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Tribunale di Pisa - Pontedera

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2012

Tribunale di Pisa - Sezione Distaccata di Pontedera, Sent. N. 98 del 21 febbraio 2012


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale di Pisa - Sezione Distaccata di Pontedera - in persona del dott. Leonardo Magnesa, in funzione di Giudice Unico, nella causa iscritta al n.227/06 R.G. e promosso da

G R, rappresentato e difeso dagli Avv.ti. Andrea Pantani e Antonio Tanza

(attore)

contro

Cassa di Risparmio di Volterra s.p.a., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Andrea C. Grosso e Giovanni Frescura
ha pronunciato

SENTENZA n. 98/2012

(…) Innanzi tutto appare priva di pregio l'eccezione di nullità dell'atto introduttivo del giudizio sollevata dalla Cassa Risparmio di Volterra in quanto - come rettamente argomentato dalla difesa del G - la pretesa attorea risulta sostanzialmente ben delineata vuoi sotto il profilo della causa petendi - rapporto di apertura di conto corrente bancario con affidamento mediante scoperto, indebite poste passive per commissioni, interessi ultralegali e/o non pattuiti, erronei addebiti giorni dì valuta ecc. - e vuoi sotto il profilo del petitum (accertamento e declaratoria di nullità - con espresso richiamo a disposizioni del cod. civ. e di legge violate - delle condizioni di trattamento censurate, accertamento del T.E.G. ecc. nonché condanna alla restituzione di tutte le somme illegittimamente addebitate e riscosse dalla banca). Peraltro, appare effettivamente condivisibile l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui l'interpretazione della domanda giudiziale non può limitarsi alla relativa testuale formulazione, ma deve riguardare anche il sostanziale contenuto delle pretese azionate, in ragione quindi delle finalità perseguite in giudizio: in altri termini non può qui ritenersi nulla la citazione "...per omessa determinazione dell'oggetto della domanda, essendo necessario, per la conseguenziale valutazione d'inammissibilità, che il "petitum" sia del tutto omesso o risulti assolutamente incerto, ipotesi che non ricorre quando il "petitum" sia comunque desumibile attraverso un esame complessivo dell'atto, tenendo presente che, per esprimerlo, non necessita l'uso di formule sacramentali o solenni, poiché è sufficiente che esso risulti dal complesso delle espressioni usate dall'attore in qualunque parte dell'atto introduttivo..." (V. Cass. Civ. Sez. 3 n. 1873 del 28/08/2009).
Va - a questo punto - rilevato come, pur apparendo pacifico tra le parti che la presente causa riguardi in particolare un "... rapporto bancario consistente apertura di credito con affidamento mediante scopertura sul c/c n.20217 ...", controversa rimane invece l'incidenza della pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite del 2.12.2010 n. 24418 sull'eccezione di prescrizione già formulata tempestivamente dalla Cassa convenuta e degli effetti derivanti dal c.d. "decreto mille proroghe" 2010 (ed in particolare del comma 61 dell'art. 2 del d.l. 29 dicembre 2010 n. 225, aggiunto - in sede di conversione con modificazioni - dalla L. 26.2.2011, n. 10, entrata in vigore il 27.2.2011, disposizione questa avverso cui risulta ancora non evasa alcuna pronuncia da parte della Consulta d'illegittimità già sollevata per violazione degli artt. 3, 24, 41, 47, 102 della Costituzione): sia l'espressione dell'Organo Giudiziario depositario delle funzioni di nomofilachia che il suddetto intervento del legislatore sono intervenuti in pendenza di giudizio.
Ma andando per ordine - appare opportuno seguire rigorosamente il percorso logico giuridico attraverso cui tale autorevole pronuncia appare in un certo senso anche l'esito della controversia in esame.
Si evidenzia innanzi tutto che la citata sentenza delle S.U., partendo da un debito distinguo tra imprescrittibilità - ex art. 1422 c.c. - dell'azione di nullità e la prescrizione del diritto alla ripetizione d'indebito, si discosta in parte dalle precedenti pronunce che avevano ritenuto che "...il termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme trattenute dalla banca indebitamente a titolo di interessi su un'apertura di credito in conto corrente decorre dalla chiusura definitiva del rapporto …" trattandosi sostanzialmente d'un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi...": in particolare, le Sezioni Unite hanno puntualizzato come detta "...unitarietà del rapporto giuridico derivante dal contratto di conto corrente bancario non è, di per sé solo, elemento decisivo al fine d'individuare nella chiusura del conto il momento da cui debba decorrere il termine di prescrizione del diritto alla ripetizione d'indebito che, in caso di poste non legittimamente iscritte nel conto medesimo, eventualmente spetti ai correntisti nei confronti della banca...". Invero, l'insorgenza di un diritto alla ripetizione d'indebito ex art. 2033 c.c. presuppone un atto giuridico (privo di causa giustificativa) inquadrabile "..come pagamento.." e, perciò, idoneo ad attuare un corrispondente "spostamento patrimoniale" a favore dell'accipiens al cui verificarsi decorrerà ai sensi dell'art. 2935 c.c. il termine prescrizionale. Orbene, la Corte - in riferimento al contratto di apertura di credito ex artt.1842 e 1843 c.c. su conto corrente - come nel caso in esame - esclude univocamente che la prescrizione possa decorrere, in difetto di atti solutori giuridicamente inquadrabili come pagamenti, per cui la mera annotazione in conto di ogni singola posta di interessi, spese o commissioni illegittimamente addebitati dalla banca al correntista comporta in realtà "...solo un incremento del debito del correntista, o una riduzione del credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento...": rimane salva comunque la facoltà del titolare del conto di attivarsi "..sin dal momento dell'annotazione per ottenere la conseguenziale rettifica a suo favore, anche allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli, ma chiaramente alcuna azione di ripetizione è esperibile, da parte del correntista medesimo, di "... un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo …". La Suprema Corte evidenzia innanzi tutto che, in pendenza dell'apertura di credito, se il correntista non si è avvalso della facoltà di effettuare versamenti nel corso dell'intero rapporto, l'azione di ripetizione - in difetto di atti di pagamenti - non sarebbe esperibile se non alla chiusura del rapporto, ovviamente nel caso che quanto rimborsato alla banca ecceda il dovuto. Inoltre, se il correntista ha effettuato anche dei versamenti, sempre in pendenza di rapporto, l'azione di ripetizione potrà esercitarsi solo se i versamenti abbiano effettivamente avuto: "...lo scopo e l''effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca: il che ovviamente non ricorre nel caso di versamenti su conto in passivo non assistito da apertura di credito e neppure nell'ipotesi che i versamenti sul conto siano destinati solo ad elidere un passivo eccedente i limiti pattuiti con il contratto di apertura di credito. Viceversa, allorquando le poste passive sul conto non abbiano comunque oltrepassato i limiti d'affidamento, i versamenti in conto risultano inequivocabilmente funzionali al mero ripristino della provvista, di cui il correntista avrebbe comunque potuto continuare ad usufruire. In quest'ultimo caso, i versamenti chiaramente non integrano atti solutori né tanto meno rappresentano pagamenti eseguiti in adempimento dell'obbligo di restituzione di somme di denaro già utilizzate in ragione dell'apertura di credito: trattasi invero di versamenti finalizzati al ripristino della provvista come contemplata nelle pattuite linee di affidamento a favore dello stesso titolare del conto affidato che, quindi, legittimamente potrà ulteriormente fruirne in pendenza del rapporto. Dalla ricostruzione peritale del dedotto rapporto di apertura di credito su conto corrente bancario asseritamente pendente all'introduzione del presente giudizio (cfr. estratto conto al 30.6.2005) sembra riscontrarsi appunto l'ipotesi da ultimo esaminata, per cui - in ragione del principio di diritto espresso dalla prefata pronuncia delle S.U. - andrebbe respinta l'eccezione di prescrizione formulata dalla Cassa di Risparmio di Volterra: a tale conclusione dovrebbe pervenirsi altresì, secondo la difesa attorea, in ragione d'una mancanza di specifica e tempestiva contestazione e specifica indicazione, da parte della Cassa resistente, di ipotetici singoli atti solutori o dì eventuali saldi passivi extrafido da cui far in concreto decorrere - ai sensi dell' art. 2935 c.c. - il termine di prescrizione decennale ordinario entro cui l'attore avrebbe dovuto far valere in via giudiziaria le proprie ragioni di rimborso.
Né alcuna incidenza, secondo l'istante potrebbe avere sulla presente controversia - sempre secondo l'attore - il su menzionato comma 61° dell'art. 2 del D. Lgs. n. 225/10, aggiunto - in sede di Conversione dalla L. n.10/2011, il quale recita: "In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile - si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia e decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge".
Corali sono stati i commenti negativi sulla norma citata sia sotto il profilo dell'opportunità e sia sotto il profilo dell'ambiguo linguaggio tecnico giuridico adoprato, ma già all'indomani del provvedimento se ne ventilava - da parte della dottrina e della stessa giurisprudenza di merito - la scarsa incidenza sulle controversie in corso. Invero, proprio in ragione dei chiari principi espressi nella su menzionata sentenza n.24418/2010 delle Sezioni Unite, che ben individua la decorrenza del termine prescrizionale sulla scrupolosa disamina della nozione tecnico giuridica degli "atti di pagamento", quei diritti immediatamente azionabili dal correntista sulla base della mera "annotazione in conto" (che rappresenta in realtà un'operazione contabile della stessa banca) non collimano certo con l'oggetto della tutela che l'attore ha qui inteso richiedere in ragione di eccepite nullità di clausole e condizioni contrattuali, la cui prescrizione, in sede di applicazione dell'art. 2935 c.c. nell'ambito di operazioni bancarie regolate in conto corrente, in difetto di specifica e/o non controversa indicazione di atti solutori o extrafido, non può che decorrere proprio dalla chiusura del conto medesimo. In tal senso risultano essersi espressi i vari giudici di merito nelle decisioni menzionate da parte attrice, oltre che, con provvedimento ex art.351 c.p.c. del 3 marzo 2011 la Corte di Appello di Ancona, la quale ha in particolare osservato che la controversia decisa in 1° grado non avrebbe potuto riferirsi a "diritti nascenti dall'annotazione sul conto" su cui poggia l'interpretazione imposta dal legislatore del cit. art.2935 c.c.: la decorrenza dall'annotazione in conto presuppone infatti che trattasi di diritti immediatamente azionabili, "....anche qualora, ed il dato fattuale depone in tal senso, non si abbia conoscenza dell'annotazione … diritti, e tanto assurge ad argomento dirimente, estranei alla fattispecie, qui esaminata, che non attiene a posizione derivante dalla annotazione, bensì dal pagamento quale inteso dalla richiamata sentenza che ha proprio escluso che da detta operazione contabile nasca l'indebito: talché altra connotazione letterale avrebbe dovuto assumere la disposizione qualora avesse voluto ricondursi la decorrenza del termine prescrizionale afferente l'indebito alla sola annotazione, limitandosi invece il legislatore delle "Mille proroghe" a statuire sulla decorrenza, ancorandola alla medesima annotazione, che, in difetto di altra, e ben più incisiva novella, non abilita di per sé sola, alla ripetizione dell'indebito..." e pertanto "..il disposto invocato, per altro verso, ha indubbia portata innovativa, al di là della dichiarata natura meramente interpretativa, talché, anche a voler disattendere quanto appena detto, non potrebbe trovare applicazione in relazione alla presente controversia, trattandosi di norma sostanziale, ma che non può di certo introdurre, retroattivamente effetto estintivo del diritto azionato dalla società appellata …".
A questo punto, devesi osservare come giusta eccezione formulata dal G sulla mancanza di specifica e/o tempestiva contestazione da parte della Cassa resistente di eventuali singoli atti solutori o di eventuali pagamenti su saldi passivi extrafido da cui desumersi il decorso - ai sensi dell'art. 2935 c.c. - dell'ordinario termine di prescrizione decennale entro cui l'attore avrebbe dovuto utilmente far valere in via giudiziaria le proprie ragioni di rimborso, va riconosciuta non solo l'esperibilità dell'azione di ripetizione ma - nel contempo, la nullità ed inefficacia ex artt.1284, 1346, 2697 e 1418 c. 2° delle condizioni generali del contratto in ordine alla determinazione degli interessi debitori con riferimento a quelli praticati dagli istituti di credito sulla piazza, in ordine alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, all'addebito delle spese e commissioni di massimo scoperto ecc.
Al riguardo, si evidenzia che il rapporto tra le parti risulta stipulato anteriormente sia alla legge 154/92 che al D.Lgs. 1.9.1993 n.385, per cui - in difetto di specifiche pattuizioni accettate per iscritto dall'istante - l'irretroattività della disciplina relativa alla nullità delle clausole di rinvio agli agli usi per la determinazione dei tassi di interessi prevista dall'art.161 c.6° del D.Lgs.385/93 (che dispone che i contratti già conclusi all'entrata in vigore del nuovo Testo Unico Bancario sono regolati dalle norme anteriori) inibisce l'applicazione di interessi oltre la misura legale prevista dall'ultimo comma dell'art.1284 c.c., con la conseguenza che - si ripete - in difetto di valide condizioni a suo tempo accettate formalmente dal correntista nonché in applicazione dell'automatica sostituzione in ragione della nullità parziale di cui all'art.1419 c.2° c.c., la banca, in realtà, potrebbe esigere, alla definizione del rapporto, i soli interessi al saggio legale come determinato nel corso dell'intera durata del contratto (cfr ordinanza n.338/2009 della Corte Costituzionale).
Nel caso di specie, al G, durante l'intero rapporto, risultano comunque addebitati interessi passivi capitalizzati trimestralmente, mediante pattuizione sulla cui inefficacia pare concordi anche la Cassa resistente in comparsa conclusione, nel prendere atto del nuovo orientamento segnato dalla Suprema Corte a S.U. con sentenza 4.11.2004 n.21095. Non appare comunque utilmente scrutinabile - come già motivato - né l'eccezione dì prescrizione né tanto meno la richiesta di validità della clausola per il periodo successivo al 30.6.2000, stante l'entrata in vigore al 1° luglio 2000 della deliberazione CICR 9.2.2000 recepita dall'art.25 d.lgs. 4.8.1999 n.342 che prevede la possibilità di capitalizzare con la stessa periodicità interessi attivi e passivi, a cui si sarebbe comunque adeguata la Cassa con avviso di variazione delle condizioni contrattuali pubblicato su GU in data 20.5.2000 (doc. n.82): infatti, anche in ordine a tale ultimo rilievo, s'osserva come non emerga dalle allegazioni l'esistenza di alcuna pattuizione in concreto sottoscritta dal cliente (cfr. Tribunale Piacenza 12.4.2011, Tribunale Torino 6.10.2009, Tribunale Padova 23.2.2009, Tribunale Biella 23.7.2009, nonché Tribunale di Mondovì 17.2.2009: quest'ultima pronuncia afferma - in particolare - che "..nell'ipotesi in cui venga dichiarata la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi e della commissione di massimo scoperto... nessun'altra forma di capitalizzazione potrà essere applicata agli interessi debitori a carico del correntista, ed anche nel caso in cui si dovesse ritenere la validità della disciplina transitoria, prevista dalla delibera CICR del 9 febbraio 2000, l'applicazione di una qualsiasi forma di capitalizzazione si tradurrebbe in un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate con conseguente necessità di espressa approvazione da parte del cliente....".).
Per completezza si precisa che, relativamente all'eccepita, invalidità della clausola di determinazione dell'interesse ultralegale mediante rinvio al c.d. "uso piazza" (art.7 c.3° del contratto base originario) la Cassa rileva comunque che la violazione degli artt.1284 c.3°, 1346 e 1418 c.c. non sarebbe ravvisabile, in quanto detta clausola rinvia comunque alle condizioni (tassi, commissioni, valute ed eventuali spese di tempo) vigenti presso di essa e liberamente consultabili presso la filiale: tale osservazione in realtà appare strumentale alla possibilità di computare comunque gli interessi corrispettivi al tasso dei B.O.T. ai sensi dell'art.117 c.7° T.U.B.
Al riguardo, proprio in ragione dell'univoco riferimento della Cassa ad una clausola del contratto base originario - stipulato prima dell'entrata in vigore del nuovo TUB - si richiamano qui le motivazioni rese sugli effetti della disposizione transitoria art.161 c.6° del D.L.gs. 385/93 contenuta nell'ordinanza n.338/2009 della Corte Costituzionale nonché dalla citata sentenza del Tribunale di Mondovì 17.2.2009.
Dai documenti nn.33 a 36 di parte convenuta - peraltro- sembra intuirsi che trattasi di documenti sottoscritti dal G per ricezione copia di accettazione da parte della banca di pregresse richieste di affido (ma ivi non v'è alcuna esplicita menzione di capitalizzazione di interessi passivi): anche dai doc. nn.32 e 37 (ove si assume esservi prova di accettazione scritta della richiesta del cliente) non evinconsi precise clausole sulle condizioni del rapporto, con indicazione della misura dei relativi oneri per il correntista affidato.
A rigore, trattasi in realtà di nullità in maggior parte delle ipotesi esaminate o comunque di infondatezza dei motivi di resistenza della Cassa, da ritenersi comunque scrutinabili d'ufficio anche ai sensi dell'art.1421 c.c., senza che tali questioni possano intendersi superate dall'invio dì estratti conto, da mancata contestazione dei medesimi o da avvisi alla clientela di variazioni delle condizioni contrattuali.
Al contrario, non pare invece avere alcun fondamento la domanda di ristoro formulata dall'attore in ordine alla contestata segnalazione del proprio nominativo alla Centrale Rischi presso la Banca d'Italia: trattasi delle ordinarie e debite comunicazioni sull'entità degli affidi concessi al correntista.
Le spese possono dichiararsi compensate tra le parti in ragione dell'incidenza della sopraggiunta pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite del 2.12.2010 n. 24418 sull'eccezione dì prescrizione già formulata tempestivamente dalla Cassa convenuta a cui è seguita anche la discussione - con vivo dibattito anche in dottrina - sulla reale sui progressi rapporti bancari del c.d. "decreto milleproroghe" 2010.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda avanzata da G R nei confronti della Cassa di Risparmio di Volterra s.p.a., ogni contraria istanza o eccezione respinta, così provvede:
Dichiara - nei limiti di cui in parte motiva - la nullità delle condizioni contrattuali applicate al rapporto di apertura di credito su conto corrente di cui è causa e, per l'effetto, dispone la rettifica del saldo contabile al 31.12.2005 pari ad € 5.309,83 a debito del G, oltre interessi legali da computarsi per anno di competenza, dall'inizio del rapporto all'effettivo saldo.
Spese interamente compensate.

Pontedera, 21.2.2012

Il Giudice
(dr. Leonardo Magnesa)



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