stipulato il 9.3.1992) il primo giudice risulta aver fatto applicazione non delle norme a riguardo introdotte dalla normativa sulla trasparenza bancaria, bensì del disposto di cui all'art. 1346 c.c., affermando - anche alla luce di plurimi arresti nomofilattici correttamente richiamati - la nullità della predetta poiché in contrasto con la previsione di cui all'art. 1346 c.c. in quanto, "riferendosi genericamente agli interessi usualmente praticati su piazza, non distinguono fra le varie categorie di essi e dunque non consentono di stabilire a quale previsione le parti abbiano in concreto voluto riferisi", ed evidenziando in ogni caso che, a partire dal 9.7.92 (data di entrata in vigore della 1. 154/92), tali clausole erano divenute inoperanti atteso che l'art. 4 della citata legge, poi trasfuso nell'art. 117 del dlgs 385/93, laddove sanciva la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse, certamente impediva la produzione di ulteriori effetti nei rapporti in corso "poiché l'innovazione normativa impinge sulle stesse caratteristiche del sinallagma contrattuale, generatore di conseguenze obbligatorie protraentesi nel tempo", sul punto richiamando Cass.SS.UU. n.21095/94, Cass. n.13739/03, Cass. n.12222/03, Cass. n.4490/02, Cass. n.6258/02. L'argomentazione difensiva secondo la quale sarebbe erroneamente stata riconosciuta efficacia retroattiva alla normativa sulla trasparenza bancaria risulta quindi infondata.
Diverso è invece il discorso riguardante l'omessa delibazione di convenzioni relative alla determinazione del tasso ultralegale, attesane l'effettiva verificazione emergente per tabulas.
In effetti, risulta dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata come il Tribunale, una volta dichiarata la nullità della clausola di rinvio all'uso piazza, abbia applicato al rapporto gli interessi legali, determinati ex art. 1284 c.c. fino all'entrata in vigore della l.154/92, e successivamente determinati ex 1.154/92 e 117 dlgs 385/93, omettendo di prendere invece in considerazione l'esistenza della convenzione in data 20.7.99 (l'unica valida tra le parti, poiché sottoscritta per adesione dal correntista) con la quale veniva espressamente stabilito il tasso di interesse intrafido (9,50%) ed oltre fido (12,50%).
Proprio per tale ragione con ordinanza in data 19.4.2011 la Corte, anche tenuto conto dell'Appello incidentale con il quale il correntista censurava la statuizione di primo grado per non avere delibato circa la domanda di nullità della clausola cd. 'giorni di valuta' chiedendo ctu che calcolasse il tasso di interesse debitore-creditore computando le operazioni di accredito effettivo delle valute dal giorno in cui la banca acquisiva o perdeva la disponibilità dei correlativi importi, disponeva supplemento di ctu al fine di rideterminare i rapporti di dare/avere tra le parti tenendo conto del tasso concordato il 20.7.99 (salvo il limite del tasso soglia) e applicando la valuta in conformità alla richiesta dell'appellante incidentale.
Orbene, proprio a riguardo dell'appello incidentale, premesso che nella fattispecie emerge per tabulas la mancata pronuncia a riguardo dell'invocata declaratoria di nullità della clausola contrattuale che prevedeva l'addebito di interessi (in realtà, non determinati) sulla differenza in giorni tra la data di effettuazione delle singole operazioni e la data della rispettiva valuta, questa Corte, integrando sul punto la motivazione della sentenza impugnata, può che rilevare la fondatezza del correlativo motivo di doglianza. Infatti, avuto riguardo alla circostanza che, essendo i "giorni valuta" un meccanismo utilizzato dalla banca per allungare fittiziamente i giorni solari del prestito dell'utente (con aumento degli interessi debitori in favore della banca), decurtando i giorni in cui il cliente deposita il denaro (con diminuzione degli interessi creditori in suo favore), la questione finisce inevitabilmente per riflettersi sulla misura degli interessi e sulla decorrenza della valuta, lasciata quest'ultima all'arbitrio della banca in assenza peraltro di una pattuizione scritta di interessi ultralegali. Conseguentemente, nulla per inderminatezza si appalesa la clausola "valuta d'uso", e alle operazioni va applicata la valuta del giorno in cui la banca ha rispettivamente perso o acquistato la disponibilità del denaro, così come da indagine deferita al CTU per quanto in precedenza detto.
Sull'esito dell'indagine, che ha tenuto conto sia del tasso convenzionale degli interessi che dei "giorni-valuta" (secondo le censure rispettivamente dell'appellante principale e di quello incidentale) si dirà quindi nell'immediato prosieguo, ritenendo il Collegio opportuno, per ragioni logico-sistematiche, procedere alla disamina dell'ultimo motivo di gravame principale, con il quale l'appellante lamenta l'erroneità della decisione del Tribunale di escludere ogni forma di capitalizzazione degli interessi una volta dichiarata la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale. Secondo l'assunto, che sostanzialmente si risolve più che altro in una critica alle pronunce rese dalla Corte Suprema nel tema che ne occupa, richiamate dal primo giudice, legittima sarebbe stata l'applicazione alla fattispecie del regime di capitalizzazione annuale degli interessi debitori, sia in forza del principio di "pari periodicità" nel conteggio tra interessi a debito e a credito, sia perché sarebbe la stessa legge a prevedere la capitalizzazione degli interessi passivi, e in particolare le norme disciplinanti il conto corrente ordinario (del quale quello bancario e di corrispondenza erano specificazioni) vale a dire gli artt. 1823,1825 e 1831 c.c., quest'ultimo (contemplante la capitalizzazione semestrale) praticamente incompatibile con l'art. 1283 c.c.
La doglianza non può trovare accoglimento.
A riguardo, mette conto ricordare che la questione circa il tipo di capitalizzazione da applicare nel caso di declaratoria di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori risulta affrontata e risolta dalla recente pronuncia n.24418/2010 a Sezioni Unite della Corte Suprema, di cui per brevità di scritti si riporta di seguito il pertinente passaggio argomentativo in replica alle censure dell'appellante: "L'art. 7 del contratto di apertura di credito in conto corrente da cui origina la presente causa contiene due commi: il primo prevede la chiusura contabile annuale dei rapporti di dare ed avere tra le parti, con registrazione in conto degli interessi, delle commissioni e delle spese; il secondo stabilisce che i conti anche saltuariamente debitori siano invece chiusi trimestralmente, quindi con capitalizzazione trimestrale degli interessi maturati nel periodo a carico del correntista, ferma restando la capitalizzazione annuale di quelli eventualmente spettanti a suo credito." L'interpretazione che di tale clausola di contratto ha dato la corte di merito è essenzialmente fondata su un argomento di tipo logico- sistematico, in linea con la previsione dell'art. 1363 c.c., oltre che sul rilievo dato al comportamento successivo delle parti (art. 1362 c.c., comma 2). Non è apparso infatti sostenibile alla corte leccese che il comma 1 della clausola in esame, nel prevedere la capitalizzazione annuale degli interessi, si riferisse anche a quelli eventualmente maturati a debito del correntista e che, perciò, venuta meno la previsione del comma 2, che assoggettava invece tali interessi debitori alla capitalizzazione trimestrale, dovesse trovare applicazione per essi la capitalizzazione annuale. Si osserva nell'impugnata sentenza che alla capitalizzazione degli interessi debitori per il correntista si riferisce espressamente il comma 2, prevedendola su base trimestrale, e che tale previsione, immaginata ovviamente come valida al tempo della sua predisposizione, conduce evidentemente ad escludere che agli stessi interessi debitori le parti abbiano inteso applicare anche il regime - diverso ed incompatibile - della capitalizzazione annuale, contemplato dal comma 1. Il che ha condotto alla ragionevole conclusione secondo cui il riferimento del medesimo comma 1 agli interessi debba essere inteso come limitato agli interessi a credito del correntista, essendo la capitalizzazione di quelli a debito destinata necessariamente a cadere sotto la differente disciplina dettata dal comma 2. La banca ricorrente, nel contestare che questa interpretazione corrisponda davvero alla comune intenzione delle parti del contratto, non individua in modo puntuale quali regole di ermeneutica legale sarebbero state eventualmente violate, ne' pone in luce contraddizioni logiche nello sviluppo argomentativo che sorregge la conclusione raggiunta dalla corte di merito. Non appare d'altronde condivisibile l'affermazione secondo cui sarebbe stata in tal modo arbitrariamente estesa la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anche alla clausola di capitalizzazione annuale. Vero è invece che, come già chiarito, quest'ultima clausola è stata considerata irrilevante ai fini della decisione della causa, in quanto non riferibile al calcolo degli interessi a debito del correntista. La capitalizzazione annuale è stata dunque esclusa per difetto di qualsiasi baso negoziale che l'abbia prevista, e non perché sia stata dichiarata nulla la clausola che la prevedeva. Del resto, non è il caso di tacere che neppure potrebbe esser condivisa la tesi secondo la quale le ragioni di nullità individuate dalla giurisprudenza di questa corte per le clausole di capitalizzazione degli interessi debitori registrati in conto corrente investirebbero solo il profilo della loro periodizzazione trimestrale. Detta giurisprudenza, come è noto, ha escluso di poter ravvisare un uso normativo atto a giustificare, nel settore bancario, una deroga ai limiti posti all'anatocismo dall'art. 1283 c.c.: ma non perché abbia messo in dubbio il reiterarsi nel tempo della consuetudine consistente nel prevedere nei contratti di conto corrente bancari, la capitalizzazione trimestrale degli indicati interessi, bensì per difetto del requisito della "normatività" di tale pratica. Sarebbe, di conseguenza, assolutamente arbitrario trame la conseguenza che, nel negare l'esistenza di usi normativi di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, quella medesima giurisprudenza avrebbe riconosciuto (implicitamente o esplicitamente) la presenza di usi normativi di capitalizzazione annuale. Prima che difettare di "noilnatività", usi siffatti non si rinvengono nella realtà storica, o almeno non nella realtà storica dell'ultimo cinquantennio anteriore agli interventi normativi della fine degli anni novanta del secolo passato: periodo caratterizzato da una diffusa consuetudine (non accompagnata però dalla opinio iuris ac necessitatis) di capitalizzazione trimestrale, ma che non risulta affatto aver conosciuto anche una consuetudine ai capitalizzazione annuale degli interessi debitori, ne' di necessario bilanciamento con quelli creditori.
Il rigetto del secondo motivo del ricorso principale può essere dunque accompagnato dall'enunciazione del seguente principio di diritto: "L'interpretazione data dal giudice di merito all'art. 7 del contratto di conto corrente bancario, stipulato dalle parti in epoca anteriore al 22 aprile 2000, secondo la quale la previsione di capitalizzazione annuale degli interessi contemplata dal comma 1, di detto articolo si riferisce ai soli interessi maturati a credito del correntista, essendo invece la capitalizzazione degli interessi a debito prevista dal collima successivo su base trimestrale, è conforme ai criteri legali d'interpretazione del contratto ed, in particolare, a quello che prescrive l'interpretazione sistematica delle clausole; con la conseguenza che, dichiarata la nullità della surriferita previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall'art. 1283 c.c., (il quale osterebbe anche ad un'eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale), gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna". Quanto alla misura del tasso d'interesse applicato dalla banca al rapporto in esame, che è la questione su cui vertono i due motivi del ricorso incidentale, è necessario ricordare come la corte territoriale abbia reputato soddisfatto il requisito della pattuizione per iscritto del tasso extralegale, posto dall'art. 1284 c.c., u.c., perché la difesa dell'istituto di credito ha prodotto in giudizio le proposte contrattuali, firmate dal sig. …, contenenti appunto l'indicazione di un tasso à interesse superiore a quello previsto dalle legge."
Correttamente, quindi, il primo giudice ha escluso ogni forma di capitalizzazione degli interessi debitori una volta dichiarata la nullità della clausola sub art. n. 7 del contratto che aveva previsto la cadenza trimestrale della capitalizzazione medesima.
Ritornando quindi all'indagine contabile deferita dalla Corte al CTU con ordinanza del 19.4.2011, cui si è in precedenza fatto cenno, reputa la Corte di dover prendere in considerazione, al fine di rideterminare l'esatto dare/avere tra le parti, il conteggio descritto dal CTU (che ha sempre escluso il superamento del cd. tasso-soglia) sub lett. A) della relazione depositata il 2.2.2012 (pag. 8) laddove risulta applicato il tasso legale sino al 8.7.92, il tasso BOT aggiornato annualmente dal 9.7.92 - min. credito banca, max credito correntista - e convenzionale dal 20.7.99, con capitalizzazione semplice, esitante nell'importo definitivo di euro 43.944,84, nei quali sensi deve quindi essere riformata la sentenza impugnata. A proposito delle ragioni a base della scelta del meccanismo di calcolo preso in considerazione, pare infatti opportuno evidenziare innanzi tutto che il periodo di applicazione del tasso massimo/minimo dei BOT debba essere limitato all'arco temporale di un anno e successivamente variato di anno in anno, non potendo optarsi per il conteggio che prende in considerazione un tasso BOT in misura fissa e lo applica per tutta la durata del rapporto, avuto riguardo ovviamente alla variazione periodica dei predetti tassi. In secondo luogo, la scelta di valorizzare il conteggio che applichi un tasso BOT minimo per il credito banca e massimo per il credito correntista trova le sue ragioni nella natura sanzionatoria della normativa sulla trasparenza bancaria, ed in particolare nella stessa formulazione dell'art. 117 del T.U.B. in forza del quale (co.7). "In caso di inosservanza del comma 4 e nelle ipotesi di nullità indicate nel comma 6, si applicano: a) il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell'operazione...", laddove, com'è noto, le operazioni attive e passive vengono definite, nei manuali di tecnica bancaria, con riferimento alla banca e quindi integranti le prime (cd. attive) quelle che sono effettuate a debito del cliente (poiché apportano alla banca una componente attiva di reddito), le seconde (cd. passive) quelle a credito del cliente e a debito della banca.
In ragione dell'esito complessivo del presente giudizio, che esita nell'accoglimento parziale dell'appello principale con permanenza sostanziale della posizione debitoria della banca seppure in misura parzialmente ridotta, e nell'accoglimento di quello incidentale, sussistono gravi ragioni per compensare tra le parti, in ragione del 50%, le spese di lite del presente grado, liquidate nell'intero in euro 4.000 per compensi,oltre accessori di legge, con condanna della Banca alla rifusione del residuo in favore di D. M. A.
Spese di CTU a carico di entrambe le parti in ragione del 50% ciascuna.

PQM

La Corte di appello di Lecce, sezione seconda civile, definitivamente decidendo sull'appello avverso la sentenza n.2065/05 resa dal Tribunale di Lecce in data 29.11.2005 proposto con atto del 13.1.2006 da San Paolo IMI s.p.a. contro D. M. A., nonché sull'appello incidentale, in parziale riforma dell'impugnata sentenza così provvede:
1) Dichiara la nullità della clausola del contratto dedotto in giudizio regolante le valute;
2) Ridetermina nell'importo di euro 43.944,84 la somma che la Banca appellante è tenuta a versare a D. M. A.
3) Conferma nel resto.
Dichiara compensate tra le parti, nella misura del 50%, le spese di lite del presente grado - liquidate nell'intero in euro 4.000 per compensi - oltre accessori di legge, e condanna la Banca appellante alla rifusione del residuo in favore dell'appellato.
Spese di CTU a carico di entrambe le parti in ragione del 50% ciascuna.

Lecce, 23.12.2013
Il Consigliere est.



Questo sito è di proprietà dello Studio Legale TANZA | antonio.tanza@gmail.com

Torna ai contenuti | Torna al menu