Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


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Campi/ Torino

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2009

XIX
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice Onorario del Tribunale di Lecce - Sezione distaccata di Campi Salentina - Avv. Gabriella Nocera ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. __

Nel procedimento civile contrassegnato con il n. 229/06 R.G. avente per oggetto: "Invalidità e nullità parziale contratto di conto corrente con ripetizione indebito"
Promosso da:
TAMIANO Cosimo e LONGO Maria Immacolata, rappresentati e difesi dall'Avv. Antonio TANZA,
nei confronti di
BANCA CARIME S.p.a in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Andrea ROLLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con Atto di Citazione del 6 aprile 2006 notificato in data 3 maggio 2006, TAMIANO Cosimo e LONGO Maria Immacolata, convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Campi Salentina, la BANCA CARIME S.p.a (già Cassa di Risparmio di Puglia), in persona del legale rappresentante pro tempore, per sentire dichiarare l'invalidità e la nullità parziale del contratto di apertura di credito con affidamento n. 181262 (poi 018 01 00262 65, quindi 00262/65 nonché 304 10100262), oggetto del rapporto tra essi attori e la banca, particolarmente in relazione alle clausole di determinazione del tasso, delle CMS, delle valute, dell'anatocismo, dei costi, delle competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese, con condanna della Banca alla restituzione di quanto indebitamente percepito oltre gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dal 31 dicembre 2001 (data di chiusura del c/c 10100262) sino al soddisfo, con ulteriore condanna del convenuto Istituto al risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla erronea segnalazione presso la Centrale dei Rischi di Banca d'Italia, il tutto con vittoria di spese di lite. La banca si costituiva con comparsa di costituzione e risposta l'8 settembre 2006 nella quale concludeva chiedendo il rigetto della domanda attorea in tutte le sue articolazioni, con favore delle spese. La causa veniva istruita a mezzo produzione documentale e CTU le cui risultanze sono in atti. All'udienza del 14 ottobre 2008 le parti precisavano le conclusioni e la causa veniva rimessa all'udienza del 9 luglio 2009 per la discussione orale, con l'assegnazione dei termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. All'udienza del 9 luglio 2009, in seguito alla discussione orale, la causa veniva decisa ex art. 281 sexies c.p.c. come da sentenza di cui veniva data pubblica lettura in udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L'eccezione di nullità della domanda è manifestamente priva di fondamento.
L'azione promossa dall'attrice deve qualificarsi come tipico giudizio di accertamento. Accertamento nel caso della nullità delle clausole del contratto di apertura di credito stipulato dalle parti, attinenti la determinazione degli interessi ultralegali, il criterio di calcolo dall' interesse anatocistico, l'applicazione della provvigione di massimo scoperto e delle altre somme richieste in restituzione. L'attrice chiede altresì la determinazione del costo effettivo annuo del rapporto bancario in questione. Non può dunque condividersi la tesi della convenuta di omessa determinazione dell'oggetto della domanda, ne' che tale asserita indeterminatezza non le abbia consentito di spiegare le proprie difese atteso che le clausole contrattuali impugnate sono precisate analiticamente nell'atto introduttivo come appare dalle conclusioni in esso formulate. Pertanto essa è stata posta in condizione di ribattere, punto a punto, alle argomentazioni dell'attrice volte a dimostrare la nullità delle clausole contrattuali specificamente indicate. Neppure può ritenersi che costituisca omessa determinazione della domanda, in spregio al disposto dell'art. 163 n° 3 c.p.c., la mancata quantificazione matematica delle somme che gli attori chiedono in restituzione quale conseguenza dell'accoglimento, totale o parziale, della richiesta di declaratoria di nullità delle clausole anzidette. Infatti, oltre alla circostanza che parte attorea ha depositato unitamente all'atto di citazione una CTP del Dott. Commercialista Fabio Massimo Blasi, la consulenza tecnica contabile, sollecitata dagli attori e disposta dal giudice al fine della quantificazione stessa, non appare diretta ad ovviare all'omessa deduzione di prove, da fornirsi dall'attrice, bensì corollario indispensabile alla domanda di condanna della convenuta alla restituzione delle somme che fossero risultate a questa corrisposte in eccesso. (cfr ex multis Tribunale di Milano, G.U. Dott. Mandriani, sent. N. 13431 del 05 dicembre 2007).
Preliminarmente va anche reietta l'eccezione di prescrizione del diritto sollevata dalla banca convenuta poiché infondata. Va anzitutto evidenziato che l'azione diretta a far dichiarare la nullità di clausole contrattuali è imprescrittibile ex art. 1422 cod. civ., mentre quella volta ad ottenere la ripetizione di quanto indebitamente versato è soggetta alla ordinaria prescrizione decennale, di cui all'art. 2946 cod. civ. Nel caso di specie il dies a quo della decorrenza del termine prescrizionale deve essere individuato in quello della chiusura definitiva del rapporto, atteso che il contratto per la disciplina in conto corrente di operazioni bancarie è un contratto unitario e continuativo che da luogo ad un unico rapporto giuridico articolato in una pluralità di atti esecutivi, sicché i singoli addebitamenti o accreditamenti non danno luogo a distinti rapporti ma determinano solo variazioni quantitative dell'unico originario rapporto e quindi solamente con il saldo finale si stabiliscono definitivamente i crediti ed i debiti tra le parti (cfr. da ultimo Cassazione civile , sez. I, 10 maggio 2007, n. 10692; Appello Lecce, 19 febbraio 2009 n. 97). Nella specie la chiusura definitiva del rapporto oggetto del contenzioso risale al 31 dicembre 2001, sicché risulta in atti indiscutibile la tempestività dell'azione ed il diritto dell'attore ad ottenere la ripetizione dell'indebito dalla prima operazione contabile, avvenuta con l'apertura del rapporto) al saldo finale di chiusura.
Per quel che concerne la presunta decadenza per mancanza di contestazione degli estratti conto si osserva come giurisprudenza costante ritenga, già da tempo, che l'eventuale approvazione, ancorché ripetuta, di estratti conto ex art. 1832 c.c. (applicabile al conto corrente bancario in forza del richiamo operato dall'art. 1857 c.c. ) renda incontestabili le annotazioni in conto, derivanti dalla mancata impugnazione, nella loro realtà effettuale, ma non comporti la decadenza da eventuali eccezioni relative alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori da cui dette annotazioni derivano (cfr. ex multis Cassazione civile , sez. I, 10 maggio 2007 , n. 10692; Appello di Lecce, rel. M. Dell'Anna, 18 settembre 2008 n. 568). Cassazione civile , sez. I, 08 maggio 2008, n. 1146 ha poi precisato come "D'altra parte ineccepibile appare pure la conclusione, aderente al costante orientamento di questa Corte (Cass. 00439/1975; 15643/2003), secondo cui nessun rilievo poteva assumere la circostanza, quand'anche dimostrata, che negli estratti conto, periodicamente inviati dalla banca al debitore e non contestati, erano state precisate le somme addebitate a titolo di interessi, superiori al tasso legale sulle somme utilizzate dal cliente con l'apertura di credito, poiché l'atto scritto concernente la stipulazione degli interessi in misura superiore a quella legale è costitutivo del relativo rapporto obbligatorio, a norma dell'art. 1284 c.c., e, pertanto, è privo di rilevanza giuridica il riconoscimento che di esso il debitore faccia "ex post".
Sul riconoscimento del debito e sulla transazione.
Non può essere condiviso l'assunto della banca secondo cui in data 23.06.1999 tra i sig.ri Tamiano e Longo veniva concluso una supposta transazione, con reciproche rimesse. Si rileva, invece, come nel caso in esame la somma pretesa dalla Banca Carime S.p.a. sia stata interamente pagata (nonostante il credito evidenziato in CTU) e l'unico beneficio in capo all'attore è stato una dilazione di pagamento. Non vi era al momento della redazione del documento alcuna possibilità che sorgesse una lite tra le parti, ma solo l'esigenza degli attori di evitare che l'istituto di Credito avviasse delle azioni legali nei loro confronti. Dalle risultanze della CTU è emerso un credito in favore degli attori ed non un debito: pertanto tutte le dichiarazioni di debito sono state sottoscritte dagli attori senza alcuna scienza e coscienza essendo il frutto dello stato d'animo del cliente, che teme un'aggressione dei propri beni e di quelli degli eventuali garanti da parte della banca, che sollecita il c.d 'rientro', stato d'animo, che può paragonarsi a quello di chi, promettendo, afferma "coactus, tamen volui". Nessuna confessione può, dunque, nella stessa ravvisarsi, collocandosi, al limite, tale dichiarazione nell'ambito dell'art. 1988 c.c., che disciplina la promessa di pagamento e la ricognizione di debito. Orbene per Giurisprudenza costante (Cassazione Civile, 2 luglio 1987, n. 5776, Cassazione Civile, Sez. Lavoro, 23 gennaio 1997, n. 712), a cui tra l'altro questo Giudice ritiene di uniformarsi, atteso altresì l'orientamento della Corte d'Appello di Lecce (Appello Lecce, 18 settembre 2008, n. 568; Appello Lecce, 22 ottobre 2004), le dichiarazioni rese da una parte all'altra in sede transattiva non integrano confessioni, per mancanza di "animus confitendi" (intenzione cioè di ammettere un fatto sfavorevole al dichiarante) ed essendo invece strumentali al proposito di evitare la lite attraverso reciproche concessioni. La predetta comunicazione si sostanzia pertanto in una semplice asserzione di debito (e naturalmente in una proposta in ordine alle modalità di pagamento), integrando una semplice dichiarazione di volontà (forzata) dei Sigg.ri Tamiano e Longo con la quale indirettamente assumono di essere debitori, ma non certo di scienza e coscienza. La prova evidente di ciò è la loro effettiva e reale posizione creditoria e non debitoria nei confronti della banca. E' improduttiva di effetti la promessa di pagamento o la ricognizione di debito la cui fonte sia un negozio nullo (Cassazione Civile del 1986 n. 855), quale appunto deve ritenersi, nel caso specifico, il contratto di conto corrente n. 181262 (poi 018 01 00262 65, quindi 00262/65 nonché 304 10100262). Infatti nell'atto di citazione gli attori proponevano le domande relative alla nullità delle clausole concernenti gli interessi "uso piazza" e la capitalizzazione trimestrale ed alla non spettanza della commissione di massimo scoperto e dei giorni valuta. Infine, si è visto, non esisteva alcun debito nei confronti della banca e, dunque, non ha alcuna validità un negozio volto a consolidare una diritto inesistente.
Sull'eccezione di pagamento degli interessi ultralegali quale adempimento di una obbligazione naturale.
Tale eccezione non può trovare accoglimento. Infatti non è applicabile alla fattispecie l'art. 2034 cod. civ., alla cui stregua il debitore che abbia pagato interessi superiori al tasso legale non pattuiti per atto scritto, a norma dell'art. 1284 c.c., non può ripeterne l'importo, dovendo tale pagamento essere qualificato come adempimento di un'obbligazione naturale, poiché nel caso in esame non c'è stato un pagamento "spontaneo", avendo la banca proceduto di sua iniziativa e senza alcuna autorizzazione dei Sigg.ri Tamiano e Longo all'addebito sul conto di quest'ultimo di interessi in misura ultralegale. "Ad escludere tuttavia la fondatezza di tale tesi è il fatto che l'operatività dell'istituto in esame presuppone che il pagamento sia spontaneamente eseguito, circostanza che non si verifica nel caso in cui è la banca che procede all'addebito degli interessi ultralegali sul conto corrente del cliente per sua esclusiva iniziativa e senza autorizzazione alcuna da parte del medesimo cliente; non è ravvisabile alcuna ottemperanza ad un dovere morale, ma solo contrattuale sul presupposto della ritenuta legittimità della clausola (Tribunale di Velletri, Sent. 18 marzo 2009 n. 548). Le obbligazioni naturali vengono definite come obbligazioni che trovano il loro fondamento nei doveri morali e sociali generalmente sentiti e diffusi, è pertanto, inesatto parlare di obbligazione naturale nel rapporto bancario con riferimento agli interessi anatocistici e ultralegali non pattuiti.
Esaurita la disamina delle questioni pregiudizialie/o preliminari e rigettate tutte le relative eccezioni formulate dalla banca convenuta, questo giudice, passando al merito, ritiene di dover dichiarare l'illegittimità delle condizioni applicate al contratto di conto corrente per cui è causa, con particolare riferimento alla pattuizione degli interessi ultralegali attraverso il rinvio alle c.d. "uso piazza", alla capitalizzazione trimestrale dei medesimi interessi, all'applicazione della CMS, delle valute. e delle spese del conto corrente.
Nullità dell'interesse "uso Piazza" . Va rilevata la fondatezza della nullità della clausola, secondo la quale gli interessi dovuti dal correntista all'azienda di credito, salvo patto diverso, si intendono determinati alle condizioni pratiche usualmente dalle aziende di credito sulla piazza.
In proposito va osservato che la giurisprudenza si è da tempo orientata nel senso di ritenere tali clausole nulle per contrasto con la previsione di cui all'art. 1346 c.c. poiché riferendosi genericamente agli interessi usualmente praticati su piazza non distinguono fra le varie categorie di essi e dunque non consentono di stabilire a quale previsione le parti abbiano in concreto inteso riferirsi (Cassazione civile , sez. I, 08 maggio 2008, n. 11466; Cassazione civile , sez. I, 10 maggio 2007 , n. 10692; Cass. 1 2 2002 n. 1287; Cass. 18 4 2001 n. 5675; Cass. 19 7 2000 n. 9465). Una clausola contenente un generico riferimento "alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza" può, pertanto, ritenersi univoca se coordinata alla esistenza di vincolanti discipline fissate su larga scala nazionale con accordi di cartello, ma non anche quando tali accordi contengano riferimenti a diverse tipologie di tassi e non consentono, per la loro genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso fare concreto riferimento (cfr. ex pluris v. Cass. 31.1.2006, n. 2140).
Ragion per cui, sia prima che dopo l'entrata in vigore della L. n. 154/92, le clausole in oggetto devono considerarsi inefficaci, con la conseguenza che al contratto, privato della clausola nulla, si applicano gli interessi legali ex art. 1284 c.c. fino all'entrata in vigore della L. n. 154/92 ( nel caso in esame dall'inizio del rapporto - primi anni '70 al 8.07.1992 si applicano gli interessi legali ex art. 1284); per il periodo successivo si applicano i tassi di cui all'art. 117 n. 7 lett.A) del T.U.B. variandoli annualmente (Tasso dei BOT annuali). Poiché il conto corrente bancario è un rapporto di durata, caratterizzato da molteplici operazioni poste in essere in presenza di continue variazioni dei tassi di interesse determinate dalle mutevoli condizioni del mercato, il valore minimo e massimo dei BOT, indicato dall'art. 117 T.U.B. quale parametro da applicare nel caso di nullità delle clausole di determinazione del tasso di interesse, deve essere riferito ai dodici mesi precedenti ogni chiusura trimestrale o annuale dei conti e non ai dodici mesi precedenti la conclusione del contratto. (Tribunale di Mondovì, 17 febbraio 2009). Il ricalcolo degli interessi a norma dell'art 117 del decreto legislativo n 385 del 1993 deve essere effettuato applicando il tasso massimo ivi previsto ai saldi creditori (debitori per la banca) e quello minimo ai saldi debitori (creditori per la banca) e ciò in quanto la norma costituisce una sanzione per gli istituti di credito (cfr. Tribunale di Verbania, 10 dicembre 2007 n. 856).
Sulla capitalizzazione trimestrale degli interessi. In ordine alla questione della capitalizzazione degli interessi, deve poi essere dichiarata la illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, per violazione dell'art. 1283 c.c.. Con riferimento a tale questione, è noto l'indirizzo più recente della Suprema Corte, che ha ritenuto nulla la previsione contenuta nei contratti di conto corrente bancario, avente ad oggetto, appunto, la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, giacché essa si basa su un mero uso negoziale e non su una vera e propria norma consuetudinaria, ed interviene anteriormente alla scadenza degli interessi. In tal senso Cass. Civile Sezioni Unite del 4 novembre 2004, n. 21095: << gli usi contrari suscettibili di derogare al precetto dell'art. 1283 c.c., sono non i meri usi negoziali di cui all'art. 1340 c.c. ma esclusivamente i veri e propri usi normativi, di cui agi artt. 1 e 8 disp. Prel. Cod. civ., consistenti nella ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica di un determinato comportamento (usus), accompagnato dalla convinzione che si tratta di comportamento (non dipendente da un mero arbitrio soggettivo ma) giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme a una norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell'ordinamento giuridico (opinio iuris ac necessitatis)..." … dalla comune esperienza emerge che i clienti si sono nel tempo adeguati all'inserimento della clausola anatocistica non in quanto ritenuta conforme a norme di diritto oggettivo già esistenti o che sarebbe auspicabile fossero esistenti nell'ordinamento, ma in quanto comprese nei moduli predisposti dagli istituti di credito, in conformità con le direttive dell'associazione di categoria, in suscettibili di negoziazione individuale e la cui sottoscrizione costituiva al tempo stesso presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari">>. A regolare la materia è poi intervenuto l'art. 25 del D. Lgs. 4/9/99 n. 342 che, innovando la rubrica dell'art. 120 T.U. - "Decorrenza delle valute e modalità di calcolo degli interessi" - ha aggiunto al comma 1 dell'art. 120 due nuove disposizioni alla stregua delle quali "il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria", prevedendo in ogni caso che "nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori. Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci sino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà altresì le modalità ed i tempi dell'adeguamento. In difetto di adeguamento le clausole divengono inefficaci e l'inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente". Peraltro la Corte Costituzionale, come è noto, con sentenza 17/10/2000 n. 425 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 25, comma 3, d. lgs. 4/8/99 n. 342 citato (contenente modifiche al decreto legislativo 1/9/93 n. 385, recante il T. U. delle norme in materia bancaria e creditizia), per contrasto con gli artt. 3, 24, 76, 77 101, 102, 104 Cost., nella parte in cui stabilisce che le clausole riguardanti la produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera del CICR relativa alle modalità e criteri per la produzione di interessi su interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, siano valide ed efficaci fino a tale data e che, dopo di essa, debbono essere adeguate (a pena di inefficacia da farsi valere solo dal cliente) al disposto della menzionata delibera, con le modalità ed i tempi ivi previsti. Per effetto di tale pronuncia, le clausole anatocistiche restano quindi disciplinate, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, dalla normativa anteriormente in vigore, alla stregua della quale esse (basate su un uso negoziale anziché su una norma consuetudinaria) sono da considerarsi nulle, perchè stipulate in violazione dell'art. 1283 c.c. (Cass. 28/3/2002 n. 4490). Mentre la produzione degli interessi sugli interessi è divenuta legittima in materia bancaria con la delibera CICR 9/2/2000, per cui le clausole anatocistiche preventive contenute nei contratti di conto corrente (art. 2) e nei mutui (art.3) stipulati dal 22/4/2000 in poi, data di entrata in vigore di detta legge, sono valide ed efficaci purchè: a) siano espressamente indicati la periodicità di capitalizzazione degli interessi ed il tasso di interesse applicato, anche sotto forma di TAE - tasso annuo effettivo che tenga conto dell'anatocismo; b) nel singolo conto corrente sia stabilita la stessa periodicità del conteggio degli interessi creditori e debitori; c) siano specificamente approvate per iscritto dal cliente, segnalando che sulla specificità dell'approvazione vale quanto elaborato dalla giurisprudenza per le clausole vessatorie di cui all'art. 1341 comma 2 c.c. Alla luce, quindi, di tali orientamenti, condivisi da questo Giudice, si ritiene dover dichiarare la nullità, nella specie, della previsione contrattuale relativa alla capitalizzazione trimestrale. Nel caso in esame la banca non ha adempiuto agli obblighi imposti dalla deliberazione del Circ, in quanto ha semplicemente comunicato alla società attrice una lettera circolare sulla periodicità di capitalizzazione degli interessi, allegandovi un estratto, senza procedere alla determinazione per iscritto delle nuove condizioni. Non vale a legittimare l'applicazione di interessi anatocistici il richiamo analogico alla disposizione dell'art. 1831 Cod. civ. in tema di chiusura periodica del conto corrente ordinario, attesa la specificità della disciplina del conto corrente bancario e il mancato inserimento di tale norma tra quelle estese dall'art. 1857 cod. civ. al conto corrente bancario e neppure nell'ambito del rapporto di conto corrente bancario è possibile ricorrere al criterio di imputazione previsto dall'art. 1194 cod. civ. utilizzando, ex post, le rimesse effettuate sul conto per estinguere gli interessi passivi giorno per giorno maturati, in quanto detto criterio è stato disapplicato nel corso del rapporto dallo stesso istituto di credito e non può certo il giudice supplire d'ufficio a tale scelta d'imputazione. Infine, questo Giudice, prendendo atto del recente mutamento della Giurisprudenza di merito (App. Lecce, sent. n. 97/2009; Trib. Lecce sent. N. 11/09; ma anche App. Torino, sent. n. 64/02, ed argomentando Cass. S.U. n. 9653/01 e Cass. Civ. n. 14688/03), condivide l'orientamento per il quale atteso che la contrarietà alla norma imperativa di cui all'art. 1283 c.c. involge l'intero contenuto della stessa, deve ritenersi nulla, in generale, la pattuizione dell'anatocismo e quindi di ogni tipo di capitalizzazione degli interessi, compresa quella a favore del correntista, conclusa anch'essa ex ante il maturarsi dell'interesse. Pertanto è illegittima ogni pattuizione di interesse composto (annuale, semestrale, ecc..) avvenuta anteriormente al maturarsi dello stesso interesse in quanto espressamente vietata dall'art. 1283 c.c.
Sulla Commissione di Massimo Scoperto. La c.m.s., al pari di ogni altra condizione contrattuale, deve essere determinata o almeno determinabile al momento in cui il contratto è stato concluso. Pertanto, operando un richiamo a tutte le considerazioni svolte sulla nullità della clausola di rinvio agli interessi uso piazza, può concludersi che tale nullità non può che riguardare, nel caso di specie, anche la pattuizione della c.m.s., stante la mancanza di elementi certi e predeterminati per la sua concreta quantificazione (cfr. da ultimo Cassazione civile , sez. I, 08 maggio 2008, n. 11466), La nullità dell'addebito delle commissioni di massimo scoperto va dichiarata anche perché queste oltre a non essere espressamente previste nel contratto, costituiscono una indebita integrazione del tasso di interesse applicato. L'art. 7 dell'impugnato rapporto non fa alcun riferimento alle c.m.s., parlando genericamente di commissioni da applicarsi nella misura stabilita, escludendo, poi, di fatto il riferimento ad usi o altro. Nell'ipotesi de quo, la banca non ha previsto alcuna remunerazione dovuta per commissione di massimo scoperto, infatti, non vi è alcun riferimento quantitativo numerico o per relationem per detta commissione. Tuttavia, al di là della previsione e quantificazione di detta commissione, va detto che la stessa risulta, allo stato, privata dell'originaria causa di remunerazione dello scoperto accordato e non utilizzato. Ecco perché la maggior parte della giurisprudenza la ritiene comunque invalida e priva di effetti giuridici: "Quanto alle commissioni di massimo scoperto, dall'esame del contratto non risulta prevista alcuna pattuizione a riguardo, sicché nulla è dovuto per il relativo titolo trattandosi peraltro di ulteriore voce di addebito nulla per mancanza di causa poiché sostanziantesi in un ulteriore e non pattuito aggravio di interessi corrispettivi rispetto a quelli convenzionalmente pattuiti per l'utilizzazione dell'apertura di credito (sul punto cfr. Trib. Lecce, 11.5.2005, Pensa e/ MPS GCB s.pa.." Tribunale di Lecce, 14 gennaio 2009, n. 11. Questo giudice ritiene pertanto di doversi dichiarare la nullità della clausola che prevede l'applicazione delle c.d. c.m.s.
Le parti attrici hanno anche sollevato la questione dell'invalidità dell'addebito delle c.d. "valute fittizie", ossia del non condivisibile metodo che la banca utilizza per protrarre fittiziamente i giorni solari del prestito dell'utente, favorendo l'aumento degli interessi debitori in favore di essa per un periodo temporale in cui prestito non c'è stato. Deve convenirsi con gli attori e con la Giurisprudenza di legittimità (Cfr., C.Cass. Civ., n. 2545/72) che vada considerata soltanto la 'data' di ciascuna operazione e non già la 'valuta', posto che, ai sensi dell'art. 1852 c.c., il correntista può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito dal conto. Va certamente condiviso l'orientamento giurisprudenziale, secondo il quale - per quanto riguarda i prelevamenti - si deve riportare la valuta corrispondente al giorno del pagamento dell'assegno, ovvero del giorno in cui la banca perde effettivamente la disponibilità del denaro; mentre, per quanto riguarda i versamenti, si riporta la valuta corrispondente al giorno in cui la banca acquista effettivamente la disponibilità del denaro ( Sul punto, si vedano, Trib. Civ. Lecce, sent. del 17.6.2003 n. 1736; C. Cass., Sez. I Civ., sent. 26.7.1989, n. 3507; C. Cass. Civ., 29.6.1981 n. 4209 e 20.2.1988, n. 1764; C. Cass. Civ., Sez. I, 10.9.2002, n. 13143). Di qui, la necessità di computare le operazioni di accredito effettivo delle valute dal giorno in cui la banca ha acquisito o perduto la disponibilità dei correlativi importi, ovvero, dato che è fatto notorio che tutte le operazioni avvengono dagli anni '80 in tempo reale, data la totale informatizzazione del sistema bancario, dal giorno dell'operazione. La valuta fittizia, a ben vedere, costituisce un artificio per il quale la durata dell'anno solare viene fittiziamente allungata, addebitando interessi debitori non dovuti, o accorciata nell'ipotesi inversa di accredito di interessi creditori per l'utente. Questo Giudice ritiene, dunque, che l'addebito di interessi per valute, fittiziamente appostate, è invalido per mancanza di valida giustificazione causale (cfr. da ultimo Appello Lecce, 19 febbraio 2009, n. 97).
Sulle Spese forfetarie. Del pari, non risulta contrattualmente convenuto il pagamento di altri oneri accessori, sicché nulla è dovuto alla banca a tale titolo ed in maniera particolare le c.d. spese forfettarie. Sul punto è intervenuta anche una recente sentenza della S.C.: "In relazione alla declaratoria di nullità della clausola relativa alle spese ed alle commissioni bancarie, la ricorrente denunzia vizi motivazionali, essenzialmente ricondotti all'assenza di chiarimenti sul perchè la nullità della clausola inerente gli interessi uso piazza o l'anatocismo avrebbe dovuto coinvolgere anche le eventuali variazioni, nel corso del rapporto, di dette voci, variazioni peraltro assistite dalla garanzia del recesso in caso di disaccordo. La censura non ha pregio. Contrariamente all'assunto, i giudici di merito risultano (pag. 10 dell'impugnata sentenza), infatti, avere congruamente e logicamente esplicitato le ragioni per le quali la clausola pure in riferimento alle voci in argomento era affetta da nullità per indeterminatezza ed indeterminabilità dell'oggetto, oltre ad avere rilevato l'assenza delle comunicazioni al cliente delle variazioni intervenute nel corso del rapporto, prescritte dal R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, art. 118 del T.U. bancario. (Cassazione civile , sez. I, 08 maggio 2008, n. 11466).
Sulla Segnalazione alla Centrale Rischi. Come noto, la Centrale dei Rischi è un sistema informativo obbligatorio per il ceto bancario sull'indebitamento della clientela delle banche e degli intermediari finanziari vigilati dalla Banca d'Italia. Attraverso tale servizio centralizzato dei rischi, la Banca d'Italia, su puntigliosa segnalazione degli stessi istituti di credito, fornisce agli intermediari partecipanti al sistema un' informativa utile per la valutazione del merito di credito della clientela e, in generale, per l'analisi e la gestione del rischio di credito. Si tratta di un servizio gestito dalla Banca d'Italia e disciplinato nell'art. 53 del Tub e dalla delibera del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR) del 29 marzo 1994 e dalle Circolari emanate dalla Banca d'Italia fra le quali vi è la circolare n, 139 dell'11 febbraio 2004. Sono obbligati ad effettuare le segnalazioni alla Centrale dei Rischi i soggetti titolari del credito, i quali comunicano alla Banca d'Italia informazioni sulla loro clientela e ricevono, con la medesima periodicità con cui sono raccolte, informazioni sulla posizione debitoria verso il sistema creditizio dei nominativi segnalati e dei soggetti a questi collegati. A livello quantitativo vengono le banche forniscono alla Centrale i dati come evidenziati negli estratti conto trimestrali, aggiungendo a volte delle valutazioni sulla tipologia di rischio. Sulla base della suesposta normativa emerge che, in presenza di certe condizioni (quali l'esistenza di affidamenti e di garanzie personali, nonché di crediti passati a perdita), la segnalazione del nominativo alla Centrale Rischi è un atto dovuto dalla Banca titolare del credito. Pertanto lo fanno tutte le banche che comunicano alla Banca d'Italia le esposizioni come rilevate dagli e/c bancari: assumendosi ovviamente ogni rischio derivante dalla veridicità degli stessi. Risulta evidente, dunque, che al di là del fatto di qualificare un utente come a sofferenza o meno, anche la semplice errata evidenza di una posizione debitoria ha l'effetto di "saturare" la possibilità di credito di un utente. Nel caso in esame Banca Carime, a causa degli errati saldi derivanti dagli e/c, ha fornito per anni, a tutto il ceto bancario, dati debitori falsati ai danni degli utenti che hanno visto oggettivamente compromessa la loro posizione creditoria. La suddetta erronea ed illegittima segnalazione ha determinato, quindi, un danno non patrimoniale per gli istanti che è in re ipsa, in quanto indubbiamente ricorre una lesione alla reputazione ed all'immagine dei soggetti segnalati e, cioè, una diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di specifiche categorie di essi con i quali gli istanti operano. Tale danno può essere liquidato equitativamente nella complessiva somma di euro 2.000,00 comprensiva di interessi e rivalutazione, che può ritenersi adeguata all'importanza ed entità del fatto ed al periodo di permanenza dell'erronea segnalazione. (Tribunale di Lucera - Dott. A. Chirulli, sent. 89 del 10 marzo 2009).
Quanto all'esito della CTU, non vi è ragione alcuna per metterne in discussione gli inequivoci risultati, trattandosi di meri calcoli contabili svolti dal consulente, in ausilio del giudice, sulla base della documentazione prodotta e/o esibita dalle parti.

Il G.O.T.

definitivamente pronunciando sulla domanda proposta, con atto di citazione, da Cosimo TAMIANO e Longo Maria IMMACOLATA nei confronti della Banca Carime S.p.a. (già CASSA DI RISPARMIO DI PUGLIA) in persona del legale rappresentante pro tempore, e sulla base dei risultati riportati dalla CTU, così provvede:
1) in accoglimento alla domanda attorea, dichiara la nullità parziale del contratto di c/c n. 181262 (poi 018 01 00262 65, quindi 00262/65 nonché 304 10100262) acceso da TAMIANO Cosimo presso la ex Cassa di Risparmio di Puglia Spa (oggi, Banca Carime Spa) in relazione alle clausole di determinazione e di applicazione degli interessi ultralegali, all'applicazione dell'interesse anatocistico con capitalizzazione trimestrale, all'applicazione della provvigione di massimo scoperto e delle spese non pattuite;
2) dichiara che Banca Carime S.p.a. è debitrice di TAMIANO Cosimo della somma complessiva di € 52.734,29, oltre interessi legali semplici e rivalutazione monetaria dal 31 dicembre 2001 sino al soddisfo e per l'effetto condanna la banca convenuta, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla restituzione di tale somma in favore dell'attore;
3. condanna Banca Carime S.p.a., al risarcimento del danno in re ipsa subito da TAMIANO Cosimo e LONGO Maria Immacolata per la errata segnalazione alla Centrale Rischi presso la Banca d'Italia che viene equitativamente determinato in € 2.000,00 ciascuno;
4. condanna Banca Carime S.p.A. al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi € 10.352,80, di cui € 352,80 per spese borsuali, € 3.000,00 per diritti, € 7.000,00 per onorario, oltre al rimborso spese generali, CAP e IVA come per legge, da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario;
5. pone definitivamente a carico di Banca Carime Spa le spese di CTU.
Lecce - Campi Salentina, 09 luglio 2009
Il Giudice
Dott. Gabriella NOCERA



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