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Pagina 2007 Torino/Bari

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2007

XVII

TRIBUNALE Dl TORINO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

il Dott. Rizzi Francesco, in funzione di Giudice Unico, ha emesso la seguente


SENTENZA N. 6204/07

nella causa civile inscritta al n. 24554/05 RG

TRA

SCALETTI Giuseppe e figli SNC, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. BERARDI Antonio ed Avv. Antonio TANZA;

attrici


CONTRO

INTESA SANPAOLO IMI S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Gabriella TANGO;

convenuta


Oggetto: nullità parziale apercredito con scoperto di conto corrente;

(…)
Le istanze di cui alla memoria istruttoria della banca convenuta devono essere, parimenti, respinte. Per quanto riguarda i capi di prova per testi di cui dal n.l al n.4 della suddetta memoria (tendenti a comprovare la comunicazione aiclienti delle condizioni contrattuali sintetiche contenute nei "Fogli Informativi Analitici" esposti nelle filiali della Banca San Paolo IMI), a prescindere da ogni altra considerazione (su cui si approfondirà in seguito), rileva sottolineare che i capi dedotti sono inammissibili perchè i relativi testi sono indicati non tramite la specificazione delle generalità degli stessi, ma solo per mezzo della funzione svolta (Cass.2002 n.438).
Per quanto attiene ai capi di
prova per interpello e testi di cui ai n.5-7 della suddetta memoria istruttoria, invece (finalizzati alla prova che gli affidamenti bancari di cui ai doc. sub. n.4 e n.5 sono stati sottoscritti per accettazione insieme alle condizioni di fido attinenti agli interessi, alle commissioni di massimo scoperto ed ai giorni valuta), gli stessi sono contrastanti con gli stessi documenti cui fanno riferimento giacché le produzioni sub n.4 e 5 di parte convenuta non risultano affatto sottoscritte per accettazione da alcuno.
Per quanto attiene, poi, alla relativa prova dedotta per
interrogatorio, 1'ammissione della stessa è lasciata alla decisione discrezionale del giudice (Cass.2002 n.8438) che ben può non ammetterla valutandola (come nel caso di specie, viste le difese delle parti) defatigatoria ( Cass.2004 n.5421).
In via preliminare di merito bisogna chiarire che alcuna prescrizione del diritto azionato da parte attrice si è compiuta.
Il momento iniziale del termine prescrizionale decennale per il reclamo delle somme indebitamente trattenute dalla banca a titolo di interessi decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, giacchè i contratti bancari di credito regolati in conto corrente sono contratti unitari che danno luogo ad un unico rapporto giuridico ( Cass.1984 n.2262).
La tesi secondo la quale per la decorrenza del termine prescrizionale il "dies a quo" va individuato in quello di chiusura definitiva del rapporto, atteso che il contratto per la disciplina in conto corrente di operazioni bancarie è un contratto unitario che da luogo ad un unico rapporto giuridico è stata ribadita , di recente , anche dalla giurisprudenza di merito (Trib. Lecce,6.3.2006 in
www.Altalex).
Considerato che il rapporto non si è ancora chiuso, ma è tuttora in corso, ne consegue che alcuna prescrizione è maturata.
L'art.7, 3°c., della c.g.c. del contratto di conto corrente oggetto del giudizio (doc. n.1 di parte attrice) afferma che "gli interessi dovuti dal correntista all'istituto, salvo patto diverso, si intendono determinati alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di
credito sulla piazza...". Tale clausola e invalida per contrarietà all'art.1284, 3°c., c.c., che prevede come gli interessi superiori alla misuralegali debbano essere determinati per iscritto.
I1 mero rinvio alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza non può considerarsi sufficiente mancando della necessaria univocità, giacchè non sussistono fonti vincolanti che disciplinino il saggio in ambito nazionale Cass.2000 n.9465). Del resto, tali parametri vincolanti su scala nazionale, se si traducessero in accordi di cartello, sarebbero, comunque, ugualmente nulli ai sensi dell'art.2 della L. 2.10.1990 n.287 (Cass.2005 n.4094).
Neppure rileva la circostanza che tale clausola negoziale sia stata stipulata anteriormente all'entrata in vigore della legge sulla trasparenza bancaria del 17.2.1992 n.154 (poi trasfusa nel Testo Unico Bancario il cui art. 117, 6°c. sancisce la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse), giacchè anche nel regime anteriore all'entrata in vigore della suddetta normativa la clausola di rinvio alle condizioni praticate dalle aziende di credito sulla piazza risulta priva di sufficiente univocità e non può giustificare la pretesa della banca al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale (Cass.2002 n.4490).
Nè miglior sorte segue l'art.16 delle suddette c.g.c. secondo cui "L'Istituto si riserva la facoltà di modificare in qualsiasi momento le norme e le condizioni tutte che regolano i rapporti di conto corrente. Le comunicazioni relative saranno validamente fatte dall'Istituto mediante lettera semplice....
La stessa Banca d'Italia è già intervenuta con il provvedimento 3.12.1994 n.12 ( in Banca, Borsa e Titoli di Credito, 1995, II, 393 ss.) dichiarando che integrano la fattispecie lesiva della concorrenza e quindi sono in contrasto con l'art.2 della L. n.287/90 (Antitrust) le condizioni contrattuali che riservano alla banca la facoltà meramente potestativa di modificare le norme che disciplinano il rapporto.
La Suprema Corte ha ben chiarito, del resto, come del tutto irrilevante è la circostanza che i correntisti vengano informati al variare dei tassi , non essendone in discussione la conoscenza, ma la determinabilità , lasciata anche in tal caso alla unilaterale decisione della banca la cui successiva comunicazione non può certo sostituire la preventiva e consapevole manifestazione di volontà richiesta dall'art.1284 c.c. avente ad oggetto la presenza di un criterio preventivo e concordato per la determinazione del tasso di interesse in misura superiore a quella legale Cass.2006 n.870).
Solamente a decorrere dalle posteriori pattuizioni negoziali del 4.9.97 e da quelle successive (doc. n.1 di parte convenuta), contemplanti la specifica individuazione del tasso di interesse (nonché la facoltà di variazione del medesimo da parte della banca, ex art.117, 5°c., D.Lgs.vo 1.9.1993 n.385) saranno riferibili al rapporto oggetto del giudizio interessi superiori alla misura legale.
Nè è applicabile, al rapporto negoziale "de quo" (per il periodo anteriore alle suddette pattuizioni e in ragione della circostanza che il rapporto stesso non era ancora esaurito al momento della sua entrata in vigore) l'art.117, 7°c., T.U. Bancario che prevede come, in caso di nullità di cui al comma 6 (per la presenza di clausole che rinviano agli usi su piazza) si applica "a) il tasso nominale minimo e quello massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali...".
Ai sensi dell'art.11, 1°c., delle preleggi al codice civile "La legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo".
Bisogna premettere, innanzi tutto, che la Legge sulla Trasparenza Bancaria (17.2.1992 n.154) ed il successivo Testo Unico Bancario (D.Lgs.vo 1.9.1993 n.385) introducono norme nuove ed a carattere certamente non retroattivo (Cass.2007 n.14688).
Nè si può sostenere, in relazione al caso oggetto del presente giudizio (e nel rispetto del principio di irretroattività), che la nuova norma può trovare applicazione per le obbligazioni che sorgono successivamente alla sua entrata in vigore (così Cass.2001 n.15024 riguardo alla normativa di cui all'art.1938 c.c. relativa alle fideiussioni per obbligazioni future o condizionali).
L'art.11 delle preleggi dev'essere interpretato in forza del principio dei "facta preaterita" (fatto compiuto) cosicchè le nuove norme trovano applicazione in ordine alle situazioni ed ai rapporti sopravvenuti ed a quelli esistenti purchè siano suscettibili di considerazione e disciplina autonoma prescindendo dal loro fatto generatore ( Cass.1998 n.4327).
Ciò che esclude, ex se, l'applicabilità dell'art.117 T.U. Bancario al presente rapporto giuridico (ancora in corso al momento dell'entrata in vigore della normativa bancaria) è l'art.161, 6°c., T.U. Bancario, che recita espressamente come "i contratti gia conclusi...alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, restano regolati dalle norme anteriori".
Tale sesto comma dev'essere interpretato, ad avviso di questo giudicante, nel (chiaro) senso di precludere l'applicabilità della normativa di cui al T.U. ai contratti già conclusi ed ancora in corso (quindi, con mancato esaurimento dei loro effetti).
L'art.161, 6°c.,T.U., infatti, risulterebbe privo di qualsivoglia (senso,) efficacia ed utilità se lo si interpretasse nel senso che solo i contratti che hanno esaurito i loro effetti restano regolati dalla normativa anteriore, giacchè non vi sarebbe stato bisogno, a tale scopo, di alcuna previsione normativa, visto che già in forza dell'art.11 delle preleggi al codice civile le nuove norme non possono certo essere applicate, ex se, ai rapporti precedentemente sorti e già esauriti (Cass.2002 n.14943; Cass.2002 n.14073; Cass.2000 n.2433).
L'art.7 delle c.g.c. del contratto di conto corrente oggetto giudizio (doc. n.1 di parte attrice) recita che "i rapporti di dare ed avere vengono chiusi contabilmente, in via normale, a fine dicembre di ogni anno...".
Lo stesso art.7, 2°c., c.g.c., specifica, inoltre, che "i conti che risultino, anche saltuariamente, debitori vengono invece chiusi contabilmente, in via normale, trimestralmente...applicando gli interessi dovuti dal Correntista e alle competenza di chiusura valuta data di regolamento del conto...".
Tale articolo n.7 delle c.g.c. è affetto da nullità.
La Suprema Corte, pronunciatasi sul punto a Sezioni Unite, ha statuito che le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi configurano violazione del divieto di anatocismo di cui all' art. 1283 c.c., non rinvenendosi l'esistenza di usi normativi che soli potrebbero derogare al divieto imposto dalla suddetta norma, neppure nei periodi anteriori al mutamento giurisprudenziale in proposito avvenuto nel 1999, non essendo idonea la contraria interpretazione giurisprudenziale seguita fino ad allora a conferire normatività ad una prassi negoziale che si è dimostrata poi essere "contra legem" ( Cass. Sez. Un.2004 n.21095).
Ne consegue che la tesi secondo cui, posto che il meccanismo giuridico di regolazione periodica degli interessi passivi comporta il soddisfacimento e non già la capitalizzazione a debito degli interessi stessi, ciò avvenendo, ove il conto sia attivo, mediante decurtazione di essi dal saldo, ove il conto sia invece passivo, attraverso rimborso, con contestuale elargizione di credito da parte della banca per far fronte a tale adempimento (Corte d'Appello di Torino, 7.5.2004 , in Giust. Civ. , 2005, 1835) è inficiata radicalmente alla base dalla suddetta statuizione delle Sezioni Unite che individuano in tali clausole delle c.g.c., invece, una vera e propria capitalizzazione trimestrale degli interessi comportante anatocismo illecito ex art.1283 c.c..
La Suprema Corte, del resto, ha ribadito che la nullità delle clausole che prevedono la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito, in quanto correlate alla violazione di norme imperative, può essere rilevata anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio ( Cass.2005 n.21080).
Né sono percorribili, ormai, le vie (invocate da parte convenuta) che conducono a ritenere applicabile ai rapporti regolati in conto corrente 1'art. 1831 c.c. (che prevede che "la chiusura del conto con la liquidazione del saldo è fatta alle scadenze stabilite dal contratto") o a reputare il pagamento degli interessi anatocistici quale adempimento di un'obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. che ne impedirebbe la ripetizione.
Non solo le chiare statuizioni suddette delle Sezioni Unite ancora, le successive pronunce impediscono siffatte conclusioni poichè la Suprema Corte ha specificato chiaramente come l'art. 1831 c.c. non può trovare applicazione al contratto di conto corrente bancario sia perchè non richiamato dall'art. 1857 c.c. (che specifica quali sono le disposizioni che regolano il conto corrente ordinario applicabili a quello bancario), sia perchè alcuna applicazione analogica è possibile atteso che tra il contratto di conto corrente bancario e quello di conto corrente ordinario vi è una diversità strutturale e funzionale ( Cass.2005 n.6187; Cass.2006 n. 870).
Anche la strada che conduce a ritenere il pagamento degli interessi anatocistici quale adempimento di un'obbligazione naturale (con la conseguente non ripetibilità del pagamento) non è percorribile , giacchè la Suprema Corte ha statuito la ripetibilità del pagamento, effettuato ad una banca, avente ad oggetto interessi anatocistici (Cass. 2005 n. 10127).
E’ a questo punto della trattazione che dev'essere analizzata la tesi di parte convenuta secondo la quale nella fattispecie in esame, comunque, troverebbe applicazione l
'art.1194 c.c. che prevede l'imputazione del "pagamento" agli interessi e poi al capitale; tesi, in particolare, che assume come i versamenti ripristinatori eseguiti dal correntista debbano imputarsi prima agli interessi fino ad allora maturati ed indi al capitale, secondo i dettami di cui all'art.1194 c.c.
Tale tesi inficia in radice l'operatività, nella fattispecie in esame, dell'art. 1283 c.c., giacchè si risolve nel sostenere che , per estinguere gli interessi passivi, che maturano giorno per giorno, verrebbero utilizzate le poste attive del conto corrente (o le aperture di credito concesse dalla banca al cliente). Se così fosse però, ovviamente alcun anatocismo maturerebbe (il debito da interessi verrebbe, infatti, immediatamente estinto) il che contraddice specificamente quanto statuito dalle Sezioni Unite che, come detto, hanno individuato nel contenuto delle clausole contrattuali “de quibus” proprio la fattispecie degli interessi anatocistici stabiliti in violazione della norma di cui all'art.1283 c.c. Tutto ciò senza dire che l
'art. 1194 c.c. non pare, in ogni caso, applicabile alla fattispecie “de qua”.
Come spiega autorevole pensiero, infatti, nei rapporti tra banca e correntista oggetto dell'annotazione sono soltanto somme e non crediti reciproci, giacchè l'annotazione della somma produce modifica della quantità di moneta di cui il correntista può, ex art. 1852 c.c., “disporre in qualsiasi momento”.
I “pagamenti”, quindi, non avvengono in moneta legale, ma mediante semplici “annotazioni” e, cioè, registrazioni contabili, con il che si può ben dubitare che si perfezioni “pagamento” di cui all'
art. 1194 c.c., che, come spiega il più autorevole pensiero, consiste in un “ricevimento di pagamento” in senso tecnico accompagnato dalla imputazione fatta dal debitore ai sensi dell'art. 1193 c.c., giacchè il potere di imputazione del pagamento compete al solo debitore.
Del resto, non si vede come applicare alla fattispecie oggetto del presente giudizio
l'art. 1194, 1°c., c.c. che prevede, appunto, come “il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore”, quando è la stessa banca creditrice, al contrario, che ha deciso, invece, di conteggiare chiaramente sul capitale le variazioni derivanti da rimesse addebitando poi gli interessi scalari in sede di chiusura periodica.
Stabilita, quindi, la nullità della clausola n. 7 delle c.g.c. che prevede gli interessi anatocistici, bisogna sottolineare come tale nullità riguardi non solo il suo secondo comma (che prevede la capitalizzazione trimestrale), ma anche il primo comma (che prevede la capitalizzazione annuale).
L'art. 1283 c.c., infatti, prevede espressamente e chiaramente che in mancanza di usi ( normativi) contrari (che come detto,non sussistono), gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza (e che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi). Ciò equivale a dire che, in mancanza dei suddetti usi,
alcun anatocismo è legittimo e, quindi, neppure quello annuale.
La Suprema Corte che per prima si occupò della questione, infatti, ha statuito che la previsione contrattuale della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente ( in quanto basata su un uso negoziale) è nulla in quanto anteriore alla scadenza degli interessi ( Cass. 1999 n. 2374). Tale nullità, quindi, non può che comportare l'illegittimità di qualsivoglia interesse anatocistico comunque calcolato.
Nonostante opinioni giurisprudenziali difformi, quindi, appare più che giustificato aderire a quella giurisprudenza di merito che sostiene come la nullità, per violazione della norma imperativa ex art. 1283 c.c., della clausola di capitalizzazione degli interessi attivi per la banca contenuta in un contratto bancario stipulato anteriormente al 22.4.00 ( data di entrata in vigore della delibera CICR 9.2.00 che, in forza della previsione dell'art. 120, 2°c., T.U. bancario, stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi), determina l'esclusione di ogni forma di capitalizzazione, anche annuale, degli interessi dovuti dal cliente, giacchè vi è totale assenza normativa di un meccanismo di sostituzione delle clausole contrattuali che consenta l'applicazione di forme di capitalizzazione diversa da quella trimestrale ( Tribunale di Roma, 12.1.2007, in Foro 07, I, 1947; Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi,24.10.2005 e Tribunale di Pescara, 18.11.2005, in Giur. Merito, '06, 374 ss.; Trib. Brindisi, 13.5.2002, in Foro It., 2002, I, 1887).
Né può condividersi la tesi (pur diffusa nella giurisprudenza di merito) che, comunque, gli interessi anatocistici siano ritualmente computabili a danno del cliente almeno a decorrere dal 1.7.00.
Tale tesi è suffragata dall'art. 7 (disposizioni transitorie), Deliberazione 9.2.00 del CICR (Comitato Interministeriale per il Credito e Risparmio) che dispone come “ 1. Le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente delibera devono essere adeguate alle disposizioni in questa contenute entro il 30.6.00 ed i relativi effetti si producono a decorrere dal successivo 1° luglio.
2. Qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 30.6.2000, possono provvedere all'adeguamento...mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Di tali nuove condizioni dev'essere fornita opportuna notizia per iscritto alla clientela...entro il 31.12.2000”.
Premesso che parte convenuta non offre alcuna prova idonea riguardante la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e neppure che tale pubblicazione sia avvenuta entro il 30.6.2000, né che ne sia stata data notizia per iscritto alla cliente e che ciò sia accaduto entro il 31.12.2000, rimane il fatto che tale articolo 7 della delibera CICR dev'essere disapplicato per illegittimità.
L’art. 7 della deliberazione trae legittimità dal terzo comma dell'art. 25 del D.Lgs.vo 4.8.1999 n. 342 (che aggiungeva un terzo comma all'art. 120 T.U. Bancario) che statuiva come “Le clausole relative alla produzione degli interessi sugli interessi maturati contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà altresì le modalità ed i tempi dell' adeguamento...”.
Tale terzo comma dell'art. 120 del T.U. però, e stato dichiarato “in toto” incostituzionale dalla sentenza della Corte Cost.17.10.2000 n. 425 e, come detto, era proprio tale terzo comma che istituiva la facoltà di adeguamento, per il periodo successivo all'entrata in vigore della delibera, delle clausole stesse ai principi stabiliti per i contratti di nuova stipulazione.
Ora, le modalità di detto adeguamento sono proprio quelle fissate dall'art. 7 della delibera CICR il quale, in quanto atto regolamentare di attuazione di una norma divenuta successivamente inefficace in quanto dichiarata incostituzionale, diviene (illegittimo e) inefficace anch'esso in via derivata ed automatica e dev'essere disapplicato dal giudice di merito.
Né la legittimità dell'art. 7 della suddetta delibera CICR può trovare, ora, la sua fonte del secondo comma dell'art. 120 Bancario che si limita a statuire come “Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati...prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori”.
Tale secondo comma si limita a conferire al CICR l'autorità per stabilire modalità e criteri per la produzione dell'anatocismo bancario, non gli conferisce certo la facoltà di emanare norme transitorie statuenti, con effetti validanti, la sorte delle condizioni contrattuali stipulate anteriormente, nonché di prevedere disposizioni di adeguamento e tempi delle medesime, tantomeno intervenendo con efficacia sanante condizionata unicamente a modalità procedimentali unilaterali.
Come già detto, inoltre, l'art. 161, 6°c., T.U. esclude che ai contratti già conclusi possa essere applicata la normativa in questione (e il secondo comma dell'art. 120 T.U., al contrario di quanto faceva il terzo comma, non prevede affatto tale ipotesi di applicazione) cosicché l'art. 7 della delibera CICR (in quanto il Comitato Interministeriale trae i suoi poteri dall'art. 120 T.U.) e anche in contrasto con l'art. 161 , 6 ° c. medesimo, giacchè regola una fattispecie negoziale conclusa precedentemente tanto all'entrata in vigore della normativa bancaria che della norma di cui all'art.120, 2°c., T.U. introdotto dal D.L.gs.vo n. 342/99 (che delle deliberazioni CICR previste dallo stesso art. 120, 2°c., T.U.). La commissione di massimo scoperto è dovuta soltanto per il periodo per il quale risulta espressamente pattuita tra le parti (Cass. 2006 n. 870) e, cioè, nel caso oggetto del presente giudizio, a decorrere dalle pattuizioni espresse in tal senso del 4.9.97 (doc. n. 1 di parte convenuta).
Per quanto attiene alla questione dei “giorni-valuta”, la relativa clausola deve considerarsi nulla quando risulti che gli addebiti e gli accrediti relativi non risultino computati in relazione al giorno in cui è stata effettuata l'operazione bancaria (Trib. Lecce 6.3.2006 in
www. Altalex), ma la disponibilità del saldo in momenti diversi in relazione alle varie possibili ipotesi e l'eventuale illegittimità del comportamento della banca possono risultare accertati solo in base alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio (Cass. 2006 n. 870) che sarà analizzata in seguito.
(…)


...definitivamente pronunziando:
respinta ogni avversa istanza, eccezione e deduzione:
- dichiara tenuta e condanna la SPA INTESA SANPAOLO Spa in persona del legale rappresentante, a pagare alla Snc Scaletti Giuseppe e figli, in persona del legale rappresentante pro tempore, la somma di euro 10.771,13 con gli interessi legali dal 1° settembre 2005 al saldo;
- respinge le ulteriori domande proposte dagli attori;
- dichiara per l'effetto tenuta e condanna parte convenuta a pagare alla Snc Scaletti Giuseppe & figli, in persona del legale rappresentate la somma di euro 3.733,12 (di cui ero 358,12 per esposti, euro 1.300,00 per diritto ed il resto per onorari e rimborso forfettario), oltre CPA ed IVA come per legge sugli imponibili, a titolo di refusione delle spese processuali, di cui dispone la distrazione a favore del difensore di parte attrice;
- pone definitivamente le spese di CTU a carico di parte convenuta, così come già liquidate con decreto 26-28 marzo 2007;
dichiara la sentenza provvisoriamente esecutiva ex art. 282 cpc.
Cos' deciso in Torino il 5 ottobre 2007


XVIII

TRIBUNALE Dl BARI
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

il Dott. Giuseppe RANA, in funzione di Giudice Unico, ha emesso la seguente


SENTENZA N. 2289/07

nella causa civile inscritta al n. 4448/00 RG

TRA

KARAL Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Massimo MELPIGNANO ed Avv. Avv. Antonio TANZA;

attrici


CONTRO

BANCA ANTONIANA POPOLARE VENETA S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Carlo VOLPE;

convenuta


OGGETTO: ricalcolo competenze bancarie e ripetiziodi indebito

All’udienza del 10.5.2007, la causa era riservata per la decisione sulle conclusioni prese dalle parcome da verbale d’udienza e riportate in narra


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con atto di citazione notificato il 17.7.2000,la XXX s.r.1. corrente in Bari esponeva che dal 1989 aveva intrattenuto con la allora BNA un rapdi apertura di credito su conto corrente; che con sentenza del tribunale di Bari n. 3 del 1997, la società era stata ammessa al concordato prevened il credito della banca era stato indicato in Lire 866.538.179 pari ad Euro 447.529,62; che la società, con provvedimento del G.D. del 17.5.2000, era stata autorizzata a proporre azioni di accertamento nei confronti delle banche crediche nella specie:
— il contratto in questione faceva riferimento agli interessi passivi secondo gli “usi su piazza”;
— erano stati illegittimamente capitalizzati gli interessi su base trimestrale;
era stata applicata la commissione di massimo scoperto benché mai pattuita;
i giorni valuta erano stati applicati in modo arbitrario senza alcuna pattuizione

Tutto ciò premesso, citava la banca innanzi a questo tribunale per sentir dichiarare, la nullità pardel contratto e, per l’effetto, determinare l’effettivo credito della banca, con condanna alla restituzione delle somme che dovessero risultare indebitamente riscosse, oltre interessi legali; il tutto con vittoria di spese di giudizio e provvisoesecuzione.

Con comparsa del 25.10.2001, si costituiva la Banca Antoniana Popolare Veneta, che aveva nel frattempo incorporato la BNA, la quale contestava la domanda e ne chiedeva il rigetto, con vittoria di spese.
Ammessa ed espletata la richiesta CTU, precile conclusioni in modo conforme (l’attrice si riportava alle conclusioni del CTU), la causa veniva riservata per la decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda è fondata, pèr quanto di ragione.
Si rileva che è pacifico che in origine il tasso di interesse era stato determinato attraverso
riferimento agli usi su piazza come era prassi comune a quei tempi. Solo a far data dal 19.10.1994 (cfr. letta contratto di fido in atti) la banca, nel concedere appunto un fido di lire 300.000.000, pattuì con il correntista un tasso del 12,75% più c.m.s. 0.125. In precedenza, stando a quanto documentato in atti, il tasso era stato vadalla banca numerose volte tra l’agosto del 1992 ed il 1994, senza tuttavia adesione espressa del cliente.


Secondo la più risalente giurisprudenza della Cassazione, la pattuizione di interessi eccedenti la misura legale, per i quali l’art. 1284 comma 3 c.c., prescrive la forma scritta “ad substantiam”, è legittimamente posta in essere anche in assenza dell’indicazione in cifre del tasso di interesse, qualora le parti — in osservanza del principio della determinabilità dell’oggetto del contratto di cui all’art. 1346 c.c. — indichino criteri preo parametri obiettivamente individuabili con l’ordinaria diligenza, i quali consentono la concreta quantificazione del tasso di interesse nel corso del rapporto, ancorché ciò si attui meil rinvio “per relationem” ad elementi estranei al documento, quali possono considerarsi, nel caso di un contratto di conto corrente bancario,
le condizioni usualmente praticate dalaziende di credito sulla scorta delle indifornite su scala nazionale dal cartello bancario (v., tra le tante decisioni, Cassazione civile sez. I, 7 marzo 1992, n. 2765, in Banca borsa tit. cred. 1993,11, 390).
La Corte di Cassazione, a far data da sent. 10657 deI 29/11/1996, ha ritenuto che “l’obbligo della forma scritta sancito per la validità della pattuizione di interessi ultralegali non postula necessariamente che il documento contrattuale conl’indicazione in cifre del tasso d’interesse pattuito, ma può essere soddisfatto anche “per relationem”, richiedendosi, in questo caso, che le parti richiamino per iscritto criteri prestabiliti ed elementi estrinseci al documento negoziale, oindividuabili, che consentano la concreta determinazione del tasso convenzionale. Al fine dell’assolvimento dell’indicato obbligo, il riferimento in un contratto di sconto alle “condipraticate usualmente dalle aziende di credisulla piazza” è da considerarsi sufficiente soove esistano vincolanti discipline del saggio fissate su scala nazionale con accordi di cartello e non già ove tali accordi contengano diverse tipologie di tassi o, addirittura, non costituiscano più un parametro centralizzato e vincolante, essendo, in quest’ultimo caso, necessario accerin concreto il grado di univocità della fonrichiamata, per stabilire a quale previsione le parti abbiano potuto effettivamente riferirsi” (conformi: Cass. nn. 1705 e 13027 del 1995).
Ne consegue che nella specie, fino all’entrata in vigore della nota disciplina di cui alla l. 154 del 1992 (che ha regolato espressamente la questiodella determinazione del tasso per relationem), non si può che applicare il tasso legale per effetdell’art. 1284, u.c., c.c. Successivamente, va applicato il tasso cd. BOT di cui alla disciplina sulla trasparenza bancaria (attuale art. 117 TULB) fino al 19.10.1994, data in cui nella specie il tasso è stato convenuto per iscritto dalle parti.
Quanto all’anatocismo trimestrale, applicato dalla banca per tutto il periodo in questione, si rileva che da tempo questa sezione del tribunale si è adeguata alla giurisprudenza secondo cui gli inscaduti non possono produrre altri interesogni trimestre: al contrario di quanto sostenuto dagli Istituti di credito non esiste un uso normativo che autorizzi il c.d. anatocismo al di fuori dei limiti imposti dalla legge. E’ quindi nulla l’eventuale clausola inserita dalla banca nel cone fatta sottoscrivere al cliente (Cassaziosentenza n. 2374/1999, depositata il 16.03.99).
D’altra parte, la giurisprudenza prevalente ammette. quanto meno la capitalizzazione annuale perché: a) corrisponde al criterio di capitalizzazione applicato dalla banca a favore della clientela; b) tale cadenza di capitalizzazione degli interessi appare conforme alla cadenza temporale “ex lege” degli interessi, ricavabile dal disposto dell’art. 1284 c.c. comma 1, c) re‘comunque operante la clausola uniforme geriportata nei contratti bancari, di chiusura al 31 dicembre di ogni anno, d) l’anaannuale è contemplato anche dalla delibera de1 CICR (Tribunale
Roma, 03 giugno 2004, Tribunale Firenze, sez. III, 16 febbraio 2004; Tribunale Milano, 22 febbraio 2001, in Banca bortit. cred. 2004, Il, 594).
Ebbene, operando sulla base dei criteri di cui sopra, il CTU ha ricalcolato con indiscusso rigore metodologico il criterio della banca, giungendo alla conclusione che esso ammonta a Lire 440.016.927 pari ad Euro 227.249,78 al 20.1.1997.
Tale somma è sensibilmente inferiore al credito vantato dalla banca, sebbene depurato dalla somma di lire 238.580.813, relativo a rapporto diverso (cfr. le precisazioni della banca in proposito).
Resta così assorbita la domanda di ripetizione di indebito così come ogni altra pretesa della KARAL.
Le spese di lite devono seguire la soccombenza, non essendovi alcun motivo di compensazione.
Va accolta l'istanza di distrazione a favore del procuratore anticipatario.
Le spese CTU restano definitivamente a carico della Banca.
La presente sentenza è provvisoriamente esecutiva per legge.

PQM


Il Tribunale di Bari, prima sezione civile, in funzione di Giudice unico, definitivamente pronunciano sulla domanda proposta con atto di citazione notificato il 17 luglio 2000 dalla KARAL Srl corrente in Bari nei confronti della Banca Antoniana Popolar Veneta Spa, così provvede:
1) accoglie la domanda per quanto di ragione e, dichiarata la nullità della clausola di interessi sino al 19 ottobre 1994 e della clausola di capitalizzazione trimestrale, determina il credito in euro 227.249,78 al 20 gennaio 1997, oltre interessi convenzionali con capitalizzazione trimestrale dalla stessa data al saldo; dichiara assorbita ogni altra domanda;
2) condanna la banca alla rifusione delle spese di lite che liquida in euro 338,00 per esborsi, euro 1806,00 per diritti ed euro 5000,00 per onorari RSG, IVA e CAP, in favore dell'avvocato anticipatorio; le spese di CTU restano definitivamente a carico della banca;
3) dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva.
Così deciso in Bari il 06 ottobre 2007.
L'Estensore



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