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Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2007
XXII
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Bari
Sezione distaccata di Rutigliano
II Giudice Onorario Avv. Pietro MASTRONARDI,in funzione di Giudice Unico del Tribunale di Bari, Sezione distaccata di Rutigliano,ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 160/01 promossa da
Giovanni MANCOe ssa Giulia Grazia Rita GIGANTE, rappresentati e difesi dagli Avv.ti Valeria LO VECCHIO ed Antonio TANZA, come da mandato a margine dell'originale dell'atto di citazione,
ATTORI
di Napoli S.p.a., in persona dei legali rappresentanti della Filiale di Monopoli, rappresentato e difeso dall'Avv. Gianni ANTONUCCI, come da procura speciale in calce all'atto di citazione
CONVENUTO
: ripetizione di indebito
CONCLUSIONI:
gli attori: “… che l'On. Giudice adito accolga le conclusioni così come presentate in atti….”;
per il convenuto: “… riporta alle conclusioni già anticipate nella comparsa di risposta e in tutti i successivi scritti difensivi”
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con di citazionenotificato in data 27 marzo 2001, i sigg.ri Giovanni MANCO e Giulia Grazia Rita GIGANTE convenivano in giudizio il di NAPOLI S.p.A. dinanzi all'On. Tribunale Civile di Bari - Sezione distaccata di Rutigliano, per sentire accogliere le seguenti conclusioni:“Voglia l'On.le Tribunale adito, respinta ogni altra istanza, in accoglimento dei motivi su esposti: 1. e : a)l'invalidità a titolo di nullità parziale del contratto di apertura di credito mediante affidamento con scopertura sul /c n. 18/3,girocontanto, per esclusiva volontà della banca, prima sul /c n. 18/204ed infine sul /c n. 26/55, oggetto del rapporto tra Arch. Giovanni MANCO e la banca, particolarmente in relazione alle clausole di determinazione e di applicazione degli interessi ultralegali, della determinazione ed applicazione dell'interesse anatocistico con capitalizzazione trimestrale, all'applicazione della provvigione di massimo scoperto, all'applicazione degli interessi per c.d. giorni - valuta, dei costi, delle competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese; 2. e , per l'effetto, l'esatto dare - avere tra le parti in base ai risultati del ricalcolo che potrà essere effettuato in sede di C.T.U. tecnico-contabile e sulla base dell'intera documentazione relativa al rapporto di apertura di credito; 3. il costo effettivo annuo dell'indicato rapporto bancario;4. e , previo accertamento del Tasso effettivo globale, la nullità e l'inefficacia di ogni e qualsivoglia pretesa della convenuta banca per interessi, spese, commissioni, e competenze per contrarietà al disposto di cui alla legge 7 marzo 1996 n. 108, perché eccedente il c.d. tasso soglia nel periodo trimestrale di riferimento, con l'effetto, ai sensi degli artt. 1339 e 1419 c.c., della applicazione del tasso legale in regime di contabilizzazione semplice annuale; 5. la convenuta banca alla restituzione della somme illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre agli interessi legali creditori in favore dell'odierno istante; 6. in ogni caso, la banca convenuta al risarcimento dei danni patiti dall'attore, in relazione agli1337, , 1366,c.c., da determinarsi in via equitativa; 7. la banca al risarcimento dei danni subiti dagli esponenti a seguito della eventuale ed illegittima segnalazione alla Centrale rischi presso la Banca d'Italia a motivo del rischio a sofferenza falsamente quantificato. 8. in ogni caso la parte soccombente al pagamento delle spese e competenze di giudizio”.Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data giugno 2001si costituiva in giudizio il di Napoli Spa, chiedendo rigetto della domanda perchè assolutamente infondataA seguito dell'istruttoria, durante la quale veniva altresì ammessa CTU contabile, all'udienza del maggio 2006, la causa sulle conclusioni come in epigrafe precisate, veniva riservata per la decisione con i termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
DELLA DECISIONE
Il presente giudizio prende le mosse dalla contestazione dal contratto regolante il rapporto di apertura di credito con affidamento mediante scopertura, intestato all'arch. Manco e garantito dalla moglie Gigante, su c/c n. 18/3 sorto in data 23 maggio 1984, successivamente in data 26 aprile 1991 sul conto n. 18/204. ed infine in data 23 giugno 1993 sul c/c n. 26/55. In breve, gli attori contestavano alcune voci dei predetti conti che, a loro dire, nonostante i numerosi pagamenti alla banca, avevano fatto lievitare l'esposizione debitoria. In particolare si contestava l'applicazione di interessi ultralegali in assenza di previsione scritta e determinata, di voci di spesa quali la commissione di massimo scoperto, non dovute, di un criterio diverso e più svantaggioso per il cliente per il calcolo dei giorni valuta e della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, anch'essa ritenuta contraria al divieto normativo dell'anatocismo. Orbene, l'esame delle innumerevoli questioni, sollevate e trattate da entrambe le parti in causa con dovizia di particolari, non può prescindere dalla verifica della fondatezza delle questioni preliminari sollevate dalla banca convenuta.
Assolutamente destituita di fondamento risulta l'eccezione di nullità della domanda ex art. 164 c.p.c. formulata dal convenuto istituto di credito nella propria comparsa di risposta e poi non coltivata. Parte attrice, infatti, nel proprio atto introduttivo ha compiutamente descritto il complesso rapporto bancario intercorso con l'istituto di credito, indicando per ciascuna delle contestazioni mosse, clausole impugnate secondo il riferimento numerico riportato nel capitolato delle condizioni generali dei contratti di c/c, ovvero rispettivi addebiti nei c/c effettuati in difetto di qualsivoglia accordo negoziale, norme di legge pacificamente violatenella considerazione dell'interpretativo riferito dal consolidato indirizzo di Giurisprudenza di legittimità ivi riportatoCon la recente sentenza del 17 maggio 2007, n. 1008, il Tribunale di Lecce - Giudice Dott.ssa Consiglia Invitto, ha così chiaramente statuito: “preliminarmente disattesa l'eccezione di nullità della domanda contenuta nell'atto di citazione, atteso che la stessa non solo appare conforme al dettato degli art. 163 e ss. c.p.c., ma la costituzione del convenuto, che ha svolto compiutamente le sue difese smentisce altresì che l'atto introduttivo non fosse idoneo allo scopo cui era preordinato”.
Prima di procedere al vaglio delle anzidette censure sollevata da parte attrice, va esaminata l'ulteriore eccezione formulata dalla convenuta banca.
Non può, infatti, neppure essere condiviso l'assunto della banca secondo cui con la comunicazione dell'8 aprile 1998 il Manco ha riconosciuto la legittimità del tasso ultralegale applicato dalla banca e mai convenuto. Come noto con nota raccomandata datata 3 aprile 1998 la banca comunicava la revoca dei fidi a suo tempo concessa. Alla predetta comunicazione riscontrava il Manco in data 8 aprile 1998, formulando una proposta di smobilizzo esposizione c/c n. 26/55 nella quale è dato leggere: … prendere atto della Vs decisione unilaterale, e pur evitando ogni commento circa il comportamento da Voi adottato nei miei confronti, sono a proporVi di voler congelare l'attuale esposizione di lire 49.849.309 e concedere un rientro in 18 rate mensili consecutive di lire 2.750.000 la prima a scadenza il 31 maggio 1998 e l'ultima di lire 3.500.000 il 31 ottobre 1999. Il successivo piano di smobilizzo non contiene alcuna data. Il tasso indicato e pari all'11,75% non può certo riferirsi al tasso da applicarsi ad un rapporto sorto in data 1984. E' poi controparte a ritenere che lo stesso costituirebbe, al massimo, il tasso di mora, quindi successivo alla revoca del fido, e non certo il tasso debitore. E' pacifico, quindi, che la predetta dichiarazione seguì all'intimazione della Banca stessa di ripiano della posizione debitoria per il citato importo con l'avvertimento che, in difetto, sarebbero state avviate azioni legali. Una dichiarazione poi che, per stessa ammissione di controparte rientrerebbe nell'ambito dell'art. 1988 c.c., che disciplina la promessa di pagamento e la ricognizione di debito, e non certo costituente confessione. Orbene per Giurisprudenza costante (Cassazione Civile, 2 luglio 1987, n. 5776, Cassazione Civile, Sez. Lavoro, 23 gennaio 1997, n. 712), a cui tra l'altro il Giudice ritiene di uniformarsi, le dichiarazioni rese da una parte all'altra in sede transattiva non integrano confessioni, per mancanza di “confitendi” (intenzione cioè di ammettere un fatto sfavorevole al dichiarante) ed essendo invece strumentali al proposito di evitare la lite attraverso reciproche concessioni. La predetta comunicazione si sostanzia pertanto in una semplice asserzione di debito (e naturalmente in una proposta in ordine alle modalità di pagamento), integrando una semplice dichiarazione di volontà del Manco, con la quale indirettamente assume di essere debitore, e non certo di scienza. Ne consegue che, concretando la lettera dell'8 aprile 1998 (la successiva è priva di data) una ricognizione di debito, va escluso che essa costituisca fonte di obbligazioni nuove ed autonome, dovendosi attribuirle valore meramente confermativo di un preesistente rapporto fondamentale con il limitato effetto di dispensare colui a favore del quale è stata emessa dall'onere di fornire la prova e di porre a carico della controparte l'onere di dimostrare l'insussistenza del rapporto suddetto ovvero l'invalidità di esso nella sua interezza ovvero delle clausole dedotte come nulle o applicate in assenza di pattuizione: in altri termini la prova contraria può riguardare tutti gli aspetti rilevanti relativi al rapporto sottostante. Ed è improduttiva di effetti la promessa di pagamento o la ricognizione di debito la cui fonte sia un negozio nullo (Cassazione Civile del 1986 n. 855), quale appunto devono ritenersi, nel caso specifico, i contratti di conto corrente susseguitisi nel corso del rapporto. E nel proprio atto di citazione gli attori proponevano le domande relative alla nullità delle clausole concernenti gli interessi “uso piazza” e la capitalizzazione trimestrale ed alla non spettanza della commissione di massimo scoperto e dei giorni valuta. Di recente, la di Cassazione, sezione prima, sentenza n. 870 del 16 gennaio 2006, sul punto ha così statuito: “riconoscimento del debitocostituisce infatti un'autonoma fonte di obbligazione ma si risolve semplicemente sul piano probatorio in una inversione dell'onere della prova che non incide sull'eventuale nullità delle clausole contrattuali di cui si discuteche riguardano, oltre tutto, rapporti di conto corrente ben distinti da quello cui farebbe riferimento la lettera, relativa ad una richiesta di mutuo fondiario. La controversia in esame, che ha ad oggetto richieste di pagamento di crediti maturati nell'ambito di due conti correnti bancari, non pone del resto questioni in ordine alla prova ma solo di validità delle clausole da cui si assume detti crediti siano stati originati”.
meritoil presente giudizio è volto ad accertare l'invalidità e nullità parziale dei contratti regolanti il rapporto di apercredito, che anche se regolato nel tempo da tre differenti moduli contrattuali è in realtà unitario, costituendo infatti l'ultima rimessa di un conto la prima del successivo. Risulta incontestato che la lettera di accensione del c/c di corrispondenza del 23 maggio 1984, disciplinante il contratto di apertura di credito con scopertura sul conto corrente n. 18/3, così come la lettera di accensione del conto corrente 18/204 del 19 marzo 1991, fanno riferimento, ai fini della determinazione del tasso di interesse applicato al rapporto, alle "praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza". Orbene, secondo l'ormai prevalente giurisprudenza sia di legittimità che di merito, in materia di interessi ultralegali, il rinvio alle condizioni praticamente usualmente dall'azienda di credito sulla piazza (art. 57 bis norme bancarie uniformi) non è sufficiente a soddisfare l'onere della forma scritta richiesto dall'art. 1284 comma 3 c.c., perché sfornito dei requisiti minimidi determinatezza o determinabilità dell'oggetto, essenziale per la validità del contratto. Del resto, il divieto di rinvio agli usi è stato espressamente sancito dalla legge n. 154/92, che ha definitivamente determinato la scomparsa dalla modulistica bancaria della clausola in parola. E con riferimento ai contratti sottoscritti precedentemente all'entrata in vigore della predetta legge, per l'appunto il caso che ci occupa, se è pur vero che era prevalente, soprattutto nella giurisprudenza di legittimità, la tesi secondo cui in ipotesi di rinvio relationemal saggio di interesse "praticato sulla piazza" l'oggetto del contratto non pativa nocumento alcuno in ordine al requisito della determinatezza o determinabilità, ciò in quanto l'obbligo previsto dall'art. 1346 c.c. era da ritenersi ugualmente rispettato, posto che nel documento contrattuale le parti indicavano criteri certi ed obiettivi che consentivano la concreta determinazione del tasso di interesse (Cass. 30/5/89 n. 2644; 25/8/92 n. 9839); è altresì indiscutibile che, la stessa giurisprudenza della Suprema Corte ha mutato indirizzo, sostenendo che la clausola di rinvio agli usi di piazza può ritenersi valida ed univoca solo se coordinata all'esistenza di vincolanti discipline fissate su larga scala nazionale con accordi interbancari, nel rispetto delle regole di concorrenza, e non quando tali accordi contengono riferimenti a tipologie di interessi praticati su scala locale e non consentano, per la loro genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso fare concreto riferimento (Cass. Civile, Sez. III, 02 ottobre 2003, n. 14684; Cassazione Civile, Sez. I, 6 dicembre 2002 n. 17338; Cass. Civ., Sez. I, 23 settembre 2002 n. 13823 e numerose altre). Costituisce poi onere della banca fornire la prova dell'univocità della fonte richiamata e, quindi, dell'oggettiva determinabilità del tasso, pur nella possibile previsione di variazioni in corso di rapporto. Tale onere si rinviene in via generale nella previsione di cui all'art. 2697 c.c., ma, in maniera ancora più specifica, nell'art. 1284 c.c., in quanto solitamente trattasi di interesse ultralegale, la cui determinazione deve essere operata per iscritto. Con la conseguenza che, qualora nel corso del rapporto sia intervenuta, sia pure per un certo periodo soltanto, l'applicazione di un tasso di interesse ultralegale, determinato relationemnei termini innanzi specificati, il saldo finale del conto risulta inficiato nella sua veridicità. A nulla rileva poi che, sempre nel corso del rapporto, sia eventualmente intervenuta tacita approvazione dell'estratto conto. Secondo l'opinione assolutamente prevalente, lo stesso è considerato mero documento contabile, precisandosi che le relative operazioni bancarie in esso riassunte e menzionate (prelevamenti e versamenti), a differenza del conto corrente ordinario, non danno luogo alla costituzione di autonomi rapporti di credito o debito reciproci tra il cliente e la banca, ma rappresentano l'esecuzione di un unico negozio, da cui derivano il credito ed il debito della banca verso il cliente. Pertanto la mancata tempestiva contestazione dell'estratto conto trasmesso da una banca al cliente rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo meramente contabile, ma non sotto quelli della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano (in tal senso la Cassazione,cons18 gennaio 2006, n. 870,“poi al secondo profilo relativo alla rilevanza delle scritture contabili non contestate, correttamente la Corte d'Appello ha richiamato il , costantemente affermato in giurisprudenza, secondo cui una omissioneda parte del correntista inoppugnabili gli addebiti sotto il profilo meramente contabile ma non sotto quello della validità e dell'efficacia dei rapporti obbligatori da cui derivano le partite inserite(per tutte Cass. 12507/99; 18626/03)”. Pertanto la nullità della predetta clausola è incontestabile, non soddisfacendo il criterio della determinazione scritta dell'interesse ultralegale. L'assoluta mancanza di una valida pattuizione dell'interesse ultralegale comporta l'applicazione ai sensi dell'art. 1284, III comma, c.c. e per tutta la durata dello stesso del solo interesse al tasso legale. Proprio il Tribunale di Bari, a cui codesto scrivente appartiene ha chiarito che …Il C.T.U., avendo rilevato il costante superamento del tasso debitore di legge, nell'effettuare il calcolo della posizione debitoria del correntista scaturente dal contratto di c/c e dalla successiva apertura di credito, ha correttamente applicato il tasso passivo pari a quello legale vigente pro-tempore, in ossequio alla giurisprudenza della S. C. in tema di sostituzione delle clausole nulle con quelle legali già innanzi richiamata.Non può invece essere applicato, quale tasso sostitutivo rispetto al saggio illegittimo c. d. “uso piazza”, quello previsto dall'art. 117 co 7° del D. Leg.vo n. 385/93: trattasi, infatti, di norma priva di effetti retroattivi, come stabilisce espressamente l'art. 161 co 6° s. 1., secondo cui “i contratti già conclusi ed i procedimenti esecutivi in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo restano regolati dalle norme anteriori” (cfr., a conforto della tesi qui seguita dell'irretroattività del c.d. tasso sostitutivo, Cassaz. Civ., Sez. III, 18/4/2001 n. 5675).TRIBUNALE di BARI - Dott. S.U. De Simone, 16 gennaio 2005, n. 90 - Pagliara c/ INTESA (ex Caripuglia). Parimenti anche con riferimento al conto n. 26/55 sorto in data 16 giugno 1996 e prosecuzione del conto n. 18/204 dovrà applicarsi il solo interesse al tasso legale. Il predetto rapporto, sorto in epoca successiva all'entrata in vigore della c.d. legge sulla trasparenza bancaria, n. 154 del 1992, risulta espressamente regolato dalla predetta legge, poi trafusa nel Decreto Legislativo n. 385 dell'1 settembre 1993, c.d. Testo Unico Bancario. Ai sensi del comma I dell'art. 117 del citato T.U.b. contratti sono redatti per iscritto…; il successivo comma III statuisce che in caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nulla. Attesa la nullità del contratto di apercredito per violazione della disposizione innanzi richiamata, si tratta infatti di una lettera di apercredito priva della sottoscrizione del Manco, la banca ha diritto alla restituzione del solo interesse al tasso legale.
Circa poi l'ulteriore questione sollevata dagli attori appare anzitutto fondata la censura relativa alla asserita illegittimità della cosiddetta capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, per violazione dell'art. 1283 c.c.. Orbene, con riferimento a tale questione, è oramai noto l'indirizzo più recente della Suprema Corte, che ha ritenuto nulla la previsione contenuta nei contratti di conto corrente bancario, avente ad oggetto, appunto, la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, giacché essa si basa su un mero uso negoziale e non su una vera e propria norma consuetudinaria, ed interviene anteriormente alla scadenza degli interessi (cfr. Cassazione Civile Sezioni Unite del 4 novembre 2004, n. 21095: “… gli usi contrari suscettibili di derogare al precetto dell'art. 1283 c.c., sono non i meri usi negoziali di cui all'art. 1340 c.c. ma esclusivamente i veri e propri usi normativi, di cui agi artt. 1 e 8 disp. Prel. Cod. civ., consistenti nella ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica di un determinato comportamento (usus), accompagnato dalla convinzione che si tratta di comportamento (non dipendente da un mero arbitrio soggettivo ma)giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme a una norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell'ordinamento giuridico (opinio iuris ac necessitatis). … dalla comune esperienza emerge che i clienti si sono nel tempo adeguati all'inserimento della clausola anatocistica non in quanto ritenuta conforme a norme di diritto oggettivo già esistenti o che sarebbe auspicabile fossero esistenti nell'ordinamento, ma in quanto comprese nei moduli predisposti dagli istituti di credito, in conformità con le direttive dell'associazione di categoria, in suscettibili di negoziazione individuale e la cui sottoscrizione costituiva al tempo stesso presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari”; ma altresì Cassazione Civile, sezione I, 16 marzo 1999, n. 2374 secondo cui “La capitalizzazione trimestrale degli interessi da parte della banca sui saldi di conto corrente passivi per il cliente non costituisce un uso normativo, ma un uso negoziale, essendo stata tale diversa periodicità della capitalizzazione, più breve rispetto a quella annuale applicata a favore dei clienti sui saldi di conto corrente per lui attivi alla fine di ciascun anno solare, adottata per la prima volta in via generale su iniziativa dell'ABI nel 1952, e non essendo connotata la reiterazione del comportamento dalla opinio iurìs ac necessitatis”). Alla nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi, a parere dello scrivente, non è poi possibile supplire con altra tipologia avente diversa cadenza temporale.Al riguardo occorre segnalare come l'anatocismo e, dunque, la capitalizzazione degli interessi è ammessa solo nei tre casi eccezionali previsti dall'art. 1283 c.c.. In mancanza di usi normativi contrari, infatti, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi. Se non ricorre nessuna delle ipotesi tassativamente contemplate dall'art. 1283 c.c., le banche non possono chiedere ed ottenere la capitalizzazione annuale degli interessi passivi. L'art. 1283 c.c. è chiarissimo nell'enunciare la à di qualunque interesse sull'interesse, al di fuori delle specifiche e tassative ipotesi previste. In giurisprudenza non sono però mancate sentenze di merito che hanno al contrario ritenuto legittima la capitalizzazione annuale degli interessi bancari, in forza dell'errata applicazione dell'art. 1284 c.c. che individuerebbe nel periodo annuale non soltanto il criterio di commisurazione temporale degli interessi, ma anche il termine di scadenza lege dell'obbligazione di interessi. In base a questo minoritario orientamento, dunque, sul debito di interessi annualmente scaduto maturerebbero altri interessi, come per qualsiasi obbligazione pecuniaria e a prescindere dai limiti di cui all'art. 1283 c.c.. Tale interpretazione, però, è in stridente contrasto con l'orientamento proprio delle Unite della Cassazione, 17 luglio 2001, n. 9653, secondo cui, debito degli interessi (anche quando sia stata adempiuta l'obbligazione principale) non si configura come una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla quale derivi il diritto agli ulteriori interessi dalla mora nonché al risarcimento del maggior danno ex art. 1224, comma II, c.c., ma resta soggetto alla regola dell'anatocismo di cui all'art. 1283 c.c. derogabile soltanto dagli usi contrari ed applicabile a tutte le obbligazioni aventi ad oggetto originario il pagamento di una somma di denaro sulla quale spettino interessi di qualsiasi natura.peculiarità dell'obbligazione di interessi risiede, dunque, nella regola anatocistica e pertanto anche la capitalizzazione annuale è illegittima se in contrasto con l'art. 1283 c.c. (Cassazione Civile, Sez. III, 2 ottobre 2003, n. 14688: <<tema di obbligazioni pecuniarie, l'art. 1283 c.c. disciplina l'anatocismo prevedendo che “in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi”. Ne consegue che, in mancanza di una convenzione successiva alla scadenza che determini un tasso diverso, gli sugli interessi scaduti, chiesti dalla domanda giudiziale, sono dovuti esclusivamente nella misura legale>>).
Parte attrice rileva altresì la nullità ed inefficacia delle non convenute c.m.s.. La censura è fondata. La c.m.s., al pari di ogni altra condizione contrattuale, deve essere determinata o almeno determinabile al momento in cui il contratto è stato concluso. Pertanto, operando un rinvio a tutte le considerazioni svolte sulla nullità della clausola di rinvio agli interessi uso piazza, può concludersi che tale nullità non può che riguardare, nel caso di specie, anche la pattuizione della c.m.s., stante la mancanza di elementi certi e predeterminati per la sua concreta quantificazione. La nullità dell'addebito delle commissioni di massimo scoperto va dichiarata anche perché oltre a non essere espressamente previste nel contratto, costituisce una indebita integrazione del tasso di interesse applicato. La previsione e/o applicazione della CMS nel contratto di c/c è priva di giustificazione causalein quanto nel corso degli anni ha perso l'originaria funzione di c.d. sul mancato utilizzo dell'affidamento accordato, divenendo una voce di costo, avulsa da ogni logica contrattuale e sinallagmatica (cfr. Corte d'Appello di Milano, Sez. III Civ., sentenza n. 1142 del 04 aprile 2003; Tribunale di Lecce, 21 novembre 2005; Tribunale di Lecce, 11 marzo 2005, Tribunale di Milano, 04 luglio 2002, Tribunale di Vibo Valentia, sentenza n. 23 del 2006).
In ordine poi alla questione relativa alla determinazione della valuta, va certamente condiviso l'orientamento giurisprudenziale, secondo il quale per quanto riguarda i prelevamenti si deve riportare la valuta che corrisponde al giorno del pagamento dell'assegno, ovvero del giorno in cui la banca perde effettivamente la disponibilità del denaro, mentre per quanto riguarda i versamenti si riporta la valuta che corrisponde al giorno in cui la banca acquista effettivamente la disponibilità del denaro(sul punto Tribunale Civile di Lecce, con la sentenza del 17 giugno 2003 n. 1736; Corte di Cassazione, sez. I civile, con sentenza del 26 luglio 1989, n. 3507 Cass. Civ. 29 giugno 1981 n. 4209 e 20 febbraio 1988, n. 1764 Cass. civ. Sez. I 10 settembre 2002, n. 13143). Di qui la necessità di computare le operazioni di accredito effettivo delle valute dal giorno in cui la banca ha acquisito o perduto la disponibilità dei correlativi importi, regola cui si è attenuto il C.T.U. nei propri conteggi. Conclusivamente, tenuto conto di tutto quanto evidenziato, e cioè applicando gli interessi nella misura legale, con esclusione di qualsiasi forma di capitalizzazione degli interessi, escludendo la commissione di massimo scoperto, e computando infine le operazioni di accredito effettivo delle valute dal giorno in cui la banca ha acquisito o perduto la disponibilità dei correlativi importi, è emersa l'inesistenza del debito degli attori (rispettivamente correntista e fideiussori) nei confronti della banca convenuta, scaturenti dal complesso rapporto di apertura di credito, oggetto del presente giudizio di accertamento. Viceversa è risultato che sono proprio gli attori ad essere titolari di un credito restitutorio verso la banca, per interessi illegittimamente corrisposti pari a Euro 26.524,39 alla data del 30 giugno 2003 così come evidenziato dalla CTU. , previa declaratoria di nullità delle clausole del contratto bancario n. 18/3 e 18/204, prevedenti, ai fini della determinazione del tasso di interesse, il rinvio agli usi, e la capitalizzazione trimestrale degli interessi medesimi, nonché attesa la violazione dell'art. 117, commi I e III del T.U.b., del c/c n. 26/55, la banca convenuta va condannata alla restituzione, in favore degli attori, della somma di euro 26.524,39, oltre interessi semplici al tasso legale dalla data del 30 giugno 2003, sino al saldo effettivo.
Priva di pregio è poi la pretesa della banca di ridurre l'analisi del rapporto agli ultimo cinque anni ovvero dieci anni precedenti l'avvio dal presente giudizio. Mentre l'azione promossa dal cliente verso la banca per far valere la nullità della clausola che prevede l'anatocismo è imprescrittibile ai sensi dell'art. 1422 c.c., quella proposta dallo stesso cliente nei confronti della banca ai fini di conseguire la ripetizione delle somme che assume di avere versato a titolo di capitalizzazione trimestrale degli interessi è soggetta ai medesimi principi che regolano la domanda di ripetizione di indebito. Essa è pertanto soggetta alla prescrizione ordinaria decennale a norma dell'art. 2946 c.c., non potendo farsi riferimento ne alla prescrizione breve del diritto al risarcimento del danno trattandosi di obbligazione derivante dalla legge e non da obbligazione ex delicto, ne quella quinquennale di cui all'art. 2948 n. 3 c.c. Parimenti è da escludere l'applicabilità della prescrizione di cinque anni prevista dall'art. 2948 n. 4 c.c., che riguarda esclusivamente la domanda diretta a conseguire gli interessi che maturano annualmente o in termini più brevi, non già la restituzione di parte degli stessi in quanto indebitamente pagata. Non pare necessario pertanto che attraverso la domanda si proponga una vera e propria azione di indebito arricchimento. (così Civile, Sez. I, 14 maggio 2005 n. 10127“Con il quinto motivo di impugnazione il ricorrente ha sostenuto che, contrariamente alla decisione adottata sul punto dalla Corte territoriale che ha rigettato la relativa eccezione, la decorrenza del termine decennale di prescrizione per il reclamo da parte del correntista delle somme indebitamente trattenute dalla banca per interessi calcolati in misura ultralegale senza valida pattuizione dovrebbe iniziare dalla data in cui ciascun pagamento è stato effettuato, trattandosi di azione di ripetizione di tanti indebiti oggettivi quanti sono i pagamenti effettuati in esecuzione delle clausole impugnate. L'assunto è in contrasto con la condivisa giurisprudenza di questa Corte (C. 2004/5720, C. 1998/3783, C.1984/2262, C. 1956/2488), che ha valorizzato il legame intercorrente fra una pluralità di atti esecutivi in virtù dell'unicità del rapporto giuridico derivante da un contratto unitario, e pertanto deve essere disatteso”).
Quanto alla domanda risarcitoria per illegittima segnalazione alla Centrale Rischi presso Banca d'Italia spiegata dagli attori, lo scrivente ritiene che in atti non vi è la prova che la stessa sia stata effettuata e pertanto, pur condividendo l'orientamento giurisprudenziale secondo cui segnalazione di una "sofferenza" non più esistente, è idonea a determinareun danno re ipsache legittima pertanto il diritto al risarcimento senza che incomba sul danneggiato l'onere di fornire la prova dell'esistenza del danno (Cass. civ., Sez. III, sent. n. 4881 del 19/01/2001; Cass. civ. sent. n. 1103 del 05/11/1998), allo stato lo stesso risarcimento del danno non può riconoscersi difettando la prova della stessa segnalazione.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Giudice Onorario del Tribunale di Bari - Sezione Distaccata di Rutigliano, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dai Sigg.ri Giovanni MANCO e Giulia Grazia Rita GIGANTE nei confronti del Banco di Napoli S.p.a., in persona del legale rappresentante tempore, così provvede:
accoglie la domanda per quanto di ragione e, per l'effetto:
dichiara cheBanco di Napoli S.pa.è debitore degli attori della somma complessiva di €uro 26.524,39, oltre gli interessi legali correnti temporedalla data del 30 giugno 2003 della domanda fino all'integrale soddisfo;
condanna Banco di Napoli S.p.a. al pagamento in favore del Sig. Manco Giovanni della somma indicata alla lettera a.
condanna Banco di Napoli S.p.a. al pagamento delle spese e competenze del giudizio, che liquida in complessivi € 6.500,00 oltre le spese di C.T.U. ove effettivamente corrisposte dagli attori -, € 2.000,00 per diritti ed € 4.500,00 per onorari, oltre IVA e CAP come per legge, con distrazione a favore dei procuratori antistatari.sentenza è provvisoriamente esecutiva per legge ex art. 282 cpc.
Rutigliano, 18 dicembre 2007
Il Giudice Onorario
Avv. Pietro MASTRONARDI
XXIV
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte d'Appello di TORINO
Sezione I
SENTENZA n. 1948/2007
La Corte d'appello di Torino, prima sezione civile,
riunita in camera di consiglio nelle persone dei seguenti magistrati:
1) dr. Enzo Troiano – Presidente
2)Massimo Macchia – Consigliere
3) Felice Manna - Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado d'appello iscritta al n. 2417104 R.G.A.C., promossa da:
INTESA SANPAOLO s.p.a. (già San Paolo IMI s.p.a.), in persona del suo procuratore speciale, P. Novelli, elettivamente domiciliato in Torino, presso lo studio dell'avv. G. Cavalli che lo rappresenta e difende giusta procura notarile18.12.2004
APPELLANTE
CONTRO
XXX s.r.l., in persona del suo legale rappresentante, XXX Eugenio e XXX Maria, elettivamente domiciliati in Torino, presso lo studio dell'avv. R. Rollero che li rappresenta e difende insieme con l'avv. A Tanza giusta procura a margine della comparsa di risposta
APPELLATI
Oggetto: contratti bancari.
Udienza di precisazione delle conclusioni: 26.6.2007.
CONCLUSIONI
APPELLANTE: voglia l'Ecc.ma Corte, contrariis reiectis, in parziale riforma della sentenza impugnata, accogliere il presente appello e, per l'effetto, dichiarare integralmente infondate, per i motivi di cui in narrativa, le domande proposte da controparte in atto di citazione, mandando assolto l'Istituto da ogni pretesa avversaria; conseguentemente, accertare e, per l'effetto, dichiarare la piena legittimità dei contratti di apertura di credito in conto corrente n. 10/11796 e 10190024 nelle parti in cui prevedono i) la determinazione degli interessi con riferimento agli usi piazza ii) la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e iii) la commissione di massimo scoperto in favore della banca; confermare, pertanto, il decreto ingiuntivo opposto n. 1120 emesso dal Presidente del Tribunale di Torino in data 24 settembre 1999 a favore dell'Istituto; in ogni caso condannare, in via riconvenzionale, la XXX s.r.l., in persona del suo amministratore e legale rappresentante pro tempore, nonché i sigg.ri Eugenio XXX e Maria XXX in solido fra loro, alla restituzione delle somme versate dall'Istituto in forza della sentenza di primo grado (per quanto di ragione) ed al pagamento della somma di € 67.025,00 dedotta nel decreto ingiuntivo opposto o della veriore somma accertando in corso di causa, oltre interessi convenzionali, anche anatocistici, dalla richiesta sino alla data dell'effettivo saldo; in via riconvenzionale subordinata, nel caso di accoglimento delle doglianze avanzate dalla XXX s.r.l., dichiarare comunque tenuti e condannare, in solido fra loro, i sigg.ri Eugenio XXX e Maria XXX, in forza delle garanzie rilasciate a favore della banca esponente, a corrispondere all'Istituto le somme che la banca sia eventualmente condannata a restituire alla XXX s.r.1., oltre all'importo di euro 67.025,00 di cui al punto precedente; respingere i motivi d'appello incidentale formulati dagli appellati; condannare gli appellati a rifondere tutte le spese di giudizio per entrambi i gradi di giudizio, oltre IVA, CPA e rimborso forfetario ex art.14 t.p.
APPELLATI: voglia l'Ecc.ma Corte. respinta ogni contraria istanza, ritenere fondati i motivi suesposti e per l'effetto rigettare l'appello principale, confermando le statuizioni della sentenza. e in accoglimento dell'appello incidentale proposto riformare la sentenza impugnata e dichiarare: 1) modificando in parte la statuizione di cui al punto 5° della motivazione, che dalla nullità della clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi discende l'applicazione del tasso legale per l'esatto computo degli interessi (con riferimento al contratto di c/c n.10/11796 del 29 dicembre 1987 e n.10/190024 del 9 gennaio 1992 e di fideiussione sottoscritti dai sigg.i XXX Eugenio e XXX Maria nella rispettiva qualità di debitore principale e fideiussori); 2) modificando in toto la statuizione di cui al punto 6° della motivazione, la nullità della clausola contrattuale (con riferimento al contratto di c/c n.10/11796 del 29 dicembre 1987 e n.10/190024 del 9 gennaio 1992 e di fideiussione sottoscritti dai sigg.ri XXX Eugenio e XXX Maria nella rispettiva qualità di debitore principale e fideiussori) di cui all'art. 7 (5) laddove stabilisce che gli assegni vengano addebitati con valuta corrispondente alla data di emissione o alla data di negoziazione nel caso di postdatazione degli assegni, e l'invalidità della clausola in relazione agli interessi passivi sugli accrediti, poiché nulla previsto in contratto; 3) modificando in toto la statuizione di cui al 7° punto della motivazione, l'entità del risarcimento del danno derivante dalla segnalazione a Centrale rischi. Voglia altresì, rigettare la domanda riconvenzionale, poiché il San Paolo IMI s.p.a. non vanta un credito in favore degli esponenti della somma di € 67.025,00 oltre interessi; rigettare la domanda riconvenzionale subordinata, poiché le sorti del contratto di fideiussione seguono quelle del contratto di conto corrente; accogliere la domanda di restituzione, spiegata dalla XXX s.r.l., della somma di lire 335.950.583, pari a € 173.503,99, condannando il San Paolo IMI s.p.a. al pagamento delle indicate somme, oltre interessi dalla maturazione al saldo, salvo diversa somma che verrà accertata in sede di consulenza tecnica contabile, ritualmente richiesta in primo grado. Con vittoria di spese, competenze ed onorari di entrambi i giudizi. Salvezze illimitate, anche per l'eventuale fase istruttoria.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La XXX s.r.l., Eugenio XXX e Maria XXX, la prima quale debitrice principale, il secondo e la terza quali fideiussori, si opponevano al decreto ingiuntivo emesso nei loro confronti dal Tribunale di Torino il 24.9.1999, su ricorso della baca Sanpaolo IMI s.p.a., per il pagamento della somma di lire 29.778.844, oltre interessi, in relazione a vari rapporti di apertura di credito in conto corrente. A sostegno dell'opposizione deduceva la nullità della clausola che prevedeva per gli interessi passivi il saggio corrispondente agli usi su piazza, l'illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi, l'inammissibilità dell'addebito delle commissioni di massimo scoperto e dell'applicazione dei giorni di valuta.
Resisteva il Sanpaolo IMI.
Con sentenza non definitiva del 26.7.2003 il Tribunale revocava il decreto ingiuntivo e dichiarava nulle le clausole dei contratti di apertura di credito in conto corrente n.10/11796 del 29.12.87 e n.107190024 del 9.1.92 relative a determinazione degli interessi con riferimento agli usi su piazza, capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e commissioni di massimo scoperto, e rigettava la domanda di danni proposta dagli opponenti.
Quanto alla clausola determinativa degli interessi passivi dovuti dal cliente in base agli usi su piazza, il Tribunale ne rilevava la nullità per indeterminabilità del parametro, ex art.1346 c.c.; in ordine alla capitalizzazione trimestrale degli interessi si richiamava alla recente e consolidata giurisprudenza del S.C.; circa la clausola relativa alle commissioni di massimo scoperto ne riteneva la nullità per l'indeterminabilità quantitativa del rinvio agli usi su piazza. Escludeva, invece, la nullità della clausola dei giorni valuta, perché rientrante nella libertà negoziale delle parti; mentre motivava il rigetto della domanda di risarcimento dei danni avanzata dagli opponenti osservando che la banca opposta aveva agito in ottemperanza di disposizioni della Banca d'Italia, e che ad ogni modo, gli opponenti non avevano fornito prova del danno.
Avverso detta sentenza il Sanpaolo.IMI s.p.a. proponeva appello, innanzi a questa Corte, con citazione notificata il 22.10.2004.
Resistevano gli appellati, che proponevano impugnazione incidentale.
La causa è stata riservata a sentenza sulle conclusioni di cui in epigrafe,incorporato il Sanpaolo IMl s.p.a. nella Intesa Sanpaolo s.p.a.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Col primo motivo d'appello principale Intesa Sanpaolo s.p.a. si richiama alla giurisprudenza di merito e di legittimità che aveva ritenuto valida la determinazione convenzionale della misura degli interessi con riferimento agli usi su piazza, e deduce, inoltre, che i tassi, evidenziati nelle liquidazioni trimestrali e negli estratti conto inviati, devono ritenersi approvati per mancata contestazione nei termini da parte della società correntista.
Sostiene, infine, che per gli interessi ultralegali già pagati opera la soluti retentio, trattandosi di obbligazione naturale.
1.1. - Il motivo è infondato in ciascuna delle sue articolazioni.
1.2. - La giurisprudenza del S.C. è ferma nel ritenere che "in relazione ai contratti di conto corrente bancario ai quali si applica, ratione temporis, l'art. 8 della legge n. 64 del 1986 (abrogato dall'art. 4 della legge n. 488 del 1992 con decorrenza dal 1° maggio 1993), deve ritenersi nulla la clausola contrattuale che rinvia, per la determinazione del saggio convenzionale degli interessi, agli usi praticati su piazza, in quanto tale norma vieta con disposizione non derogabile la differenziazione dei tassi di interesse in relazione alle singole zone del territorio, con salvezza solo dei tassi più favorevoli per il correntista previsti espressamente dalla legge per le zone più - svantaggiate" (Cass. n. 4095/05; in senso analogo circa la nullità della pattuizione di interessi previsti, in un contratto bancario previsto nel 1981, in misura non predeterminabile, univoca e con puntuale specificazione del tasso praticato, v. Cass. n.2317/07). Ed ancora, "in tema di contratti bancari, la clausola, stipulata anteriormente all'entrata in vigore della legge sulla trasparenza bancaria 17 febbraio 1992, n.154, la quale, per la pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale, si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, è in ogni caso divenuta inoperante a partire dal 9 luglio 1992 - data di acquisto dell'efficacia delle disposizioni della citata legge qui rilevanti, ai sensi dell'art. 11 della medesima -, atteso che la previsione imperativa posta dall'art. 4 della legge (poi trasfuso nell'art. 117 del testo unico I settembre 1993, n. 385), là dove sancisce la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse, se non incide, in base ai principi regolanti la successione delle leggi nel tempo, sulla validità delle clausole contrattuali inserite in contratti già conclusi, impedisce tuttavia che esse possano produrre per l'avvenire ulteriori effetti nei rapporti ancora in corso. Ad un tal riguardo, per rapporti in corso devono intendersi i rapporti, anteriormente costituiti, non ancora esauriti, alla data di inizio dell'operatività della norma sopravvenuta, per non avere il debitore, indipendentemente dalla pregressa "chiusura" del conto corrente bancario, adempiuto alla propria obbligazione, atteso che la già riferita innovazione impinge sulle stesse caratteristiche del sinallagma contrattuale, generatore di conseguenze obbligatorie protraentisi nel tempo" (Cass. n.13739/03; conformi, Cass. n.10376/06 e Cass. n.4490/02).
Per quanto concerne, invece, la sorte dei rapporti nella parte svoltasi prima dell'entrata in vigore della citata legge n. 154/92, la giurisprudenza del S.C. afferma che "in tema di contratti bancari, nel regime anteriore alla entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 154, e del successivo t.u. sulla disciplina bancaria - che introducono norme nuove, a carattere non retroattivo, in tema di trasparenza bancaria, vietando, tra l'altro, espressamente il rinvio agli usi di piazza -, la convenzione relativa agli interessi è validamente stipulata, in ossequio al disposto dell'art. 1284, comma terzo, cod. civ. (che è norma imperativa, la cui violazione determina nullità assoluta ed insanabile), quando il relativo tasso risulti determinabile e controllabile in base a criteri in detta convenzione oggettivamente indicati e richiamati. Pertanto, una clausola contenente un generico riferimento alle "condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza" può ritenersi valida ed univoca solo se coordinata alla esistenza di vincolanti discipline fissate su larga scala nazionale con accordi interbancari, nel rispetto delle regole di concorrenza e non anche quando tali accordi contengano riferimenti a tipologie di tassi praticati su scala locale e non consentano, per la loro genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso fare concreto riferimento" (Cass. n.5675/Ol; conformi, Cass. n.14660/02; Cass. n.14684/03).
[Secondo altra giurisprudenza, invece, neppure rileva "la presenza di accordi di cartello interbancari, diretti a fissare i tassi di interesse attivi e passivi in modo vincolante in ambito nazionale, atteso che tali accordi, se garantiscono l'obiettività del criterio di determinazione del tasso di interesse, debbono, tuttavia ritenersi nulli in applicazione dell'art. 2 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 - applicabile nei confronti delle aziende ed istituti di credito ai sensi del successivo art. 20 -, che vieta le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente la concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, ricomprendendo espressamente tra tali intese quelle che detto risultato perseguano o determinino attraverso attività consistenti nel fissare, direttamente o indirettamente, prezzi di acquisto o di vendita dei rispettivi prodotti" (Cass. n.4490/02; conformi, Cass. n.13823/02; Cass. n.17338/02; Cass. 11.12222/03)].
1.2.1. - Nello specifico, i contratti di apertura di credito in conto corrente di cui si discute, stipulati il 29.12.1987 (n.10/11796) e il 9.1.1992 (n.107190024), a) non erano ad evidenza esauriti al momento dell'entrata in vigore della legge n. 154/92, sicché nessun dubbio è lecito nutrire sull'operatività sopravvenuta di tale principio; b) anche per il periodo anteriore all'entrata in vigore della legge n.154/92, per essi non operava la clausola degli interessi passivi secondo gli usi su piazza, trattandosi di pattuizione di per sé contraria al requisito di determinabilità di cui all'art.1346 c.c., come esattamente ritenuto dal giudice di prime cure, e che – stando al contenuto del regolamento contrattuale e ai documenti prodotti da parte opposta – non risulta coordinata con accordi interbancari su scala nazionale aventi contenuto specifico quanto alla tipologia dei tassi praticati.
1.3. - La rilevata nullità della clausola in esame rende vana l'applicazione alla fattispecie del binomio normativo degli artt.1832 e 1857 c.c., sia perché l'approvazione del conto riguarda l'esattezza delle registrazioni sotto il profilo contabile, e non la validità e l'efficacia delle clausole del rapporto obbligatorio sottostante (cfr. Cass. n.1978/96; conforme, Cass. n.1668/99), sia in quanto la nullità non è convalidabile (art.1423 c.c.).
1.4. - Infine, quanto alla sostenuta saluti retentio per gli interessi ultralegali pagati, va osservato in senso contrario che "al creditore non può essere riconosciuta la facoltà di imputare i pagamenti ricevuti ad estinzione del debito, ad interessi extralegali, ove questi ultimi non siano stati fatti oggetto di una valida pattuizione ai sensi dell'art.1284, terzo comma cod. civ. Ove invece sia mancata una tale pattuizione, il debitore può sì, per sua determinazione, pagare gli interessi in misura superiore a quella legale assolvendo in tal modo ad un'obbligazione naturale (dal che la conseguente irripetibilità di quanto pagato), ma se egli non abbia a manifestare un tal tipo di volontà, il creditore non può certo destinare le somme da lui ricevute al soddisfacimento di quella che finisce per presentarsi come un'obbligazione meramente naturale del solvens, invece che all'estinzione della obbligazione effettivamente pattuita, la quale sola gli consente l'esercizio di azioni giudiziarie" (Cass. n.819/00; conforme, Cass. n.2908/02).
1.4.1. - Nella specie, nulla agli atti (e del resto neppure nelle allegazioni di parte appellante) autorizza a ritenere che il pagamento di interessi in misura extralegale sia avvenuto sulla base di una libera e dichiarata volontà in tal senso della società correntista.
2. - Con il secondo motivo parte appellante contesta l'esclusione della capitalizzazione trimestrale degli interessi e il carattere negoziale dei relativi usi, richiamandosi diffusamente a contraria giurisprudenza di merito (nonché al passato orientamento della stessa Corte di Cassazione).
2.1. - Anche tale motivo è infondato.
Il consolidato orientamento del S.C., che com'è noto ha preso le mosse dal revirement operato da Cass. n.2374/99, non più rimesso in discussione, non solo ha ricevuto il definitivo avallo anche delle S.U. (v. Cass. S.U. n.21095/04), ma anche di recente è stato riaffermato da Cass. n.4853/07 e da Cass. n.21141/07.
In particolare, quanto al carattere di uso negoziale e non normativo delle norme bancarie uniformi che già prevedevano la capitalizzazione trimestrale degli interessi, secondo Cass. n.21095/04 "in tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 2000, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 76, Cost., l'art. 25, comma terzo, D.Lgs. n. 342 del 1999, il quale aveva fatto salva la validità e l'efficacia - fino all'entrata in vigore della delibera CICR di cui al comma 2 del medesimo art. 25 - delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, siffatte clausole, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi, sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell'art. 1283, cod.civ., perché basate su un uso negoziale, anziché su un uso normativo, mancando di quest'ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo-modo, ad una norma giuridica, per la convinzione che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto. conforme ad una norma che già esiste o che si reputa debba fare parte dell'ordinamento giuridico (opinio juris ac necessitatis). Infatti, va escluso che detto requisito soggettivo sia venuto meno soltanto a seguito delle decisioni della Corte di cassazione che, a partire dal 1999, modificando il precedente orientamento giurisprudenziale, hanno ritenuto la nullità delle clausole in esame, perché non fondate su di un uso normativo, dato che la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell'esistenza e del contenuto della regola, non già creativa della stessa, e, conseguentemente, in presenza di una ricognizione, anche reiterata nel tempo, rivelatasi poi inesatta nel ritenerne l'esistenza, la ricognizione correttiva ha efficacia retroattiva, poiché, diversamente, si determinerebbe la consolidazione medio tempore di una regola che avrebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che, erroneamente presupponendola, l'avrebbero creata" (tra le ultime conformi, v. Cass. n.15218/07).
Assenti nuove motivazioni di contrasto (la stessa parte appellante si affida ai precedenti di merito non recentissimi di segno opposto), non vi sono ragioni di sorta per distaccarsi da tale orientamento, che ormai costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità.
3. - Con il terzo motivo l'appellante sostiene che, comunque, l'art.1283 c.c. è inapplicabile al contratto di c/c bancario, nel quale non si configura una capitalizzazione in senso proprio. Se alla chiusura del conto non viene chiesto il pagamento del saldo, il relativo importo, comprensivo degli interessi costituisce la prima rimessa del nuovo conto sul quale vengono calcolati nuovi interessi.
3.1. - Anche tale motivo è. infondato.
Invero "in tema di capitalizzazione degli interessi, il rapporto di conto corrente bancario è soggetto ai principi generali di cui all'art. 1283 cod. civ. e ad esso non è applicabile l'art. 1831 cod. civ., che disciplina la chiusura del conto corrente ordinario. Il contratto di conto corrente bancario è, infatti, diverso per struttura e funzione dal contratto di conto corrente ordinario, e l'art. 1857 cod. civ. non richiama l'art. 1831 cod.civ. tra le norme applicabili alle operazioni bancarie regolate in conto corrente" (Cass. n.6187/05; conforme, Cass. 870/06).
Precisa in motivazione la S.C. che "...l'art. 1857 cod. civ., dettato in materia di operazioni bancarie in conto corrente, nel prevedere che alle operazioni bancarie regolate in conto corrente si applicano alcune disposizioni che disciplinano il conto corrente ordinario e precisamente le norme di cui agli articoli 1826, 1829 e 1832 cod. civ., non richiama anche l'art. 1831 cod. civ.
Secondo certa dottrina la mancanza di un richiamo espresso, da parte dell'art. 1857 c.c., dell'art. 1831 c.c. non impedirebbe l'applicazione analogica di detta ultima disposizione al contratto di conto corrente bancario. Il collegio ritiene che tale tesi non possa essere condivisa per la fondamentale ragione che contratto di corrente ordinario e contratto di conto corrente bancario sono contratti notevolmente diversi per struttura e funzione con pochissimi e non decisivi punti di contatto. Notevolmente diversa è la funzione. Infatti la funzione del primo va ravvisata.- secondo autorevole dottrina - nella reciproca concessione di credito o, come ritiene altra dottrina, nella liquidazione per compensazione delle reciproche rimesse; la funzione del secondo va ravvisata, invece, nella prestazione da parte della banca di un servizio di cassa e di gestione del danaro - del tutto estraneo al conto corrente ordinario -riconducibile allo schema del mandato senza rappresentanza. Ulteriori elementi di differenziazione sono costituiti dal fatto che nel conto corrente ordinario i crediti annotati nel conto sono inesigibili ed indisponibili sino alla chiusura del conto stesso, mentre nel conto corrente bancario il credito, che, risulta dal conto, è sempre disponibile; dal atto che nel conto corrente ordinario la compensazione ha luogo soltanto al momento della chiusura del conto e fino a questo momento le due masse contrapposte mantengono la loro individualità, mentre nel conto corrente bancario la compensazione tra versamenti e prelievi è immediata ed addirittura alcuni autori escludono che le operazioni di annotazione delle riscossioni e dei pagamenti, con la conseguente variazione continua del saldo disponibile, possa integrare una fattispecie compensativa; dal fatto che nel conto corrente bancario manca la reciprocità delle rimesse presente nel conto corrente ordinario; dal fatto la banca è tenuta ad eseguire gli ordini ricevuti dal cliente nei limiti della disponibilità e, quindi, a svolgere un'attività gestoria del tutto estranea al conto corrente ordinario".
Se dunque il contratto di conto corrente e le operazioni bancarie regolate in un normale conto corrente di corrispondenza sono realtà economico-giuridiche non riducibili l'una all'altra, deve ritenersi che la capitalizzazione degli interessi nel rapporto bancario non esprima una modalità contabile di chiusura del conto, con riporto del saldo all'eventuale nuovo periodo, sì da. configurarlo come finanziamento produttivo, a sua volta, di altri interessi, ma configuri l'espressione di un meccanismo propriamente anatocistico di riconduzione degli interessi a capitale sulla base della sola maturazione degli stessi entro un dato arco di tempo, nella specie trimestrale, nel contesto di un rapporto che non prevede cesure periodiche, ma solo la possibilità di recesso da esercitare ai sensi dell'art.1855 c.c.
4.- Con il quarto motivo Intesa Sanpaolo afferma la legittimità dell'addebito delle commissioni di massimo scoperto, in quanto previste e determinate negli estratti conto.
4.1. - Il motivo è manifestamente infondato.
Gli estratti conto sono documentazione contabile inerente alle registrazioni, e non già scritture contenenti il regolamento autonomo contrattuale, di guisa che è vano argomentare da essi l'esistenza di un accordo conforme intervenuto fra le parti.
Ciò premesso, le commissioni di massimo scoperto, avendo finzione remunerativa dell'obbligo della banca di tenere a disposizione dell'accreditato una determinata somma per un dato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo, sono prive di giustificazione causale nell'economia del contratto di apertura di credito, per cui non sono dovute indipendentemente dal criterio di quantificazione seguito dall'istituto di credito.
(…)
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando, rigetta l'appello principale e quello incidentale, dichiara compensate fra le parti per 1/4 le spese del presente grado di giudizio e condanna Intesa Sanpaolo s.p.a. al pagamento in favore di XXX s.r.l., Eugenio XXX e Maria XXXi, in solido fra loro, della restante frazione delle spese, che in tale ridotta misura liquida in € 6.531,45, di cui 1.803,00 per diritti, 4.725,00 per onorari ed il resto per spese.
Così deciso nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte d'appello di Torino, il 2.11.2007.
Il Presidente dr. Enzo Troiano
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