Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


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Sassari / Carpi

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2012

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Sassari, Sezione Civile, in persona Cinzia Caleffi ha pronunciato la seguente:

SENTENZA 1581 del 18 dicembre 2012

nella causa iscritta al n. 1829/2006 R.G.A.0 TRA
S.M. SRL, in persona del legale rappresentante e S.M., elettivamente domiciliati in Sassari presso lo studio dell'avv. Francesco Azzena che li rappresenta e difende per delega in atti, unitamente all'avv. Antonio Tanza;

ATTORE

E
INTESA SAN PAOLO SPA, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in Sassari presso lo studio dell'avv. Filippo Bassu che lo rappresenta e difende per delega in atti;

CONVENUTO


MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda proposta è fondata e, pertanto, merita accoglimento nei limiti di seguito specificati.
Va innanzi tutto disattesa la preliminare eccezione di prescrizione avanzata da parte convenuta.
Definitivamente superata la questione relativa all'applicabilità della disciplina introdotta dal dl 225/2010 convertito nella legge 10/2011, dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza n. 78/2012, si deve quindi fare esclusivo riferimento a quanto statuito dalla Suprema Corte a Sezioni Unite (sentenza N. 24418/2010) al fine di dirimere il contrasto che si era creato in materia.
La maggior parte della giurisprudenza di legittimità e di merito riteneva, invero, preferibile l'opinione secondo cui, nel caso di specie, operasse in ogni caso la prescrizione decennale ex art. 2946 c.c., trattandosi di azione diretta a conseguire la restituzione di somme indebitamente riscosse ai sensi dell'art. 2033 c.c., con decorrenza dalla data di chiusura del conto corrente, "ravvisandosi nella fattispecie un unico rapporto giuridico pur se articolato in una pluralità di atti esecutivi" (vedi per tutte Cass. N. 1015/2005).
Orbene, le Sezioni Unite hanno ribadito tale principio di diritto ("nondimeno, con specifico riguardo al contratto di apertura di credito bancario in conto corrente, la conclusione alla quale era pervenuta la giurisprudenza sopra richiamata va tenuta ferma"), precisando che "se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati". Le Sezioni Unite hanno poi ulteriormente, specificato che invece il termine decorrerà dall'annotazione in caso di atto avente natura solutoria, precisando che tale natura è ravvisabile qualora i versamenti "abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo (o, come in simili situazioni si preferisce dire "scoperto") cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento. Non è cosi, viceversa, in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell'affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere".
Ciò posto, nel caso in esame, solo alla udienza 22.6.2011 parte convenuta ha richiesto il richiamo del CTU "affinchè provveda al ricalcolo per verificare ed accertare i pagamenti aventi natura solutoria che andranno ad incidere sulla avvenuta prescrizione", senza alcun altra specificazione in relazione alla loro concreta individuazione, nonostante la lunghissima durata del rapporto de quo e l'onere di provare, anche a livello meramente deduttivo, i fatti posti a sostegno dell'eccezione di prescrizione proposta e ciò indipendentemente dalla pregressa estinzione del rapporto, poichè il momento da cui decorre il termine di prescrizione rappresenta in ogni caso un fatto costitutivo della eccezione stessa. Infatti, l'eccezione di prescrizione, in quanto eccezione in senso stretto, deve fondarsi su fatti allegati dalla parte e quindi, il debitore, ove eccepisca la prescrizione del credito, ha l'onere prima di allegare e, poi, di provare il fatto che, permettendo l'esercizio del diritto, determina l'inizio della decorrenza del termine ai sensi dell'art. 2935 cod. civ.
Pertanto, anche alla luce della sentenza richiamata ed in difetto di qualsiasi indicazione dei singoli atti da cui dovrebbe decorrere l'invocata prescrizione, - di certo non evidenziabili neppure mediante una inammissibile CTU avente chiara finalità esplorativa, - va ribadito che nella fattispecie in esame, deve trovare applicazione il principio secondo cui solo con la chiusura del conto corrente si è potuto definire l'entità del dovuto ed è da tale data che deve iniziare il computo della prescrizione decennale.
Nel caso in esame, avendo parte attrice notificato l'atto di citazione il 19.4.2006, ha tempestivamente proposto la relativa domanda, risultando dagli atti che l'ultimo estratto scalare relativo ai due contratti principali (n. 33-01-28 per la S.M. srl e n. 62-10-85 per S.M.) risale rispettivamente al 31.12.1996 e 30.9.1996 e quindi, in epoca, seppur di poco, compresa nei dieci anni precedenti.
Pertanto, l'eccezione non può trovare accoglimento.

Passando poi a valutare, singolarmente, le dedotte nullità, va preliminarmente dichiarata l'invalidità della clausola (art. 7 co. 3) dei contratti di conto corrente in esame nella parte in cui prevede il rinvio alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza per la determinazione del tasso di interesse.
Tale norma è nulla per indeterminabilità dell'oggetto ex art. 1346 c.c, e giusta il disposto di cui all'art. 1284 c.c. secondo il quale gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto altrimenti sono dovuti nella misura legale.
Sul punto, con orientamento ormai costante, la Suprema Corte ha sancito che "in tema di contratti bancari, nel regime anteriore alla entrata in vigore della disciplina dettata dalla legge sulla trasparenza bancaria 17 febbraio 1992, n. 154, poi trasfusa nel testo unico 1 settembre 1993, n. 385, la clausola che, per la pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale, si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, è priva del carattere della sufficiente univocità, per difetto di univoca determinabilità dell'ammontare del tasso sulla base del documento contrattuale, e non può quindi giustificare la pretesa della banca al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale quando faccia riferimento a parametri locali, mutevoli e non riscontrabili con criteri di certezza" (vedi Cass. n. 4094/2005; Cass. n. 1287/2002).
Tali principi sono oggi pacifici, trasfusi nella legislazione di settore, per cui è da considerare nulla la clausola "interessi uso piazza" perché per la sua genericità, data l'esistenza di diverse tipologie di interessi, non consente al correntista di stabilire la misura del tasso applicato al rapporto, con conseguente applicazione fino all'entrata in vigore del TU bancario del tasso legale e successivamente, di quello fissato dall'art. 117 TU, come già previsto nella legge sulla trasparenza (ln 154/1992).

Il Ctu relativamente a tale ultima questione ha effettuato i calcoli di applicazione dei criteri di cui all'art. 117 TU sia considerando il tasso nominale minimo per le operazioni attive della Banca e cioè quelle a favore della Banca ed il tasso nominale massimo per le operazioni passive, da intendersi quelle a favore del cliente, sia l'ipotesi contraria.
La prima soluzione però (tasso nominale minimo per le operazioni a favore della banca e tasso nominale massimo per quelle passive a favore del cliente) è più convincente, in quanto più aderente al dettato normativo (le operazioni attive sono quelle di finanziamento per l'Istituto mentre quelle passive sono quelle di raccolta del risparmio) e alla funziona sanzionatoria della norma citata ed in sintonia con una parte della giurisprudenza di merito (vedi Tribunale di Torino n. 450/2010; Tribunale di Mantova 12.7.2008), anche in relazione alla necessità di non applicare un unico tasso di riferimento per tutto il rapporto avente natura di contratto di durata (vedi Tribunale di Mondovì 70/2009; Tribunale di Lecce n. 201/1009).

Va altresì dichiarata la nullità della clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale dei soli interessi passivi (art. 7 dei contratti).
Tale orientamento è ormai costante nella giurisprudenza di legittimità e di merito, ribadito da ultimo dalle Sezioni Unite sopra citate ed è stato fatto proprio anche da questo Tribunale. Senza ripercorrere le complicate fasi in cui tale orientamento si è sviluppato, è sufficiente ricordare che a partire dal 1999 .(vedi Cass. n. 12507/1999), la Suprema Corte, rimeditando il precedente orientamento ha stabilito che la clausola di capitalizzazione trimestrale, per quanto radicata nella prassi bancaria e contenuta nelle norme bancarie uniformi sui conti correnti di corrispondenza e servizi connessi, corrispondeva ad un mero uso negoziale imposto al correntista e non ad un uso normativo, con conseguente inapplicabilità dell'art. 1283 c.c. nella parte in cui esonera dal rispetto del limiti previsti le situazioni di cui agli usi contrari.
Tale orientamento è divenuto poi predominante (vedi inizialmente le Sezioni Unite della Suprema Corte Sent. N.2095/2004), e ne è stata affermata l'applicabilità anche ai rapporti antecedenti alla normativa sulla trasparenza bancaria ed allo stesso nuovo orientamento ermeneutico in materia di capitalizzazione, con conseguente divieto di deroga dell'art. 1283 c.c.
Ne consegue, quindi, che le somme calcolate a tale titolo non possono essere richieste dagli istituti bancari e se percepite devono essere interamente restituite perché indebitamente trattenute (dr Cass. n. 21141/2007; Cass. n. 11757/2006), con esclusione di qualsiasi diversa forma di capitalizzazione (vedi sul punto anche la pronuncia delle Sezioni Unite sopra citata in cui si ribadisce che "dichiarata la nullità della surriferita previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall'art. 1283 c.c., - il quale osterebbe anche ad un'eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale -, gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna").

(...)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI MODENA
Sezione Distaccata di Carpi

IL GIUDICE
dott. Roberto Cigarini, ha emanato la seguente

SENTENZA n. 4058 del 27 giugno 2012

nella causa civile iscritta al n. 4103/2008 R.G. promossa da:
P.R.S. srl in liquidazione, in persona del liquidatore R. M., con domicilio eletto in Carpi Via Berengario 16, nello studio dell'avv. Sergio Leoni, rappresentante e difensore nel presente giudizio in virtù di procura speciale apposta a margine dell'atto di citazione insieme all'avv. Antonio Tanza del Foro di Lecce

parte attrice

CONTRO

Unicredit (già Unicredito Italiano) s.p.a., con sede in Roma, in persona dei quadri direttivi Marina Candotti e Piero Sondi, partita iva 00348170101, con domicilio eletto in Modena Via Emilia Centro 211, nello studio dell'avv. Antonio Formaro, rappresentante e difensore nel presente giudizio in virtù di procura speciale apposta in calce alla comparsa di risposta

parte convenuta


RAGIONI DI FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

Sugli Interessi anatocistici
Parte attrice ha chiesto che sia dichiarata l'illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori operata dalla banca, la quale non ha contestato di aver operato la capitalizzazione con la suddetta periodicità.
La banca convenuta ha eccepito che, a partire dal 30/06/2000, in forza di quanto previsto dall'art. 25 del Decreto Legislativo 4 agosto 1999 n. 342 e dalla successiva delibera C.I.C.R. del 09/02/2000, si è uniformata alle nuove previsioni normative che ritengono legittima la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi a condizione che avvenga con la medesima periodicità la capitalizzazione anche degli interessi attivi.
Com'è noto, con l'art. 25 comma 2 del Decreto Legislativo 4 agosto 1999, n. 342 il legislatore sembra aver inteso sottrarre alla complessa dinamica degli usi normativi la disciplina dell'anatocismo ed ha aggiunto all'art. 120 del Decreto Legislativo 1 settembre 1993 n. 385 recante il Testo unico delle leggi in- materia bancaria e creditizia, un secondo comma del seguente tenore "Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia ereditari".
Le modalità ed i criteri cui la norma citata si riferisce sono stati stabiliti con Delibera del CICR in data 9 febbraio 2000 (Gazz. Uff. 22 febbraio 2000, n. 43). Per quanto riguarda i rapporti di conto corrente, l'art. 2 di detta delibera stabilisce: "1. Nel conto corrente l'accredito e l'addebito degli interessi avviene sulla base dei tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti, Il saldo periodico produce interessi secondo le medesime modalità. 2. Nell'ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori. 3. Il saldo risultante a seguito della chiusura definitiva del conto corrente può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica".
La circostanza allegata dalla banca di essersi uniformata alle nuove previsioni normative risulta però sfornita di adeguata prova é non può che essere respinta.
Deve conseguentemente essere accolta l'eccezione di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale, con la conseguenza che "Dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi in una apertura di credito in conto corrente, per il contrasto con il divieto di anatocismo sancito dall'art. 1283 c.c., gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna, perché il medesimo art. 1283 annuale e perché nemmeno potrebbe essere ipotizzato come esistente, un uso, anche non normativo, di capitalizzazione con quella cadenza. (Cassazione civile, sez. un., 02/12/2010, n. 24418, Banca pop. Pugliese c. Lecci, in Guida ai diritto 2011, 1, 74 (nota Mastromarino), in Il civilista 2011, 4, 12 (nota CELARDI).
Conseguentemente devono essere accolti i conteggi operati dalla consulenza tecnica d'ufficio, che considera la capitalizzazione semplice con eliminazione della Commissione Massimo Scoperto.


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