Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


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Sent. Trib. Roma

Anatocismo e Usura > Anatocismo: alcune vecchie sentenze...

BANCHE BATTUTE SUGLI USI:

SOFFOCATO SUL NASCERE IL TENTATIVO DI RIMONTA DELLE BANCHE:

è BATTUTA A ROMA la c.d. “tesi romana” sulla disciplina del c/c




(Avv. Antonio TANZA)

Vicepresidente ADUSBEF



La tecnica è sempre la stessa: studiosi bisognosi (ma spesso avidi) di denari organizzano e montano delle prezzolate “rivincite” del sistema bancario, oramai definitivamente schiacciato dalla Giurisprudenza dopo anni di abusi e di soprusi perpetrati ai danni dei clienti.

Si cerca di costruire sulle macerie, ancora fumanti, rispolverando vecchie tesi abbandonate da anni o “inventando” nuove trovate: i risultati sono dei vuoti articoli, pubblicati per volere di questo o quell’istituto.

Lo spunto viene dato in giurisprudenza da rarissime campane stonate che vengono raccolte ed enfatizzate su alcune riviste specializzate, sponsorizzate dai soliti luminari (o meglio lampadari), servi del denaro e del potere bancario.

La carriera, la scalata del potere, i vizi ed altri peccati stanno alla base di tali sponsorizzazioni e studi sul passato: l’anatocismo, infatti, deve essere considerato solo come uno degli strumenti più oscuri concepiti dai bancari per opacizzare il rapporto banca - cliente.

La capitalizzazione non può essere conciliata con la trasparenza: o l’una o l’altra.

E così la rimonta dell’anatocismo, che ha trovato la sua culla in alcune rare sentenze del Tribunale Capitolino (seguita poi da ancora più rare sentenze dei Tribunali di Bari, Taranto, Lecce, Monza e Firenze), è subito annegata nella sua stessa culla: Corte d’Appello di Roma ha già spazzato quelle prime sentenze e così è successo anche nelle altre Corti.

In verità dette sparute sentenze non erano neppure riuscite a far breccia nella giurisprudenza degli stessi tribunali che le avevano emesse ( i Tribunali di Bari, Taranto, Lecce, Monza e Firenze, sono piene di sentenze dichiarative della nullità dell’anatocismo).

Contro tali pubblicazioni interessate, cosa dovremmo fare: pubblicare tutte le sentenze a favore dell’anatocismo?

Non basterebbero i volumi dell’intera enciclopedia del diritto per contenerle tutte!

Non basterebbero migliaia di pagine: noi ci limitiamo a pubblicare soltanto le più significative (cfr. www.studiotanza.it o www.adusbef.it) che sicuramente non troverebbero spazio nella c.d. stampa specializzata.

Riteniamo opportuno, al solo fine di evitare l’ennesima legge pro banche (il denaro non conosce colori), di non rendere note tutte le centinaia di vittorie degli utenti ADUSBEF ed i miliardi che le banche iniziano a sborsare.

Qui pubblichiamo solo una sentenza (ovviamente inedita) della Corte d’Appello di Roma che dichiara, in riforma di una sentenza di primo grado, la nullità dell’anatocismo trimestrale.







REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI ROMA
SEZIONE II CIVILE
Composta dai magistrati:

dott. Luigi Miraglia, Presidente.

dott. Annunziata Izzo, Consigliere rel.,

dott. Renato Bernabai Consigliere,

riun_____ in camera di consiglio. ha emesso la seguente


SENTENZA
Nella causa in grado di appello, iscritta al n. 3190 del R.G.A.C. dell’anno 1999, posta in decisone alla udienza del 19 settembre 2000 e vertente

TRA
_____________________ appellanti

E
BANCA di ROMA s.p.a. appellata


Conclusioni
Per gli appellanti:

“Voglia la Corte d’Appello , contrariis reiectis, accogliere il presente gravame e, per l’effetto, dichiarare nullo e di nessun effetto e, comunque revocare il decreto ingiuntivo n. 2057 R.G. n.12863/97 emesso dal Presidente del Tribunale di Roma in data 9.5.97, con vittoria di spese, competenze ed onorari di entrambi i gradi del giudizio.”

Per la Banca appellata:

“Voglia l’Ecce.ma Corte adita, contrariis reiectis, rigettare l’appello proposto dalla _______ in quanto inammissibile, illegittimo e infondato. Il tutto con vittoria di spese. competenze ed onorari. comprese le spese generali ex art.15 L.P.F.”


Svolgimento del processo


A seguito di ricorso 28 marzo 1997 la Banca di Roma s.p.a. otteneneva in data 20maggio 1997 dal Presidente del Tribunale di Roma, in danno della _____ spa debitrice principale, e di Mario Smeriglio. fideiussore, il decreto ingiuntivo n. 2057 per il pagamento della somma £.301822.445, (oltre gli interessi al tasso prime rate ABI con capitalizzazione trimestrale a decorrere dal 1° gennaio 1996 quale saldo di un conto corrente intrattenuto con essa ricorrente.

Notificata l’ingiunzione, la società ed il garante proponevano opposizione con atto 9 Luglio 1997 convenendo in giudizio la Banca innanzi al medesimo Tribunale per sentire dichiarare nullo, ovvero revocare, il decreto adducendo la mancata comunicazione delle variazioni del tasso di interesse applicato al rapporto iniziato nei primi anni 90 e l’illegittima applicazione dell’anatocismo.

Resistendo la Banca, il Tribunale con sentenza 6 maggio 1999, non notificata, respingeva l’opposizione, osservando, quanto alla prima doglianza, che il tasso di fatto applicato al rapporto era inferiore a quello pattuito e che le successive variazioni risultavano dagli estratti di conto corrente prodotti dall’Istituto, il cui mancato inoltro non era mai stato addotto dalla parte debitrice.

In ordine alla seconda doglianza riteneva la legittimità degli interessi anatocistici in ragione del carattere normativo degli usi disciplinanti i rapporti bancari. espressamente richiamati dalla norma di cui all’art. 1283 c.c. ed operanti sul medesimo piano della stessa disciplina, con conseguente identità di natura delle regole stabilite dal legislatore, sicché respingeva l’opposizione e condannava gli opponenti alle spese.

Questi ultimi proponevano appello con atto 23 luglio 1999, al quale resisteva la Banca; quindi, sulle conclusioni in epigrafe, la causa era assegnata a sentenza con i termini di legge alle parti ex artt 190 e 352 c.p.c. per lo scambio di memorie e repliche.


Motivi della decisione
Gli appellanti censurano la ravvisata legittimità della clausola contrattuale prevedente l’applicazione del tasso di interesse con capitalizzazione trimestrale, contestando ulteriormente il sussistente presupposto ritenuto sussistente, di un uso normativo in deroga al principio generale posto dall’art 1283 c.c., norma che, in mancanza di usi contrari, consente agli interessi scaduti di produrre interessi solamente dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza e sempre che si tratti di interessi dovuti da almeno sei mesi. Al riguardo richiamano le recenti sentenze della S.C. n. 2374 e n. 3096 del 1999. nonché la sent. 17 ottobre -2000 n. 425 della C.Cost, mentre la Banca, facendo proprie le argomentazioni del Tribunale, rileva, altresì, che le norme del codice civile in tema di disciplina del contratto di conto corrente contengono un’ulteriore deroga al principio generale del divieto dell’anatocismo. L’art. 1831 c.c., distinguendo la chiusura del conto dallo scioglimento del rapporto e consentendo periodiche chiusure con la relativa liquidazione del saldo, implicherebbe la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi in sede di addizione delle due masse di crediti e debiti (compresi i relativi interessi) e connessa sottrazione della somma minore da quella maggiore, il cui risultato costituisce appunto il saldo e cioè il risultato della compensazione tra i vari crediti e debiti. A sua volta, l’art.1825 c.c.(non richiamato dall’art. 1857 c.c. in tema di applicabilità alle operazioni regolate in conto corrente), prevedendo che sulle rimesse decorrono gli interessi nella misura stabilita dal contratto o dagli usi, ovvero in mancanza, in quella legale, non consentirebbe alle parti di pattuire liberamente la misura degli interessi e la loro capitalizzazione. Al riguardo si osserva che, considerata la “ratio legis” sottesa alla norma imperativa di cui all’art.1283 c.c. -volta a prevenire il verificarsi di fenomeni usurari, consentendo al debitore da un lato, di calcolare all’atto della conclusione del contratto l’entità globale del debito, e dall’altro, di avvertire la maggiore onerosità del perdurare del suo inadempimento- le argomentazioni della Banca non appaiono decisive ai fini della soluzione della controversia, per la semplice ragione che le disposizioni ex artt. 1825, 1831 e 1857 cc. non si pongono in contrasto con il principio generale del disfavore con il quale l’ordinamento considera il significativo squilibrio fra diritti ed obblighi derivanti a carico della parte più debole del contratto. A tal fine è sufficiente richiamare il generale principio della buona fede, gli istituti della rescissione del contratto per lesione “ultra dimidium”, dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, le norme in tema di clausole vessatorie, condizioni generali dei contratti, contratti conclusi mediante moduli o formulari e la recente legislazione in tema di tutela del consumatore e di divieto delle clausole contrattuali di rinvio agli usi ex legge n. 154 del 1992 in materia bancaria. Nella specie, il contratto di fido in conto corrente concluso attraverso il modulo predisposto dalla Banca, in riferimento alle rimesse rispettive, prevede un tasso creditore per il cliente dello 0,50% a fronte di un tasso debitore del 23% ed, in applicazione delle norme uniformi dettate dall’ABI, ove il conto fosse risultato saltuariamente debitore, il diritto della Banca di dar corso alla chiusura del conto e liquidazione del saldo ogni trimestre nonché, con la stessa cadenza la produzione di interessi sugli interessi scaduti, al tasso (da determinarsi) praticato usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, ,mentre, in via normale i rapporti di dare ed avere a favore del cliente sarebbero stati regolati annualmente portando in conto e, perciò, capitalizzando gli interessi al 31 dicembre di ogni anno. In tali condizioni vengono necessariamente in esame le cd. norme bancarie uniformi di conto corrente di corrispondenza e suoi connessi predisposte dall’ABI a decorrere dal 1° gennaio 1952, richiamate dal contratto, le quali in modo generalizzato dispongono in materia di tassi e scadenze diverse per le parti ai fini della liquidazione del saldo. Il Collegio condivide il recente indirizzo della S.C., che ravvisa il contrasto di dette norme con il divieto posto dall’art. 1283 c.c., non sussistendo, in mancanza del richiesto elemento soggettivo, una consuetudine avente efficacia di fonte di diritto oggettivo, posto che l’inserimento della clausola, contenuta nei moduli predisposti dalle banche ed insuscettibile di negoziazione individuale, è notoriamente avvertito dai clienti come elemento condizionante lo stesso accesso ai servizi bancari ed è diffusamente avvertita con disfavore dalla generalità a motivo della disparità di trattamento delle parti in tema di scadenze ed interessi. Nel difetto della “opinio iuris ac necessitatis”, la prassi bancaria della capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici deve, dunque, ritenersi basata su un mero uso negoziale, con conseguente declaratoria di nullità della convenzione tra le parti, in quanto anteriore alla scadenza degli interessi e perciò colpita dal generale divieto di cui all’art. 1283 c.c. Al fine di determinare le somme capitali dovute dalla parte debitrice e gli interessi relativi, la causa deve. tuttavia, essere rimessa sul ruolo per una consulenza contabile. Si riserva al definitivo il regolamento delle spese di lite,


P.Q.M.


La Corte d’Appello di Roma,


- dichiara la nullità della clausola negoziale prevedente l’anatocismo trimestrale sugli interessi dovuti dalla soc. _________________, riservando al definitivo la pronuncia sulle spese;



-rimette la causa per l’ulteriore trattazione, come da separata ordinanza.


Roma, 16 gennaio 2001.



Il Consigliere estensore Il Presidente







Un ultima annotazione: caduto l’anatocismo trimestrale è chiaro che non potrà subentrare né una quasi sconosciuta capitalizzazione semestrale, né una totalmente sconosciuta capitalizzazione annuale in favore delle banche.

Non vi è capitalizzazione e basta: Corte Costituzionale, nei prossimi giorni, libererà il diritto bancario di questa opaca presenza, dichiarando l’illegittimità dell’art. 25, comma 2, del D. Lgs. 4 agosto 1999 n. 342, per eccesso di delega (se vi è stato per il comma 3 ci sarà anche per il comma 2).

La nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale dell’interesse comporta, salvo diversa espressa pattuizione contrattuale, l’integrale inefficacia dell’anatocismo.

Ed ammesso, ma non concesso ed escluso, che vi sia una clausola contrattuale che preveda l’anatocismo semestrale o annuale in favore della manca, non sarebbe sempre una clausola prevista in un contratto anteriormente al maturarsi dell’interesse e perciò contraria al dettato dell’art. 1283 del c.c.?

E poi, vogliamo ricordarci che in caso di dubbio si applica per i contratti conclusi su moduli e formulari l’art. 1370 c.c., cioè “la tesi” più favorevole all’utente e non alla banca?

Non vi è alcuno spazio per la capitalizzazione e l’interesse da applicare ai rapporti di c/c bancario è quello semplice (cfr. art. 820 ed 831 del c.c.).



Lecce – Roma, 4 novembre 2001.

Avv. Antonio TANZA




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