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PERIZIE TECNICO-CONTABILI: QUANTO COSTANO?
I professionisti (tutti dottori commercialisti convenzionati) della Vicepresidenza ADUSBEF realizzano, ai soli iscritti ADUSBEF, PERIZIE ECONOMETRICHE da produrre nel contenzioso contro le banche e nelle transazioni ai seguenti costi:
1) Perizie veloci di ricalcolo dell'anatocismo, spese forfettarie e cms: 20 euro+tasse ad anno per ogni conto ;
2) Perizie analitiche di ricalcolo degli interessi ultralegali, dell'anatocismo, delle cms, delle valute, delle spese, dell'usura: 0,25 euro+tasse ad operazione.
Ogni perizia è corredata di relazione esplicativa, oltre la consulenza verbale dell'Ufficio Legale della VICEPRESIDENZA ADUSBEF.
Nel Vostro interesse, successivamente al contatto con il professionista convenzionato, corrispondete sempre ed esclusivamente con la Vicepresidenza ADUSBEF, al fine di massimizzare il risultato sfruttando l'effetto sinergico tra la consulenza legale + quella econometrica.
Una perizia staccata dall'analisi giuridica dei contratti (di esclusiva pertinenza degli avvocati), in alcuni casi è controproducente, se non dannosa.
PRINCIPI GIURIDICO-ECONOMETRICI SUL CALCOLO DEL TASSO EFFETTIVO
(a cura dell’Avv. Antonio TANZA e della sezione di calcolo econometrico ADUSBEF PUGLIA)
Il calcolo degli interessi e competenze illegittimamente percepiti dalle banche verrà effettuato, ove necessario, dalla stessa Vicepresidenza di ADUSBEF che ha elaborato un esclusivo programma per il calcolo econometrico degli interessi corrispettivi (depurato dal “gioco delle valute”), delle commissioni di massimo scoperto, delle varie spese e dell’anatocismo trimestrale, anche ai fini dell’applicazione della legge sull’usura, dotato di un grafico allo scopo di visualizzare i risultati raggiunti con la perizia tecnico contabile.
Le perizie ADUSBEF sono firmate solo ed esclusivamente da Dottori Commercialisti.
I soli soci ADUSBEF Onlus possono richiedere scrivendo a adusbef@studiotanza.it l'effettuazione di perizie tecnico contabili per la riclassificazione dei rapporti bancari e per il ricalcolo degli interessi ultralegali, degli interessi per giorni valuta, degli interessi anatocistici, delle commissioni di massimo scoperto trimestrale, delle spese. Le perizie econometriche verranno eseguite da Dottori Commercialisti, fiduciari Adusbef Onlus, ad un costo minimo:
a) Perizia analitica (calcolo interessi ultralegali, valute, cms, anatocismo, spese, tasso usura): Euro 0,25 ad operazione (più tasse);
b) Perizia generica (calcolo anatocismo, cms e spese): Euro 20 a trimestre (più tasse);
c) Perizia Mutuo: Euro 500 (più bolli e tasse).
Nell’intento di migliorare la cultura di difesa dell’utenza nel rapporto con le banche si pubblicano una serie di scritti di econometria giuridico – finanziaria.
Detta collana è dedicata a coloro che redigono le perizie tecnico contabili in materia bancaria, con particolare riferimento ai contratti di conto corrente e di mutuo, con l’auspicio di contribuire almeno a ridurre “gli equivoci” in cui incorrono numerosi consulenti tecnici e “calcolatori”.
Sono graditi gli eventuali contributi che vorrete inviarci (anche per posta telematica).
I
T.E.G. e USURA: metodologie di calcolo
Il calcolo sul costo del rapporto utilizzabile in sede civilistica obbliga ad un confronto con le metodologie di calcolo necessarie per il riscontro in sede penale del tasso bancario con quello perseguito dall’art. 644 codice penale.
Ratio della normativa sull’usura e delle modifiche apportate all’art. 644 c.p. è stata quella di cercare di impedire che surrettiziamente si possa realizzare una “usura lecita” attraverso una maliziosa disciplina contrattuale e che perciò bisogna includere nel TEG le spese legali e assimilate, gli interessi di mora ed oneri assimilabili, gli addebiti per tenuta conto e per il servizio incassi e per i servizi accessori, le spese per assicurazioni, la commissione di massimo scoperto, ad eccezione delle imposte e tasse.
Sorprendentemente, però, la Banca d’Italia ha dettato, per una interessata[1] posizione, alle banche delle istruzioni per la rilevazione del T.E.G. che contrastano[2] palesemente con la lettera dell’art. 644 comma 4 c.p. e con l’art. 2 comma 1 della legge 108/96, escludendo dalla rilevazione numerosi elementi di costo: le spese legali e assimilate, gli interessi di mora ed oneri assimilabili, gli addebiti per tenuta conto e per il servizio incassi e per i servizi accessori, le spese per assicurazioni, la commissione di massimo scoperto, le imposte e tasse.
Dette istruzioni, in effetti, sono dettate da evidenti esigenze statistiche di rilevazioni di dati scaturenti dall’obbligato esame di classi e categorie omogenee di costo, non essendo possibile, in quanto assolutamente soggettivo il rilievo di alcune voci di costo che, appunto, Banca d’Italia ha provveduto ad eliminare.
D’altra parte, osserviamo, ad esempio, che, la circostanza per cui gli interessi moratori debbano essere considerati nel calcolo del TEG, è opinione unanime anche da parte dei più accaniti critici della legge[3].
Gli spaventosi effetti profetizzati[4] per il sistema creditizio non sembrano essersi verificati dopotutto.
Ora è evidente che nella rilevazione del tasso effettivo globale medio, ai sensi dell’art. 644 c.p., riferiti alla specifica ipotesi di reato esaminata, non possano applicarsi gli stessi criteri dettati dalla Banca d’Italia nelle sue istruzioni alle banche, poiché detti criteri trovano unica giustificazione nelle esigenze statistiche di rilevazione omogenea, che non possono tenere conto anche di dati ed elementi di costo estremamente soggettivi e di non facile (se non impossibile) rilevazione.
Nella rilevazione del tasso di usura applicato al caso concreto si dovrà, dunque, tenere conto di tutte le commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese.
Ma esaminiamo in dettaglio il ruolo istituzionale della Banca d’Italia e del Ministero del Tesoro, nella rilevazione del TEG e del Tasso di soglia. La normativa della Banca d’Italia emanata come “Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura (30 settembre 1996)” consta di due sezioni: la Sezione prima reca le “Istruzioni per la segnalazione”; la Sezione seconda le “Modalità tecnico - operative per l’inoltro delle informazioni”.
Palesemente la Banca d’Italia non è intervenuta per dettare sue norme riguardo alla metodologia di calcolo del TEG né poteva farlo.
Il dettato dell’art. 2 della legge 108/96 prevede: “1. Il Ministero del Tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio Italiano dei Cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli imprenditori finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall’Ufficio Italiano dei cambi e dalla Banca d’Italia ...”.
La Banca d’Italia, come detto, a tal punto, emana le sue istruzioni sulla rilevazione dei tassi praticati dalle banche. E’ indiscutibile che il dettato legislativo appena riportato non sia stato pienamente rispettato, ed è altrettanto indiscutibile che la media così rilevata stabilisca, aumentata della metà, la soglia oltre la quale gli interessi praticati sono da considerarsi sempre usurari.
In altri termini la Banca d’Italia ha scelto, per ragioni evidentemente pratiche, di sintesi e statistiche, un metodo di raccolta dei dati ed in tal modo ha ritenuto di adempiere al disposto dell’art. 2 della legge 108/96.
Tale operazione però, sebbene condotta in maniera discutibilissima, non può mutare i termini per la determinazione del TEG stabiliti dall’art. 1 della stessa legge.
Infatti, se da un lato è evidente che l’art. 644 c.p. è una norma in bianco, è altrettanto pacifico che la stessa norma detta delle perentorie indicazioni sul calcolo che devono essere rispettati: pena, l’evidente ed indiscutibile violazione della legge.
La Banca d’Italia infatti non ha la veste né la funzione di interferire in tale ambito e difatti l’art. 2 della citata legge non gliela conferisce.
Tale funzione appartiene ad altro organo. L’art. 2 del T.U. della legge bancaria recita: “1. il Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio ha l’alta vigilanza in materia di credito e di tutela del risparmio. Esso delibera nelle materie attribuite alla sua competenza dal presente decreto legislativo e da altre leggi. (...) Per l’esercizio delle proprie funzioni il CICR si avvale della Banca d’Italia”.
L’art. 116 comma 3 del T.U. recita inoltre: “...il CICR:(...) c) stabilisce criteri uniformi per l’indicazione dei tassi d’interesse e per il calcolo degli interessi e degli altri elementi che incidono sul contenuto economico dei rapporti”.
Infine, l’art. 122 del T.U. al comma 2 recita: “il CICR stabilisce le modalità di calcolo del TAEG, individuando in particolare gli elementi da computare e la formula di calcolo”.
Come si vede, sebbene purtroppo non vi sia una perfetta integrabilità tra le normative emanate, non vi è alcuna norma che attribuisca alla Banca d’Italia poteri di intervento né sulle metodologie di calcolo né sulla discriminazione degli elementi da includere o escludere nella determinazione del TEG.
La sua funzione, in questo ambito, è quella di rilevare i tassi medi; il dovere degli istituti erogatori del credito è quello di modulare le proprie richieste alla clientela entro i limiti previsti dalla legge 108/96 riferiti alla media dei tassi pubblicati, pena il compimento del reato di usura. I criteri da seguire per la determinazione del TEG sono quelli dettati dal comma 1 dell’art. 1 della legge 108/96 che riprendono, quelli seguiti per il calcolo del TAEG previsti dall’art. 122, comma 1 del T.U. della legge bancaria, resi ancora più rigorosi dalla nuova normativa.
In particolare fanno parte del costo del denaro: gli interessi ultra-legali, l’anatocismo, le valute, le spese legali e assimilate, gli interessi di mora ed oneri assimilabili, gli addebiti per tenuta conto e per il servizio incassi e per i servizi accessori, le spese per assicurazioni, la commissione di massimo scoperto, le “imposte e tasse”[5], relative all’intera durata del rapporto[6], ma percentualizzate su base annua.
Lecce – Roma, 03 marzo 2001 Avv. Antonio TANZA
II
IL TEG NELL’APERCREDITO CON SCOPERTO IN CONTO CORRENTE
Vi è molta confusione (voluta dal potere bancario al fine di disapplicare la norma di cui all’art. 644, comma 3, del c.p.) sui criteri econometrici che devono rispettarsi per effettuare il corretto calcolo del costo effettivo del denaro erogato dalla banca al cliente.
Il rapporto va eseguito su due entità: la somma del denaro che la banca ha erogato ad un cliente (prelievi o utilizzi) in un determinato periodo di tempo e l’altra somma di denaro che il cliente ha restituito alla banca (depositi o rientri) o che comunque la banca pretende dal cliente (saldo passivo dello scoperto di conto).
Per la determinazione del costo effettivo del denaro (da cui deriva il tasso effettivo globale TEG) realmente transitato dalla sfera giuridica della banca a quella del cliente occorre in primo luogo determinare: il capitale erogato, la durata dell’intero rapporto e le competenze.
Per l’applicazione della nota formula matematica, che di seguito analizzeremo, occorre individuare un unico valore di riferimento e precisamente:
1) il capitale che la banca ha effettivamente, in media, concesso al cliente (detto anche scopertura media effettiva in linea capitale) nell’intero arco di durata del rapporto; poiché per l’applicazione della formula matematica occorre individuare un unico valore;
2) la durata del rapporto, che scaturisce dalla sommatoria dei giorni di calendario compresi tra la data della prima e dell'ultima operazione (quindi, dall’intero periodo compreso tra l’apertura del rapporto alla sua chiusura o, se è ancora aperto, alla data della verifica);
3) l'importo delle competenze, e quindi del costo effettivo, calcolato autonomamente e preteso dalla banca, che il cliente ha dovuto sostenere per l'utilizzo del capitale di cui al punto sub 1).
Alcuni di detti dati sono facilmente ricavabili, come la durata del rapporto che è espressa in giorni di calendario e risulta dalla differenza tra la data finale e quella iniziale del rapporto creditizio e le competenze che sono date dalla somma dei singoli costi calcolati periodicamente dalla stessa banca.
Mentre, per quanto riguarda il capitale, poiché trattasi di una “apertura di credito da utilizzare in conto corrente” che com’è noto è un contratto consensuale con cui la banca si impegna a tenere a disposizione di un cliente una somma di denaro che il cliente stesso potrà utilizzare più volte mediante una pluralità di atti, occorre una precisazione.
L’apertura di credito essendo un contratto consensuale si perfeziona senza che la somma messa a disposizione venga effettivamente utilizzata.
Quindi la nozione giuridica di apertura di credito prescinde dall’utilizzo effettivo della somma che la banca ha accordato al cliente e si incentra esclusivamente sul fatto che la somma sia stata resa disponibile per il cliente per l’intero periodo di tempo stabilito nel contratto: ovviamente solo l’utilizzo comporta dei costi.
In particolare nell’apertura di credito da utilizzare in conto corrente il cliente può, attraverso successive operazioni di versamento, ripristinare la sua disponibilità e quindi riutilizzare più volte il credito via via reintegrato (art. 1843 c.c.).
Pur trattandosi di una forma di finanziamento, per effetto di tali versamenti il conto corrente potrebbe presentare in linea capitale un saldo a favore del cliente, ma per effetto del c.d. “gioco delle valute”, si potrebbero avere delle “scoperture fittizie” e quindi saldi fittizi a favore della banca, la quale alla fine di ogni trimestre si calcola gli interessi, le commissioni ed i vari oneri assoggettandoli a capitalizzazione composta trimestrale.
Pertanto, succedendosi prelevamenti e versamenti, su detto conto, occorre uniformare in un unico importo medio il capitale effettivamente finanziato e quindi determinare la scopertura media effettiva che si pone come problema di adeguato semplice dove si hanno: C1, C2, C3, ..., Cn, che indicano le somme accreditate o addebitate in conto a seconda che si tratti di posizione creditoria o debitoria e t1, t2, t3, ..., tn, che indicano i rispettivi tempi di durata delle suddette somme.
Operando secondo il criterio matematico computistico, la determinazione della scopertura media effettiva, o del deposito medio effettivo, riviene dallo svolgimento della seguente formula (cfr. Enciclopedia della Banca e della Borsa, C.E.I., vol. V, pag. 30):
Sommatoria C h x t h / Sommatoria t h
Va osservato poi che per tasso effettivo globale medio annuo del denaro si intende la determinazione, espressa in percentuale annua, del costo effettivo globale che il cliente sostiene per l'utilizzo di una somma di denaro concessagli dalla banca.
Esso è rappresentato da più componenti:
1. il tasso d’interesse, cioè il costo diretto del denaro ottenuto dalla banca. L’addebito degli interessi è stato effettuato trimestralmente, alla chiusura dei mesi di marzo, giugno, settembre e dicembre. Per effetto di tale procedura, l’onere effettivo per il debitore non è rappresentato dal solo tasso nominale ma anche dall’aggravio derivante dalla capitalizzazione composta (l’ormai famoso, quanto invalido, anatocismo trimestrale).
2. la commissione di massimo scoperto, cioè la percentuale (dal 0,125% all’1%) applicata sulla punta di scoperto verificatasi in ogni trimestre indipendentemente dal tempo.
3. la valuta sui versamenti e sui prelevamenti, cioè il numero di giorni intercorrenti tra la data di un versamento o di un prelevamento e quella di inizio del conteggio degli interessi creditori o debitori.
4. le spese, cioè il totale degli addebiti conseguenti alla cosiddetta istruttoria, spese unitarie e spese annuali di tenuta conto, ecc. (cfr. Gianluigi De Marchi, I Fidi Bancari, Milano 1992, pagg. 156 e ss., Milano 1996, pagg. 160 e ss.; nonché Legge 07/03/1996 n. 108).
Alla fine di ogni trimestre il compenso globale dovuto dal cliente è stato dunque capitalizzato aumentando così il debito nel trimestre successivo. Al tempo stesso sono state addebitate sul conto le varie commissioni e spese.
E’ pertanto evidente che il costo effettivo sopportato dall’utente bancario per l’utilizzo del credito in conto corrente si compone di diversi elementi e risulta in pratica notevolmente più elevato del tasso di interesse nominale ad esso applicato (cfr. Roberto Ruozi, Le Operazioni Bancarie, Biblioteca dell’Economia d’Azienda, quarta edizione, pag. 118).
Il tasso effettivo è, quindi, cosa ben diversa dal tasso nominale, indicato sull’estratto conto: esso rappresenta, in realtà, solo il punto di partenza per la determinazione del tasso effettivo (o costo effettivo) medio annuo del denaro.
Il principio applicato metodicamente dalle banche di considerare separatamente l’elemento principale delle operazioni attive per la banca da quello accessorio, (cioè gli interessi dalle varie commissioni e spese) che costituisce in effetti una maggiorazione del primo, si fonda sull’osservazione che tali operazioni sembrano, in tal modo, meno onerose di quanto effettivamente non siano meglio predisponendo, sul piano psicologico, quella parte della clientela che intende usufruirne (cfr. Enciclopedia della banca e della borsa, CEI, vol. VI, pag. 482/3).
E’ pertanto evidente che negli estratti conto periodici non vengono esposti con chiarezza e precisione i tassi di interesse effettivamente praticati per le operazioni di credito (cfr. Aldo Maisano, Trasparenza e riequilibrio delle operazioni bancarie, Milano 1993).
Va infine precisato che nell’operazione di ricalcalo delle competenze, non va operata alcuna capitalizzazione, neppure quella annuale: per l’art. 1283 c.c. e, dunque, anche in materia bancaria, gli interessi primari possono produrre interessi composti: a) solo se scaduti da almeno sei mesi e b) con decorrenza dalla domanda giudiziale o dalla convenzione posteriore alla loro scadenza (cfr. Cass., Sez. III Civ., 30/03/1999, n. 3096; Cass., Sez. I Civ., 16/03/1999, n. 2374; Cass., Sez. I Civ, 17/04/1999, n. 3845; Cass., Sez. I Civ., 11/11/1999, n. 12507).
In vero, in mancanza di esplicita convenzione posteriore (e non anteriore) alla scadenza degli interessi (il contratto di apercredito con scoperto di conto si firma all’inizio del rapporto e non alla fine), non risulta praticabile il metodo degli interessi composti, atteso che il metodo legale, previsto dagli artt. 820 e 821 del nostro codice civile, prevede per il calcolo degli interessi quello della capitalizzazione semplice, ossia del calcolo proporzionale degli interessi in rapporto al capitale, al tasso ed al tempo di durata del rapporto.
Per le ragioni innanzi esposte, il metodo da applicare nel ricalcolo è quello legale degli artt. 820 e 821 c.c., che rimane sempre metodo di raffronto con gli eventuali metodi negoziali.
Lecce – Roma Vicepresidenza ADUSBEF
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[1] Non si può non tener conto che Banca d’Italia è controllata completamente da banche e fondazioni bancarie, detentrici della totalità del suo capitale azionario mediante il sistema delle quote.
[2] BONORA(cfr. “La nuova legge sull’usura”, Cedam 1998, 70 segg.) afferma: <<con un’operazione di dubbia legittimità, la Banca d’Italia ha stabilito che: “analogamente a quanto avviene in Francia (...) la commissione di massimo scoperto è oggetto di autonoma rilevazione”. L’operazione è stata avallata dal Ministero del Tesoro con D.M. 22 marzo 1997[2]. Non solo. (...) provvede ad una arbitraria suddivisione delle spese “incluse” e di quelle “escluse” (...) A nostro giudizio la scelta della Banca d’Italia, per quanto comprensibile, contrasta con il pur discutibile testo e spirito della norma la quale, nel pretendere che “tutte le commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese” (...) vengano inserite nel calcolo del tasso ai fini della determinazione della sua liceità, ha inteso sicuramente obbligare il sistema bancario e finanziario ad una ulteriore opera di trasparenza delle condizioni e comparabilità delle stesse”
[3] Ad esempio SELLAROLI (cfr. “Il Tasso di Usura Prefissato: una pericolosa illusione?” in Riv. it. dir. proc. pen. 1997, pag. 223) impiega tutto il paragrafo 6 a disperarsi per la mancata distinzione che la legge “opportunamente” (cfr. lavori preparatori) omette, tra interessi corrispettivi e moratori.
[4] cfr. intervento di GIARDA nei lavori preparatori, seduta del 6 febbraio 1996.
[5] Si precisa che ai fini della determinazione del tasso di interesse usurario le imposte e tasse sono escluse dal relativo calcolo ai sensi degli artt. 1 e 2, entrambi al comma 1, della 108/96.
[6] Il riferimento all’intera durata del rapporto è necessario perché diversamente operando si verrebbe ad eliminare dal costo del credito quell’effetto di moltiplicazione esponenziale del debito dettato dai meccanismi di matematica finaziaria tipici di alcune voci di costo, quali l’anatocismo e le provvigioni di massimo scoperto.
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