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LA LEGGE PINTO (n. 89 del 24 marzo 2001):
L’EQUA RIPARAZIONE DEI DANNI PER LA NON RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO
PIOGGIA DI RISARCIMENTI: ECCO COME FARE
(di Antonio TANZA e Massimo MELPIGNANO)
La Giustizia che dovrebbe garantire i diritti dei cittadini, diventa artefice degli stessi soprusi.
Ed infatti, il cittadino che spesso si rivolge ad essa per vedere riconosciuto un proprio diritto, rimane vittima della Giustizia stessa, intrappolato in processi lunghi, estenuanti e quanto mai dispendiosi.
Già garantito dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il diritto ad un processo di ragionevole durata trova tutela nella legge n. 89 del 24 marzo 2001, c.d. “legge Pinto”, che, all’art. 2, prevede che “chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto della violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6 della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione”.
I criteri di riferimento ai fini dell’accertamento della violazione del termine ragionevole di durata sono: la complessità del caso, il comportamento delle parti, del giudice e di ogni altra autorità chiamata a concorrere o comunque contribuire alla definizione del processo. Per le Corti d’Appello italiane, anche alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte Europea dei Diritti dell’uomo, la durata ragionevole del processo può essere determinata, in via generale e approssimativa, in tre anni per il processo di primo grado, due anni per il secondo grado.
La domanda di equa riparazione si propone con ricorso, sottoscritto da un difensore munito di procura speciale, depositato nella cancelleria della Corte d’appello del distretto in cui ha sede il giudice competente a giudicare nei procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto è concluso o estinto relativamente ai gradi di merito ovvero pende il procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata.
La corte ha l’obbligo di pronunciarsi entro quattro mesi dal deposito del ricorso; tale decreto è impugnabile per cassazione.
Il procedimento in materia di equa riparazione è esente dal pagamento del contributo unificato.
La domanda di riparazione può essere proposta durante la pendenza del procedimento nel cui ambito al violazione si assume violata, ovvero, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il medesimo procedimento, è divenuta definitiva (non essendo più possibile far valere alcun mezzo di impugnazione ordinario).
Il risarcimento attiene sia al danno patrimoniale (da quantificare in relazione alla natura della causa) sia al danno non patrimoniale, quest’ultimo da determinarsi secondo le tabelle risarcitorie della Corte Europea.
Anche le Corti Italiane, dopo aver in passato liquidato importi di entità così irrisoria da scoraggiare future richieste, si sono finalmente adeguate ai criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte Europea (Corte d’Appello di Bari con decreto del 16 marzo 2004 ha infatti riconosciuto mille euro per ogni anno di ingiusta durata del processo).
Ecco il testo del Decreto della Corte d’Appello di Bari:
Corte di Appello di Bari - Sezione Prima Civile
LA CORTE
Riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei sigg.ri Magistrati:
1) dott. Ferdinando PAPIA Presidente
2) dott. Ivo GIUDICE Consigliere rel.
3) dott. Giuseppe ATTIMONELLI Consigliere
ha pronunziato il seguente
DECRETO
nel procedimento n. 3315/2003 Ruolo affari Camera di Consiglio
T R A
XXX , rappresentato e difeso dagli avvocati XXX, dom.to in Bari via XXX
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI rapp.ta e difesa dall' Avvocatura Distrettuale dello Stato domiciliata in Bari in via Melo, 97.
OGGETTO: Equa riparazione ex Iege 24 marzo 2001 n. 89.
La Corte, letti gli atti, rileva in fatto e in diritto quanto segue.
In fatto
A seguito di declaratoría di incompetenza emessa dalla Corte di appello di Lecce, giudice inizialmente adito, XXX, con ricorso in riassunzione depositato in data 2.12.2003 ha chiesto a questa Corte la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri all'equa riparazione dei danni di cui alla L. 24.3.2001 n. 89, assumendo che – in riferimento al giudizio innanzi alla Corte dei Conti da lui iniziato nei confronti del Ministero della Difesa con ricorso depositato in data 19.6.90 - è stato violato il diritto allo svolgimento del processo entro un termine ragionevole previsto dall’articolo 6, paragrafo l, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, dal momento che la sentenza che ha concluso tale giudizio è stata emessa in data 19.3.2002, a distanza di molti anni dall'inizio del procedimento.
Avverso tale ricorso la controparte ha depositato una memoria con la quale ha contestato la fondatezza dello stesso.
La trattazione del ricorso ha avuto luogo in camera di consiglio, e si è conclusa, con 1'interevento dei difensori, in data 24.2.2004.
In diritto
Deve rilevarsi che - ai fini dell'accertamento della violazione del diritto allo svolgimento del processo entro un termine ragionevole previsto dall'articolo 6, paragrafo l, della Convenzione - occorre avere riguardo, secondo i criteri indicati dalla giurisprudenza della Corte Europea (che la L.89/2001 all'art.2 /1 ha fatto propri), alla complessità del caso, al comportamento delle parti della procedura interna e alla condotta delle autorità nazionali.
Nella specie:
- il caso, tenuto conto di tutti gli aspetti di fatto e di diritto, non si presenta complesso;
- il comportamento tenuto dalla parte ricorrente risulta non conforme al principio affermato dalla Corte Europea (sentenza Union Alimentaria Sanders S.A., serie A n.157 § 34) secondo cui il ricorrente è tenuto a svolgere gli atti che lo riguardano con diligenza, a non far ricorso a tecniche dilatorie ed a fare uso delle possibilità offerte dal diritto interno per abbreviare la procedura e va riconosciuto quale causa, imputabile alla stessa parte ricorrente, della ritardata definizione della controversia. L'istante, infatti è rimasto inattivo per anni, essendosi deciso a chiedere la definizione del proposto ricorso solo nel momento in cui ha avuto notizia dell'avvenuta trasmissione di esso alla Sezione Giurisdizionale pugliese della Corte dei Conti;
- il comportamento tenuto dall'organo giudiziario responsabile del processo e dall'organizzazione amministrativa statale presenta, con riferimento al divario temporale intercorso tra i singoli atti di competenza, aspetti rilevanti, dal momento che la sentenza è stata pronunciata a distanza di molti anni dalla data in cui è stata richiesta la decisione del proposto ricorso.
In tale situazione, questa Corte ritiene che il lasso di tempo intercorso tra il deposito del ricorso e 1a sentenza di primo grado, avendo superato la durata di 5 anni e 6 mesi (adeguata alla complessità del caso e alla durata del periodo di ritardo dal 16.9.90 a1 20.1.94 addebitabile all'istante) cui fa riferimento la giurisprudenza della Corte Europea, costituisca violazione del diritto allo svolgimento del processo entro un termine ragionevole previsto dall'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo.
Pertanto, sussiste il diritto della parte ricorrente all'equa riparazione del danno patrimoniale e non patrimoniale patito con riferimento al periodo eccedente il suddetto termine ragionevole di 5 anni e 6 mesi, sempre che tale danno risulti provato nell'esistenza (Cass., sez. I, 28-11-2002, n. 16879: " Ai sensi dell'art. 2 l. 24 marzo 2001 n. 89, il diritto all'equa riparazione sorge allorché il mancato rispetto del termine ragionevole, di cui all'art. 6, par. 1, della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, abbia cagionato alla parte un danno non patrimoniale, non essendo a tal fine sufficiente il solo fatto della violazione della citata norma convenzionale; né in senso contrario può argomentarsi dal richiamo, operato da detto art. 2, all'art. 2056 c.c., atteso che questa norma - e la valutazione equitativa che essa consente - attiene alla quantificazione del danno e, come tale, presuppone che esso sia già stato allegato e provato in punto di an ").
patrimoniale o sufficiente il convenzionale; né
Al riguardo, deve evidenziarsi che dell'esistenza di un danno patrimoniale non vi è prova in atti, dal momento che l'istante non ha dimostrato di avere subito una perdita patrimoniale a causa della ritardata definizione del processo de quo.
Certa risulta, invece, in processo l'esistenza di un danno non patrimoniale, dal momento che, secondo 1'id quod plerumque accidit, stante la natura e la rilevanza giuridica ed economica della causa intrapresa, non può dubitarsi del fatto che la parte istante, per la prolungata attesa di una decisione che le rendesse giustizia, si sia trovata in uno stato di angoscia e pervasa da sentimenti di incertezza, di frustrazione e di ingiustizia.
Il relativo indennizzo può equamente quantificarsi, secondo gli standard ed i precedenti giurisprudenziali adottati in casi simili dalla Corte Europea (v. Cass. S.U. civili sent. 26.1.2004 n.1340), in euro 6.000.
Pertanto, l'Amministrazione resistente va condannata al pagamento di tale somma, maggiorata degli interessi legali dalla data del presente decreto al saldo e delle spese di procedura, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, accertata la violazione del diritto di XXX relativo alla definizione in un termine ragionevole del giudizio innanzi alla Corte dei Conti da lui iniziato nei confronti del Ministero della Difesa con ricorso depositato in data 19.6.90, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del ricorrente della somma di euro 6.000
con gli interessi legali dalla data del presente decreto al saldo nonché al rimborso delle spese della presente procedura ex adverso sostenute (…omissis).
Dispone che del presente decreto siano date, a cura della cancelleria, le comunicazioni previste dall'art. 5 della legge 89/2001.
Bari 2.3.2004
Il Presidente
Depositato in cancelleria il 16 marzo 2004
Il commento
LEGGE PINTO: RISARCIMENTO DEL DANNO DA VIOLAZIONE DELLA DURATA RAGIONEVOLE DEL PROCESSO.
Mille euro per ogni anno di ingiusta durata del processo.
E’ questo l’importo riconosciuto ad un cittadino della Corte di Appello di Bari, con decreto il 16 marzo 2004.
Il provvedimento della Corte, merita però di essere segnalato anche per altri motivi.
In primo luogo, il provvedimento della Corte barese rappresenta una delle prime pronunce – forse la prima a quanto è dato sapere – successive all’incisivo intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Il Giudice di legittimità, come è noto, in data 26/1/04, con ben quattro sentenze, è intervenuto per dirimere alcuni contrasti giurisprudenziali delle Corti territoriali ed assicurare così una uniforme interpretazione della L. 89/01 (c.d. “Legge Pinto”), conforme ai principi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU).
La Corte di appello di Bari, recependo appieno il principio espresso da S.U., ha testualmente statuito nel caso di specie che, secondo l’ id quod plerumque accidit, :” … non può dubitarsi del fatto che la parte istante, per la prolungata attesa di una decisione che le rendesse giustizia, si sia trovata in uno stato di angoscia e pervasa da sentimenti di incertezza, di frustrazione e di ingiustizia”.
E’ stato così applicato l’indirizzo di Cassazione S.U. n. 1338/04, per il quale deve ritenersi la sussistenza del danno non patrimoniale laddove non ricorrano particolari circostanze atte a positivamente escludere che il danno sia stato subìto.
Questo perché – qui risiede la novità della lettura della L. 89/01 operata da S.U. – in relazione alla Legge Pinto, “…il danno non patrimoniale e' conseguenza normale, ancorche' non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo”.
Ma il decreto delle Corte d’Appello di Bari è meritevole di segnalazione anche per altro profilo.
Il Giudice barese infatti, nel determinare la somma dovuta a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, ha aderito agli “…standard ed ai precedenti giurisprudenziali adottati in casi simili dalla Corte Europea”.
Anche in questo caso vi è stato pieno adeguamento al principio ispiratore illustrato nella sentenza delle S.U. della Corte di Cassazione n. 1340/04, per effetto del quale: “…Ai fini della liquidazione dell'indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo … e' configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte europea, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purche' in misura ragionevole, dalle liquidazioni effettuate da quella Corte in casi simili.”.
Come si è detto, la somma liquidata dal Giudice barese è pari a circa € 1.000,00 per ogni anno di ritardato processo, considerato che, in relazione al caso di specie, è stato indicata in anni 5 e mesi 6 la ragionevole durata del processo che ha riguardato l’istante e che, dunque, il danno andava risarcito per il periodo di durata eccedente (anni 6 e mesi 3).
L’importo liquidato di € 1.000,00 annui si discosta leggermente dall’importo medio risarcitorio liquidato dal Giudice di Strasburgo (€ 1.255,00 annui per i processi contro l’Italia definiti nel 2002). E’ comunque ben lontano da altri importi liquidati in passato da varie Corti territoriali, di entità così irrisoria da scoraggiare future richiesta di indennizzo.
Viene fatta dunque così chiarezza suoi pochi punti controversi di una legge (la Legge Pinto), che ha la precipua finalità di offrire un rimedio giurisdizionale interno, quindi sussidiario a quello esperibile dinanzi alla Corte di Strasburgo, contro le violazioni relative alla ragionevole durata dei processi.
Adusbef si schiera ancora una volta dalla parte dei deboli. Inviate tutta la documentazione relativa alla causa (presso il tribunale potete estrarre copia di tutto il fascicolo d’ufficio), proporre ricorso non costa nulla.
Bari – Lecce, 19 giugno 2004
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