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Anatocismo e Usura > Come non fallire per banca...
IL TRIBUNALE DI S. MARIA CAPUA VETERE NON SI SMENTISCE: RIGETTATO IL RICORSO DI FALLIMENTO PRESENTATO DAL BANCO DI NAPOLI CONTRO UN'ASSOCIATA ADUSBEF
DETERMINANTE LA PREVENTIVA CONTESTAZIONE GIUDIZIALE DEL TITOLO
Avv. Antonio TANZA
Vicepresidente ADUSBEF
ADUSBEF conferma le sue buone consuetudini e porta a casa un altro ottimo successo presso il Tribunale fallimentare di S. Maria Capua Vetere, una curia che si sta segnalando tra le più avanzate ed illuminate in Italia nell'ambito della giurisprudenza prefallimentare: con decreto del 20 novembre 2001, il Collegio campano (Pres. DELLA SELVA; Rel. DONGIACOMO) ha rigettato il ricorso per dichiarazione di fallimento presentata da BANCO DI NAPOLI S.p.A. nei confronti di una società di Caserta, associata ad ADUSBEF, rappresentata e difesa dal Vicepresidente della Ns. Associazione Avv. Antonio TANZA (www.studiotanza.it)
Il caso - Con ricorso depositato il 5 ottobre 1999, BANCO DI NAPOLI S.p.A. richiedeva la dichiarazione di fallimento di una società casertana specializzata nella confezione di capi di abbigliamento, assumendo di essere creditrice della somma di Lire 1.730.406.072, rinveniente da due distinti decreti ingiuntivi emessi dal Presidente del Tribunale di S. Maria Capua Vetere in forza di n. 87 assegni, presuntivamente emessi verso terzi dalla resistente società, immediatamente accreditati sul conto corrente ordinario tratto dalla società presso la ricorrente banca, e però in seguito rimasti insoluti e quindi protestati, con conseguente addebito dell’importo corrispondente sul medesimo c/c, deducendo tra l’altro, quale indice di un presunto stato di insolvenza, la complessiva sofferenza patrimoniale desumibile dalle diverse iscrizioni ipotecarie su distinti beni del patrimonio della società resistente e dei rispettivi fideiussori, derivanti dall’azione dei titoli esecutivi conseguiti dalla banca per l’effetto della clausola di provvisoria esecuzione apposta ai decreti ingiuntivi emessi, nonché la presunta situazione di dissesto desumibile dalle annotazioni nel bilancio di esercizio della società di ulteriori esposizioni verso terzi per lire 3.558.622.223 non estinte.
La società si è difesa in modo puntuale e preciso, deducendo di aver tempestivamente opposto i suddetti decreti ingiuntivi, eccependo una serie complessa di vizi formali e sostanziali concernenti i titoli posti a base dell’ingiunzione (illegittimità degli interessi addebitati sui distinti c/c, falsità documentale di supposte autorizzazioni ad accrediti di somme su c/c intestati ad altra società, disconoscimento di firme di girata apposte sugli assegni scontati e su distinte di versamento su c/c di terzi, preventiva escussione di pegno ed ulteriori garanzie della presunta debitoria ingiunta).
Decisiva si è poi rivelata l'iniziativa della medesima di ribadire e precisare alcuni dei motivi di contestazione dei titoli, a base delle predette ingiunzioni, in un ulteriore giudizio di accertamento negativo del credito, autonomamente introdotto nei confronti dell’istituto, diretto tra l’altro a far dichiarare la illegittimità degli addebiti in c/c per interessi ultralegali, capitalizzati su base trimestrale, in violazione degli artt. 1283 e 1284 c.c., ivi compresi gli interessi computati sulla differenza in giorni – banca sulle valute delle singole operazioni, nonché per provvigioni di massimo scoperto mai convenute, con richiesta di riclassificazione delle singole poste contabili inerenti gli impugnati rapporti di c/c in regime di tasso legale sui saldi attivi e passivi ed eliminazione delle competenze illegittimamente maturate dalla banca in relazione alle dedotte invalidità parziali, in tal modo rappresentando un effettivo dare – avere tra le parti del rapporto ed evidenziando il reale stato contabile del medesimo.
Nel corso del giudizio prefallimentare la ditta resistente ha poi avuto cura di documentare la avvenuta estinzione delle esposizioni verso terzi risultanti a bilancio nonché la sopravvenuta escussione dalla banca del pegno di valori mobiliari emessi dai soci della ditta per un controvalore ampiamente capiente la presunta contestata esposizione bancaria.
Nella decisione, che di seguito si riporta, il Giudice fallimentare compie un accertamento approfondito sul complesso delle difese esposte dalle parti ed in particolare svolge un'analisi accurata sulle risultanze di bilancio della società resistente, giungendo inequivocabilmente all'accertamento della inesistenza di uno stato di insolvenza.
Il testo del provvedimento:
IL TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE
SEZIONE FALLIMENTARE
In Camera di Consiglio nelle persone dei magistrati:
dr. Andrea Della Selva Presidente
dr. Stanislao De Matteis Giudice
dr. Giuseppe Dongiacomo Giudice rel.
Letti gli atti della procedura prefallimentare n. 805/1999 ad istanza del Banco di Napoli s.p.a. per ottenere la dichiarazione di fallimento della *******, con sede in Caserta alla Via ***, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Gennaro D'ANDRIA e Antonio TANZA ;
assunte le opportune informazioni;
sentito il giudice relatore;
lette le memorie depositate dall’istituto istante e dalla società resistente;
esaminati i documenti prodotti;
osserva
L’istanza di fallimento proposta dal Banco di Napoli, nella qualità di procuratore della S.G.A. s.p.a., trae origine da una serie di circostanze di fatto considerate, nella prospettazione del ricorrente, come idonee a dimostrare lo stato di insolvenza della società resistente, e precisamente da:
a) l’inadempimento da parte della ****** al presunto debito verso il banco di Napoli per complessive lire 1.730.406.072, fondato su due decreti ingiuntivi, uno del 07/10/1995 per lire 718.945.815 e l’altro del 12/03/1996 per lire 904.066.057, oltre agli interessi ed alle spese per la procedura monitoria, per la registrazione degli atti, e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, emessi dal Presidente del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in conseguenza di numerosi assegni verso terzi girati alla banca ed immediatamente accreditati sul conto corrente ordinario intestato alla società resistente (...) e però in seguito rimasti insoluti e quindi protestati, con conseguente addebito dell’importo corrispondente, oltre al recesso dalle linee di credito a suo tempo concesse come da missiva trasmessa alla resistente ed ai suoi garanti con raccomandata del 23/03/1995 (v. i ricorsi monitori e la memoria di costituzione nei relativi giudizi di opposizione agli atti; v. anche la memoria del 23/05/2001); né tale inadempimento risulta eliminato, osserva ancora il banco, dai pegni (libretto al portatore e buoni di credito industriale) escussi con il ricavo della somma di lire 2.044.000.000 circa, accreditata il 18/07/1996 sul conto corrente n. (...) (conto sul quale – osserva il Banco – non sono transitati gli assegni di cui ai decreti ingiuntivi) a deconto delle esposizioni esistenti; né, infine, appare legittima la contestazione del difetto delle firme di girata sugli assegni versati, atteso il loro accredito immediato in favore della società al punto che il Giudice non ha mai sospeso la provvisoria esecutività dei decreti ingiuntivi opposti (v. memoria del 23/05/2001);
b) dal fatto che la debitrice, per dimostrare la propria asserita solvibilità, ben avrebbe potuto documentare di avere a disposizione la liquidità necessaria per la soddisfazione del credito vantato dal ricorrente ovvero effettuare un corrispondente deposito giudiziale, oppure, onde provare il credito goduto presso le banche ed i terzi, produrre una polizza fideiussoria bancaria o assicurativa, ovvero un contratto bancario di apertura di credito (v. memoria del 27/10/2000);
c) dalla situazione patrimoniale risultante dai relativi bilanci di esercizio, per gli anni 1997, 1998 e 1999, che non solo conterrebbero l’indicazione di un debito verso l’istituto ricorrente di almeno lire 2.651.268.894 (v. memoria del 23/05/2001), ma anche debiti verso terzi per lire 3.558.622.223 non estinti, a fronte, invece, di crediti oramai inesigibili e di rimanenze di merci invendibili (ovvero già liquidate: vedi memoria del 08/05/2001), al punto che lo stesso amministratore nella nota integrativa al bilancio 1997, ha denunciato “la gravissima situazione finanziaria della società resistente” (v. ancora la memoria del 27/10/2000).
La ******, dal suo canto, ha vivacemente contestato il credito vantato dall’istituto ricorrente negando per l’effetto di trovarsi in stato di insolvenza, sul presupposto:
a) di aver proposto contro il Banco di Napoli con citazione notificata il 27/ 01/2000 azione avente ad oggetto l’accertamento (tra l’altro) della nullità parziale dei rapporti contrattuali di conto corrente bancario e di apertura di credito intercorsi con lo stesso, relativamente, in particolare, alle clausole di determinazione degli interessi ultralegali mediante al rinvio al c.d. “uso piazza”, di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, di previsione della c.d. commissione di massimo scoperto, con la conseguenza che le somme incamerate e/o addebitate, in corrispondenza delle clausole invalide, dal banco sono da considerarsi pagamenti indebiti e vanno, pertanto restituite, oltre al risarcimento dei danni subiti (v. memoria del 19/10/2000);
b) di aver proposto contro il banco di Napoli, con citazioni notificate in data 05/12/1995 e 09/05/1996, tempestive opposizioni avverso i decreti ingiuntivi allegati dal ricorrente, sia sul rilievo di non avere in realtà mai apposto attraverso il suo legale rappresentante, Sig. *****, le necessarie firme di girata (mai delegate ad altri) sugli assegni indicati dal banco e sulle relative distinte di versamento-che sono state quindi formalmente disconosciute senza che la banca abbia tempestiva istanza di verificazione- con la conseguenza che l’addebito operato dall’istituto su conto corrente intestato alla società per effetto del mancato incasso degli stessi è inammissibile e nessun credito al rimborso può essere vantato verso la società resistente (v. gli atti di citazione in opposizione che contengono anche le domande riconvenzionali di condanna dell’istituto opposto al risarcimento dei danni subiti), sia per la circostanza che il banco istante ha escusso garanzie per oltre tre miliardi con la conseguenza che null’altro può pretendere dalla società resistente (v. le memorie difensive del 19/10/2000, 08/05/2001 e 13/11/2001);
c) di avere estinto tutte le passività (non contestate) emergenti in bilancio (fornitori, effetti protestati), attraverso l’accollo da parte dei soci (vedi memoria del 08/05/2001, cui sono allegate le relative dichiarazioni liberatorie) e la remissione dagli stessi operata in ordine ai crediti dagli stessi vantati verso la società – corrispondenti, al 31/12/2000, a lire 2.326.268.894, pari agli originali 500.000.000, per finanziamento alla società, più il debito verso le banche (in realtà verso il solo Banco di Napoli: v. memoria del 13/11/2001, in fine) per lire 2.651.268.894, derivante dall’escussione da parte del banco di Napoli del pegno dato dai soci di pari importo e dalla conseguente surrogazione degli stessi nel predetto credito oramai soddisfatto, meno la rinunzia per lire 825.000.000 necessaria al ripianamento delle corrispondenti perdite di bilancio – ed, infine, la garanzia offerta con apposita polizza depositata in giudizio, per l’adempimento dei residui debiti insoluti previdenziali e tributari (v. la memoria del 07/06/2001 e del 13/11/2001);
d) di godere, insieme ai fideiussori di un patrimonio mobiliare ed immobiliare ampiamente capiente ed in grado per ciò stesso di assicurare abbondantemente la soddisfazione del presunto credito vantato dall’istituto ricorrente (vedi memorie del 19/10/2000), in mancanza di altri ricorsi di fallimento e di pignoramenti a suo carico (vedi memoria del 08/05/2001).
***
Ora, osserva il Tribunale che, in linea di principio va senz’altro escluso lo stato di insolvenza tutte le volte in cui l’imprenditore resistente abbia contestato il credito vantato dal ricorrente, quando tale contestazione, ad una valutazione necessariamente sommaria non appaia manifestamente infondata o pretestuosa, volta cioè esclusivamente a ritardare l’inadempimento dovuto.
Nel caso di specie, il credito attivato dalla banca istante appare seriamente contestato dalla società ingiunta qui resistente, non fosse altro perché, ben prima della presentazione del ricorso in fallimento in esame (ottobre 1999), la stessa aveva proposto nelle ordinarie sedi giudiziarie non solo tempestivi atti di opposizione ai decreti ingiuntivi dedotti a suo fondamento (v. gli atti di citazione prodotti all’uopo in giudizio, notificati all’istituto ricorrente, rispettivamente, nei mesi di dicembre del 1995 e di maggio del 1996), ma anche e soprattutto sollevato, nelle predette sedi e, di conseguenza, nel presente procedimento, contestazioni fondate su ragioni di fatto e di diritto (vale a dire la non imputabilità alla società resistente delle firme di girate alla banca apposte ai numerosi assegni verso terzi rimasti impagati) che, se considerate veritiere e fondate dal giudice naturale a suo tempo adite, nel giudizio a cognizione piena che in via esclusiva è a ciò deputato, escluderebbero integralmente la ragione creditoria fatta valere nel presente giudizio, posto che, in difetto di prova documentale dell’accredito immediato alla correntista degli assegni asseritamene girati alla banca ed in mancanza di una girata imputabile alla stessa società correntista degli assegni in questione, il banco giammai avrebbe potuto legittimamente addebitare in conto i relativi importi a fronte del mancato pagamento degli stessi.
Del resto, sulla non manifesta infondatezza delle contestazioni sollevate dalla resistente al credito attivato dal Banco di Napoli questo tribunale si è già positivamente pronunciato nel decreto con il quale, in data 19/1/2001, ha rigettato l’istanza di fallimento che lo stesso banco, sul fondamento dei titoli giudiziali posti a base anche della presente procedura (e cioè il decreto ingiuntivo n. 2041/1995 ed il decreto ingiuntivo n. 391/1996), aveva proposto contro la ***** (poi confermato in sede di reclamo dalla Corte di Appello di Napoli con decreto del 12/6/2001, agli atti), e proprio sul rilievo che, nella specie, va esclusa “la pretestuosità della contestazione giudiziale svolta dal debitore … in considerazione della puntualità e della complessità delle doglianze prospettate nelle rispettive sedi di accertamento giudiziale”.
Né, a ben vedere, lo stato di insolvenza può ragionevolmente inferirsi dalla debitoria esposta dalla società resistente nei bilanci di esercizio relativi agli anni 1997, 1998, 1999 e 2000, prodotti in giudizio.
Ed infatti, avendo riguardo esclusivamente al bilancio di esercizio al 31/12/1999 (e quindi senza considerare quello al 31/12/2000 che, in quanto redatto nel 2001, e cioè a dire dopo la presentazione del ricorso di fallimento e della connessa richiesta da parte del tribunale dei bilanci della società resistente, con decreto del 31/10/2000, potrebbe essere stato predisposto in modo da non far emergere la presunta insolvenza della società), la resistente risulta gravata da debiti per complessive £. 3.393.705.557, così distinti nella nota integrativa:
a) debiti verso i soci per £. 500.000.000 per finanziamenti alla società;
b) debiti verso fornitori per £. 130.000.000;
c) debiti verso le banche per £. 2.651.268.894;
d) debiti previdenziali per £. 14.333.648;
e) debiti tributari per £. 97.303.015.
Ora, allo stato, mentre i debiti verso fornitori risultano estinti (v. le quietanze, agli atti), al pari dei debiti verso i soci (v. le remissioni, agli atti), i debiti tributari e previdenziali risultano garantiti da polizza fideiussoria assicurativa di pari importo depositata in giudizio.
Il vero problema riguarda, quindi, i debiti bancari, indicati in bilancio in complessive £. 2.651.268.894 senza alcuna indicazione, nella nota integrativa, circa la loro natura contestata o meno, dovendosi stabilire, in particolare, se trattasi di pretese verso istituti bancari diversi dal banco ricorrente ed, in caso negativo, se tali pretese si aggiungono, o meno, a quella attivata dal banco con l’istanza di fallimento.
La prima ipotesi, e cioè che riguardi debiti verso banche diverse dal banco istante, deve essere esclusa non solo perché, allo stato degli atti, nessuna altra banca ha proposto istanza di fallimento o trascritto debiti immobiliari nei confronti della società resistente (v. le informazioni fornite dalla G.d.F. di Caserta il 28/07/2000) o comunque agito in giudizio, in sede di cognizione o di esecuzione, contro la stessa per far valere possibili pretese creditorie, ma soprattutto perché la stessa banca ricorrente, come prima osservato, ha chiaramente rilevato che l’appostazione contabile intitolata “ debiti verso le banche” riguarda, in realtà, esclusivamente le sue pretese creditorie verso la società resistente, come del resto quest’ultima ha espressamente riconosciuto e documentato (v. memoria del 13/11/2001).
Ciò detto, si tratta allora di verificare se il debito indicato in bilancio verso il Banco di Napoli si aggiunge a quello attivato nell’odierna istanza di fallimento oppure si tratta, sia pur con una differente quantificazione, della medesima posizione debitoria.
La prima soluzione va senza dubbio scartata, non fosse altro perché lo stesso ricorrente ha espressamente dedotto che il suo credito verso la resistente ammonta ad almeno 2.651.268.894 di lire (v. memoria del 23/05/2001, pag. 2), con ciò, quindi, escludendo di poter vantare crediti per titoli ulteriori rispetto a quello già allegato in giudizio (ad es. per rate di mutuo ovvero per scoperto di conto corrente non compreso negli addebiti relativi agli assegni insoluti posti a fondamento dei ricorsi monitori).
Ne deriva che, in realtà, il debito indicato in bilancio in £. 2.651.268.894 quale “debito verso le banche” riguarda esclusivamente il Banco di Napoli e senza aggiungersi al credito, attivato da quest’ultimo con l’istanza di fallimento in esame, con l’ulteriore conseguenza che, avendo la società resistente contestato quest’ultimo credito ed in difetto di prova documentale di un maggior credito da parte del banco, l’appostazione contabile di siffatta debitoria per un importo maggiore rispetto a quello concretamente vantato dal banco ricorrente finisce per essere, ai fini in esame, del tutto ininfluente, subendo, per l’effetto, la medesima contestazione sollevata con riguardo al primo nel presente giudizio.
E tutto ciò – si noti – a prescindere da ogni rilievo in ordine alla garanzia pignoratizia concessa dai soci e successivamente escussa dal Banco di Napoli: infatti, contrariamente a quanto sul punto affermato dalla ricorrente, l’importo della garanzia escussa il 18/07/1996 (e quindi dopo i ricorsi ingiuntivi e la ivi indicata revoca degli affidamenti concessi, intervenuta il 23/03/1995), pari a £. 2.044.000.000, risulta accreditato, come emerge dalla relativa comunicazione, agli atti, “in deconto delle esposizioni della garantita” società, sul conto corrente bancario n. (...), e cioè, precisamente, sullo stesso conto corrente sul quale sono transitati gli assegni insoluti posti a fondamento dei decreti ingiuntivi e, quindi, dell’istanza di fallimento (v. la comparsa di costituzione del banco nel giudizio di opposizione pag. 3): ora, avendo il banco dichiaratamente agito per un credito di importo di circa due miliardi per addebiti eseguiti sul predetto conto in conseguenza del mancato incasso degli assegni predetti ed in mancanza di (prova di) crediti per ulteriori somme derivanti dallo stesso conto, può ragionevolmente dedursi che, in seguito all’escussione della garanzia concessa dai soci e dell’accredito sullo stesso conto della somma di £. 2.044.000.000 indicata dal banco istante, il credito attivato con l’odierna istanza di fallimento si è, in realtà, estinto, con il conseguente subingresso al banco dei soci garanti (v. la memoria del 07/06/2001 ed il bilancio al 31/12/2001) che, però, hanno rinunziato al credito conseguentemente maturato verso la società.
L’istanza di fallimento va, perciò, rigettata.
p.t.m.
rigetta l’istanza.
Santa Maria C.V., 20/11/01
Il Relatore Il Presidente
(dr. Giuseppe DONGIACOMO) (dr. Andrea Della Selva)
Alcune considerazioni - Come potrà notarsi, nella valutazione del Tribunale fallimentare, pur nell'approccio forzatamente delibativo e sommario dell'accertamento che si svolge tipicamente nel giudizio ex art. 5 L.F., è risultata determinante la circostanza che la ditta presunta debitrice abbia dimostrato la propria solvibilità rispetto a titoli non contestati - evidenziando documentalmente il pagamento di debiti verso terzi fornitori ovvero allegando garanzie di pronto adempimento della pregressa esposizione verso l'Erario o enti previdenziali - ma abbia altresì fermamente resistito alle richieste formulate da BANCO DI NAPOLI S.p.A. sulla base di titoli giudizialmente contestati poiché derivanti da operazioni di accredito di assegni non riconducibili alla società ovvero rinvenienti da saldi debitori su c/c generati dall'applicazione di clausole contrattuali manifestamente illegittime ovvero mai convenute (uso piazza, anatocismo trimestrale, c.m.s., valute).
Il mancato pagamento dei titoli vantati dalla banca ha trovato dunque radici non già nella incapacità di adempiere regolarmente alle proprie (presunte) obbligazioni, sì piuttosto nella volontarietà dell'inadempimento (debito contestato) dell'imprenditore solvibile e, come tale, prescindente dalla insolvenza intesa come incapacità patrimoniale.
Il maldestro tentativo della banca del ricorso alla via fallimentare si è dunque palesato come l'utilizzo di un comodo strumento per il riconoscimento di indebite pretese e per evitare gli incerti di un giudizio cognitorio destinato piuttosto all'accertamento della insussistenza ed illegittimità di tali pretese.
La valutazione compiuta dal Giudice fallimentare si è in particolare soffermata sul carattere non pretestuoso delle eccezioni svolte dal presunto debitore in ordine alla contestazione del credito posto a base dell’istanza, sì da verificare che esse non apparivano manifestamente infondate ovvero strumentalmente dirette in via esclusiva a differire nel tempo il pagamento di quanto eventualmente dovuto, ovvero a dissimulare un’ingiustificata volontà del preteso debitore di sottrarsi all’adempimento degli obblighi assunti non essendo in realtà in grado di farvi fronte con mezzi normali di pagamento.
Viene dunque ribadito dalla riportata decisione un principio di immediata considerazione e generale applicazione: è necessario contestare nelle idonee sedi giudiziali il credito esposto dalla banca, evitando il consolidamento dei rispettivi titoli mediante la prospettazione analitica dei motivi di contestazione e la rappresentazione di un andamento contabile dei rapporti bancari tale da evidenziare la inesistenza e/o illiquidità della presunta debitoria ivi insistente.
ADUSBEF ribadisce pertanto l'invito agli utenti bancari ad attivarsi tempestivamente nella impugnazione giudiziale dei rapporti bancari, costituendo secondo le opportunità il terreno processuale idoneo a paralizzare l’istanza di fallimento presentata dalla banca e vincerne in tal modo le illegittime pretese.
Lecce, lì 24 novembre 2001.
Vicepresidenza ADUSBEF
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