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Appello Milano e L'AQUILA

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2012

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte
I sezione civile

Composta dai Magistrati

Dott. Antonino Di Leo
Presidente
Dott. Maria Rosaria Sodano Consigliere rel.
Dott. Alberto Vigorelli

Ha pronunciato la seguente


SENTENZA n. 2195 del 20 giugno 2012

Nella causa civile promossa in grado di appello e posta in deliberazione nella camera di consiglio del 18 maggio 2012

TRA

Banca popolare di Milano soc. coop. Arl. (CF e P.IVA 00715120150) rappresentata e difesa, come da procura a margine della comparsa di costituzione e risposta di secondo grado, dall'Avv. Prof. Giorgio De Nova, elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Milano, Piazza F. Meda n. 4

Appellante (proc. N. 1127/08 e N. 875/09)

CONTRO

A S. SRL (P.IVA 02209220124) rappresentata e difesa, come da delega in calce della comparsa di costituzione e risposta di secondo grado, dall'Avv. Mauro Capodiferro unitamente e disgiuntamente all'Avv. Tanza del Foro di Lecce, tutti elettivamente domiciliati in Milano, via Olmetto n. 10 presso e nello studio dell'Avv. Marina Figini

Appellata (proc. N. 1127/08 e N. 875/09)

CONCLUSIONI DEI PROCURATORI DELLE PARTI

Per l'appellante:
I) Quanto al giudizio R.G. 1127/08:
Voglia l'Ecc.ma Corte, respinta ogni diversa e contraria domanda, istanza, deduzione ed eccezione,
In via preliminare di rito, dichiarare nulla l'ordinanza ex art. 186- quater cod. proc. civ. del Tribunale di Milano in data 22/24 gennaio 2008, con ogni eventuale consequenziale pronunzia;
In via subordinata, nel merito,
- in via principale, rilevata l'intervenuta estinzione per prescrizione delle pretese restitutorie avversarie (aventi ad oggetto interessi anatocistici addebitati dalla Banca Popolare di Milano Soc. coop. a r.l. alla A S. S.r.l.) per il periodo anteriore ai cinque anni precedenti la data della notificazione dell'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado (3 gennaio 2006), rigettare ogni pretesa della A S. S.r.l. volta ad ottenere la condanna della Banca Popolare di Milano Soc. coop. a r.l. alla restituzione di interessi anatocistici addebitati alla A S. S.r.l.;
in via subordinata, rilevata l'intervenuta estinzione per prescrizione delle pretese restitutorie avversarie (aventi ad oggetto interessi anatocistici addebitati dalla Banca Popolare di Milano Soc. coop. a r.l. alla A S. S.r.l.) per il periodo anteriore ai dieci anni precedenti la data della notificazione dell'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado (3 gennaio 2006), limitare la condanna della Banca Popolare di Milano Soc. coop. a r.l. alla restituzione, per il periodo compreso fra il 3 gennaio 1996 ed il 30 giugno 2000, senza interessi legali precedenti alla data della notificazione dell'avversario atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado;
In ogni caso, con vittoria di spese, competenze ed onorari di entrambi i gradi di giudizio.
2) Quanto al giudizio R.G. 875/09:
Voglia l'Ecc.ma Corte, respinta ogni diversa e contraria domanda, istanza, deduzione ed eccezione,
In via preliminare di rito, dichiarare nulla l'ordinanza ex art. 186- quater cod. proc. civ. del Tribunale di Milano in data 22/24 gennaio 2008, con ogni eventuale consequenziale pronunzia;
In via subordinata, nel merito,
in via principale, rilevata l'intervenuta estinzione per prescrizione delle pretese restitutorie avversarie (aventi ad oggetto interessi anatocistici addebitati dalla Banca Popolare di Milano Soc. coop. a r.l. alla A S. S.r.l.) per il periodo anteriore ai cinque anni precedenti la data della notificazione dell'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado (3 gennaio 2006), rigettare ogni pretesa della A S. S.r.l. volta ad ottenere la condanna della Banca Popolare di Milano Soc. coop. a r.l. alla restituzione dì interessi anatocistici addebitati alla A S. S.r.l.;
in via subordinata, rilevata l'intervenuta estinzione per prescrizione delle pretese restitutorie avversarie (aventi ad oggetto interessi anatocistici addebitati dalla Banca Popolare di Milano Soc. coop. a r.l. alla A S. S.r.l.) per il periodo anteriore ai dieci anni precedenti la data della notificazione dell'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado (3 gennaio 2006), limitare la condanna della Banca Popolare di Milano Soc. coop. a r.l. alla restituzione, per il periodo compreso fra il 3 gennaio 1996 ed il 30 giugno 2000, senza interessi legali precedenti alla data della notificazione dell'avversario atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado;
In ogni caso, con vittoria di spese, competenze ed onorari di entrambi i gradi di giudizio.

Per l' appellata: (proc. N. 1127/08)
Piaccia all'Ecc. ma Corte di Appello adita, respinta ogni contraria istanza ritenere fondati i motivi esposti nella comparsa di costituzione e risposta, il cui contenuto si abbia per ivi integralmente riportato, e per l'effetto:
in via preliminare
rigettare l'istanza di riunione dei due appelli avanzati dalla Banca Popolare di Milano;
dichiarare l'inammissibilità del proposto appello con tutte le conseguenze di legge, per le ragioni articolate nella narrativa della comparsa di costituzione e risposta ed in particolare per non aver l'opposta ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. efficacia di sentenza impugnabile alla data di notifica dell'atto di appello posto che la dichiarazione di rinuncia alla pronuncia della sentenza ex art. 186-quater, 4° comma c.p.c. della Banca Popolare di Milano Soc. Coop. a r.l., ivi prodotta, è stata notificata a questa difesa solo in data 17 febbraio 2009;
in via subordinata e nel merito
rigettare la domanda di nullità dell'ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. emessa dal Tribunale di Milano in data 22-24 gennaio 2008 e per l'effetto confermare le statuizioni nella stessa contenute;
rigettare l'avversa eccezione di prescrizione quinquennale ovvero decennale;
in via meramente subordinata
nella denegata ipotesi di dichiarazione di nullità della impugnata ordinanza ex art. 186 quater c.p.c., rimettere gli atti al Tribunale di Milano, ovvero statuire sulle domande avanzate dalla parte attrice con atto di citazione notificato in data 3 gennaio 2006.
Con vittoria di spese, competenze ed onorari del presente giudizio.
Per l'appellata (proc. N. 875/09):
Piaccia all'Ecc. ma Corte di Appello adita, respinta ogni contraria istanza ritenere fondati i motivi esposti nella comparsa di costituzione e risposta, il cui contenuto si abbia per ivi integralmente riportato, e per l'effetto:
in via preliminare
rigettare l'istanza di riunione dei due appelli avanzati dalla Banca Popolare di Milano;
dichiarare l'inammissibilità del proposto appello per le ragioni articolate nella narrativa della comparsa di costituzione e risposta con tutte le conseguenze di legge
in via subordinata e nel merito
rigettare la domanda di nullità dell'ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. emessa dal Tribunale di Milano in data 22 - 24 gennaio 2008 e per l'effetto confermare le statuizioni nella stessa contenute;
rigettare l'avversa eccezione di prescrizione quinquennale ovvero decennale;
in via meramente subordinata
nella denegata ipotesi di dichiarazione di nullità della impugnata ordinanza ex art. 186 quater c.p.c., rimettere gli atti al Tribunale di Milano, ovvero statuire sulle domande avanzate dalla parte attrice con atto di citazione notificato in data 3 gennaio 2006.
Con vittoria di spese, competenze ed onorari del presente giudizio

PREMESSA

Con ordinanza emessa in data 22/24 gennaio 2008 il Tribunale di Milano ha rilevato che l'attrice A S. SRL aveva proposto, in relazione al contratto di c/c n. 16450, domanda di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, domanda di nullità della previsione della CSM (commissione di massimo scoperto), di illegittimità delle variazioni delle condizioni economiche applicate al rapporto soprattutto con riferimento alla misura del tasso di interesse debitorio perché oggetto di variazioni mai preventivamente comunicate alla Banca, oltre che per eccessività del costo di denaro (TAEG). Ha rilevato, inoltre, che l'attrice aveva chiesto la pronuncia di ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. per la somma di euro 33.066,97, costituente, secondo la CTU, il saldo alla data del 30.4.2000 del c/c per cui è causa, depurato della somma applicata per interessi anatocistici debitori per il periodo dal 3.8.1995 - data di inizio del rapporto - al 30.6.2000, data in cui, per effetto della modifica dell'art. 120 del T.U.B. l'anatocismo è divenuto legittimo nei rapporti bancari. Ha ritenuto, altresì che la domanda ex art. 186 quater c.p.c. era limitata "tra le varie questioni introdotte con l'atto di citazione alla sola domanda di condanna della Banca alla restituzione delle somme indebitamente percepite a titolo di interessi anatocistici". Ha poi considerato che la proposizione della domanda di nullità (della clausola che prevedeva l'anatocismo trimestrale) non era di ostacolo all'ammissibilità dell'ordinanza ex art. 186 quater c.p.c, quando, come nel caso di specie, la declaratoria di nullità era un passaggio logico per il quale si era chiesto, con azione di condanna il pagamento della convenuta. Ha, quindi, rilevato che la Banca aveva eccepito la prescrizione del credito e che detta eccezione doveva considerarsi infondata dal momento che, nell'ambito del contratto di c/c bancario "fino a che il contratto non viene chiuso, non esiste un credito esigibile della Banca e, quindi, non può ritenersi che decorra per il cliente un termine di prescrizione della facoltà di contestare il saldo.. e che, solo alla data di chiusura del conto può decorrere il termine decennale di prescrizione del diritto a disporre delle somme risultanti dal saldo, termine che, nel caso di specie, essendo stato chiuso il rapporto alla data del 30.4.2004, alla data di notificazione dell'atto di citazione
(31.1.2006) non si era ancora adempiuto". Il primo giudice ha pertanto conclusivamente ritenuto che: a) la Banca aveva dimostrato di aver modificato in conformità a quanto prescritto dalla delibera CCR il contratto di conto corrente bancario in essere con la società attrice con effetto dal 1.7.2000 sicché l'illegittimità dell'anatocismo era contenuta al periodo al 3.8.1995 - 30.6.2000"; b) il saldo di chiusura del conto corrente 1645 alla data del 30.4.2004 doveva essere rettificato eliminando le annotazioni effettuate illegittimamente a titolo di interessi debitori anatocistici dalla sua costituzione ai 30.6.2000 e doveva essere fissato in euro 33.066,97 cosi come calcolato dalla CTU. Ha quindi condannato la Banca convenuta al pagamento in favore dell'attrice della somma di euro 33.066,87 oltre al pagamento delle spese.
Avverso l'ordinanza indicata in premessa ha proposto duplice appello la Banca, il primo, con atto notificato il 26.3.2008 e il secondo con atto notificato in data 4 marzo 2009.
In entrambi ì giudizi si è ritualmente costituita la parte appellata A S. SRL (di seguito A SRL), eccependo l'inammissibilità del primo appello in quanto proposto in assenza della notifica e del deposito della dichiarazione di rinunzia alla parte intimata in base a quanto previsto dalla normativa anteriore al novellato ultimo comma dell'art. 186 quater c.p.c., cosi come modificato dall'art. 2 L. 263/2005 in vigore per i procedimenti istaurati successivamente al 1 marzo 2006, che prevede, invece, la conversione automatica dell'ordinanza in sentenza impugnabile, salvo contraria manifestazione della parte intimata.
Quanto al secondo gravame, proposto successivamente alla notifica in data 17 febbraio 2009 della dichiarazione di rinuncia alla sentenza, la parte appellata ne ha ulteriormente eccepito l'inammissibilità a causa della sua tardività e cioè della sua proposizione oltre il termine breve di impugnazione decorrente dalla notifica della prima impugnazione, da ritenersi equipollente, ai fini della conoscenza legale, alla notifica del provvedimento stesso.
Ritiene la Corte che la prima eccezione di inammissibilità possa ritenersi superata a seguito dall'intervenuta proposizione del secondo appello, che, contrariamente a quanto dedotto da A SRL, va ritenuto ammissibile.
Ed infatti, deve essere considerato che - per stessa ammissione della parte appellata - fino alla notifica della dichiarazione di rinuncia della sentenza, l'ordinanza non poteva essere ritenuta un provvedimento impugnabile, ragione per cui la notifica della prima impugnazione doveva essere considerata tamquam non esset.
Ne deriva che la seconda impugnazione, notificata in data 4 marzo 2009 e, dunque, nei trenta giorni successivi alla notifica della dichiarazione di rinuncia, non può essere considerata tardiva proprio perché intervenuta nel termine breve decorrente dall'intervenuta conversione dell'ordinanza in sentenza.
Quanto all'eccepita consumazione del potere di impugnazione, questa deve essere senz'altro esclusa per non essere intervenuta alcuna declaratoria di inammissibilità del primo gravame, situazione, questa, che, secondo quanto autorevolmente ritenuto dalla Corte di legittimità, neanche rileva nel caso di specie, stante la particolare natura dell'ordinanza non rinunciata, non idonea a costituire giudicato in senso formale (cfr. a tal proposito Cass. Civ. 27 gennaio 2011 n. 1902 secondo cui: la consumazione del potere d'impugnazione, che ai sensi dell'art. 358 cod. proc. civ., consegue alla dichiarazione di inammissibilità od improcedibilità dell'appello, presuppone che l'impugnazione sia stata rivolta contro un provvedimento idoneo a costituire giudicato in senso formale. Ne consegue che, proposto appello avverso un'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 186 quater cod. proc. civ. (nel testo anteriore alla modifica apportata dalla legge 28 dicembre 2005, n. 263), e dichiarato tale gravame inammissibile per non avere l'ordinanza acquistato efficacia di sentenza, in assenza di una valida rinuncia alla pronuncia di sentenza proveniente, dalla parte intimata, è ammissibile la proposizione di un successivo appello contro la medesima ordinanza, una volta che la parte intimata, nella prosecuzione del giudizio di primo grado, abbia validamente manifestato detta rinuncia nelle forme di rito).
Con il primo motivo di censura, la Banca eccepisce la nullità dell'ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. per essere stata resa a seguito dell'inammissibile proposizione della relativa istanza, formulata dalla parte appellata, attrice in primo grado, all'udienza del 22 gennaio 2008 fissata dal G.I. per l'esame della CTU, all'esito della quale il giudice aveva invitato "la difesa dell'attrice a precisare la sua contestazione sull'attività del consulente, riservandosi di provvedere sulle istanze ex art. 186 ter e 186 quater c.p.c (cfr. verbale udienza di primo grado).
Infatti, secondo l'assunto della parte appellante, l'istanza ex art. 186 quater c.p.c. sarebbe stata formulata da A SRL prima del termine iniziale per la sua proposizione, individuabile nel momento in cui il Giudice invita le parti a precisare le conclusioni.
L'assunto è infondato.
Ed infatti, ai sensi dell'art. 186 quater c.p.c. l'ordinanza anticipatoria di condanna può essere chiesta e pronunciata una volta "esaurita l'istruzione", senza che, a tal fine, debba preliminarmente essere adottato un provvedimento di formale chiusura della fase istruttoria. Nel caso di specie, essendo stata espletata CTU e non essendo state richiesti ulteriori mezzi istruttori, l'istruzione della causa poteva dirsi conclusa.
Con il secondo motivo di censura, l'appellante deduce la nullità dell'ordinanza pronunciata ex art. 186 quater c.p.c. in conseguenza della ritenuta inammissibilità della relativa istanza, a suo giudizio formulata in dipendenza di altre domande non aventi natura di condanna e, nello specifico, della domanda di nullità parziale del contratto inter partes, pure proposta da A SRL.
Anche tale assunto appare infondato.
Ed infatti l'accertamento della nullità parziale - in ordine al quale il primo giudice era chiamato a pronunciarsi incidenter tantum - costituiva il passaggio logico - giuridico necessario per pervenire alla pronuncia anticipatoria di condanna al pagamento delle somme illegittimamente riscosse dalla Banca sulla base dell'arbitraria capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici e delle C.M.C.
Con l'ultimo motivo di censura, la Banca chiede la riforma dell'impugnata ordinanza, contestando il rigetto dell'eccezione di prescrizione già proposta in primo grado. Afferma, infatti, che l'attrice avrebbe fatto valere un credito di interessi, che sarebbe soggetto alla prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948 c.c. e che, inoltre, il termine prescrizionale avrebbe dovuto decorrere da ciascun addebito in conto.
L'assunto é infondato.
Ed infatti, va innanzi tutto esclusa l'applicabilità della prescrizione di cinque anni prevista dall'art. 2948 c.c. che riguarda esclusivamente la domanda diretta a conseguire gli interessi che maturano annualmente o in termini più brevi e non già - come nel caso di specie - la restituzione delle somme indebitamente percepite.
Quanto alla decorrenza del termine prescrizionale, la Banca fa esplicito richiamo all'art. 2 comma 61 del D.L. n. 225/10 convertito nella l. 26.2.2011 n. 10, inapplicabile perché dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 5.4.2012.
Inoltre, essendo pacifico che il conto corrente per cui è causa era assistito da apertura di credito, la Banca avrebbe dovuto, quanto meno, allegare quali versamenti abbiano avuto natura ripristinatoria della provvista e qual i abbiano avuto funzione solutoria; infatti, l'assolvimento di tale onere appariva necessario per individuare a quale rimessa di c/c poteva essere ancorato il termine di decorrenza della prescrizione secondo il principio più volte ritenuto dalla S.C. e definitivamente assunto nella sentenza S.U. 2 dicembre 2010 n. 24418 (l'azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell'anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte del "solvens" con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'accipiens".
Conclusivamente l'appello appare infondato e comporta la conferma dell'ordinanza impugnata.
Per la sua soccombenza, la Banca deve essere condannata a rimborsare alla parte appellata le spese del secondo grado di giudizio che, avuto riguardo al valore della causa e alle questioni oggetto di trattazione oltre che alle tariffe professionali, che, seppure venute meno, forniscono, pur sempre, criteri equi ed adeguati per procedere ad una corretta liquidazione dei compensi per l'attività processuale in concreto svolta, si liquidano in curo 250,00 per spese, euro 1.350,00 per diritti ed euro 2.650,00 per onorari, oltre agli oneri di legge.

PQM

La Corte, definitivamente pronunciando sull'appello proposto dalla Banca popolare di Milano contro A S. SRL, avverso l'ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. pronunciata dal tribunale di Milano in data 26 gennaio/9 febbraio 2008, così provvede:
a)
Rigetta l'appello e conseguentemente conferma l'ordinanza impugnata;
b) Condanna l'appellante a rimborsare alla parte appellata le spese del secondo grado di giudizio liquidate in euro 250,00 per spese, euro 1.350,00 per diritti ed euro 2.650,00 per onorari, oltre agli oneri di legge.
Così deciso in Milano il 18 maggio 2012




REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D'APPELLO DI L'AQUILA

riunita in camera di consiglio nelle persone dei Magistrati:
dott. Augusto Pace Presidente
dott. Maria Gilda Brindesi Consigliere rel.
dott. Giuseppe Iannaccone Consigliere
ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 852 del 12 giugno 2012

nella causa civile di appello iscritta al n. 918\2008 R.G.C.A., vertente tra
Banca CARIPE s.p.a., rappresentata e difesa dall'avv. Domenica Russi e dagli avvocati proff. Paolo Ferro-Luzzi e Federico Ferri-Luzzi giusta procura apposta in calce all'atto di appello, elettivamente domiciliata in L'Aquila presso lo Studio dell'avvocato Rosanna Perilli

Appellante

e

N. M., nella qualità di procuratore di C. M. (come da procura 21-12-2003 per notar Egidio Marra), rappresentato e difeso dagli avv. M. Teresa De Carlo ed Antonio Tanza giusta procura a margine della comparsa di risposta, elettivamente domiciliato in Pescara

Appellato

avverso le sentenze del Tribunale di Pescara: non definitiva n. 957/2007 del 12-7-2007, e definitiva n. 78/2008 del 22-1-2008, avente ad oggetto ripetizione d'indebito riservata a decisione all'udienza del 14-2-2012 sulle conclusioni delle parti come trascritte in epigrafe.

FATTO E DIRITTO

1.1) Con atto di citazione notificato l'8-7-2005 N. M. , nella qualità di procuratore speciale di N. M. C., conveniva la Banca Caripe s.p.a. dinanzi al Tribunale di Pescara, deducendo che N. M. C. aveva intrattenuto con la Banca un rapporto di conto corrente bancario con apertura di credito (n.65902). Eccepiva la nullità della clausola negoziale che, per la determinazione del tasso d'interesse, rinviava agli "usi piazza"; di quella che prevedeva la capitalizzazione trimestrale degli interessi in favore della banca; di quella che obbligava il cliente al pagamento della commissione di massimo scoperto (c.s.m.); di quella che fissava la "valuta" in un giorno diverso da quello di effettivo deposito o prelievo del denaro, sempre in senso favorevole alla banca; di quella che onerava il cliente del pagamento delle spese di tenuta del conto.
Chiedeva perciò che, dichiarata la nullità di quelle convenzioni, gli interessi fossero conteggiati al tasso legale, con le valute effettive, e con esclusione della capitalizzazione, delle spese e delle c.m.s., e che gli fossero quindi restituite le somme che la banca aveva percepito in eccesso rispetto a quelle effettivamente dovute, con interessi e rivalutazione. Aggiungeva che Banca Caripe s.p.a., sul rilievo che il conto risultava in passivo, aveva ad un certo punto comunicato il nominativo del N. M. alla "Centrale dei rischi", istituita presso la Banca d'Italia: chiedeva perciò che -una volta accertata l'inesistenza della "sofferenza", che aveva dato luogo a quella comunicazione- la Banca fosse condannata a rettificare la segnalazione.
1.2) La convenuta chiedeva il rigetto della domanda.
1.3) Il Tribunale, dopo aver dichiarato (con sentenza non definitiva) la nullità delle suindicate clausole (per tutto il periodo 1-1-1967/7-11-2001, nel quale s'era protratto il rapporto), con la sentenza definitiva ha poi quantificato la somma che la Banca Caripe s.p.a. doveva restituire all'attore, altresì condannandola a rettificare la segnalazione alla "Centrale dei rischi".
1.4) Avverso entrambe le decisioni è insorta Banca Caripe s.p.a., lamentandone l'erroneità e chiedendo, in riforma dei giudicati gravati, il rigetto di tutte le domande di controparte. Il N. M. ha chiesto la reiezione del gravame e, con appello incidentale, che questa Corte voglia in ogni caso dichiarare la nullità delle c.m.s. per mancanza di valida giustificazione causale e che voglia riconoscere l'ulteriore importo così. come determinato dal C.t.u. con un saldo iniziale al primo estratto conto disponibile pari a "0".
2.1) Il Tribunale di Pescara ha rilevato: che il rapporto inter partes (risalente, come incontroverso, agli anni '50) si era protratto fino al 7-11 -2000 (epoca della chiusura del conto); che mancava in atti il documento contrattuale originario (mai prodotto né dal correntista né dalla Banca) che le condizioni generali (v. stampato prodotto dal correntista, contenente "norme che regolano i conti correnti di corrispondenza e servizi connessi") erano rimaste sostanzialmente incontestate, sicché doveva identificarsi nelle stesse la fonte normativa del rapporto; che i documenti contabili (estratti conto) in atti risalivano all'anno 1967; che non era risultato fosse stata stipulata alcuna pattuizione successiva.
2.2) Ciò posto, preliminarmente ha ritenuto infondata l'eccezione di prescrizione del diritto alla restituzione dell'indebito preteso da parte attrice sollevata dalla Banca, sul rilievo che -esclusa l'applicabilità della prescrizione quinquennale - la decorrenza della prescrizione decennale doveva individuarsi nel momento della chiusura del rapporto di conto corrente, nel quale erano rimaste definitivamente stabilite le poste di credito-debito, con conseguente esigibilità dei relativi crediti.
2.3) In ordine alle questioni di merito poste dall'attore ha ritenuto:
2.3.1) che l'art. 1284 c.c. subordinava alla forma scritta la validità dell'accordo su interessi ultralegali: sicché, la pattuizione di interessi al tasso superiore a quello legale - calcolati alle condizioni usualmente praticati dalle aziende di credito "sulla piazza"- doveva ritenersi nulla. In quanto a tenore della stessa il tasso risultava essere indeterminato ed indeterminabile, e comunque non controllabile in base a criteri oggettivi; che, in definitiva, il disposto dell'art. 1284 c.c. poteva intendersi soddisfatto solo allorché nella pattuizione vi fosse l'indicazione numerico-percentuale del tasso ultralegale; che la legge n.154/1992 ha espressamente sancito la nullità di tutte le clausole di tassi pattuiti "su piazza"; che pertanto con riferimento al rapporto de quo gli interessi passivi dovevano essere calcolati al tasso legale dell'epoca.
2.3.2) che -secondo ormai costante giurisprudenza- la norma di cui all'art. 1283 c.c. (non trasfusa in uso normativo) aveva natura imperativa ed inderogabile (con le eccezioni ivi previste), con conseguente nullità ex tunc delle clausole negoziali di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi; sicché, fino alla data di entrata in vigore della delibera CICR (10-7-2000), doveva dichiararsi la nullità della clausola di capitalizzazione,escludendosi che gli interessi anatocistici fossero dovuti con cadenza annuale; che per il periodo successivo parimenti non erano dovuti interessi non risultando avvenuta la rinegoziazione dei tassi; in definitiva, ha ritenuto che per tutto l'arco temporale nel quale s'era svolto il rapporto non poteva applicarsi alcuna capitalizzazione dei tassi a debito (escludendo peraltro che l'indebito pagamento potesse configurare obbligazione naturale);
2.3.3) che doveva negarsi anche, la legittimità dell'addebito dei "giorni valuta" (nulla prevedendo al riguardo le condizioni generali), sicché per i prelevamenti la valuta dovrebbe coincidere con quella del pagamento dell'assegno, mentre per i versamenti la valuta dovrebbe corrispondere a quella del giorno di acquisto, da parte della Banca, dell'effettiva disponibilità del denaro;
2.3.4) che era illegittimo pure l'addebito delle c.m.s. unilateralmente imposte dalla banca a carico del correntista, ma mai pattuite, non aventi fonte legale, è dunque richiedenti specifica pattuizione;
2.3.5) che parimenti, per i medesimi motivi, non erano dovute dal correntista le spese del conto corrente;
2.3.6) che la segnalazione alla Centrale Rischi presso la Banca d'Italia era stata inoltrata dalla Banca nell'insussistenza del presupposto di legge, dato che in base alla ricostruzione del saldo operata dal C.t.u. si evidenziava una costante posizione a credito del cliente N. M. fin dal 1976.
3.) In conclusione, sulla scorta del calcolo operato dal C.t.u. nominato in primo grado, il Tribunale, facendo proprie le conclusioni dell'esperto, ha condannato Banca Caripe s.p.a. a restituire al N. M. la somma di € 725.227,52 oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo.
3.1.1) Con l'appello la Banca si duole innanzitutto del rigetto dell'eccezione di prescrizione, facendo rilevare:
che il filone giurisprudenziale secondo il quale la prescrizione decennale decorrerebbe dal momento della chiusura del conto sarebbe stato superato dall'intervento del legislatore, che all'art. 24 2° comma del d. lgs. n.342/1999 (art. 119 4° comma T. U. Bancario) ha stabilito che il diritto del cliente a chiedere copia della documentazione in possesso della banca può esercitarsi relativamente agli ultimi dieci anni: tale disposizione non potrebbe prescindere dalla circostanza che il termine iniziale per il computo della prescrizione attenga a ogni singola operazione posta in essere di volta in volta, e non alla chiusura del conto;
che inoltre, il d.p.r. n.116/2007 contenente regolamento di attuazione della legge n.266/2005 individua i cosiddetti conti correnti bancari "dormienti" (il cui attivo può essere devoluto al fondo) in quelli in cui non sia stata effettuata alcuna operazione per il periodo di dieci anni decorrenti dalla data di libera disponibilità delle somme;
che dalle indicate disposizioni normative dovrebbe desumersi che il momento in cui inizia a decorrere la prescrizione è quello dell'annotazione dell'operazione sul conto, sicché l'azione intesa ad accertare l'erronea annotazione si prescriverebbe in dieci anni dall'annotazione medesima.
Ne deriverebbe -secondo l'appellante- che, nel caso di specie, notificato l'atto di citazione l'8-7-2005, il cliente avrebbe potuto sollevare contestazioni in ordine alle annotazioni eseguite tra l'8-7-1995 e la data di chiusura del conto (7-11-2000) e, quanto agli interessi, applicandosi la prescrizione quinquennale ex art. 2948 n.4 c.c., solo in ordine agli interessi annotati sul conto dall'8-7-2000 al 7- 11-2000.
3.1.2) Le considerazioni svolte nel motivo devono ritenersi sostanzialmente superate dall'orientamento interpretativo espresso dalla sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n.24418/2010, con la quale si è affermato che l'azione di ripetizione di indebito proposta dal cliente di una banca (nel caso esaminato dalla suprema Corte, con riguardo a rapporto di conto corrente bancario con apertura di credito relativamente all'errato computo della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi) è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, che decorre - nell'ipotesi in cui versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista-non dalla data dell'annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti nell'anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte del solvens., con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'accipiens.
Premesso che della norma che prevedeva la decorrenza della prescrizione del diritto alla ripetizione dalla data dei singoli pagamenti e la non restituzione di somme versate al momento della sua entrata in vigore (v. art.2 comma 61 d.l. n. 225/2010 conv. nella legge n.10/2011) è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale (sentenza della Corte costituzionale n.78/2012), va rimarcato che secondo l'interpretazione offerta dalle Sezioni unite della suprema Corte si impone la necessità di distinguere i versamenti del correntista che hanno natura ripristinatoria della provvista da quelli che hanno invece natura solutoria quanto destinati a sanare lo scoperto di un conto corrente mai "affidato", oppure a rientrare da uno scoperto eccedente i limiti dell'affidamento,
Per questi ultimi la prescrizione del diritto alla ripetizione inizia a decorrere dalla data di ciascun versamento, posto che questo integra un "pagamento" non dovuto, di cui il cliente può chiedere immediatamente la restituzione.
Di conseguenza, una volta che il conto del N. M. , per pacifica acquisizione processuale, era fornito di affidamento, il termine prescrizionale è decorso dalla data di chiusura del conto se i versamenti hanno avuto la funzione di ripristinare la provvista, e quindi tutte le volte in cui il cliente ha versato somme senza avere superato il limite dell'affidamento; è decorso invece dalla data del singolo versamento quando (e per la parte in cui) quest'ultimo sia servito a far rientrare la scopertura entro il limite dell'affidamento.
Ciò perché, come precisato nella, citata sentenza "un versamento eseguito dal cliente su un conto il cui passivo non abbia superato il limite dell'affidamento concesso dalla banca con l'apertura di credito non ha né lo scopo né l'effetto di soddisfare la pretesa della banca medesima di vedersi restituire le somme date a mutuo (credito che, in quel momento; non sarebbe scaduto né esigibile), bensì quello di riespandere la misura dell'affidamento utilizzabile nuovamente in futuro dal correntista".
"Non è, dunque, un pagamento, perché non soddisfa il creditore ma amplia (o ripristina) la facoltà d'indebitamento del correntista; e la circostanza che, in quel momento, il saldo passivo del conto sia influenzato da interessi illegittimamente fin lì computati si traduce in un'indebita limitazione di tale facoltà di maggior indebitamento, ma non nel pagamento anticipato di interessi".
In conclusione - e tornando alla fattispecie in esame - tutte le volte in cui la scopertura del conto sia rimasta entro il limite dell'affidamento, risulta irrilevante che il conto, per effetto delle rimesse del cliente, sia ritornato in attivo o che sia rimasto passivo: conta invece che ci siano stati momenti in cui il saldo passivo ha superato l'affidamento, posto che in quest'ultimo caso la restituzione della somma di volta in volta occorsa per riportare il saldo entro il limite dell'affidamento aveva effetto solutorio, per cui costituiva un "pagamento" indebito, di cui il correntista poteva chiedere immediatamente la restituzione; e solo in questo caso, perciò, l'inerente diritto avrebbe dovuto essere esercitato entro il termine decennale, che dovrà essere calcolato a ritroso, dalla data (8-7-2005) di notifica della citazione (avente efficacia interruttiva).
3.1.3) (…)
Ed ai fini della valutazione dell'essere stato (o meno) superato il limite di affidamento occorrerà rinnovare la C.t.u., con l'avvertenza che l'esperto dovrà calcolare i saldi del conto in conformità con le prescrizioni contenute nella presente decisione, e quindi epurandolo degli interessi e delle spese non dovute, secondo le statuizioni che seguono.
Non può poi essere accolto il rilievo dell'appellante secondo il quale l'azione tesa ad accertare l'inesatta applicazione di interessi si prescrive in cinque anni (art. 2948 n.4 c.c.) dalla relativa annotazione di questi in conto, sicché potrebbero essere contestati solo gli interessi annotati sul conto dall'8-7-2000 al 7-11-2000.
Sul punto va solo osservato che il N. M. , ha chiesto il ricalcolo del conto alla luce delle sollecitate declaratorie di nullità di alcune clausole negoziali: con la conseguenza che gli interessi fino ad allora non erano già dovuti a cadenza periodica infrannuale e non può, perciò, dirsi prescritta la relativa domanda. Infatti si tratta di interessi che devono essere ricalcolati, ricostruendosi il rapporto di conto corrente, sulle somme che devono essere riaccreditate sul conto a seguito di pronuncia giudiziale di nullità ovvero di inesistenza di talune clausole.
3.2.1) Con il secondo motivo di gravame l'appellante censura l'impugnata sentenza per aver seguito il filone giurisprudenziale che ha ritenuto la nullità della clausola (delle condizioni generali) riconducibile al fenomeno anatocistico.
Sostiene a tal proposito che le numerose sentenze del Giudice di legittimità in tal senso sarebbero inficiate da un'errata impostazione di fondo, da individuarsi nella sovrapposizione di due fenomeni diversi, quali l'anatocismo e la capitalizzazione degli interessi.
Osserva l'appellante: che nei rapporti di conto corrente per corrispondenza non ricorrerebbe l'ipotesi in cui l'interesse scaduto non sia stato estinto dal debitore (ipotesi per la quale vige il divieto di cui all'art. 1283 c.c.); che l'annotazione sul conto corrente avrebbe come effetto immediato la variazione a credito o a debito, equivalendo sempre a pagamento; che nel caso di pagamento da parte del cliente del debito da interessi con il denaro della banca si configurerebbe capitalizzazione e non anatocismo (vietato dalla legge), in quanto la somma (erogata dalla banca) non avrebbe natura di interesse (ma di capitale) e come tale produrrebbe interessi primari (legittimamente).
3.2.2) Il motivo non può essere condiviso.
Invero -come è evidente- non può essere messa in discussione la natura di interesse la del debito (maturato a tal titolo) a carico del correntista né tale natura può essere modificata a seguito dell'utilizzo per il pagamento, da parte del cliente, del denaro della banca.
D'altra parte la stessa Corte di cassazione, investita della questione della illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi (cfr cass., n.21095/2004) ha sostanzialmente dato per scontata la natura di debito da interesse a carico del correntista delle somme maturate a tale titolo sul (debito) capitale.
Resta ferma pertanto la correttezza del giudicato del Tribunale sulla nullità; con effetto ex tunc, delle clausole negoziali di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi applicata -come incontroverso- dalla Caripe s.p.a. in ordine al conto del N. M. .
Escluso pertanto che gli interessi passivi possano produrre interessi con cadenza trimestrale, va altresì escluso che la produzione di interessi sugli interessi possa avvenire su base annuale (come l'appellante sostiene nell'ultima parte dell'atto di appello: v. pag.26 sub 7.8).
Ciò, alla luce della sentenza n.24418/2010 delle Sezioni unite della Corte di cassazione, che hanno affermato che, una volta. dichiarata la nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito contrattualmente prevista (con accordo stipulato tra le parti anteriormente al 22-4-2000) per contrasto con il divieto dell'anatocismo stabilito dall'art. 1283 c.c. (il quale osta anche ad un'eventuale previsione della capitalizzazione annuale), gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare alcuna capitalizzazione.
3.3) Con il terzo motivo di impugnazione l'appellante sostiene l'erroneità della sentenza del Tribunale sul punto della ritenuta nullità per mancanza di forma scritta (richiesta ad substantiam) delle clausole relative ad interessi convenzionali ultra-legali, commissioni e spese.
Osserva: che prima dell'entrata in vigore della normativa sulla trasparenza bancaria né il contratto di conto corrente né quello di apertura di credito richiedevano la forma scritta ad substantiam; che con l'introduzione del requisito formale per il contratto di conto corrente bancario (art. 3 1° comma legge n. 154/1992, poi sostituito dall'art. 117 1° comma d. lgs. n.385/1993) è stata prevista l'adozione da parte della Banca d'Italia (su conforme delibera CICR) di particolari modalità di forma per i contratti relativi a determinate categorie di operazioni e di servizi; che il CICR ha chiarito che non vi è necessità di forma scritta per le operazioni ed i servizi effettuati in esecuzione di previsioni contenute in contratti redatti per iscritto; che pertanto il perfezionamento del contratto di conto corrente per corrispondenza stipulato prima dell'entrata in vigore della normativa sulla trasparenza bancaria non avrebbe richiesto la forma scritta e tuttora il contratto di apertura di credito non richiederebbe la forma scritta; che dunque le clausole inter partes per commissioni e spese non avrebbero richiesto la forma scritta in pendenza di rapporto; che le clausole contenenti la previsione di interessi ultralegali con rinvio agli usi su piazza sarebbero valide e legittime in quanto riferibili ad elementi obiettivi, che avrebbero permesso la concreta determinazione del tasso convenzionale dato che -quantomeno con riferimento al periodo successivo all'introduzione della normativa sulla trasparenza bancaria- erano stati pubblicizzati nei locali della Banca i tassi di interesse che sarebbero stati effettivamente applicati.
La censura non è condivisibile.
Va innanzitutto precisato che -in mancanza, in atti, di contratto scritto e sottoscritto dalle parti- la Banca, applicando un certo tasso, attivo o passivo, l'ha di volta in volta proposto al cliente; quest'ultimo, pagando gli inerenti interessi, o fruendone, ha manifestato implicitamente la volontà di accettarlo: di conseguenza, l'accordo relativo ai tassi è stato concluso a mezzo dei comportamenti concludenti tenuti dalle parti (sull'ammissibilità della conclusione di contratti bancari "per facta concludentia" prima dell'entrata in vigore delle leggi sulla cd. "trasparenza bancaria" V. da ultimo cass. n.16560/2010; n.17090/2008; n.19941/2006).
Ma ove gli interessi passivi hanno superato il tasso di legge, dell'inerente clausola negoziale dal Tribunale è stata correttamente dichiarata la nullità per difetto della forma scritta, che l'Ordinamento (art. 1284 c.c.) richiedeva già prima del 1992, con l'automatica sostituzione del tasso illegittimo con quello legale.
A ben vedere nel caso di specie non è neppure in questione la validità -per ragioni di mancanza di determinatezza e determinabilità, del tasso- della clausola di pattuizione di interessi" ultralegali con rinvio ai tassi praticati "su piazza", ma l'esistenza stessa del patto avente ad oggetto interessi a tasso ultralegale.
Né, per il periodo successivo all'entrata in vigore della nuova normativa sulla trasparenza bancaria può essere rilevante agli indicati fini la predisposizione -del tutto unilaterale- di atti da parte della Banca (condizioni generali, comunicazioni alla clientela, pubblicazioni), richiedendosi per tutti i contratti, ai sensi dell'art. 117 1° comma d. lgs. n.385/1993 (con la sola eccezione della particolare previsione del CICR per motivate ragioni tecniche) la forma scritta. Quand'anche poi volesse ritenersi -come già il primo Giudice- sulla base della non contestazione da parte del N. M. delle condizioni generali (peraltro senza data) prodotte in giudizio dalla Banca, che le parti abbiano disciplinato il rapporto intercorso tra loro secondo le modalità ivi riportate (con accettazione del correntista -tra le altre- della clausola n.6 di pattuizione di interessi al tasso ultralegale), sulla scia dell'ormai consolidata giurisprudenza di legittimità sulla nullità della pattuizione di rinvio alle condizioni praticate su piazza per indeterminatezza ed indeterminabilità del tasso deve escludersi la fondatezza delle motivazioni esposte dall'appellante.
Va a tal proposito osservato -sempre secondo la citata giurisprudenza e con riferimento al regime previgente l'entrata in vigore del citato d.lgs. (che ha sancito espressamente la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi) - che il rinvio potrebbe essere valido solo ove fosse riferibile condizioni fisse e predeterminate (eventualmente, concordate tra i vari istituti con accordi di cartello, nel rispetto, tuttavia, delle regole sulla concorrenza), ma di tali condizioni non è stata neppure allegata né fornita la prova dell'effettiva sussistenza.
In definitiva, la necessità della determinazione convenzionale (e determinabilità) del tasso ultralegale degli interessi discende, oltre che dalla disciplina generale dei contratti (art.1284 c.c.), anche dalle specifiche norme di settore che impongono la indicazione del tasso di interesse (art. 117 4'°comma d. lgs. n.385/1993 contenente il principio che le clausole di rinvio agli usi sono nulle e si considerano non apposte, con conseguente integrazione normativa imperativa del tasso legale).
E dunque, nel caso di specie, è nulla la clausola in parola sia con riferimento al periodo precedente alla data di entrata in vigore della nuova normativa, sia con riferimento all'epoca successiva (dovendo applicarsi -trattandosi di contratto stipulato precedentemente al 1967- gli interessi al tasso legale per tutta la durata del rapporto.
3.4) Con particolare riguardo alle c.m.s. l'appellante censura la sentenza non definitiva per avere ritenuto la nullità della relativa pattuizione per mancanza di forma scritta.
Lamenta che il Tribunale abbia sostanzialmente ricondotto la c.m.s. alla disciplina dei frutti civili laddove la ragione economica della stessa andrebbe ravvisata nell'esigenza di remunerazione dell'intermediario (banca) del costo generale dell'elasticità dello scoperto di conto.
Richiama l'appellante a tal proposito le istruzioni della Banca d'Italia secondo cui le c.m.s. non potrebbero entrare nel calcolo del tasso effettivo medio (che, aumentato della metà, individua il limite oltre il quale gli interessi sono usurai).
La censura è priva di fondamento.
Innanzitutto deve rilevarsi che la Corte di cassazione (cfr cass. n.12028/2010; cass. pen., n. 28713/2010) ha chiarito che in tema di usura, ai fini della valutazione del carattere usuraio del tasso effettivo globale (t.e.g.) praticato da un istituto di credito, deve tenersi conto anche della commissione di massimo scoperto applicata sulle operazioni di finanziamento per le quali l'utilizzo del credito avviene in modo variabile. Infatti, la legge n.108/1996 prescrive che tutti gli oneri imposti all'utente in connessione con l'utilizzazione del credito, e dunque anche le c.m.s., che sono costi indiscutibilmente legati all'erogazione del credito, devono essere computati nel tasso effettivo globale.
In adesione a tali indicazioni ritiene questa Corte che in forza dell'affermato principio siano venute meno le ragioni fondanti il motivo esposto dalla Banca.
Infatti, se deve riconoscersi la natura remuneratoria, per l'istituto di credito, delle commissioni di massimo scoperto, è vero anche che queste ultime tuttavia devono computarsi nella voce interesse, sicché ove l'importo globale risultante da siffatto computo superi i limiti dell'interesse legale, è necessario, per la debenza anche di tale voce di credito, in favore della Banca, la previsione scritta (ad substantiam) delle c.m.s. (art. 1284 c.c.).
Nel caso di specie, in mancanza assoluta di apposita pattuizione scritta (non essendovi neppure nelle prodotte condizioni generali alcuna previsione al riguardo) le c.m.s. pretese dalla Banca appellante -ove eccedano i limiti dell'interesse legale- non possono essere riconosciute a suo credito dato che non risultano pattuite mediante convenzione scritta.
3.5) Con altro motivo dell'impugnazione la Caripe s.p.a. osserva che l'accoglimento dei motivi di gravame confermerebbe la piena legittimità della segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d'Italia del nominativo del N. M. , stante la "sofferenza" della sua esposizione.
Ove tuttavia questa Corte ritenga di andare di diverso avviso e di dare conferma al giudicato del Tribunale, chiede l'appellante che la cancellazione della segnalazione avvenga con decorrenza dalla data della sentenza di primo grado (epoca nella quale sarebbe stato possibile individuare, per la prima volta, correttamente, il saldo effettivo del conto).
E' chiaro che tale censura debba essere presa in esame solo in sede di decisione (definitiva) su tutte le questioni dedotte dall'appellante a sostegno dell'impugnazione, e, dunque, solo all'esito dell'espletanda consulenza tecnica di ufficio, che con separata ordinanza si va a disporre.
3.6) Ulteriore rilievo solleva l'appellante con riguardo alla consulenza tecnica di ufficio espletata in primo grado. Osserva che erroneamente il C.t.u. non avrebbe tenuto conto del criterio legale delle imputazioni dei pagamenti (art. 1194 c.c.): sicché, avendo il conto chiusura trimestrale, la prima somma di denaro pervenuta alla Banca da parte del cliente dopo la chiusura del conto avrebbe dovuto essere necessariamente imputata innanzitutto ad interessi e competenze (successivamente, a capitale) alla luce del chiaro disposto dell'art. 1.194 c.c.
Anche in relazione a tale questione si provvederà a dar incarico al C.t.u. di procedere ai conteggi secondo i criteri di imputazione previsti dalla legge, eventualmente anche ipotizzando diversi sistemi di computo.
3.7) Quanto, infine, all'applicazione dei cd. giorni-valuta ed alle spese di conto corrente (costi aggiuntivi esclusi dal Tribunale per l'intera durata del rapporto) l'appellante non ha proposto specifici motivi di censura sui relativi capi della sentenza impugnata, sicché questi devono ritenersi divenuti irrevocabili.
4.1) Passando ora ad esaminare l'appello incidentale, è opportuno rimarcare che il Tribunale ha escluso che il N. M. fosse tenuto al pagamento delle c.m.s., posto che mai le parti ne avevano pattuito la debenza e la misura.
Questa Corte, investita sul punto dal gravame principale della Banca, ha ritenuto che le c.m.s. - ove eccedano il tasso legale degli interessi a debito- non sono computabili a carico del cliente in quanto non fondate su pattuizione scritta (v. sub 3.4).
Col gravame incidentale N. M. deduce che comunque quelle commissioni non sarebbero dovute in quanto l'inerente contratto sarebbe privo di causa, e perciò affetto da nullità. (….).
5) In conclusione, occorre procedere al rinnovo della c.t.u., al fine d'individuare il saldo del conto alla luce delle statuizioni che precedono; la causa va perciò rimessa in istruttoria, mentre ogni decisione sulle spese viene rinviata alla sentenza definitiva.

P.Q.M.

La Corte d'appello di L'Aquila, non definitivamente pronunciando sull'appello proposto dalla Banca Caripe s.p.a. nei confronti di N. M. , in qualità di procuratore di C. M. , avverso la sentenza non definitiva resa dal Tribunale di Pescara il 12-7-2007, ed avverso la sentenza definitiva resa dallo stesso Tribunale in data 22-1-2008, oltre che sull'appello incidentale proposto da quest'ultimo nei confronti della banca avverso le medesime sentenze, così provvede:
rigetta l'appello incidentale;
in parziale accoglimento principale, dichiara che la prescrizione decennale va applicata per le rimesse di natura ripristinatoria dalla data della chiusura del conto, per le rimesse di natura solutoria dalle date dei singoli pagamenti, secondo le indicazioni riportate sub 3.1.2;
dichiara che le commissioni di massimo scoperto devono essere applicate fino al limite segnato dal tasso legale degli interessi a debito, secondo le indicazioni riportate sub 3.4;
respinge gli altri motivi dell'appello principale, riservando all'esito della consulenza tecnica di ufficio ogni valutazione in ordine alla questione dell'applicazione del criterio legale dell'imputazione dei pagamenti con riferimento alla chiusura trimestrale del conto (v. sub 3.6);
provvede con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio;
spese al definitivo.
Così deciso in L'Aquila, il 29-5-2012.


La Corte d'Appello di L'Aquila

riunita in camera di consiglio nelle persone dei sottoindicati Magistrati:
dott. Augusto Pace Presidente
dott. Maria Gilda Brindesi Consigliere rel.
dott. Giuseppe Iannaccone Consigliere
vista la propria sentenza non definitiva in pari data; ritenuto di dover accertare, a mezzo di c.t.u.:
1) quale sia stato, nel tempo, l'affidamento concesso dalla banca al N. M. , anche se l'inerente contratto si sia perfezionato "per facta concludentia";
2) quale sia il saldo del conto alla data della sua chiusura, conteggiando gli interessi passivi al tasso legale; escludendo interessi anatocistici, (oltre il limite del tasso di interesse legale) e spese di tenuta conto, ed avendo riguardo, ai fini della "valuta" di ciascuna operazione, al giorno di effettiva esecuzione.
Nell'eseguire il calcolo di cui ai punti che precedono il c.t.u. dovrà escludere tutte le rimesse (o la porzione di ciascuna rimessa) che, effettuate in data anteriore all'8-7-1995, abbiano riportato il saldo (passivo) del conto entro il limite dell'affidamento: con la conseguenza che di dette rimesse (o porzioni di rimessa) non dovrà tenersi alcun conto, neppure ai fini del calcolo degli interessi;
lo stesso c.t.u. dovrà altresì riferire ogni altro elemento ritenuto utile ai fini della decisione.

P.Q.M.

nomina c.t.u. il dr Diego Del Biondo con studio alla piazza Ettore Troilo n.11 65127 Pescara perché risponda ai quesiti sopra indicati. Fissa per il conferimento dell'incarico l'udienza del 10-7-2012, ore 11.
Si comunichi alle parti ed al consulente.

L'Aquila 29-5-2012.

Il Presidente
(dr Augusto Pace)




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