Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


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Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2007

I


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Lecce
seconda sezione civile
il Giudice Onorario dr.ssa Maria Carmela Tinelli, in funzione di Giudice Unico ha pronunziato la seguente

SENTENZA N. 11/2007

nella causa civile iscritta al n. 6/01 R.G. avente ad oggetto “accertamento nullità contratto”

promossa da
Dott. Migali Giulio Vannio, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Tanza , mandato in atti

ATTORE

contro
Banco di Napoli S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Gisella Raeli, mandato in atti

CONVENUTO


INTROITATA ALL’UDIENZA DEL 20/12/2005

CONCLUSIONI
Come da verbale in atti, all’udienza del 20/12/2005, precisate le conclusioni, la causa veniva introitata per la decisione con concessione dei termini massimi ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e di eventuali repliche

FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 21/12/2005, ritualmente notificato in data 30/12/2000 , il dr Migali Giulio Vannio conveniva in giudizio il Banco di Napoli S.p.A. dinanzi al Tribunale Civile di Lecce, per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni: “1. accertare e dichiarare l’invalidità a titolo di nullità parziale del contratto di apertura di credito mediante affidamento con scopertura sul c/c n. 18/729, oggetto del rapporto tra la parte attrice e la banca , particolarmente in relazione alle clausole di determinazione e di applicazione degli interessi ultralegali della determinazione ed applicazione dell’interesse anatocistico con capitalizzazione trimestrale all’applicazione della provvigione di massimo scoperto, al!’applicazione degli interessi per c.d. giorni-valuta, dei costi, delle competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese ; 2. accertare e dichiarare, per l’effetto, l’esatto dare-avere tra le parti in base ai risultati del ricalcalo che potrà essere effettuato in sede di CTU tecnico-contabile e sulla base dell’intera documentazione relativa al rapporto di apertura di credito; 3. determinare il costo effettivo annuo dell’indicato rapporto bancario; 4. accertare e dichiarare, previo accertamento del tasso effettivo globale, la nullità e l’inefficacia di ogni e qualsiasi pretesa della banca convenuta per interessi, spese, commissioni e competenze per contrarietà al disposto di cui alla legge 7 marzo 1996 n. 108, perché eccedente il c.d. tasso soglia nel periodo trimestrale di riferimento, con l’effetto, ai sensi degli artt. 1339 e 1419 comma 2 c.c., della applicazione del tasso legale senza capitalizzazione; 5. condannare la convenuta banca alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre agli interessi legali creditori in favore dell’odierno istante; 6. dichiarare l’invalidità di ogni altra obbligazione connessa all’impugnato rapporto bancario; 7. condannare la banca al risarcimento dei danni subiti dall’attore a seguito della segnalazione alla Centrale rischi presso la Banca d’Italia a motivo del rischio a sofferenza falsamente quantificato ; 8. in ogni caso, condannare la banca convenuta al risarcimento dei danni patiti dall’attore, in relazione agli artt. 1337, 1338, 1366, 1376 c.c. da determinarsi in via equitativa; 9. condannare in ogni caso la parte soccombente al pagamento delle spese e competenze di giudizio in favore de! sottoscritto procuratore.”
Con comparsa di costituzione e risposta del 19/03/2001 depositata alla prima udienza di comparizione del 20/03/2001, si costituiva in giudizio il Banco di Napoli, chiedendo il rigetta delle domande attoree e la condanna dell’attore al pagamento delle spese, diritti ed onorari del giudizio.
La causa veniva istruita a mezzo produzione documentale e CTU le cui risultanze sono in atti. Ed invero è stato conferito dapprima incarico al perito d’ufficio relativamente alla questione anatocismo; successivamente gli veniva demandato di accertare quale tasso di interesse fosse stato applicato al rapporto di apertura di credito intercorso tra le parti.
All’udienza del 20/1212005 , precisate le conclusioni innanzi al G.O.T. dr.ssa Tinelli , la causa veniva introitata per la decisione con concessione dei termini massimi ex art. 190 c.p.c. per il deposita di comparse conclusionali e di eventuali repliche

MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va reietta l’eccezione di prescrizione del diritto sollevata dalla banca convenuta poiché infondata.
Difatti il dies a quo della prescrizione decennale inizia a decorre dalla data di chiusura del rapporto e considerato che nel caso al vaglio la stessa risale al 20/12/2000 e che l’atto di citazione è stato notificato il 30/12/2000, la contestazione sollevata non ha ragione alcuna d’essere.
Ed invero la Suprema Corte di Legittimità ha a tal proposito così statuito : “il momento iniziale del termine prescrizionale decennale per il reclamo delle somme indebitamente trattenute dalla banca a titolo di interessi decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, come già ha ritenuto questa Corte sia con riferimento al deposito bancario regolato in conto corrente sia con riguardo al mandato (Cass. civ. 06/07/1976 n. 2505 ) — ove siano previste più prestazioni del mandatario e qualora le parti come nella specie, non abbiano pattuito diversamente-, alla cui disciplina è soggetto prevalentemente il contratto di operazioni bancarie (Cass. civ. 21/12/1971 n. 3701 ; Cass. civ. 06/12/1974 n. 4043), qui ricorrente. Difatti i contratti bancari di credito con esecuzione ripetuta di prestazioni, sono contratti unitari, che danno luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi; perciò la serie successiva di versamenti; prelievi ed accreditamenti non dà luogo a singoli rapporti (costitutivi od estintivi), ma determina solo variazioni quantitative dell’unico originario rapporto costituito tra banca e cliente (Cass. 30/04/1969 n. 1392; Cass. civ. 25/07/1972 n. 2545)”.
Tali principi sono stati costantemente affermati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione: Cass. 14/05/05 n. 10127/05 Cass. civ. 2488 del 1956 ; Cass. civ. 09/04/84 n. 2262 ; Cass. civ. 14/04/98 n. 3783; Cass. civ. 23/03/04 n. 5720
Per quel che concerne la presunta decadenza derivante dal presunto invio degli estratti conto, si osserva come giurisprudenza costante ritenga che l’eventuale approvazione, ancorché ripetuta, di estratti conto ex art 1832 c.c. (applicabile al conto corrente bancario in forza del richiamo operato dall’ari 1857 c.c.) renda incontestabili le annotazioni in conto, derivanti dalla mancata impugnazione, nella loro realtà effettuate, non comporti la decadenza da eventuali eccezioni relative alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori da cui dette annotazioni derivano (cfr. Cass. 10/04/80 n. 2095; Cass. 19/08/83 n. 5409; Cass. 19/01/84 n. 452; Cass. 14/02/84 n. 111; Cass. 07/09/84 n. 4788; Cass. 24/07/86 n. 4735; Cass. 13/01/88 n. 178; Cass. 24/05/91 n. 5876; Cass. 15/06/95 n. 6736; Cass. 11/03/96 n. 1978; Cass. 10/10/96 n. 8851; Cass. 11/09/97 n. 8989; Cass. 16/01/97 n. 404; Cass. 11/05/98 n. 4735; Cass. 14/05/98 n. 4846; Cass. 10/09/02 n. 13143; Cass. 23/09/02 n. 13823; Cass. 08/08/03 n. 11961).
Ciò posto va reietta l’eccepita decadenza dal diritto di contestare le risultanze degli estratti conto poiché infondata.
Nel merito la domanda attorea è risultata parzialmente fondata e merita accoglimento per quanto di ragione.
In ordine all’illegittima capitalizzazione dell’interesse trimestrale, si rileva come sia ius receptum la nullità delle clausole di un contratto bancario, che prevedano la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, in quanto basate su un uso negoziale e non su un uso normativo , come esige l’ari 1283 c.c.
A tal fine non può non citarsi la nota sentenza del 04/11/04 n. 21095 della Suprema Corte di Legittimità a Sezioni Unite, che oltre a dettare la definitiva cancellazione dell’uso della capitalizzazione trimestrale (ante regolamentazione delibera Cicr del 09/02/2000), ha chiarito ai giuristi la strada da seguire nell’interpretazione dei contratti bancari: “L’evoluzione del quadro normativo — impressa dalla giurisprudenza e dalla legislazione degli anni ‘90, in direzione della valorizzazione della buona fede come clausola di protezione del contraente più debole, della tutela specifica del consumatore, della garanzia della trasparenza bancaria, della disciplina dell’usura ha innegabilmente avuto il suo peso nel determinare la ribellione del cliente (che ha dato, a sua volta, occasione al renvirement giurisprudenziale) relativamente a prassi negoziali , come quella di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti alle banche, risolventesi in una non più tollerabile sperequazione di trattamento imposta dal contraente forte in danno della controparte più debole. Ma ciò non vuole dire (e il dirlo sconterebbe un evidente salto logico) che, in precedenza, prassi siffatte fossero percepite come conformi a ius e che, sulla base di una tale convinzione (opinio iuris), venissero accettate dai clienti. Più semplicemente, di tatto, le pattuizioni anatocistiche , come clausole non negoziate e non negoziabili, perché già predisposte dagli istituti di credito, in conformità a direttive delle associazioni di categoria , venivano sottosciitte dalla parte che aveva necessità di usufruire del credito bancario e non aveva, quindi, altra alternativa per accedere ad un sistema connotato dalla regola del prendere o lasciare.
Dal che la riconducibilità, ab initio , della prassi di inserimento , nei contratti bancari, della clausole in questione, ad un uso negoziale e non già normativo (per tal profilo in contrasto dunque con li precetto dell’art 1283 cc.) come correttamente ritenuto dalle sentenze del 1999 e successive”
Ciò posto, per effetto di detta nullità non sanata retroattivamente nasce in capo ai clienti, nella specie in capo al dr. Migali, il diritto alla restituzione di quanto addebitato dalla banca a titolo di interessi anatocistici sulle somme risultanti a loro debito sul c/c.
Va altresì chiarito come non sia possibile sostituire l’anatocismo trimestrale con quello annuale, così come stabilito da giurisprudenza costante che di seguito si riporta.
Ed invero, in mancanza di usi contrari e delle condizioni imperative alla cui effettiva sussistenza la norma di cui all’ari 1283 c.c. consente l’anatocismo, la clausola anatocistica pattuita ( non per effetto di una convenzione fra le parti successiva alla scadenza degli interessi ‘ex ari 1283 c.c. ) ma in via anticipata e (non in relazione a ‘interessi dovuti per almeno un semestre ex art 1283 c.c.’ ma) prima della scadenza di qualsivoglia interesse, va dichiarata nulla per contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. (cfr. negli stessi termini Corte d’Appello Milano, sent del 28/01/2003 citata ; cfr. Trib. Mantova sentenza 16/01/2004 ; cfr. App. Torino 21/01/2002). Atteso che la contrarietà alla norma imperativa di cui all’ari 1283 c.c. involge- ovviamente — l’intero contenuto della clausola (e non solo, quindi , la parte di essa relativa alla periodicità della capitalizzazione, è la pattuizione in contratto dell’anatocismo ad essere nulla, onde ,secondo i principi generali, trattasi di contratto ab origine privo di qualsivoglia pattuizione di capitalizzazione, trimestrale come annuale come di diversa periodicità. Non vi è possibilità di sostituzione legale o di inserzione automatica di clausole prevedenti capitalizzazioni di diversa periodicità, in quanto l’anatocismo è consentito dal sistema — con norma eccezionale e derogatoria (cfr. le citate Sezioni Unite della Cassazione )- soltanto in presenza di determinate condizioni (quelle di cui all’art. 1283 c.c. ) , in mancanza delle quali esso rimane giuridicamente non pattuito tra le stesse.
Ricavare dal sistema — pur in presenza di pattuizione di anatocismo violativa delle condizioni imperative di cui all’art 1283 c.c.- una capitalizzazione con periodicità più lenta quale quella annuale rinvenuta nel “sistema di cui agli artt 1282/1284/1224 c.c. vorrebbe dire sia derogare alla natura imperativa ed inderogabile di cui all’art. 1283 c.c. , norma dettata “ad hoc “per prevedere a quali condizioni l’interesse semplice può diventare interesse composto , sia “frustrare “la citata ratio di tutela del debitore pecuniario ad essa sottesa ( per la quale l’ari 1283 c.c. ha dettato le precise condizioni della capitalizzazione ) , sia “immaginare un anatocismo generale e “di sistema” ulteriore e di riserva (residuale) rispetto all’anatocismo “di cui all’art. 1283 c.c. (così degradato da anatocismo “esclusivo”. ossia il solo previsto dal sistema, ad anatocismo speciale rispetto a quello “generale “annuale), sia privare di senso e di funzioni la stessa previsione della disciplina di cui all’art 1283 c.c., sia ed in definitiva assimilare in toto l’obbligazione di interessi alla “remuneratività” delle comuni obbligazioni pecuniarie pur nella riferita differenza ontologica delle stesse.
Solo in mancanza della previsione legislativa della norma speciale di cui all’art. 1283 c.c., gli interessi scaduti, in quanto costituenti a loro volta un credito liquido ed esigibile di una somma di danaro avrebbero potuto ritenersi in ogni caso produttivi automaticamente di interessi legali di pieno diritto ai sensi dell’art. 1282 (così Cass. n. 9311/1990 in motivazione , la quale ha affrontato per la prima volta la questione del saggio degli interessi anatocistici ). D’altronde, la stessa citata ratio legis esclude una interpretazione diversa ove si consideri che , essendo stato l’ari 1283 c.c. previsto a tutela del debitore pecuniario contro il pericolo dell’usura e che in mancanza della norma speciale, gli interessi scaduti avrebbero prodotto automaticamente gli interessi legali ex art 1282 c.c., ‘la norma non può quindi essere interpretata in maniera più gravosa per il debitore di quanto non si sarebbe verificato in mancanza della sua espressa formulazione ‘(così testualmente Cass. n. 9311/1990 in motivazione). La disciplina dell’art 1283 c.c. ha inciso sulla stessa natura degli interessi anatocistici essi non solo sono previsti dalla legge per ogni specie di interessi e quindi anche per gli interessi moratori (così Cass. sez. sentenza n. 2593 del 2003 ; Cass. n. 3500/86), ma a loro volta, proprio perché la norma esplica una funzione sostanzialmente protettiva della sfera giuridica del debitore, essi non sono ammessi in ogni caso, ma soltanto alle due condizioni di cui alla norma citata ( così ancora Cass. N. 9311/1990 citata ).
L’unica forma di legittimo collegamento e coordinamento tra l’ari 1283 c.c. ed il successivo art 1284 C.C. è quella per cui sugli interessi scaduti almeno per un semestre (art. 1283 c.c.) sono dovuti dalla domanda giudiziale gli interessi anatocistici al tasso legale (art 1284 comma I c.c.) , a meno che le parti abbiano convenuto per iscritto un saggio di interessi extralegali posteriormente alla loro scadenza (artt. 1224/1284 c.c.) (cfr. Cass. N. 9311/1990) : in altri termini , dall’art 1284 (e dall’art 1224 c.c. c.c. si può ricavare soltanto il saggio degli interessi anatocistici , qualora questi siano dovuti ex art 1283 c.c. , non anche una debenza degli stessi pur in mancanza delle condizioni di cui all’art 1283 c.c. Che questo , e questo soltanto , sia il coordinamento tra le due norme trova piena conferma dal raffronto tra l’art. 1283 c.c. ed il corrispondente art. 1232 del codice abrogato.
L’art 1232, comma 1, c.c. 1865 così statuiva ‘Gli interessi scaduti possono produrre altri interessi o nella misura che verrà pattuita in forza di una convenzione posteriore alla scadenza dei medesimi’.
L’art. 1283 c.c. vigente è così concepito:
‘in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi’.
La Cassazione al riguardo ha già osservato (cfr. Cass. N. 9311/1990 citata ) come la ragione per la quale il codice vigente non ha riprodotto letteralmente la locuzione ‘interessi al tasso legale” del codice abrogato non risiede in una esigenza di innovazione della disciplina anteriore, ma nella circostanza che mentre l’art. 1232 aveva distinto gli interessi anatocistici in interessi al tasso legale dalla domanda giudiziale o nella misura pattuita con convenzione posteriore alla loro scadenza, il nuovo testo, nel riprodurre sostanzialmente la precedente disciplina (con la sola riduzione da un anno, di cui al 3 comma dell’art 1232 a sei mesi degli interessi scaduti), non ha più fatto riferimento al tasso degli interessi, ritenendo che questi trovassero la loro disciplina nel successivo art. 1284
L’art. 1283, in realtà, nella nuova formulazione sintetizzando il concetto già espresso dal corrispondente art. 1232 c.c., lungi dal voler modificare il tasso degli interessi anatocistici, l’ha del tutto confermato secondo la disciplina anteriore.
La norma, con la nuova formulazione non poteva più fare riferimento agli interessi anatocistici come interessi al tasso legale sugli interessi scaduti perché nel contesto dello stesso periodo ha fatto anche riferimento agli interessi anatocistici come interessi al tasso legale sugli interessi scaduti perché nel contesto dello stesso periodo ha fatto anche riferimento agli interessi anatocistici convenzionali per i quali non è estensibile il tasso degli interessi legali che può valere soltanto per gli interessi anatocistici legali (cfr. Cass. n. 9311/1990 citata) (cfr. Tribunale di Pescara 03/06/2005- G.U. dr. G. Falco)
Ed ancora significativa è la pronuncia del Tribunale di Velletri “in tale contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento, si pone il problema delle ricadute pratiche sui rapporti fra le parti a causa della nullità delle pattuizioni anatocistiche contenute nei contratti bancari stipulati prima dell’entrata in vigore (22/04/00) della ricordata delibera del CICR del 09/02/00. In pratica, una volta ritenute sicuramente nulle le clausole con cui era prevista la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, si può porre il problema della legittimità di una cadenza più lunga (p. es. annuale ) nella capitalizzazione degli interessi dovuta dal correntista.
Al riguardo si sono registrate oscillazioni nella giurisprudenza di merito per quanto riguarda la possibilità di prevedere la capitalizzazione su base annuale degli interessi passivi dovuti dal correntista, cioè di prevedere termini maggiori quanto al prodursi degli effetti dei meccanismi moltiplicativi delle competenze.
L’orientamento favorevole alla capitalizzazione annuale, seguito da vari tribunali (cfr. a quanto consta, Tribunale Terni n. 251 del 18/03/03 ; Tribunale di Roma n. 2120 del 22/01/04 ; Tribunale Milano n. 8896 del 04/07/02 ; Tribunale Reggio Calabria 28/06/02 ; Tribunale Torino 16/12/02 ) si fonda sul presupposto che, una volta esclusa la capitalizzazione trimestrale come da recente orientamento della Cassazione, sarebbe possibile ammettere la capitalizzazione su base annua in forza di una sorta di parità di tratta tra banca e cliente , rinvenibile nell’art. 7 delle condizioni generali di contratto, comunemente applicate nei rapporti bancari; in altri termini le suddette sentenze si fondano, al fine di evitare discriminazioni lesive del principio di uguaglianza, su un anatocismo equitativo ponendo sullo stesso piano, quanto a termini ed effetti, il meccanismo di produzione degli interessi (sugli interessi) attivi, cioè quelli a favore del cliente, e passivi, cioè quelli a favore della banca.
Altro elemento a sostegno di tale orientamento viene rinvenuto, a livello normativo, nella previsione contenuta nell’art. 1284 c.c. in ordine alla produzione degli interessi legali.
Fra i due opposti orientamenti, ritiene il giudicante di aderire a quello che esclude ogni forma di capitalizzazione degli interessi passivi a prescindere dalla cadenza (annuale) utilizzata o utilizzabile. Invero, affermata la nullità parziale del contratto per nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi per violazione dell’art. 1283 c.c. non si vede come si possa giustificare una capitalizzazione su base annuale né come possa il Giudice prevedere una modifica del dato contrattuale in assenza — tra l’altro — di una disposizione che preveda in questo caso l’automatico inserimento di norme imperative su una maggiore periodicità (annuale anziché trimestrale) al posto delle clausole nulle (artt. 1339 e 1419 c.c.). In base ai principi generali in tema di successione delle leggi nel tempo non sembra neanche possibile applicare retroattivamente la previsione contenuta nella delibera CICR del 09/02/00 e giungere così ad estendere, in via analogica, la cadenza annuale degli interessi attivi a quella degli interessi passivi; attualmente, cioè dalla entrata in vigore della suddetta delibera CICR, è infatti ammesso il meccanismo anatocistico nei rapporti bancari purché sia prevista la stessa periodicità nel conteggio degli interessi debitori e creditori. Analogamente non pare condivisibile il riferimento all’art. 1284 c.c., in quanto la previsione ’di maturazione di interessi legali su base annua non comporta di per sé l’applicazione di un meccanismo moltiplicativo delle competenze e la produzione di interessi su interessi.
A ben vedere, se si porta ad estreme conseguenze il ragionamento della Cassazione sulla nullità delle clausole anatocistiche quanto agli interessi passivi, viene meno anche il ragionamento delle predette sentenze circa il preteso equilibrio contrattuale che si otterrebbe ammettendo, sempre con riferimento al periodo anteriore alla delibera CICR del 09/02/00, l’anatocismo su base annuale per entrambi i contraenti.
lnvero, se si era in presenza di un identico meccanismo di capitalizzazione degli interessi, sia pure con periodi di applicazione differenti (annuale per gli interessi attivi e trimestrale per quelli passivi) e se la medesima natura anatocistica di tale meccanismo di produzione degli interessi su interessi è stato chiaramente confermato dalla delibera CICR, è allora evidente, sempre con riferimento al periodo anteriore alla entrata in vigore di detta delibera, che se è illegittima la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi in assenza di uso normativo, non può non essere illegittima anche la clausola che prevede(va) la capitalizzazione annuale degli interessi attivi in quanto, in difetto di una disposizione di legge, la stessa capitalizzazione degli interessi attivi si basa su una clausola da ritenere, per le stesse superiori argomentazioni, ugualmente affetta da illegittimità.
Pertanto l’invocata equità fra i contraenti si potrebbe ottenere anche escludendo totalmente come sembra giusto fare alla luce della nuova giurisprudenza della Cassazione, il meccanismo anatocismo nei (progressi) rapporti fra le parti. Deve pertanto escludersi qualsiasi ipotesi o forma di anatocismo quanto agli interessi passivi. Ritiene in conclusione il Giudicante che dal debito a carico della parte opponente debba essere sicuramente espunto l’ammontare degli interessi passivi derivanti dal la capitalizzazione Trimestrale operata dalla banca. Analogamente, alla luce delle superiori osservazioni, va esclusa qualsiasi capitalizzazione degli interessi passivi su base annuale.
Le superiori deduzioni sull’esclusione di qualsiasi meccanismo moltiplicativo basato sull’anatocismo ex art. 1283 c.c. valgono anche per la commissione sul massimo scoperto, che al pari degli interessi propriamente detti concorre — come detto alla remunerazione dell’apertura di credito in conto corrente. (cfr. Tribunale di Velletri Sezione distaccata di Albano Laziale — G.U. dr. F.R. Scerrato- Sentenza n. 102/05 del 3/05/05; nello stesso senso V.: Tribunale di Brindisi,G.U. dr. Palmieri, 13/05/2002 La Torre e altro c. Soc Intesa gest. crediti — Foro ìt 2002 , I, 1887; Tribunale di Genova, 22/12/04 Edite su Italia Oggi del 22/03/2005; Tribunale di Mantova GU. dr Berardi — sentenza 21/01/2005 in www.ilcaso.it; Tribunale di Larino sentenza n. 128 del 29/03/2005; Tribunale di Lecce sentenza n. 1245/05; Tribunale di Pescara sentenza n. 298/06 del 05/01/2006; Corte d’Appello di Torino., sez. III , 21/01/2002 n. 64; App. Milano 04/04/2003 n. 1142; Cass. S.U. 17/07/2001 n. 9653; Cassazione civile, sez III, 02/10/2003 n. 14668 Rossi c. Mercuri; Giust. Civ. Mass. 2003, f. 10 ).
Uniformandosi l’odierno decidente al suindicato orientamento giurisprudenziale , ne deriva che in mancanza, come nel caso al vaglio, di una valida pattuizione anatocistica, nessuna capitalizzazione, né annuale, né semestrale, né di altra periodicità degli interessi e delle altre remunerazioni del conto può essere riconosciuta, nè alla banca, né al cliente.
Nei rapporti per cui è causa va ora ed esaminarsi il metodo di calcolo delle commissioni di massimo scoperto. Anche su tale voce ,ove trattasi di un costo non pattuito per l’utente , si è già più volte espresso il Tribunale di Lecce , comminando la pena della nullità alla commissione di massimo scoperto. In particolare Quanto alla commissione di massimo scoperto e alle valute, cui hanno riguardo specifiche censure degli appellanti, va rilevato quanto segue. La commissione di massimo scoperto, che trova causale giustificazione nella specialità del rapporto di finanziamento, è dovuta soltanto se espressamente convenuta e nella misura pattuita (cfr. Corte di Appello di Lecce 06/02/2001, nello stesso senso V. Corte di Appello di Lecce 17/12/2004 ; Tribunale di Lecce 25/09/97; Tribunale di Lecce 14/04/2003 n. 310/03 ; Tribunale di Lecce 11/02/2004 n. 352 ; Tribunale di Lecce 05/04/2004 n.1674; Tribunale di Lecce sez. Nardò 11/02/2005; Tribunale di Lecce 05/04/2005; Tribunale di Lecce n. 1245/05; Tribunale di Lecce 11/03/2005).
Non di meno va evidenziato come la legge 10 ottobre 1990 n. 287 (tutela concorrenza) e la legge 17 febbraio 1992 n. 154 (trasparenza) sanciscono l’obbligo per le imprese di indicare nei contratti oltre il tasso di interesse, «ogni altro prezzo o condizioni particolari, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso dimora».
La «commissione di massimo scoperto» non è un prezzo nè una condizione ma un onere aggiuntivo che è nullo in virtù dell’art 117 n. 4 del D.Lgs. n. 385 dell0 settembre 1993 .( cfr. Giudice di Pace di Palermo 10 dicembre 1997 Est Cannata - Ric. Unione Cannizzaro c. Banca Popolare S. Angelo)
Nel caso in esame il dr. Angelelli correttamente ha tenuto conto della c.m.s. solo ove espressamente pattuita per iscritto.
Sulla invalidità dell’addebito delle valute nel contratto per cui è causa, non sussiste alcun dubbio visto che ,--f “... detti addebiti infatti , debbono essere convenzionalmente sottoscritti dalle parti così come impone l’art. 1284 co 3 c.c. atteso che dette pattuizioni si risolvono in una modifica del saggio di interesse applicato sui saldi attivi e passivi , ovvero un espediente usato dalle banche per allungare fittiziamente i giorni solari di prestito al cliente, così come fu per la prima volta accertato e dichiarato dal Tribunale di Milano con la nota sentenza del 22 marzo 1993 ( Vidusso- Credito Lombardo ) e recentemente dalla cassazione Civ. sez I n. 10127 del 14.05.05 .... “(cfr. Tribunale di Lecce sentenza n. 1245/05 Piemme ci Unicredit già Rolo Banca)
La mancata previsione nel contratto per cui è lite , della determinazione della valuta, fa sì che anche detta voce debba essere esclusa dal calcolo per l’esatta quantificazione del rapporto dare avere corrente tra l’attore e la banca convenuta.
Parimenti nel contratto del 1988 non erano state pattuite le spese c.d. forfettane, anche queste ultime vanno espunte dal calcolo.
Vanno ora analizzati i risultati dell’elaborato peritale redatto dal consulente d’ufficio dr Angelelli.
Orbene, nel primo conteggio viene determinato l’esatto dare-avere tra le parti sulla base della riclassificazione contabile, in regime di capitalizzazione annuale degli interessi, conteggiando la commissione di massimo scoperto solo ove espressamente pattuita per iscritto, sia del rapporto di conto corrente n. 27/122 sul quale in data 15/12/93 è stato girocontato il saldo contabile del conto precedente contraddistinto dal n. 18/729 Dai ‘calcoli effettuati risulta un credito del dr Migali alla data di chiusura dell’ultimo rapporto di conto corrente (il n. 271122 ) ovvero al 20/12/2000 di euro 3.415,24.
Nel secondo conteggio viene individuato l’esatto dare avere tra le parti sulla base della riclassificazione contabile, in regime dì interessi semplici, cioè con esclusione di qualsiasi capitalizzazione degli interessi, conteggiando la commissione di massimo scoperto solo ove espressamente pattuita per iscritto. Dal computo risulta che il credito dell’attore in virtù dei rapporti per cui è causa ammonta ad euro 14.038,79 alta data di chiusura dell’ultimo rapporto di conto corrente (n. 271122).
Ritenuto che l’anatocismo sia invalido al di fuori dei casi tassativamente previsti dall’art 1283 c.c. conformandosi l’odierno decidente in punto di fatto e di diritto alla citata giurisprudenza di merito e di legittimità si appalesa,come sia quest’ultima ipotesi di calcolo da considerarsi, attesa la sua corrispondenza alla condivisa posizione giurisprudenziale.
Si impone pertanto la condanna della banca convenuta alla restituzione in favore dell’attore della somma di euro 14.038,79 oltre interessi legali semplici dal 20/12/2000 al soddisfo.
Si dispone conseguenzialmente, che la banca convenuta restituisca all’attore le somme ove illegittimamente addebitate e/o riscosse, relativamente ai rapporti per cui è causa, oltre agli interessi legali dalla data dell’eventuale versamento e/o addebito sino al soddisfo
Va invece rigettata la richiesta di risarcimento danni formulata dall’attore a seguito della presunta illegittima segnalazione alla Centrale rischi presso la Banca d’Italia della posizione del sig. Migali, quale posizione a sofferenza, in difetto di riscontro probatorio.
Parimenti non può essere accolta la domanda formulata dall’attore volta in ogni caso a condannare la banca convenuta al risarcimento dei danni patiti in relazione agli artt 1337, 1338, 1366, 1376 c.c. da determinarsi in via equitativa, in mancanza di prova.
L’attore in corso di causa, infatti, non ha dimostrato che gli siano derivati dei danni.
Per la soccombenza prevalente, la banca convenuta ,è tenuta a rimborsare all’ attore le spese di lite che, compensate per le suesposte motivazioni nella misura del 30% , sono liquidate così come in dispositivo. Il pagamento per la dichiarazione resa dal difensore avv. Antonio Tanza, ai sensi dell’art.93 c.p.c. va effettuato direttamente a favore di questi .Vengono poste altresì definitivamente a carico della parte convenuta le spese di CTU, disponendo l’eventuale rimborso delle stesse se ed in quanto eventualmente anticipate pro-quota dall’ attore.

P.T.M.

Il Giudice Onorario di Tribunale, dr.ssa Maria Carmela Tinelli in funzione di Giudice Unico del Tribunale di Lecce, seconda sezione civile ,definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dal dott. Migali Giulio Vannio nei confronti del Banco di Napoli S.p.A, in persona del legale rappresentante pro-tempore , con atto di citazione del 21/12/2000 ritualmente notificato il 30/12/2000, ogni altra istanza, difesa od eccezione rigettata, così provvede:

1. In parziale accoglimento della domanda dell’attore , dichiara così come accertato , che il credito del dr. Migali , nei confronti della banca convenuta al 20712/00 , data di chiusura dell’ultimo rapporto di conto corrente (il n. 27/122 ) ammonta ad euro 14.038,79 . Per l’effetto condanna il Banco di Napoli S.p.A9 in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento in favore del dott. Migali Giulio Vannio della somma di euro 14.038,79 oltre interessi legali semplici dal 2011212000 al soddisfo;

2. Condanna la banca convenuta alla restituzione in favore del dr. Migali delle somme ove ; illegittimamente addebitate e/o riscosse relativamente ai rapporti per cui è causa, oltre agli interessi legali dalla data dell’eventuale versamento dell’addebito sino al soddisfo;

3. Condanna il Banco di Napoli S.p.A. in persona del legale rappresentante pro-tempore , al pagamento in favore dell’ attore sig. Migali Giulio Vannio delle spese e competenze di lite che già compensate nella misura del 30%, si liquidano in complessivi euro 3.600,00 di cui euro 400,0 per spese, euro 1.100,00 per diritti , euro 2.100,00 per onorari, oltre 12,5% quale maggiorazione spese legali , Iva e Cap come per legge ,con distrazione in favore dell’avv. Antonio Tanza dichiaratosi antistatano.
Pone definitivamente a carico della banca convenuta le spese di CTU, disponendone l’eventuale rimborso se ed in quanto eventualmente anticipate pro-quota dall’ attore.

Così deciso in Lecce il 10/05/2006

Il G.O.T.
Dott. Maria Carmela TINELLI

Il Funzionario di Cancelleria
Dott. Fabrizio PETRELLI

Depositata in Cancelleria: 8 gennaio 2007

II


REPUBBLICA ITALIANA

- IN NOME DEL POPOLO ITALIANO -


Tribunale di Bari - Sezione Prima Civile, in composizione monocratica ed in persona del giudice dott. Filippo Labellarte, ha pronunziato la seguente


nella causa civile di primo grado iscritta nel registro generale affari contenziosi col numero d'ordine 1692 dell'anno 2001







"XXX” (elettivamente domiciliata in Bari nello studio dell'avv. Massimo Melpignano, dal quale è rappresentata e difesa, unitamente all'avv. Antonio Tanza, del Foro di Lecce)










“CARIME”, S.P.A. (elettivamente domiciliata in Bari nello studio dell' avv. YYY,dal quale è rappresentata e difesa)




******************




All'esito dell'udienza del 6/3/2006, la causa veniva riservata per la decisione sulle conclusioni precisate a verbale dai difensori delle parti, ai quali venivano assegnati i termini di legge per comparse e repliche.

DEL PROCESSO


Con atto notificato il 22/3/2001, la “XXX” conveniva in giudizio la BANCA CARIME S.P.A., ed esponeva:

di avere intrattenuto con CARIPUGLIA SPA.,attualmente BANCA CARIME, un rapporto bancario consistente in un'apertura di credito, con affidamento mediante scopertura sul conto corrente n. 10113268.04 dalla medesima attrice acceso presso l'Agenzia Centrale dì Bari;

che la banca, nel corso degli anni, aveva applicato interessi, competenze, remunerazioni e costi non concordati e, comunque, non dovuti, e, in ogni caso, superiori a quelli nominali;

che la banca aveva illegittimamente applicato gli interessi uso piazza, la capitalizzazione trimestrale degli interessi, nonché la provvigione di “massimo scoperto”, e la determinazione della valuta;

che l'oggetto del giudizio era l'accertamento e la declaratoria di inva1idità parziale dei descritti rapporti di credito, nonché l'accertamento, a mezzo del ricalcolo delle competenze, dell'esatto dare - avere tra le parti e, quindi, la restituzione, in favore dell'attrice, delle somme indebitamente versate, il tutto con vittoria di spese.

Tanto premesso, l'attrice conveniva in giudizio la banca e concludeva nei sensi testè citati, chiedendone la condanna a restituire quanto da essa attrice versato in più, o dalla banca riscosso in più rispetto al dovuto, oltre agli interessi, il tutto col favore delle spese di lite.

Costituitasi ritualmente nel processo, la banca resisteva alla domanda della quale chiedeva il rigetto.

In particolare, la banca CARIME, eccepiva l'irrepetibilità delle pretese somme versate in più, assumendo che l'avvenuto pagamento, da parte del correntista, a titolo di interessi ultralegali, di somme superiori al dovuto, costituisse l'adempimento di un'obbligazione naturale ex art.2034 c.c., nonché la piena validità di tutte le condizioni applicate al citato rapporto di c/c.

Espletata C.T.U. Contabile e, precisate le conclusioni, la causa veniva riservata per la decisione con assegnazione dei termini di legge per comparse e repliche.

DELLA DECISIONE



La domanda è fondata, sì che essa va accolta.

Preliminarmente, deve rigettarsi l'eccezione della convenuta di irrepetibilità delle eventuali somme versate in più dalla attrice.
, la tesi della banca, seguita da alcune pronunce risalenti della S.C., relative al principio generale di cui all'art. 2034 c.c. (Cass., 23/10/76, n. 3807; Cass., Sent. n. 1426 del 1974) è stata, invece, disattesa dalla sentenza 9/4/1984, n. 2262 della stessa Cassazione, la quale ha ritenuto ripetibili le somme versate in più, nel caso in cui la banca abbia proceduto all'addebito degli interessi ultralegali sul c/c del cliente per sua esclusiva iniziativa e senza autorizzazione alcuna da parte del cliente medesimo.
stesso senso, si è pronunciata la Cassazione, con sentenza 22/8/1977, n. 3832, secondo la quale l'irrepetibilità è esclusa se gli interessi superino i limiti del lecito (e detto limite, secondo Cass., n. 10/7/1973, n. 1995, era costituito, al tempo di detta pronuncia, dai tassi usurai, ai sensi degli artt. 644 c.p. E 1815 c.c., entrambi nel testo anteriore alla legge n. 108/1996).giurisprudenza di merito più recente, inoltre, è orientata, in misura maggioritaria, nel senso di consentire la ripetizione di somme versate in più., si è ritenuto che non può condividersi l'assunto secondo cui il pagamento degli interessi con capitalizzazione trimestrale costituirebbe obbligazione naturale, e come tale, irripetibile, difettando il requisito della spontaneità richiesto dall'art. 2034 c.c., essendo notorio che detta capitalizzazione veniva imposta a tutti i clienti dall'intero sistema bancario, in conformità delle direttive impartite dall'ABI, e senza possibilità di una negoziazione individuale difforme (Trib. Mantova, Sez. II, 21/1/2005, rinvenibile sul sito web: www.tidonagiuridica.it, in termini analoghi, Trib. Napoli, 24/11/2000, in Dir. E Giur. 2000, 244; Trib. Lecce, sentenza n. 422/2006; rinvenibile sul sito web: www.Adusbef.it; app. Lecce, 17/12/2004, rinvenibile sul sito web:
).
, si è espressa nel senso della ripetibilità, Trib. Monza 6/2/2006 (rinvenibile nella banca dati su cd rom edita dalla UTET, nell'archivio “merito”), secondo la quale:
“....non può neppure essere condivisa la tesi finalizzata ad escludere la ripetibilità degli interessi anatocistici, in quanto il loro versamento da parte del correntista avrebbe dato luogo ad un adempimento di obbligazione naturale ex art. 2034 c.c., al pari del pagamento di interessi in misura ultralegale. sensi della norma in esame, infatti, perchè si abbia obbligazione naturale è necessario che il debitore abbia adempiuto spontaneamente in esecuzione di doveri morali o sociali; orbene, quand'anche possa ritenersi ricorrente un dovere morale di corrispondere interessi ultralegali nel caso in cui le parti li avessero convenuti senza osservare la forma scritta, non altrettanto possibile appare fare nei casi in cui la previsione di tali interessi, nella forma anatocistica in esame, non sia stata oggetto di una trattativa tra le parti poste in posizione di pari forza contrattuale, ma, come si è visto, sia stata la conseguenza di quanto sostanzialmente imposto dalla parte contrattualmente forte tramite condizioni generali di contratto che il correntista, nella normalità dei casi, non può che subire aderendovi, senza alcuna possibilità di contrattazione.è intuitiva l'insussistenza di un dovere diffuso nella morale sociale a fondamento dell'avvenuto pagamento degli interessi anatocistici nei rapporti con imprese bancarie.
, difetta il secondo elemento di fattispecie dell'art. 2034 c.c., vale a dire l 'adempimento spontaneo da parte di un debitore capace di adempiere, posto che il pagamento avviene tramite addebito unilateralmente predisposto dalla banca..”.orientamento appare a questo Giudice convincente, tenuto conto sia di quanto dispone l'art, 2034 c.c.*, sia di quanto afferma certa dottrina (i cui autori non possono essere citati, stante il divieto di cui all'art. 118, 3° comma, disp. att. c.p.c.).
tale orientamento dottrinario:

si ha una “obbligazione naturale” in tutti quei casi in cui l'ordinamento, pur non concedendo l'azione, pure esclude la ripetizione;


è, dunque, pacifico che l'obbligazione naturale non è una obbligazione;


* “Non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace. I doveri indicati dal comma precedente, e ogni altro per cui la legge non accorda azione ma esclude la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato, non producono altri effetti.”
i due requisiti richiesti dal 2034 c.c. Per la produzione di tale effetto sono la capacità del solvens e la spontaneità della datio, ove quest'ultima non va confusa con la volontarietà, per cui non è ammessa la ripetizione nel caso in cui il solvens fosse stato, al momento del pagamento, erroneamente convinto della natura giuridica e non morale del vincolo;
la sentenza della Cassazione n. 2262 del 1984 ha stabilito che “il pagamento spontaneo in misura ultralegale, pattuita invalidamente, costituisce adempimento di obbligazione naturale e determina l'irrepetibilità della somma così pagata, ma l'indicato presupposto non ricorre nel caso di una banca che abbia proceduto all'addebito degli interessi ultralegali sul conto corrente del cliente per sua esclusiva iniziativa e senza autorizzazione alcuna da parte del cliente medesimo”;
è pacifico che in tutti i casi in cui la banca abbia addebitato gli interessi non dovuti sul conto corrente del cliente ( e questo caso senza ricomprendere in toto il fenomeno della capitalizzazione trimestrale) è esclusa, ipso facto, la spontaneità e quindi è ammessa la ripetibilità., posto che è pacifico che, anche nella fattispecie qui in esame, defetta certamente il requisito della spontaneità del pagamento, va rilevato che, come ha esattamente dedotto l'attrice, vi è un forte argomento storico - sistematico, a sostegno della tesi che consente la ripetibilità degli interessi ultralegali.
, l
'art. 1830 del codice civile del 1865 prevedeva la soluti retentio in caso di pagamento, da parte del mutuatario, di interessi non convenuti o eccedenti la misura convenuta
Nel codice vigente, però, la disposizione non è stata riprodotta e ciò ha il significato di ricondurre il problema della ripetibilità di quanto prestato a titolo di interessi alla norma generale sulle obbligazioni naturali, con la conseguenza che il giudice dovrà valutare, nei singoli casi, sia la presenza di un dovere morale o sociale, sia la spontaneità della prestazione.ò posto, rileva questo Giudicante che l'assunto del l'attrice relativo alla illegittima capitalizzazione degli interessi ed all'illegittimo computo degli interessi “uso piazza”, è fondato., va confermato sotto il profilo metodologico, l'utilizzo istruttorio dei dati acquisiti solo con l'indagine peritale disposta in corso di causa, in carenza di adeguate allegazioni documentali della parte creditrice.
punto va considerato che rientra nel potere del C.T.U, attingere anche aliunde notizie non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni che formano oggetto dei suoi accertamenti, quando ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli (Cass., 7/11/1989).
quando il C:T.U. non è chiamato ad assistere il giudice, ma a svolgere indagini da solo (art. 194 c.p.c.) per la ricostruzione di determinati fatti (come nella specie la formazione del saldo del c/c), la consulenza assume funzione di accertamento e ricostruzione dei fatti storici prospettati dalle parti e dunque funzione probatoria quale mezzo per l'acquisizione dì elementi di fatto rilevanti ai fini della decisione; sicché il C.T.U. stesso può compiere, addirittura senza l'autorizzazione del giudice, le necessarie verifiche collegate con l'oggetto della perizia, esaminando documenti anche non prodotti in causa ed assumendo notizie ed informazioni persino presso terzi, la cui valutazione è rimessa all'esame del giudice (Cass. 73/1122; 71/3291; 82/5511; 83/3734).
acquisizioni peritali, indipendentemente dall'autorizzazione del giudice, possono legittimamente essere considerati elementi di prova se il C.T.U., mediante specifiche indicazioni ovvero allegazioni documentali, abbia reso possibile, come nella specie, un concreto controllo nel processo (Cass. 75/107; 75/4173; 82/7054; 88/2543).
siffatta prospettiva, le limitazioni in tema di esame contabile, di cui al secondo comma dell'art.198 c.p.c., all'estensione dell'attività peritale alla ricerca di documenti non acquisiti al processo, non operano allorquando l'esistenza di essi risulti logicamente plausibile sulla base degli elementi forniti dalle parti o desumibili dalla stessa indagine tecnica (Cass. 82/877, come nel caso degli estratti di c/c , dei saldaconti e degli estratti scalari.consideri, del resto, che il secondo comma dell'art. 2711 abilita il Giudice a far estrarre da un C.T.U. da scritture e documenti contabili le registrazioni concernenti la controversia in corso (Cass. 94/10441).
, ciò posto, il contratto di c/c del 21/11/1991, a11'art. 7, stabilisce che dal correntista sono dovuti gli interessi, che e si intendono determinati, alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza, e che su detti interessi sono dovuti altri interessi.
clausola non contiene ulteriori specificazioni o parametri di riferimento.
pattuizione è nulla, in conseguenza dell'applicazione dei principi, oramai definitivamente consolidatisi nel diritto vivente, secondo cui non erano leciti ed efficaci i patti scritti tra banca e cliente che determinavano la misura degli interessi con riferimento a quelli praticati su piazza (si veda Cass. , 1° febbraio 2002, n° 1287 - in Guida al diritto, n. 11/2002, pag. 68, ed in Foro it., 2002, I, 1141).
S.C., ha ribadito tale indirizzo, in due recenti sentenze, così massimate:

“In tema di contratti bancari, nel regime anteriore alla entrata in vigore della disciplina dettata dalla legge sulla trasparenza bancaria 17 febbraio 1992 n. 154, poi trasfusa nel t.u. 1 settembre 1993 n. 385, la clausola che, per la pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale, si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, è priva del carattere della sufficiente univocità, e non può quindi giustificare la pretesa della banca al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale; né rileva la presenza di accordi di cartello interbancari, diretti a fissare i tassi di interesse attivi e passivi in modo vincolante in ambito nazionale, atteso che tali accordi, se garantiscono l'obiettività del criterio di determinazione del tasso di interesse, debbono tuttavia ritenersi nulli in applicazione dell'art. 2 l. 10 ottobre 1990 n. 287 - applicabile nei confronti delle aziende ed istituti di credito ai sensi del successivo art. 20 - che vieta le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente la concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, ricomprendendo espressamente tra tali intese quelle che detto risultano perseguano o determinino attraverso attività consistenti nel fissare, direttamente o indirettamente, prezzi di acquisto o di vendita dei rispettivi prodotti” (Cass. Civ., sez. I, 28/3/2002, n. 4490).

“In tema di contratti bancari, la clausola, stipulata anteriormente all'entrata in vigore della legge sulla trasparenza bancaria 17 febbraio 1992, n. 154 la quale, per la pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale, si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza e in ogni caso divenuta inoperante a partire dal 9 luglio 1992 - data di acquisto dell'efficacia delle disposizioni della citata legge qui rilevanti, ai sensi dell'art. 11 della medesima - atteso che la previsione imperativa posta dall'art. 4 della legge (poi trasfuso) nell'art. 117, D. Lgs. 1 settembre 1993, n. 385), la dove sancisce la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse,
non incide, in base ai principi regolanti la successione delle 1eqgi nel tempo, sulla validità delle clausole contrattuali inserite in contratti già conclusi, impedisce tuttavia che esse possano produrre per l'avvenire ulteriori effetti nei rapporti ancora in corso; ad un tal riguardo, per rapporti in corso devono intendersi i rapporti anteriormente costituiti, non ancora esauriti, alla data di inizio dell'operatività della norma sopravvenuta, per non avere il debitore indipendentemente dalla pregressa «chiusura» del conto corrente bancario adempiuto alla propria obbligazione, atteso che la già riferita innovazione impinge sulle stesse caratteristiche del sinallagma contrattuale generatore di conseguenze obbligatorie protraentisi nel tempo” (Cass. civ., sez. I 18/9/2003, n. 13739).

a specie, posto che il contratto di c/c risale al 21/11/1991, è pacifico che, al momento dell'entrata in vigore della legge n. 154/92 (10 luglio 1992), il rapporto era ancora in corso, sì che quanto alla misura degli interessi, essi vanno calcolati mediante l'applicazione prima del tasso di interesse legale a mente dell'art. 1284 c.c. fino all'entrata in vigore della legge n. 154 del 1992 e, successivamente, del tasso nominale dei buoni del tesoro annuali secondo i criteri. Integrativi stabiliti dagli artt. 4 - 5 L. 17 febbraio 1992, n. 154 e dall'art. 117 D.lgs. 1° settembre 1993 n. 385 (cfr., in tal senso, Trib. Roma, 19.02.1999, in Foro it., 1998, I, 2998; Trib, Monza, 04 02. 1999, in Foro it., 1999, I, 1340; Trib. Busto Arsizio, 15/6/1998, in Foro It. , 1998, 1, 2997; Trib. Catania, 29/7/1998, in Foro It. , 1998, I, 2997; Pret. Catania, 30/7/1998, in Foro it. 1998, I, 2998; Trib. Mantova, sez. II, 10/9/2004, rinvenibile sul sito web “www.ilcaso.it” 2004; Ordinanza del 28 marzo 2001 del Tribunale di Orvieto - G.I. Dr. Carlo Maria Zampi - rinvenibile sul sito web dell'ADUSBEF.
ò in quanto, ai sensi dell'art. 11 della legge 17 febbraio 1992 n. 154, l'art. 4 di essa non è retroattivo, sicché prima della sua entrata in vigore, non essendo ritenuto nel diritto vivente lecito ed efficace il patto scritto tra banca e cliente che determinava la misura degli interessi, con riferimento a quelli praticati su piazza, opera per legge l'integrazione di cui all'art. 1284 c.c.“legge sulla trasparenza bancaria” ed il “testo unico delle leggi bancarie” sono, infatti, applicabili al contratto in questione per il tempo successivo alla loro entrata in vigore (v. Cass., 1' febbraio 2002, n. 1287 - in motivazione Foro it., 2002, I, spec. Col. 1415).punto va precisato che la irretroattività delle nuove disposizioni, chiarita dall'art. 161 D.lgs. 1°settemhre 1993 n. 385, non esclude che esse debbano essere applicate ai rapporti preesistenti per quanto riguarda le operazioni bancarie in conto corrente effettuate successivamente allo “ius superveniens”, secondo i principi generali in tema di contratti di durata.
, va osservato che anche l'assunto dell'attrice, concernente l'illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi, è fondato.

Invero, la Corte Suprema ha definitivamente escluso che la previsione contrattuale della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi fosse ascrivibile ad un uso normativo, riconducendola piuttosto ad un uso negoziale nullo perché pattuito anteriormente alle scadenza degli interessi (Cass. 16.03 1999 n. 2374, Cass. 30.03.1999 n. 3096, Cass. 11.11.1999 n. 12507)

Il legislatore è intervenuto con il D.Lgs.342/1999, con il quale ha stabilito per l'epoca pregressa una sostanziale sanatoria mediante l'introduzione del terzo comma dell'art. 120 del T.U.L.B.

Le Corte Costituzionale, tuttavia, con la nota sentenza 17 ottobre 2000 n. 425 ha dichiarato illegittima la nuova disposizione - ed a nulla rileva la motivazione della declaratoria di incostituzionalità, venendo comunque definitivamente espunta dall'area del diritto vigente la norma - ripristinando la lettura degli artt. 1283 e 1284 c.c. ormai definitivamente consolidata nel nuovo orientamento della cassazione.


Per la illegittimità della capitalizzazione trimestrale, si segnalano, inoltre, Cass., l°febbraio 2002, n. 1281 (in Guida al diritto, n. 11/2002, pag. 67) e Cass., 24 marzo 2002, n' 4498 (in Guida al diritto, n. 19/2002, pag. 62).

ultimo, si è pronunciata nuovamente la S.C. questa volta a SS.UU., stabilendo che la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi configura violazione del divieto di anatocismo di cui all'art. 1283 c.c., non rinvenendosi 1' esistenza di usi normativi che soli potrebbero derogare al divieto imposto dalla suddetta norma, neppure nei periodi anteriore al mutamento giurisprudenziale in proposito avvenuto nel 1999, non essendo idonea la contraria interpretazione giurisprudenziale seguita fino ad allora a conferire normatività a una prassi negoziale che si è dimostrata poi essere contra legem (Cass. civ., Sez. Un. 4/11/2004, n.21095)., quindi dal dato obiettivo della nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, rilevabile anche d 'ufficio, si impone di rivisitare l'intero rapporto di conto corrente depurando i calcoli della citata capitalizzazione trimestrale: infatti l'intero rapporto si è interamente svolto anteriormente alla entrata in vigore della delibera C.I.C.R. 9.2.2000 (richiamata dal D.Lgs. 342/1999).
capitalizzazione degli interessi passivi deve invece avere riguardo al periodo annuale, ricavabile dal testo dell'art. 1283 c.c., come suggerito dalla più attenta dottrina in casi analoghi.tali principi ha fatto applicazione, infine, pure il Collegio di questa Sezione (sent. Dec. 14.05.2002, Pres. Dini Ciacci, Est. Cirillo, Soc. Intesa c. Anelli).

Ha ritenuto quel Collegio che, pur accedendo alla tesi dell'illegittimità della cadenza trimestrale della capitalizzazione degli interessi passivi per la clientela, non vi sia ragione per negare che sia assicurata la stessa periodicità annuale nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori. Sul punto il Tribunale richiama quella parte della dottrina secondo cui viene in soccorso la disposizione del 1° comma dell'art. 1284 c.c., là dove stabilisce che il saggio degli interassi è determinato in ragione d'anno, e l'art. 2948 n. 4 c.c., là dove parifica l'obbligazione d'interessi a quelle di periodicità annuale.


Tali disposizioni non si limitano a risolvere profili di determinazione del tasso degli interessi dovuti e del termine prescrizionale dell'obbligazione d'interessi, ma sono indici rivelatori di un principio latente nel sistema, e cioè quello della cadenza annuale - e dunque della esigibilità - degli interessi (v., senza specifica motiva zione sul punto, Trib. Monza, 16.02.1999, in Banca, borsa..., II, 390; cfr. pure, in tempi non recenti, App. Bologna, 8.11.1962, in Giust. civ., 1963, I,938).

Nello stesso senso si registrano varie pronunce di merito, tra le quali si segnalano: Trib. Torino, 14/11/2002 (in Giur. Merito, 2002, fasc. n. 6); Trib. Milano, 4/7/2002 (ivi, 2002, fasc. n. 6); Trib. Reggio Emilia, 17/11/2001 (in Dir. Banca e Mercato Fin., 2003, 1, 1, 109), dovendosi,dare doverosamente atto che vi sono anche pronunce - che questo Giudice non condivide - che escludono anche le capitalizzazione annuale (Trib. Brindisi, 13/5/2002, in Giur. Merito, 2002, fasc. n. 6).stesso senso è la giurisprudenza di questa sezione., in tema di contratti bancari, è assolutamente legittima la capitalizzazione annuale degli interessi, in base al combinato disposto di cui all'art 2948, n. 4, c.c. - il quale equipara gli interessi a tutto quello che deve pagarsi periodicamente ad anno - ed all'art. 1284 c.c., da cui si evince il principio generale che li saggio degli interessi è determinato in ragione dell'anno (Bari, 20/6/2005, G.U. Labellarte, Banca P. C. F.R.C e altri, Massima redazionale, 2005; Bari, 28/6/2006, G.U. Labellarte, Massima redazionale, 2006)., non è fondato il rilievo dell'attrice, secondo cui non sarebbe applicabile neppure la capitalizzazione annuale degli interessi.ò posto, va rilevato che le risultanze dell'indagine peritale, correttamente espletata dal C.T.U. (da ritenersi parte integrante, sia sotto ii profilo sostanziale, sia sotto quello processuale, della presente decisione), consentono, dunque, quell'obbiettivo riscontro dell'esatto ammontare del credito.
, il C.T.U., ha predisposto un doppio conteggio, nel quale ha calcolato sempre la capitalizzazione annuale degli interessi, ed ha calcolato i tassi, sempre al saggio legale fino all'entrata in vigore della legge n. 154 del 1992, e, per il periodo successivo, ai tassi BOT.primo conteggio, ha incluso la valuta, le competenze e le commissioni di massimo scoperto, determinando un saldo a favore dell'attrice, alla data del 20/11/1998 (di chiusura conto), pari ad attuali € 29.884,72.secondo conteggio, fermi tutti i parametri sopra indicati, ha escluso le commissioni di massimo scoperto, determinando un saldo a favore dell'attrice, alla predetta data del 20/11/1998, pari ad attuali € 32.269,93.

L'attrice, in via principale, ha chiesto la condanna della banca alla restituzione della maggiore di dette somme e, in via subordinata, ha chiesto la condanna alla restituzione della somma minore, oltre interessi dal 21/11/1998 al soddisfo.

questo punto, resta da verificare quale conteggio debba essere preso a base della presente decisione e la risposta al quesito è legata alla debenza, o meno, delle “commissioni di massimo scoperto” (aventi funzione remunerativa dell'obbligo della banca di tenere a disposizione dell'accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo).Sezione, si è già occupata del tema, con la sentenza de 20/12/2005, (U.Rana,S.A. E altri C. I. S.p.A. E altri, Massima redazionale, 2005) che ha così deciso:

“..Invece, ancora controversa è la questione della nullità della clausola in sé, ricollegabile alla mancanza di causa o alla indeterminatezza dell'oggetto.

punto, non constano ancora arresti di legittimità.

E' noto, perché pubblicato ed ampiamente commentato, il precedente di merito secondo cui la commissione di massimo scoperto, enunciata quale corrispettivo per il mantenimento dell'apertura di credito e indipendentemente dall'utilizzazione dell'apertura di credito stessa, è nulla per mancanza di causa, atteso che si sostanzia in un ulteriore e non pattuito addebito di interessi corrispettivi rispetto a quelli convenzionalmente pattuiti per l'utilizzazione dell'apertura di credito (Tribunale Milano, 4 luglio 2002, Soc. di R. in l.c.a. c. Banca R., in Banca borsa tit. cred. 2003, II, 452.

Tuttavia, non può essere sottaciuto che, sebbene le prassi applicative del mondo bancario spesso non siano limpide, emerge con una certa nitidezza la funzione economica della clausola: essa è infatti una sorta di corrispettivo dovuto alla banca per il fatto che, con la concessione dell'apertura di credito, indipendentemente dal suo utilizzo, la banca tiene a disposizione del cliente una somma di denaro e quindi sopporta la diseconomia di tenere ferma tale somma senza poter godere dell'utilità degli interessi che alla banca sarebbero dovuti se effettivamente tale somma venisse utilizzata..”

Nella presente fattispecie, però - per stessa ammissione della banca (si veda a pag. 23 della comparsa conclusionale) - manca l'espressa pattuizione della commissione di massimo scoperto, sì che essa non è dovuta.


Invero, solo nel caso di per iscritto della commissione dì massimo, quest'ultima entra a far parte del corrispettivo rispetto al servizio offerto dall'impresa bancaria, e in quanto tale sullo stesso il giudice non ha poteri di sindacato; all'autonomia privata non è infatti precluso modulare il corrispettivo di un servizio in ragione di differenti circostanze relative all'andamento del rapporto, mentre l'ordinamento ancora non conosce un generale potere del giudice di sottoporre a vaglio l'equità dei corrispettivi (Trib. Monza, 3O/03/2O06 Massime redazionale, 2006).


Pertanto, devo farsi riferimento al secondo conteggio del C.T.U., sì che la banca convenuta deve restituire all'attrice la somma di € 32.269,93, indebitamente trattenuta oltre agli interessi dalla notifica dell'atto di citazione, sino all'effettivo soddisfo.


Si tratta, infatti, di obbligazione di valuta, e tale somma dove essere maggiorata di interessi legali dal 22/3/2001 - data di notifica dell'atto di citazione e conseguente dies a quo di decorrenza della mora - al soddisfo.


Infatti, e conclusivamente, non ha pregio la tesi della banca secondo cui sarebbe preclusa all'attrice ogni pretesa, a seguito della mancata contestazione, nei termini contrattualmente fissati, degli estratti conto periodicamente inviati al correntista.


Invero, nel contratto di conto corrente, l'approvazione anche tacita dell'estratto conto, ai sensi dell'art. 1832, primo comma, c.c., preclude qualsia si contestazione in ordine alla conformità delle singole annotazioni ai rapporti obbligatori dai quali derivano gli accrediti e gli addebiti iscritti nell'estratto conto (salva l'impugnazione per errori, omissioni e duplicazioni di carattere formale, ai sensi del secondo comma della medesima disposizione) , ma non impedisce di sollevare contestazioni in ordine alla validità ed all'efficacia dei rapporti obbligatori dai quali derivano i suddetti addebiti ed accrediti, e cioè quelle fondate su ragioni sostanziali attinenti alla legittimità,in relazione al titolo giuridico, dell'inclusione o dell'eliminazione di partite del conto corrente (Cass. Civ., Sez. I, 18/5/2006, n. 11749, ex plurimis).

la natura e l'esito della lite, le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, atteso che la citazione è stata notificata nel 2001, quando già, da tempo, la S.C. aveva stabilito l'illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi, e degli interessi “uso piazza”. Infine, anche le spese di C.T.U., già liquidate in corso di causa, devono segui re la soccombenza.
presente sentenza è provvisoriamente esecutiva per legge, ex art. 282 c.p.c.

Q.M.


IL TRIBUNALE, monocraticamente e definitivamente pronunziando sulla domanda proposta dalla “XXX”, nei confronti della BANCA CARIME S.p.A., nel procedimento iscritto con il n. 1692/2001 R.G.A.C., cosi provvede nel contraddittorio delle parti:


) Accoglie la predetta domanda e, per l'effetto, condanna la BANCA CARIME S.p.A. Alla restituzione,in favore della “XXX”, della somma di € 32.269,93, oltre agli interessi legali dal 22/3/2001 sino all'effettivo soddisfo;
) Condanna la banca convenuta al rimborso, in favore dell'attrice, delle spese processuali, liquidate in complessivi € (...OMISSIS);
) Pone le spese del C.T.U., già liquidate in corso di causa, definitivamente a carico della banca convenuta;
) Dichiara che la sentenza è per legge provvisoriamente esecutiva.ì deciso in Bari, il giorno 20 dicembre 2006.


IL GIUDICE

Filippo Labellarte



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