Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


Vai ai contenuti

Menu principale:


BARI / Verbania

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2012

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice Unico del Tribunale di Bari - 1^ Sezione Civile, dr. Giuseppe DI SABATO, ha emesso la seguente

SENTENZA n. 3240 del 15 novembre 2012

Nella causa civile iscritta al numero di Ruolo Generale a margine indicato, riservata per la decisione all'udienza del 21 maggio 2012

TRA

K. s.r.l. persona del suo amministratore unico, con sede in Bari alla via Melo n. 120 ed elettivamente domiciliata in Bari alla via Beato Josemaria Escrivà n. 28, presso lo studio dell'Avv. Melpignano Massimo che, unitamente all'Avv. Tanza Antonio, la rappresentano e difendono per mandato a margine dell'atto di citazione

-ATTRICE-

CONTRO

UNICREDIT S.p.A. (già Credito Italiano S.p.A.), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, con sede in Genova ed elettivamente domiciliata in Bari alla Piazza Umberto I n. 54, presso lo studio degli Avv. Laterza Paolo e Laterza Paola A., che lo rappresentano e difendono giusta procura per notar Sormani di Milano in data 18.2.2000

- CONVENUTA -

All'udienza del 21.5.2012 le parti hanno concluso come da verbale in atti.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La materia degli interessi sulle somme di denaro, liquide ed esigibili, trova la sua disciplina negli articoli 1282 e ss cc.. In particolare, per quel che interessa nel presente giudizio, l'articolo 1283 c.c. dispone che "In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi", mentre il terzo comma dell'articolo 1284 c.c. dispone che "Gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale".
Quest'ultima norma, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale relativo ai rapporti di conto corrente bancario, va interpretata nel senso che qualora un tale tipo di contratto statuisca che gli interessi devono essere computati secondo un tasso di interesse convenzionale, senza che l'istituto di credito fornisca alcuna prova di patto scritto relativa alla indicazione del tasso di interesse convenzionale, ma piuttosto facendo generico riferimento agli usi di piazza, la clausola è da ritenersi illecita, con conseguente applicazione degli interessi legali, in quanto il rinvio alle condizioni praticamente usualmente dall'azienda di credito sulla piazza non è sufficiente a soddisfare l'onere della forma scritta richiesto dall'articolo 1284, comma 3, c.c., perché sfornito dei requisiti minimi di determinatezza o determinabilità dell'oggetto, essenziale per la validità del contratto.
Tale conclusione trova conforto nel divieto di rinvio agli usi espressamente sancito (con effetto non retroattivo) dalla legge n. 154/92, e con l'entrata in vigore di questa disciplina continua a porsi, in sede giudiziale, il problema della validità delle pattuizioni intervenute in epoca antecedente alla sua entrata in vigore, come appunto nella controversia oggetto di esame nel presente giudizio.
Difatti, in epoca antecedente all'entrata in vigore della legge citata prevaleva, soprattutto nella giurisprudenza di legittimità, la tesi secondo cui il rinvio per relationem al saggio di interesse "usualmente praticato sulla piazza" non creava nocumento alcuno all'oggetto del contratto in ordine al requisito della sua determinatezza o determinabilità, perché l'obbligo previsto dall'articolo 1346 c.c. lo si riteneva soddisfatto quando nel documento contrattuale le parti avevano indicato criteri certi ed obiettivi per consentire la concreta determinazione del tasso di interesse. In pratica tale orientamento considerava irrilevante la circostanza che tale determinazione (per relationem) avvenisse mediante il rinvio ad elementi estranei al documento, perché riteneva il rinvio al tasso usuale di per sé sufficiente ad ancorare il tasso di interesse a fatti oggettivi, certi e di agevole riscontro (per tutte: Cass. 30.5.1989 n. 2644 e Cass. 25.8.1992 n. 9839).
Una parte considerevole della dottrina, nonché certa giurisprudenza di merito, avversava tale indirizzo e, sulla spinta di esse, anche la giurisprudenza della Suprema Corte ha mutato indirizzo, sostenendo che la clausola di rinvio agli usi di piazza può ritenersi valida ed univoca, solo se coordinata all'esistenza di vincolanti discipline fissate su larga scala nazionale con accordi interbancari, nel rispetto delle regole di concorrenza, e non quando tali accordi contengono riferimenti a tipologie di interessi praticati su scala locale e non consentano, per la loro genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso fare concreto riferimento (per tutte: Cassazione civile, sez. III, 18/04/2001, n. 5675). La stessa giurisprudenza di legittimità ha inoltre affermato che costituisce onere della banca fornire la prova dell'univocità della fonte richiamata e, quindi, dell'oggettiva determinabilità del tasso, pur nella possibile previsione di variazioni in corso di rapporto. Tale onere si rinviene in via generale nella previsione di cui all'articolo 2697 c.c., e, in maniera specifica, nell'articolo 1284 c.c., in quanto le clausole dei contratti di conto corrente solitamente prevedono interesse in misura superiore a quella legale, la cui determinazione deve essere operata per iscritto.
In applicazione dei criteri dettati dal nuovo orientamento giurisprudenziale, qualora nel corso del rapporto di conto corrente sia intervenuta, sia pure per un certo periodo soltanto, l'applicazione di un tasso di interesse ultralegale, determinato per relationem nei termini innanzi specificati e censurati da detto orientamento, il saldo finale del conto non può ritenersi correttamente calcolato, ma va rideterminato applicando il tasso d'interessi legale di volta in volta previsto.

Inoltre deve ritenersi irrilevante l'eventuale tacita approvazione del conto intervenuta nel corso del rapporto, strettamente connessa alla natura dell'estratto conto bancario inviato periodicamente al correntista, documento che, secondo l'opinione assolutamente prevalente, ha natura meramente contabile, perché le relative operazioni bancarie in esso riassunte e menzionate (prelevamenti e versamenti), a differenza del conto corrente ordinario, non danno luogo alla costituzione di autonomi rapporti di credito o debito reciproci tra il cliente e la banca, ma rappresentano l'esecuzione di un unico negozio, da cui derivano il credito ed il debito della banca verso il cliente. Consegue che la mancata tempestiva contestazione dell'estratto conto trasmesso da una banca al cliente rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo meramente contabile, ma non sotto quelli della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano (per tutte: Cass. 11/3/1996 n. 1978).

Per quanto attiene gli interessi anatocistici, va richiamato quanto ripetutamente affermato dalla Suprema Corte che, con indirizzo costante (a partire dalla sentenza delle S.U. 4 novembre 2004, n. 21095), in tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 2000 (che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'articolo 76 Cost., l'articolo 25, contrita 3, del D. Lgs. n. 342/1999, che faceva salva la validità e l'efficacia - fino all'entrata in vigore della delibera CICR di cui all'articolo 25, comma 2 - delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza), ritiene, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, le clausole anatocistiche disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore nulle quando stipulate in violazione dell'articolo 1283, c.c., perché basate su un uso negoziale anziché normativo, mancando di quest'ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella convinzione che il comportamento tenuto sia giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma già esistente o che si reputa debba far parte dell'ordinamento giuridico (in tal senso: Cass. 5 maggio 2006, n. 10376; 19 maggio 2005, n. 10599; 25 febbraio 2005, n. 4095).
Tanto premesso, deve ritenersi che il rapporto bancario oggetto del presente giudizio deve essere regolato applicando gli interessi nella misura legale e senza alcuna capitalizzazione, in quanto nessuna espressa pattuizione è stata raggiunta dalle patti in ordine a detti punti, avendo le medesime parti fatto rinvio agli usi di piazza.

Quanto alla commissione di massimo scoperto, è stato sostenuto in giurisprudenza (Tribunale Piacenza, 12/04/2011, n. 309), con argomentazioni che questo giudice ritiene di condividere, che la stessa "... consiste nel corrispettivo per la semplice messa a disposizione da parte della banca di una somma, a prescindere dal suo concreto utilizzo, oppure come la remunerazione per il rischio cui la banca è sottoposta nel concedere al correntista affidato l'utilizzo di una determinata Somma, a volta oltre il limite dello stesso a affidamento il termine commissione di massimo scoperto non è quindi riconducibile ad un'unica fattispecie giuridica, sicché l'onere di determinatezza della previsione contrattuale deve essere valutato con particolare rigore, dovendosi esigere, se non una sua definizione contrattuale, per lo meno la specifica indicazione di tutti gli elementi che concorrono a determinarla (percentuale, base di calcolo, criteri e periodicità di addebito), in assenza dei quali non può nemmeno ravvisarsi un vero e proprio accordo delle parti su tale pattuizione accessoria, non potendosi ritenere che il cliente abbia potuto prestare un consenso consapevole, rendendosi conto dell'effettivo contenuto giuridico della clausola e, soprattutto, del suo "peso" economico; in mancanza di ciò l'addebito delle commissioni di massimo scoperto si traduce in una imposizione unilaterale della banca che non trova legittimazione in una valida pattuizione consensuale". Tenuto conto di quanto innanzi, e considerato che il contratto stipulato tra le parti prevede, all'articolo 7, comma 4, che le commissioni di massimo scoperto siano determinate anche dai criteri usualmente praticati dagli istituti di credito sulle piazze, deve ritenersi che nella fattispecie manca, per dette commissioni, la specifica indicazione dei criteri che concorrono alla loro determinazione, per cui tale clausola deve ritenersi nulla.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI VERBANIA

in composizione monocratica, in persona del dott. Claudio Michelucci ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 570/2011 R.G. promossa da:

M. Emilio, titolare della ditta individuale M. EMILIO ARTE E A. (p.iva 00052000031) con sede in _______ Via ____ 118, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio TANZA del foro di Lecce e dall'avv. Celestino BROCCA del foro di Verbania in forza di procura speciale a margine dell'atto di citazione ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. BROCCA in Verbania Via G. Parisio 6

ATTORE

CONTRO VENETO BANCA scpa (gia? VENETO BANCA HOLDING scpa) (p. iva 00208740266), con sede in Montebelluna Piazza G.B. Dell'Armi 1 in persona del procuratore speciale dott. Stefano SION, rappresentata e difesa dall'avv. Massimo MALVESTIO, dall'avv. Antonella LILLO del foro di Treviso e dall'avv. Sergio NAPOLETANO del foro di Verbania in forza di procura a margine della comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliata in Verbania Corso Cobianchi 19 presso Studio
avv. Sergio Napoletano

CONVENUTA

Conclusioni delle parti Parte attrice "Voglia l'On.le Tribunale adito, respinta ogni altra istanza, in accoglimento della domanda :
- ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1284 c.c., 1346, 2697 e 1418 comma 2, nonché dell'art. 8 della legge n. 64 del 1986, dell'art. 7, comma 3, delle condizioni generali del contratto di apertura di credito e di conto corrente n. 0105990 e collegati, intestato a M. Emilio Arte e A. ed acceso presso la Banca Popolare di Intra S.c.r.l. - Agenzia di Gravellona (VB), nonché del c/c n. 0105995 e collegati, intestato a M. Emilio Arte eA. ed acceso presso la Banca Popolare di Intra S.c.r.l. - Agenzia di Gravellona (VB), oggetto del rapporto tra le parti del presente giudizio, relativa alla determinazione degli interessi debitori con riferimento alle condizioni usualmente praticate dalle Aziende di credito sulla piazza, e per l'effetto, DICHIARARE la inefficacia degli addebiti in c/c per interessi ultralegali applicati nel corso dell'intero rapporto e l'applicazione in via dispositiva, ai sensi dell'art. 1284, comma 3, c.c., degli interessi al saggio legale tempo per tempo vigente;
- ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1283, 2697 e 14182 c.c., dell'art. 7, commi 2 e 3, delle condizioni generali del contratto apertura di credito e di conto corrente n. 0105990 e n. 0105995, oggetto del rapporto tra le parti del presente giudizio, relativa alla capitalizzazione trimestrale di interessi, competenze, spese ed oneri applicata nel corso dell'intero rapporto e, per l'effetto, DICHIARARE la inefficacia di ogni e qualsivoglia capitalizzazione di interessi al rapporto in esame;
-ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1325 e 1418, degli addebiti in c/c per non convenute commissioni sul massimo scoperto trimestrale; comunque prive di causa negoziale; - ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1284, 1346, 2697 e 14182 c.c., degli addebiti di interessi ultralegali applicati nel corso dell'intero rapporto sulla differenza in giorni - banca tra la data di effettuazione delle singole operazioni e la data della rispettiva valuta; nonché per mancanza di valida giustificazione causale;
- ACCERTARE e DICHIARARE, per l'effetto l'esatto dare-avere tra le parti in base ai risultati del ricalcolo effettuato in sede di CTU; - DETERMINARE il Tasso Effettivo Globale (T.E.G.) dell'indicato rapporto bancario; - ACCERTARE e DICHIARARE, previo accertamento del Tasso effettivo globale, la nullità e l'inefficacia di ogni e qualsivoglia pretesa della convenuta banca per interessi, spese, commissioni, e competenze per contrarietà al disposto di cui alla legge 7 marzo 1996 n. 108, perché eccedente il c.d. tasso soglia nel periodo trimestrale di riferimento, con l'effetto, ai sensi degli artt. 1339 e 14192 c.c., della applicazione del tasso legale senza capitalizzazione; - DETERMINARE, nell'ipotesi di apercredito ancora in esser, il saldo ricalcolato alla data dell'accertamento peritale (come da CTU) CONDANNANDO la banca ad attenersi per il proseguo del rapporto alle nullità parziali rilevate; mentre DETERMINARE e CONDANNARE, nell'ipotesi di revoca o di chiusura dell'apercredito, la convenuta banca alla restituzione della somme illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre agli interessi legali creditori e maggior danno (derivante dalla mancata utilizzazione del maggior credito cfr SSUU sentenza 18 luglio 2008, n. 19499), in favore dell'odierna istante dalla data della contrattuale maturazione in estratto conto sino all'effettivo soddisfo, calcolando sui saldi creditori del correntista la capitalizzazione annuale; CONDANNARE in ogni caso la parte soccombente al pagamento delle spese e competenze di giudizio in favore dei sottoscritti procuratori antistatari, nonché spese di CTU.
Parte convenuta
IN VIA PRELIMINARE DI RITO
- accertarsi e dichiararsi, per i motivi dedotti in atti, la nullità dell'atto di citazione ai sensi dell'art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4; - accertarsi e dichiararsi, per i motivi dedotti in atti, la carenza di interesse ad agire della M. Emilio Arte e A. in ordine alle domande fatte valere in giudizio nei confronti di Veneto Banca S.c.p.a.
NEL MERITO In via principale Rigettarsi le domande proposte dall'attrice in quanto prescritte e comunque infondate per tutti i motivi esposti in atti; In via subordinata Nella denegata ipotesi in cui l'intestato Tribunale ritenesse nulla la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, accertato che la Banca ha provveduto ad adeguarsi alla nuova normativa in materia di anatocismo di cui alla Delibera C.I.C.R. del 9 febbraio 2000, dichiararsi: - legittima, quantomeno a far data dal 1° luglio 2000, la capitalizzazione trimestrale degli interessi; - per il periodo antecedente l'adeguamento alla Delibera C.I.C.R., e quindi per il periodo antecedente al 30 giugno 2000, la legittimità della capitalizzazione semestrale o quanto meno annuale degli interessi passivi; con ogni conseguenza in ordine all'eventuale calcolo dell'importo chiesto in restituzione dalla M. Emilio Arte e A.. IN OGNI CASO Con vittoria di spese, diritti ed onorari di lite. IN VIA ISTRUTTORIA La Banca, oltre a far proprie e a ribadire in questa sede tutte le osservazioni svolte nel corso delle operazioni peritali dal proprio C.T.P. dott. Bruno Mesirca, insiste affinchè il Giudice - previa revoca della nomina del dott. Alberto Scruzzi quale C.T.U. nel presente giudizio e designazione di un nuovo C.T.U. per tutti i motivi dedotti nell'istanza di ricusazione in data 23.03.2012 proposta dalla convenuta - in forza di quanto dedotto ed eccepito dalla Banca in atti, Voglia disporre un'integrazione della C.T.U. in particolare per quantificare gli asseriti illeciti addebiti effettuati dalla Banca tenendo conto: - della prescrizione secondo quanto previsto dalla sentenza della Corte di Cassazione, SS.UU., n. 24418/2010; - di quanto addebitato a titolo di C.M.S. in quanto contrattualmente pattuita. La Banca chiede inoltre che l'eventuale disponenda integrazione della C.T.U.: - non abbia ad oggetto il c/c n. 0105990 dato che, con riferimento a detto rapporto e come già rilevato in corso di causa, deve ritenersi interamente prescritto ogni diritto fatto valere in giudizio dall'attrice, essendo stato il conto estinto in data 29.01.1998. I c/c nn. 0105990 e 0105995 non possono essere ritenuti un unicum ma devono essere considerati e trattati come due distinti e separati rapporti intercorsi tra la Banca e la M. Emilio Arte e A..
MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con atto di citazione, ritualmente notificato, l'impresa individuale M. EMILIO ARTE E A. conveniva in giudizio la Veneto Banca S.p.a. allegando di avere intrattenuto intrattenuto con la Banca Popolare di Intra S.c.r.l. - Agenzia di Gravellona (ora Veneto Banca) un rapporto bancario consistente in apertura di credito con affidamento mediante scopertura su c/c n. 0105990 per il periodo 1985 al 1998, oltre i secondari confluenti c/c n. 090/010599/1 e c/c n. 090/010599/2, nonché il
c/c ordinario n. 0105995, intestato a M. Emilio per il periodo 1993 - 2003, e lamentando, in relazione ai predetti rapporti, l'illegittima capitalizzazione trimestrale da parte della banca degli interessi passivi in violazione dell'art. 1283 c.c., l'applicazione di interessi ultralegali non pattuiti per iscritto, in misura anche oltre soglia usura, la scorretta antergazione e postergazione delle valute nonché l'illegittima applicazione di commissioni di massimo scoperto, competenze e spese. Chiedeva, pertanto, che previa riliquidazione del saldo finale del rapporto sulla base delle eccezioni e delle contestazioni proposte, la convenuta fosse condannata al pagamento in favore di M. EMILIO delle somme indebitamente percepite, oltre interessi e maggior danno.
Si costituiva in giudizio la VENETO BANCA scpa eccependo, in via pregiudiziale, l'improcedibilità dell'azione ai sensi dell'art. 5 d.lgs. 28/2010, la nullità dell'atto di citazione per indeterminatezza dei fatti posti a fondamento della domanda, e, in via preliminare, la carenza di interesse della ditta attrice poiché la corresponsione delle somme, nell'assunto attoreo, illegittimamente percepite dalla Banca integrerebbe adempimento di un'obbligazione naturale nonché la prescrizione delle pretese creditorie fatte valere dalla società attrice; nel merito, sosteneva la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal correntista, ovvero, in subordine, la necessità di applicare quantomeno la capitalizzazione semestrale o almeno annuale, ferma in ogni caso la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi almeno a partire dal 30.6.2000, successivamente al d.lgs. 342/1999 e alla delibera CICR 9.2.2000, avendo la banca rispettato le condizioni da questa prescritte; osservava ancora come i tassi di interessi e le commissioni fossero stati validamente pattuiti e quindi correttamente applicati. Riteneva infondata e indimostrata la richiesta di accertamento di interessi pretesi in misura eccedente il tasso soglia di cui alla legge 108/1996.
All'udienza di prima comparizione il procuratore di parte attrice dava atto che era stato avviato il procedimento di mediazione obbligatorio ex d.lgs. 28/2010 e il Giudice, rilevato che lo stesso non si era ancora concluso, rinviava a nuova udienza ai sensi dell'art. 5 della predetta legge. Esaurita la procedura di conciliazione obbligatoria, depositate le memorie ex art. 183 comma 6 cpc, la causa veniva istruita mediante espletamento di CTU affidata al dott. Alberto SCRUZZI, nei confronti del quale la Banca presentava istanza di ricusazione, rigettata come da ordinanza 30.3.2012; quindi all'udienza dell'8.1.2013, sulle conclusioni delle parti riportate in epigrafe, il giudice tratteneva la causa a sentenza previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
Preliminarmente deve essere respinta l'eccezione pregiudiziale di nullità dell'atto di citazione sollevata ex artt. 164 - 163 n. 3-4 c.p.c. dalla banca convenuta in quanto parte attrice ha indicato espressamente
gli estremi dei conti corrente bancari sui quali allega essere stati applicati gli interessi anatocistici e le altre voci, riportate specificamente, asseritamente non dovute nonché la durata del rapporto; la convenuta, pertanto, in possesso delle convenzioni e degli estratti conto, è stata posta in condizione di comprendere l'oggetto della pretesa e di apprestare adeguate difese; l'indicazione da parte del correntista dei titoli dai quali trae origine la sua pretesa consente, infatti, di soddisfare le esigenze difensive sottese alla norma di cui all'art. 163 comma 4 cpc.
Parimenti priva di fondamento è l'eccezione di carenza di interesse ad agire della M. ARTE E A., fondata sulla constatazione che il correntista ha per lunghissimo tempo corrisposto somme a titolo di interessi ultralegali non pattuiti per iscritto, a titolo di interessi anatocistici non dovuti, nonché a qualsiasi altro titolo oggetto delle domande avversarie, senza alcuna contestazione, pur avendo ricevuto gli estratti di conto corrente con annotazione di tutti gli addebiti eseguiti: tale condotta, per un verso, dovrebbe essere qualificata secondo la convenuta come adempimento di un'obbligazione naturale non soggetto a ripetizione ex art. 2034 c.c., per altro verso, varrebbe quale rinuncia tacita da parte del correntista all'azione di ripetizione.
Sotto il primo aspetto, deve osservarsi che le somme oggetto di contestazione nel presente giudizio non
sono state oggetto di un pagamento spontaneo, e quindi, adempimento di una obbligazione naturale ex
articolo 2034 cc, bensì il frutto di un conteggio eseguito dalla banca di sua esclusiva iniziativa e senza
alcuna autorizzazione del correntista, difettando, così, la volontà di pagamento, la spontaneità ed il
dovere morale o sociale richiesti dalla citata norma.
Sotto il secondo profilo, è sufficiente osservare che la volontà tacita di rinunziare ad un diritto si può
desumere soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli la sua univoca volontà di
non avvalersi del diritto stesso, laddove l' inerzia o il ritardo nell'esercizio del diritto non costituiscono
elementi sufficienti, di per sè, a dedurne la volontà di rinunciare del titolare, potendo essere frutto di
ignoranza, di temporaneo impedimento o di altra causa, e spiegano rilevanza soltanto ai fini della
prescrizione estintiva. Ne consegue che il solo ritardo nell'esercizio del diritto, per quanto imputabile al
titolare dello stesso, non può costituire motivo per negare la tutela giudiziaria dello stesso (cfr. Cass.
Civ. sez. III 15.3.2004 n. 5240). Si aggiunga, per quanto attiene alla mancata impugnazione delle
risultanze degli estratti conto che, nel contratto di conto corrente, l'incontestabilità delle risultanze del
conto conseguente all'approvazione tacita dell' estratto conto , a norma dell'art. 1832, c.c., si riferisce
agli accrediti ed agli addebiti considerati nella loro realtà effettuale, ma non impedisce la contestazione
della validità e dell'efficacia dei rapporti obbligatori da cui essi derivino, né l'approvazione o la
mancata impugnazione del conto comportano che il debito fondato su di un negozio nullo, annullabile,
od inefficace resti definitivamente incontestabile tra le medesime parti.
Ancora, non appare fondata l'eccezione di prescrizione sollevata dalla Banca né con riferimento al c/c 0105990 né al c/c 0105995. Anzitutto deve ritenersi ormai dato acquisito che l'azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità delle clausole negoziali poste a base del conto, è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale (cfr. Cass. SS.UU. 14418/2010)
Deve quindi precisarsi che detto termine decennale di prescrizione decorre dalla data di cessazione del rapporto. Con orientamento di gran lunga maggioritario, infatti, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, considerata la natura unitaria del contratto di conto corrente bancario, il quale dà luogo ad un unico rapporto giuridico, ancorché articolato in una pluralità di atti esecutivi: la serie successiva di versamenti e prelievi, accreditamenti e addebiti, comporterebbe soltanto variazioni quantitative del titolo originario costituito tra banca e cliente; soltanto con la chiusura del conto si stabilirebbero in via definitiva i crediti e i debiti delle parti e le somme trattenute indebitamente dall'istituto di credito potrebbero essere oggetto di ripetizione (vd. Cass. 10127/2005 e giurisprudenza ivi richiamata).
La Suprema Corte di Cassazione con pronuncia resa a Sezioni Unite (24418/2010) ha sostanzialmente confermato questa conclusione aggiungendo peraltro che, quando nell'ambito del rapporto in questione è stato eseguito un atto giuridico definibile come pagamento (consistente nell'esecuzione di una prestazione da parte di un soggetto, con conseguente spostamento patrimoniale a favore di altro soggetto), e il solvens ne contesti la legittimità assumendo la carenza di una idonea causa giustificativa e perciò agendo per la ripetizione dell'indebito, la prescrizione decorre dalla data in cui il pagamento indebito è stato eseguito. Ma ciò soltanto qualora si sia in presenza di un atto con efficacia solutoria, cioè per l'appunto di un pagamento, vale a dire di un versamento eseguito su un conto passivo ("scoperto"), cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, oppure di un versamento destinato a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento (cosiddetto extra fido). In definitiva, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, il termine di prescrizione dell'azione di ripetizione decorre dalla data in cui è stato estinto il conto corrente in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Solo da tale momento sussiste infatti un pagamento indebito.
Nel caso di specie, non solo la banca non ha neppure allegato che vi siano stati, in corso di rapporto, versamenti solutori nel senso prospettato né li ha specificati così non adempiendo al proprio onere probatorio sotto tale profilo ma il CTU ha comunque accertato e concluso che tutte le rimesse effettuate sul c/c 10599/5 hanno avuto chiaramente funzione ripristinatoria , in quanto la ditta attrice in nessuno
dei periodi oggetto della rielaborazione ha mai oltrepassato il limite dell'affidamento risultante dai documenti prodotti in giudizio, ovvero lire 350.000.000. Non ha più rilievo alcuno il richiamo all'art. 2 co. 61 d.l. 225/2010 (c.d. milleproroghe) che, nel porre una norma di natura interpretativa dell'art. 2935 c.c., prevedeva che "In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa" e che "In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge" in quanto la Corte costituzionale con sentenza n. 78/2012 ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, sicché resta superato anche ogni problema relativo all'interpretazione da dare alla suddetta disposizione.
Ora, nel caso di specie la Banca convenuta osserva che, in ogni caso, l'azione di ripetizione delle somme indebitamente corrisposte con riferimento al c/c 0105990 sarebbe, anche a seguire i principi sopra esposti (per quanto non condivisi dalla convenuta), prescritta, poiché detto conto è stato (pacificamente) estinto in data 29.1.1998.
Deve però osservarsi che altrettanto pacificamente il saldo di tale conto corrente è stato, al momento dell'estinzione, "girocontato" sull'altro conto corrente oggetto di causa n. 0105995, come d'altronde accertato dallo stesso CTU. Quest'ultimo conto corrente non può pertanto considerarsi autonomo proprio in forza dell'intervenuta imputazione di somme provenienti dal precedente conto corrente.
Da tale imputazione di somme discende, invece, che deve ritenersi sussistere un collegamento giuridico e quindi una continuità tra i due rapporti stipulati tra le parti, con l'ulteriore conseguenza che il termine iniziale di prescrizione va calcolato dalla data di chiusura del suddetto c/c 0105995 avvenuta il 24.7.2003.
L'eccezione di prescrizione deve essere pertanto rigettata. Venendo alla disamina del merito, fondata risulta, invece, anzitutto, la doglianza di parte attrice circa l'illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi (sino al 30.6.2000) pacificamente applicata ai rapporti de quibus ed effettivamente riscontrata dal CTU. La norma dell'art. 1283 c.c. è ritenuta pacificamente di carattere imperativo e di natura eccezionale nella parte in cui ammette la possibilità che gli interessi scaduti possano produrre ulteriori interessi nella sola ipotesi di interessi dovuti per almeno un semestre e sempre che vi sia stata una formulazione di domanda giudiziale ovvero per effetto di una convenzione successiva alla scadenza degli interessi stessi. Tale norma può essere derogata da usi contrari ma deve trattarsi di veri e propri usi normativi e non di semplici usi negoziali (art. 1340 c.c.) o intepretativi (art. 1368 c.c) consistendo l'uso normativo nella ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica di un determinato comportamento
accompagnato dalla convinzione che si tratti di comportamento giuridicamente obbligatorio in quanto conforme a norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell'ordinamento giuridico (opino iuris ac necessitatis). Quanto ai contratti bancari, la giurisprudenza ormai consolidata della Suprema Corte di Cassazione, con riferimento ai contratti di conto corrente di corrispondenza stipulati in data anteriore al 22 aprile 2000, ritiene del tutto illegittimo l'anatocismo trimestrale degli interessi debitori applicato dagli istituti di credito (v. cass. s.u. 21095/2004 e cass. 10127/2005) in quanto fondato su un uso negoziale contrariamente a quanto previsto dall'art. 1283 c.c.
In particolare, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 21095/2004 hanno definitivamente chiarito che deve escludersi l'esistenza di un uso normativo legittimante l'anatocismo trimestrale nei rapporti bancari, idoneo a derogare al precetto di cui all'art. 1283 c.c. che prevede il generale divieto di anatocismo e cioè della produzione di interessi sugli interessi; le clausole anatocistiche stipulate fino all'entrata in vigore della delibera CICR di cui al comma 2 del del d.lgs. 342/1999 sono, quindi, da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell'art. 1283, cod.civ., perché basate su un uso negoziale, anziché su un uso normativo, mancando di quest'ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, per la convinzione che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o che si reputa debba fare parte dell'ordinamento giuridico ("opinio juris ac necessitatis"). Infatti, va escluso che detto requisito soggettivo sia venuto meno soltanto a seguito delle decisioni della Corte di cassazione che, a partire dal 1999, modificando il precedente orientamento giurisprudenziale, hanno ritenuto la nullità delle clausole in esame, perché non fondate su di un uso normativo, dato che la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell'esistenza e del contenuto della regola, non già creativa della stessa, e, conseguentemente, in presenza di una ricognizione, anche reiterata nel tempo, rivelatasi poi inesatta nel ritenerne l'esistenza, la ricognizione correttiva ha efficacia retroattiva, poiché, diversamente, si determinerebbe la consolidazione 'medio tempore' di una regola che avrebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che, erroneamente presupponendola, l'avrebbero creata.
Deve ritenersi, invece, attualmente ammissibile la capitalizzazione degli interessi pattuita mediante apposite clausole contenute nei contratti bancari in forza della delibera CICR 9.2.2000; l'art. 120 TUB come modificato dall'art. 25 del d.lgs. 342/99, ha infatti attribuito al CICR il potere di stabilire le modalità ed i criteri per la produzione degli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria.
La disciplina introdotta dal CICR vale peraltro anche per i contratti stipulati in precedenza a decorrere dal 1.7.2000 purché risultino rispettate le disposizioni contenute nella delibera entro il 30.6.2000. In relazione al caso di specie, dunque, va accertata e dichiarata la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi sino al 30.6.2000; depurato il conto corrente degli addebiti derivanti dall'illegittima applicazione di interessi anatocistici su base trimestrale, non può essere riconosciuta alcuna capitalizzazione in quanto si tratterebbe pur sempre di una forma di anatocismo vietato dalla legge (art. 1283 c.c.) in assenza di usi normativi che legittimino tale conclusione (cfr. Cass. SS.UU. 24418/2010).
Rispettate le condizioni prescritte dalla delibera CICR 9.2.2000 (con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale 29.6.2000 e con la comunicazione al cliente in calce all'estratto conto del 31.10.2000 delle nuove condizioni contrattuali e a fronte di condizioni non peggiorative di quelle precedentemente applicate) appare ammissibile la capitalizzazione trimestrale degli interessi successiva al 1.7.2000. Sempre con riferimento al suddetto rapporto, quanto alla lamentata applicazione di interessi ultralegali, la Banca non ha prodotto idonea documentazione attestante la loro determinazione per iscritto con riferimento al c/c 10559/0 e dunque, posto che la giurisprudenza in ossequio al disposto dell'art. 1284 c.c. è ormai granitica nell'affermare che - in tema di interessi nei contratti bancari - la relativa convenzione è nulla quando il relativo tasso risulti non determinabile e non controllabile in base ai criteri in detta convenzione oggettivamente indicati, opera tra le parti nel caso di specie la sostituzione della clausola difforme da una norma imperativa con il dettato della norma imperativa medesima ex art. 1419 c.c.
Gli interessi perciò sono stati calcolati dal c.t.u. nella misura del tasso legale ex art. 1284 c.c. fino al 08.07.1992; successivamente con l'entrata in vigore della Legge n. 154 del 17.02.1992, gli interessi sono stati calcolati con il criterio stabilito dall'art. 117 n. 7 D.lvo. 385/93, ovvero con il così detto "tasso bot" (cfr. pag. 8 e 9 della relazione peritale).
Corretto appare il criterio interpretativo per cui il tasso sostitutivo indicato dall'art. 117 comma 7 lettera a) è stato applicato nella misura nominale minima dei bot per le operazioni in favore della Banca e nella misura nominale massima dei bot per le operazioni a favore del cliente in ragione della natura eminentemente sanzionatoria, a carico della Banca, della norma medesima.
Per quanto concerne invece il c/c 10599/5 il CTU ha dato atto di avere fatto applicazione del tasso di interesse contrattualmente previsto come risultante dalla documentazione versata in atti (doc. 6 parte convenuta) validamente pattuito per iscritto. La dedotta violazione della Legge 108/196 è risultata, invece, del tutto indimostrata considerando l'assoluta genericità della contestazione con cui gli opponenti non hanno fatto riferimento né al periodo
in cui sarebbe stato superato il "tetto soglia" del tasso degli interessi debitori applicati al rapporto, né al tasso applicato effettivamente, né alla categoria di operazioni presa a riferimento per la valutazione di usurarietà. L'attrice contesta ancora l'illegittima applicazione della clausola di commissione di massimo scoperto. Come è noto, la c.m.s. è stata diversamente definita o individuata - limitandosi alle due accezioni principali e più diffuse - come il corrispettivo per la semplice messa a disposizione da parte della banca di una somma, a prescindere dal suo concreto utilizzo, oppure come la remunerazione per il rischio cui la banca è sottoposta nel concedere al correntista affidato l'utilizzo di una determinata somma, a volta oltre il limite dello stesso affidamento. Il termine commissione di massimo scoperto non è quindi riconducibile ad un'unica fattispecie giuridica, sicché l'onere di determinatezza della previsione contrattuale delle c.m.s. deve essere valutato con particolare rigore, dovendosi esigere, se non una sua definizione contrattuale, per lo meno la specifica indicazione di tutti gli elementi che concorrono a determinarla (percentuale, base di calcolo, criteri e periodicità di addebito), in assenza dei quali non può nemmeno ravvisarsi un vero e proprio accordo delle parti su tale pattuizione accessoria, non potendosi ritenere che il cliente abbia potuto prestare un consenso consapevole, rendendosi conto dell'effettivo contenuto giuridico della clausola e, soprattutto, del suo "peso" economico; in mancanza di ciò l'addebito delle commissioni di massimo scoperto si traduce in una imposizione unilaterale della banca che non trova legittimazione in una valida pattuizione consensuale.
Ebbene venendo al caso di specie le commissioni di massimo scoperto vanno escluse, in ogni caso, perché la banca non ha provato la specifica pattuizione per iscritto della commissione stessa né degli elementi che concorrono a determinarla sulla dei principi sopra espressi; il calcolo del saldo del rapporto bancario de quo è stato, di ragione, epurato dei relativi effetti.
Egualmente nei documenti contrattuali versati in atti dalla convenuta non risultano indicate le spese di gestione/chiusura del conto che, nel ricalcolo, pertanto devono essere azzerate.
Venendo alla rideterminazione del saldo del rapporto di conto corrente ritiene il Tribunale che debba farsi riferimento ai risultati della CTU (con la precisazione che segue), avuto riguardo alla correttezza dei conteggi effettuati, e perché formulati nel rispetto dei principi sopra esposti, in quanto basata:
- sull'esclusione di qualunque forma di capitalizzazione degli interessi in ottemperanza al disposto dell'art. 1283 dalla data di apertura del conto al 30.6.2000 - sulla capitalizzazione trimestrale in base alla delibera CICR 9.2.2000, dal 1.7.2000 alla chiusura del conto
- sull'eliminazione degli interessi ultralegali non pattuiti e sull'applicazione dei tassi ex art. 117 TUB con riferimento al c/c 10599/0 e con applicazione dei tassi di interessi contrattualmente pattuiti con riferimento al c/c 10599/5 - sull'eliminazione della commissione di massimo scoperto e delle spese di gestione/tenuta conto non validamente pattuite
Alla luce di tali risultati, dato atto che il saldo del c/c 10599/0 come ricalcolato è stato girato sul conto corrente 10599/5 come avvenuto in effetti nel corso del rapporto bancario, il saldo di quest'ultimo conto corrente deve essere rideterminato in € 180.603,90 a credito del correntista alla data del 30.6.2003.
Non è stato possibile per il CTU, sulla base della documentazione a disposizione, effettuare conteggi per il periodo successivo sino alla chiusura del conto (24.7.2003 - doc. 12 parte convenuta), sicché per tale periodo, spettando l'onere della prova all'attore, non sono stati ricalcolati interessi né si è proceduto a depurare il conto da spese periodiche.
Il saldo finale documentato dalla banca a tale data è pari a € 239,64 a debito del correntista. In definitiva, recepito il conteggio effettuato dal CTU e tenuto conto del saldo finale dichiarato dalla Banca, la convenuta deve essere condannata al pagamento di € 180.363,45 (pari alla differenza del saldo ricalcolato dal CTU e il saldo finale indicato dalla banca) oltre interessi decorrenti dalla data della domanda al saldo. Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo (dovendosi includere tra le spese anche i costi di CTP sostenuti dall'attrice). Le spese di CTU sono definitivamente poste a carico di parte convenuta.

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 570/2011 RG ogni altra istanza, deduzione ed eccezione disattesa - in accoglimento della domanda proposta da M. Emilio titolare della ditta individuale M. EMILIO ARTE E A., ricalcolato il saldo effettivo dei conti corrente 0105990 e 0105995 intercorrenti tra M. EMILIO ARTE E A. e la Banca Popolare di Intra scrl, alla data di estinzione del conto 0105995 (sul quale risulta essere stata girato il saldo di chiusura del conto 0105990) 24.7.2003, con esclusione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi sino al 30.6.2000, nonché degli interessi ultralegali non pattuiti relativamente al c/c 0105990, delle commissioni di massimo scoperto e delle spese di tenuta conto, condanna la VENETO BANCA scpa,
in persona del legale rappresentante pro-tempore, a pagare a favore dell'attore la somma di € 180.363,45, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo. Condanna la convenuta a rifondere a favore di parte attrice le spese di lite che liquida in € 12.200 per competenze e € 2.223,21 per spese, oltre accessori come per legge.
Pone definitivamente le spese di CTU, come già liquidate in corso di causa, a carico della convenuta. Verbania 24.4.2013

Il Giudice Claudio Michelucci



Questo sito è di proprietà dello Studio Legale TANZA | antonio.tanza@gmail.com

Torna ai contenuti | Torna al menu