Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


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Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2008

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI PESCARA

SENTENZA N. 78/08

In composizione monocratica in persona del giudice unico dott. Angelo Bozza nella causa civile in primo grado iscritta al n° 3355/05 del R.G.A.C.C. vertente tra:

M. N. in nome e per conto di M. C. giusta procura notarile del 21.12.2003, rep. 60464 rappresentato e difeso dagli Avv.ti Maria Teresa De Carlo e Antonio Tanza come da procura a margine dell'atto di citazione ed elettivamente domiciliato, presso lo studio del primo legale in Pescara al Corso Vittorio Emanuele II n. 10

- Parta attrice –

Contro

Banca Caripe S.p.a. in persona del presidente e legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Domenico Russi come da procura in calce alla copia notificata dell'atto di citazione ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Pescara alla Via G. D'Annunzio n. 229

- Parte attrice-

verificata la regolarità del contraddittorio;
esaminati l'atto introduttivo, gli scritti difensivi ed i verbali;
lette le conclusioni istruttorie e di merito;
sentiti all'odierna udienza i procuratori delle parti a seguito di discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c.; ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Il M. N. nella sua qualità di procuratore di M.C. ha chiesto, con atto di citazione notificato l’8.7.2005 nei confronti della Banca Caripe S.p.a.: 1) dichiararsi la nullità di una serie di clausole delle condizioni generali del contratto di conto corrente con affidamento mediante scopertura n. 65902 intrattenuto dal M. C. con la banca convenuta, 2) condanna della banca alla restituzione di quanto indebitamente percepito, oltre gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, 3) condanna sempre della banca a rettificare l'illegittima segnalazione alla Centrale Rischi presso la Banca D'Italia; il tutto con vittoria delle spese di lite.
La Banca Caripe ha contestato quanto ex adverso dedotto, a sua volta sollevando diverse eccezioni di rito e di merito che sono state partitamente esaminate assieme alle diverse questioni sollevate dall'attore, con la sentenza non definitiva resa all'udienza del 12.7.2007, dopo che Questo Ufficio aveva ordinato alla società convenuta l'esibizione di documentazione attinente al conto corrente in questione.
All'esito della espletata CTU diretta alla ricostruzione contabile del saldo di conto corrente sulla scorta della documentazione in atti, le domande del M. C. devono trovare accoglimento.
Parte convenuta torna nelle sue note difensive autorizzate ad affrontare tutte le diverse questioni ed eccezioni sollevate dall'attore e dalla stessa banca in corso di processo e ormai risolte da Questo ufficio con la sentenza non definitiva in atti. Sul punto nulla deve, quindi, aggiungere il decidente.
Quanto all'esito della CTU, non vi è ragione alcuna per metterne in discussione gli inequivoci risultati, trattandosi di meri calcoli contabili svolti dal consulente, in ausilio del giudice, sulla base della documentazione prodotta e/o esibita dalle parti.
Il richiamo operato dalla banca convenuta nelle note critiche del 14.12.2007 a precedente CT dello stesso attore depositata in sede di proposizione della domanda, con determinazione di un saldo contabile pari ad un decimo circa di quello accertato dal consulente del giudice è del tutto inconferente. Come evidenziato dal CTU nei chiarimenti forniti con integrazione 3.1.2008, diversa era la documentazione a disposizione del CT di parte a quel momento, rispetto a quella utilizzata dal consulente del giudice: il primo disponeva dei soli riassunti a scalare, mentre il secondo oltre a detti conti, poteva utilizzare anche i determinanti estratti conto in linea capitale con analitica esposizione e descrizione delle singole movimentazione giornaliere relative all'arco temporale 1967/2000 (il ché tra l'altro conferma come di regola non sia possibile per l'attore pervenire sin dal momento della proposizione della domanda ad una corretta quantificazione del saldo contabile e quindi del petitum ritenuto dovuto, non avendo spesso a disposizione tutti i dati documentali necessari).
E', tra l'altro, oltre modo significativo che il CT della Caripe non abbia ritenuto di fornire proprie note critiche alle risultanze peritali, mentre i calcoli elaborati dal nuovo CT dell'attore nominato in corso di causa corrispondono a quelli del CTU. Per il resto le deduzioni della convenuta sono rimaste nel generico.
Solo una questione resta da esaminare in merito all'esito della CTU ed è costituita dalla opzione tra i due diversi saldi finali cui è pervenuto il consulente, a seconda che si tenga o meno conto del saldo negativo del primo estratto conto disponibile (del gennaio-marzo 1967 di lire 50.277,878) che non è il primo estratto conto del rapporto di conto corrente in esame.Non essendo stata la questione affrontata con la sentenza non definitiva, correttamente il CTU ha effettuato il doppio calcolo, rimettendo la decisione al giudice.
Parte attrice sostiene che spettava all'istituto di credito produrre gli estratti conto mancanti, poiché, essendo la sola banca a detenere il conto ed effettuare le annotazioni con obbligo. contrattuale di conservazione delle scritture relative; per cui tale mancata produzione non può che ricadere sulla convenuta ed il saldo dí partenza deve essere zero e non tener conto del saldo del primo estratto conto disponibile. Di diverso avviso controparte che ha addirittura ritenuto arbitrario il doppio calcolo operato dal CTU.
L'assunto dell'attore non può essere condiviso.
Va premesso che nel nostro sistema vige il principio generale di conservazione della documentazione contabile per la durata di dieci anni (art. 2220 c.c.) e l'art. 119, ultimo comma TUB consente di ottenere da parte del cliente-correntista copia di documentazione inerente a singole operazioni se poste in essere nell'ultimo decennio.
Ora, siccome spetta a chi agisce in giudizio munirsi di tutta la documentazione necessaria per far valere le proprie ragioni, e non rivenendosi principio in base al quale l'istituto di credito sarebbe tenuto ad una conservazione illimitata delle scritture contabili contrattuali, nulla può pretendersi dalla parte convenuta in base alla normativa vigente nell'ambito di una domanda di restituzione di indebito e rispetto ad estratti contabili che non sono stati a suo tempo neppure oggetto di contestazione; il mancato assolvimento dell'onere della prova non può che ricadere su parte attrice.
Di conseguenza, i conteggi, in relazione alle domande proposte dal M. debbono tener conto delle indicazioni di saldo del primo estratto conto disponibile dal gennaio1967. La Caripe va, pertanto, condannata, quale saldo del conto corrente con affidamento mediante scopertura n. 65902, al pagamento della somma di
euro 725.227,52, oltre gli interessi legali dalla data della domanda.
Non resta che affrontare la domanda accessoria di condanna della banca a rettificare l'illegittima segnalazione alla Centrale Rischi presso la Banca D'Italia.
Parte convenuta ha, sin dal primo atto difensivo ed anche nell'ultima memoria autorizzata, riconosciuto di aver segnalato il nominativo del cliente in sofferenza alla Centrale Rischi a mente della delibera del C.I. 429300/94. Ma in base alla ricostruzione del saldo operata dal CTU, questi ha un costante saldo positivo sin dal lontano 1976 per via della accertata nullità o inesistenza di clausole contrattuali.
La Caripe va dunque condannata a rettificare l'illegittima segnalazione alla Centrale Rischi presso la Banca D'Italia.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, comprese le spese di CTU anticipate dall'attore.

P.Q.M.

Il Tribunale di Pescara, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa promossa da M.C. nei confronti della Banca Caripe S.p.a. con atto di citazione notificato in data 8.7.2005 così provvede in accoglimento delle domande:
-
condanna la Banca Caripe S.p.a. quale saldo del conto corrente con affidamento mediante scopertura n. 65902, al pagamento della somma di euro 725.227,52, oltre gli interessi legali dalla data della domanda;
-
condanna la Banca Caripe S.p.a. a rettificare l'illegittima segnalazione alla Centrale Rischi presso la Banca D'Italia del nominativo del M.C.;
-
condanna la Banca Caripe al pagamento in favore del M.C. delle spese di giudizio che liquida, per l'intero, in complessivi Euro 35.942,35 oltre spese di CTU di cui Euro 442,35 per esborsi (oltre spese di CTU), Euro 5.500,00 per diritti ed Euro 30.000,00 per onorari di avvocato, oltre il 12,50% ex art. 14 T.F. CPA 2% e IVA 20% su diritti e onorari come per legge. Così deciso nella camera di consiglio del Tribunale di Pescara il 20.1.2008

Il Giudice Unico
Dott. Angelo BOZZA

Per comodità del lettore si riporta la sentenza Parziale

REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALL DI PESCARA
Sent. n. 957/07


in composizione monocratica in persona del giudice unico dott. Angelo Bozza nella causa civile in prima grado iscritta al n° 3355/05 del R.G.A.C.C. vertente tra:
M. N. in nome e per conto di M. C. giusta procura notarile del 21.12.2003, rep. 60464 rappresentato e difeso dagli Avv.ti Maria Teresa De Carlo e Antonio Tanza come da procura a margine dell'atto di citazione ed elettivamente domiciliato, presso lo studio del primo legale in Pescara ai Corso Vittorio Emanuele II n. 10

- Parta attrice –

Contro

Banca Caripe S.p.a. in persona del presidente e legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Domenico Russi come da procura in calce alla copia notificata dell'atto di citazione ed elettivamente domiciliata presso i1 suo studio in Pescara alla Via G. D'Annunzio n. 229

- Parte convenuta

verificata la regolarità del contraddittorio;
esaminati 1'atto introduttivo, gli scritti difensivi ed i vrbali;
lette le conclusioni istruttorie e di merito;
sentiti all'odierna udienza i procuratori delle parti a seguito di discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c.;
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Il M. N. nella sua qualità di procuratore di M. C. ha chiesto, con atto di citazione notificato l’8.7.2005 nei confronti della Banca Caripe S.p.a., dichiararsi la nullità di una serie di clausole delle condizioni generali del contratto di conto corrente con affidamento mediante scopertura n. 65902 intrattenuto dal M. C. con la banca convenuta, con condanna alla restituzione di quanto indebitamente percepito oltre gli interessi legali e la rivalutazione monetaria e vittoria delle spese di lite.
La Banca Caripe ha contestato quanto ex adverse dedotto, a sua volta sollevando diverse eccezioni di rito e di merito che più avanti saranno partitamente esaminate assieme alle diverse questioni sollevate con la domanda dall'attore, avendo Questo Ufficio ordinato alla società convenuta l’esibizione di documentazione attinente al conto corrente in questione.
Ciò premesso, reputa il decidente di dover rendere nel presente processo sentenza parziale risolvendo alcune questioni preliminari di rito e di merito, e sulla base di quest’ultime procedere ad accertamento contabile per stabilire il rapporto dare-avere tra le parti.
Va innanzitutto osservato che la domanda principale del M. si caratterizza, eccependo, a decorrere dal 1967, la nullità di alcune clausole del contratto di conto corrente con affidamento mediante scopertura instaurato all’inizio degli anni cinquanta, come domanda di accertamento del saldo finale del conto corrente con conseguente domanda di condanna della banca, in caso di saldo attivo, al pagamento del relative importo.
E’ allora evidente che, se questo e il
petitum sostanziale, la domanda principale deve necessariamente passare per la fase dell'accertamento del dovuto alla luce delle eccezioni e delle richieste di parte attrice e delle difese di parte convenuta, tenendo presente che, more solito, non sono oggetto di contestazione in questa sede a non potrebbero esserlo, le movimentazioni ed i calcoli che hanno portato l’istituto di credito alla predisposizione dei diversi estratti conto trimestrali.
Noto è, infatti, che l’approvazione del conto ex art.1832 c.c., applicabile al canto corrente bancario in forza del richiamo operate dall'art.1857 c.c., rende incontestabili le annotazioni in conto, derivanti dalla mancata impugnazione, ne11a loro realtà effettuale. Ciò non toglie che, per consolidata giurisprudenza, tale incontestabilità non comporta la decadenza, come parrebbe sostenere parte convenuta, da eventuali eccezioni relative alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori, contratto ed altre pattuizioni, da cui dette annotazioni derivano. In questo senso l’eccezione sollevata dall'istituto di credito non e, ovviamente, fondata.

1) In via preliminare va rigettata l’’eccezione di nullità della citazione per indeterminatezza della
causa petendi e del petitum sollevata dalla Banca Caripe in quanto, avuto riguardo alla citazione, non vi è dubbio che l’atto introduttivo enunci con precisione il contratto di conto corrente cui far riferimento, i fatti giuridicamente rilevanti, posti a base della pretesa (rapporto contrattuale e addebito di poste passive non dovute in relazione al calcolo degli interessi, commissione massimo scoperto, giorni valuta etc.), a nulla rilevando l’omessa specifica indicazione dell’importo dell’indebito preteso in restituzione da accertarsi in corso di causa, essendo ciò pacificamente ritenuto ammissibile, se 1’attore, come nella specie, abbia indicato i titoli dai quali lo stesso trae fondamento (condizioni generali di contratto, numero di canto corrente, estratti canto), permettendo in tal mode al convenuto di formulare in via immediate ed esauriente le proprie difese (per tutte di recente Cass. 7074/05), tanto più quanto, sempre come nella specie, sussiste una obbiettiva difficoltà nel pervenire a tale determinazione in relazione ad un rapporto di canto corrente protrattosi a lunge nel tempo, con molteplicità di operazioni compiute e diversi profili di nullità di clausole contrattuali dedotte.
Va anche ribadito, rimanendo su questione procedurale, questa volta di profilo probatorio, che l’ordine di esibizione disposto dall’Ufficio e la preannunciata ammissione di consulenza cantabile, trovano pieno fondamento, nelle produzioni di parte attrice costituite dal documento contenente le originarie condizioni generali di contratto di canto corrente non contestato da controparte, estratti di conto dal 1967 al 7.11.2000 e consulenza cantabile di parte relative agli interessi su piazza, interessi anatocistici, tasso-soglia, commissione massimo scoperto, tutti dati di rilievo probatorio che escludano il carattere meramente esplorativo delle richieste e l’impossibilita di reperire
aliunde quanto preteso con la richiesta di ordine di esibizione.

2) Va altresì ritenuta infondate l’eccezione di prescrizione del diritto alla restituzione del presunto indebito sollevata da parte convenuta. La tipologia di domanda avanzata (rideterminazione del saldo previa epurazione delle poste addebitate sulla base di clausole nulle) comporta che il memento iniziale del termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme indebitamente addebitate dalla banca su un’apertura di credito accessorio a rapporto di canto corrente, decorre dalla chiusura definitive del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che da luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi, sicché a solo can la chiusura del canto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro, con conseguente esigibilità da parte dell’Istituto di credito (giurisprudenza ormai ampiamente consolidata: Cass. Sez. III 14.4.2005 n. 10127, RV. 580805; Cass. 09/04/1984, n.2262; ma anche in tema di diritto di credito nei confronti del fideiussore nell’ambito del rapporto di canto corrente: Cass. Sez. III 23.3.2004, n. 5720, RV. 571397; Cass. Sez. III 14.4.1998, n. 3783, RV. 514479).
E’ inutile, poi, soffermarsi oltre il necessario sul tempo di prescrizione del diritto alla restituzione di quanto indebitamente versato che e quello ordinario decennale ex art. 2946 c.c. e non certo quinquennale: non vertendosi nelle particolari materie di cui all'art. 2948, n. 4) c.c. e, nello specifico, in tema di corresponsione di interessi a cadenza periodica visto che qui non viene richiesto il pagamento ma la restituzione di somme non dovute a titolo di interessi, ne tanto meno si discute in materia di risarcimento danni da illecito extracontrattuale (art. 2947 c.c.). D’altro canto, va rammentato che il Di M. ha agito nel luglio 2005, prima che decorressero cinque anni dalla intervenuta chiusura del conto del novembre 2005. Parte attrice ha dunque diritto a vedersi ricostruire il rapporto di corrente per le ragioni di cui alla domanda sin dal 1967, tenendo presente che:
a) parte convenuta non e stata in grado di produrre il contratto di conto corrente ma non ha contestato le condizioni contrattuali prodotte da controparte poste a base dell’originario rapporto, b) non risultano successive pattuizioni contrattuali, dovendo tra l’altro tenersi conto che nel novembre del 2000 e intervenuta l’estinzione del rapporto.

3)Venendo alle questioni di diritto sollevate dall’attore, in prime luogo è stata eccepita la nullità della clausola contrattuale di cui all'art. 7, 3° comma delle condizioni generali, secondo cui gli interessi sono calcolati alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza, con corresponsione di interessi ultra legali.
Come ripetutamente ribadito la disposizione è sicuramente nulla.
L’art. 1284, terzo comma, cod. civ. dispone che: “G1i interessi superiori a quel1i legali devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale".
E’ di tutta evidenza che la misura di interessi passivi ad un tasso superiore a quello legale debba essere stabilita a pena di nullità per iscritto.
Va evidenziato che anteriormente alla emanazione della Legge n. 154/92 e al D. Lgs. n. 385/93, che hanno espressamente vietato il rinvio a qualsivoglia uso sulla piazza, le banche utilizzavano usualmente contratti nei quali la determinazione del tasso debitore avveniva con riferimento agli usi vigenti sulla piazza secondo clausole aventi il tenore letterale sopra riportato frutto di convenzione interbancaria.
Sul punto la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la convenzione relativa alla determinazione degli interessi è validamente stipulata in ossequio al disposto di cui all'art.1284, terzo comma, c.c., quando il relativo tasso risulti determinabile e controllabile in base a criteri in essa oggettivamente indicati e richiamati. Una clausola contenente un generico riferimento “
alle condizioni usualmente praticate da11e aziende di creditor sulla piazza” può, pertanto, ritenersi univoca se coordinata alla esistenza di vincolanti discipline fissate su larga scala nazionale con accordi di cartello, ma non anche quando tali accordi contengano riferimenti a diverse tipologie di tassi e non consentono, per la loro genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso fare concrete riferimento (v. Cass. 10.11.1997 n. 11042; Cass. 8.5.1998 n. 4696; Cass. 19.7.2000 11. 9465; Cass. 2.12.2003 n. 14684; Cass. 2005/10127 già richiamata; Cass. 4095/05; 4092/05; da ultimo Cass. 31.1.2006, n. 2140, RV. 588055).
In definitiva il requisito della forma scritta di cui all’art. 1284 cod. civ. si intende soddisfatto solo quando vi è l’indicazione numerico percentuale del tasso debitore. Ne consegue, che sempre in virtù dell’art. 1284 c.c., per i contratti stipulati in precedenza la nullità della relativa clausola comporta l’applicazione di interessi passivi al tasso legale, con conseguente ricalcolo del saldo debitore.
Va aggiunto che con l’entrata in vigore il 9.7.1992 della legge 154/92 in ogni le clausole in questione, come quella di cui è cause, sono divenute inoperanti perchè espressamente ritenute affette da nullità.
E’ peraltro da escludere che in merito alla determinazione del tasso degli interessi da applicare possa trovare retroattivamente applicazione, per i rapporti in corso alla data di entrata in vigore su indicate, quanta previsto da detta legge e poi dall’art. 117 L. 385/93, in quanto la clausola degli usi su piazza era già da ritenersi espunta con l’applicazione dell'art. 1284 c.c. Pertanto dal 1967, epoca da cui si ha la disponibilità degli estratti conto e sino alla data del 7.11.2000 di chiusura del rapporto, gli interessi passivi vanno calcolati al tasso legale dell’epoca.
4)Quanto alla nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi, la questione è fondata.
Il decidente in proposito non può che tornare a ribadire quello che è ormai indirizzo univoco di Questo Tribunale e della giurisprudenza di legittimità, ormai consolidata con la decisione delle S.U. della Cassazione n. 21095 del 7.10/4.11.2004, che ha statuito l’illegittimità del fenomeno della capitalizzazione trimestrale degli interessi in materia bancaria, in quanto prassi contraria alla norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. e non trasfusa in un uso normativo, con conseguente nullità
ex tunc, ai sensi degli artt. 1283, 1284 e 1419 c.c. delle clausole negoziali di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, anche in relazione ai periodi anteriori al noto mutamento giurisprudenziale avvenuto nel 1999 (cfr. oltre alle S.U. sopra richiamate: Cass. 10127/05; Cass. 3805/2004; Cass. 12868/2004; Cass. 5155/2004; Cass. 2593/2003; Cass. 17813/2002; Cass. 8442/2002; Cass. 4490/2002; C.Cost. 425/2000; per la giurisprudenza di merito cfr. Trib Torino 7.1.2003; Trib. Napoli 27.11.2002; Trib Roma 8.11.2002; Corte App. L’Aquila 11.6.2002).
E’ inutile dire che tale conclusione appare pienamente legittima proprio ed innanzitutto con riferimento al contratto di conto corrente bancario, non condividendosi le argomentazioni talvolta utilizzate da una giurisprudenza minoritaria (cfr. Trib. Roma 27.1.2003; Trib. Palermo 6.9.2002; per la indiscutibile applicazione della disciplina di cui all’art.1283 c.c. anche ai contratti bancari in c/c si veda la sentenza delle S.U. 21095/04 citata ed anche: Cass. 6558/1997, C. App. Lecce 598/2001).
La capitalizzazione trimestrale che, per stesse sostanziali ammissioni della banca convenuta, sarebbe stata applicata al rapporto di conto corrente in questione deve pertanto essere dichiarata illegittima.
Si pone a questo punto il problema se vada comunque riconosciuta all’istituto (ed in generale anche al correntista) una diversa temporalità nella capitalizzazione degli interessi.
Ebbene, sino alla data di effettiva entrata in vigore della Delibera del C.I.C.R. 9 febbraio 2000 (Gazz. Off. 22 febbraio 2000, n. 43) avvenuta il 10.7.2000 (la data di entrata in vigore della delibera e del 24.4.2000, ma, ai sensi dell’art. 7, che detta la disciplina della fase transitoria, le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente delibera dovevano essere adeguate alle disposizioni della delibera entro il 30.6.2000 e i relativi effetti si producevano a decorrere dal successive 10 luglio)deve escludersi una qualsiasi capitalizzazione degli interessi.
Al riguardo, nel sostenere una capitalizzazione annuale si è osservato che sarebbe possibile individuare nell’art. 1284, 1° comma c.c. la fonte di un fenomeno legale di anatocismo annuale (ovvero di risarcimento forfettario, con cadenza annuale, del danno da inadempimento dell’obbligazione pecuniaria di interessi); poiché, prevedendo tale disposizione che
"il saggio degli interessi legali è determinato [...] in ragione di anno" verrebbe cosi individuato, oltre ad un criterio di determinazione del tasso degli interessi dovuti, anche un principio generale di naturale scadenza ed esigibilità annuale degli interessi. Da tale scadenza conseguirebbe anche l’effetto, proprio della scadenza di ogni obbligazione, del risarcimento del danno da inadempimento, regolato, per le obbligazioni pecuniarie come quella di interessi, dall’art. 1224 c.c..
Ebbene, reputa il decidente, sempre in conformità della giurisprudenza assunta da questo ufficio giudiziario, che tale tesi non sia condivisibile in quanto non tiene conto sia della natura imperativa e non derogabile della disciplina generale dettata dall’art. 1283 c.c. per regolare il fenomeno dell’anatocismo, sia della
"specialità" dell’obbligazione di interessi rispetto al "genus" delle obbligazioni pecuniarie. D’altra parte è in proposito significativa la decisione delle Sezioni Unite n. 9653 del 17.7.2001.
Chiamate a dirimere un contrasto giurisprudenziale sorto sulla questione della configurabilità o meno dell’obbligazione di interessi come una qualsiasi obbligazione pecuniaria dalla quale derivi quindi anche il diritto agli ulteriori interessi di mora nonché al risarcimento del maggior danno (ex art. 1224 comma II c.c.) ovvero come una obbligazione
sui generis soggetta soltanto alla regola dell’anatocismo, le S.U. Sono pervenute alla conclusione che, il debito per interessi (anche quando sia state adempiuta 1’obbligazione principale) resti soggetto alla regola dell’anatocismo di cui all’art. 1283 cod. civ., derogabile soltanto dagli usi contrari ed applicabile a tutte le obbligazioni aventi ad oggetto originario il pagamento di una soma di denaro sulla quale spettino interessi di qualsiasi natura. La giurisprudenza successiva della Suprema Corte ha seguito la stessa scia (cfr. Cass n. 2439/2002; Cass. 2771/2002; Cass. 4133/2003; Cass. 4830/2004; idem, tra l’altro in tema di mutuo bancario: Cass. 2593/2003; Cass. 1724/1977; Cass. 3479/1971).
In definitiva la norma cardine dell’art. 1283 c.c., espressamente dettata dal legislatore per disciplinare il fenomeno dell’anatocismo, è norma imperativa e di natura eccezionale che ammette la capitalizzazione degli interessi soltanto a determinate condizioni, prevedendo che gli interessi scaduti possono produrre a loro volta interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di una convenzione fra le parti successiva alla scadenza degli stessi, e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno un semestre, salvo usi contrari intesi quali usi normativi, inesistenti nella specifica materia bancaria di cui si tratta.
La clausola di capitalizzazione è dunque nulla per contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c., per cui il contratto, verbale prima e scritto poi è da ritenere
ab origine privo di qualsivoglia pattuizione di capitalizzazione, trimestrale come annuale come di diversa periodicità.
Si sostiene da parte degli istituti di credito che il pagamento delle somme dovute comportava la irripetibilità delle somme addebitate per i titoli oggi contestati, configurando il pagamento stesso una obbligazione naturale ex art. 2034 cod. civ. (in senso conforme Cass Sez. 19.4.1984, n. 2262).
Il decidente non condivide tale assunto, non ravvisando nella corresponsione di interessi anatocistici da parte del cliente di un istituto di credito alcuna assolvimento di doveri morali e sociali, ma semplicemente l’adempimento di una clausola contrattuale (ritenuta nulla perchè in contrasto con la legge) che la parte, al momento dei pagamenti, riteneva legittima. Come sia possibile in questo ravvisare una doverosità morale e sociale intesa, alla stregua della coscienza sociale, atto moralmente e socialmente necessario, non è dato comprendere, visto che la sua inosservanza non comporta di per se, e salvo casi particolari, un giudizio di riprovazione o di disistima nel giudizio della collettività in qualche mode equiparabile ad altri casi di
soluti retentio ben più significativi e ritenuti di regola degni di tutela, come il dovere di assistenza nei confronti del convivente, 1’esecuzione di disposizione fiduciaria o quelli più particolari e legati a doveri sociali imposti dal senso dell’onore, come i debiti di gioco e scommessa.
Dunque nessun interesse anatocistico ed il rapporto di conto corrente è da ritenere
ab origine privo di qualsivoglia pattuizione di capitalizzazione, trimestrale, annuale, come di diversa periodicità.

5) Il M. ha poi eccepito la illegittimità dell’addebito della cosiddetta giorni valute e cioè un allungamento apparente dei giorni solari nel conteggio dei prestiti operati, che va di conseguenza ad incidere sugli interessi passivi dovuti dal cliente.
In merito nulla prevedevano le condizioni generali della Banca Caripe che non ha contestato il loro avvenuto conteggio come d’altra parte appare emergere dagli estratti conto in atti.
In proposito va quindi statuito che: per i prelevamenti la valuta dovrà coincidere con il giorno del pagamento dell’assegno, per i versamenti va riportata la valuta corrispondente al giorno in cui la banca acquista effettivamente la disponibilità del denaro.

6) L’attore ha poi eccepito l’illegittimità degli interessi percepiti al di sopra del tasso effettivo globale stabilito dalla legge 108/96.
La questione appare superata dalla riconduzione degli interessi passivi al tasso legale.

7) Quanto alla clausola relativa alla commissione di massimo scoperto, si reputa in linea di principio che tale competenza bancaria rappresenta comunque un elemento retributivo per la banca, aggiuntivo agli interessi praticati, che non ha fonte legale e quindi richiede la necessità di specifica pattuizione. Di conseguenza, se si è assolto all’onere di forma, non può essere messo in dubbio, nell’ambito del principio dell’autonomia contrattuale, che la clausola assolva per 1’istituto di credito ad una specifica funzione e sia fornita di cause giustificativa.
Nella specie, peraltro, nessuna previsione risulta contrattualmente stabilita in base alle condizioni generali, per cui, il prelievo di dette somme da parte dell’istituto di credito per tale causale quale appare emergere dalla CT di parte attrice, è da ritenere indebito.
E’ inutile dire come sia irrilevante la circostanza che le cms siano state indicate negli estratti conto periodicamente inviati trattandosi di comunicazione unilaterale della banca priva di sottostante pattuizione contrattuale.

8) Con riguardo, infine, alle spese del conto corrente, non emergono pattuizioni al riguardo, per cui tali spese non sono dovute alla banca.

9) Quanto alla richiesta dell’attore di dichiarazione di illegittimità della segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia del debito derivante dallo scoperto di conto corrente, il decidente deve allo stato limitarsi a richiamare la normativa in materia.
L’art. 53, comma I, lett. b) del D.lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario) prevede che la Banca d’Italia, in conformità alle delibere del CICR, emani disposizioni generali aventi ad oggetto il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni. Gli artt. 67, comma I, lett. b) e 107, comma II, lett. b) del TUB riproducono la stessa norma rispettivamente nell’ambito della vigilanza consolidata, 1’uno, e con riferimento agli intermediari iscritti nell’elenco speciale, 1’altro.
Si consideri altresì che il rischio creditizio, ovvero il rischio di variazioni di valore (inattese) delle attività finanziarie riconducibili all’insolvenza del debitore, è componente certa del "sistema dei rischi" (rischio di mercato, rischio di credito, rischio operativo, altri rischi) in cui operano gli intermediari per definizione ed è certamente ricompreso nel "rischio" menzionato dagli artt. 53, 67 e 107 del TUB e, dunque, oggetto di possibile intervento da parte della Banca d’Italia.
Il CICR, con delibera del 29 marzo 1994, assunta ai sensi dei citati artt. 53, 67 e 107 del TUB, ha disciplinato il servizio di centralizzazione del rischi creditizi gestito dalla Banca d’Italia, dettando i principi generali della materia. La predetta disciplina si applica alle banche autorizzate n Italia all’esercizio dell’attività creditizia, agli intermediari finanziari di cui all’art. 106 del TUB che fanno parte di un gruppo bancario iscritto all’albo, ovvero sono iscritti nell’elenco speciale di cui all'art. 107 del TUB.
L’art. 51 del TUB pone a carico delle banche 1’obbligo di inviare all’organo di Vigilanza le segnalazioni periodiche, nonché ogni altro dato o documento richiesto.
Al fine di accrescere la stabilità del sistema creditizio e finanziario nel suo complesso il CICR, con la delibera del 3 maggio 1999, ha rilevato l’opportunità di conoscere anche le informazioni relative agli affidamenti di importo inferiore alla soglia di rilevazione della centrale rischi.
Pertanto, il sistema è regolato da norme di legge e da disposizioni emanate dal Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio e dalla Banca d’Italia (cfr. da ultimo Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19894 del 13/10/2005).
La Centrale dei rischi in parola, così disciplinata, costituisce, in sintesi, "
un sistema informativo sull'indebitamento della clientela delle banche e dagli intermediari finanziari vigilati da11a Banca d’Italia"(l’art. 2 [Obiettivi della Centrale dei rischi] della Circolare n. 139/91 della Banca d’Italia e successivi aggiornamenti).
Gli intermediari segnalano mensilmente alla Banca d’Italia gli affidamenti concessi a ciascun cliente, singolarmente e in cointestazione con altri soggetti. Oltre alle contestazioni, la Centrale dei rischi rileva anche i rapporti di coobbligazione esistenti tra le società, censite e i soci che rispondono illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni assunte dalle società stesse verso l’intermediario.
La segnalazione alla Centrale dei rischi è dovuta qualora, alla data di riferimento, il cliente goda di crediti per cassa o firma complessivamente pari o superiori a 75.000,00 Euro, abbia rilasciato garanzie personali o reali a favore di terzi per il medesimo importo, abbia un’esposizione in derivati finanziari pari o superiore a 75.000,00 Euro o abbia in essere, sempre per un importo pari o superiore a 75.000,00 euro, talune delle operazioni censite in apposita sezione informativa del prospetto diffuse dalla Banca d’Italia. La posizione del cliente in sofferenza e i passaggi a perdita su crediti in sofferenza devono essere segnalati alla Centrale dei rischi a prescindere dal loro importo. Infatti, sebbene la norma relativa ai limiti di censimento preveda in generale che la segnalazione e comunque dovuta quando la posizione del cliente e in sofferenza, 1’art. 1.5, sezione 2, capitolo II, delle Istruzioni della Banca d’Italia, rubricato "
sofferenze", dispone: "Nella categoria di censimento sofferenze va ricondotta l’intera esposizione per cassa nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertata giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dall’azienda. Si prescinde, pertanto, dall’esistenza di eventuali garanzie (reali o personali) poste a presidio dei crediti. Sono escluse le posizione la cui situazione di anomalia sia riconducibile a profili attinenti al rischio-paese. L’appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito".
La verifica in concrete della correttezza della decisione assunta dall’istituto di credito con la comunicazione effettuata alla Centrale Rischi va rimessa all’esito della CTU che si andrà a disporre.
Le considerazioni su esposte impongono, dunque,l’adozione di una sentenza non definitiva, con elaborazione a mezzo di consulenza tecnica dei calcoli per la determinazione del saldo del conto bancario in questione.
In merito alle ulteriori attività istruttorie occorre provvedere come da separata ordinanza.

Spese al definitivo.

P.Q.M.

Il Tribunale di Pescara, in composizione monocratica, non definitivamente pronunciando nella causa promossa da M. C. nei confronti della Banca Caripe S.p.a. con atto di citazione notificato in data 8.7.2005 così provvede in relazione al canto corrente in apertura di credito con affidamento mediante scopertura n. 65902:
-
dichiara la nullità delle clausole contrattuali the prevedono il calcolo degli interessi passivi secondo gli usi di piazza per i1 periodo 1.1.1967/7.11.2001,
-
dichiara la nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi, per contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c., per cui il rapporto e da ritenere ab origine privo di qualsivoglia pattuizione di capitalizzazione, trimestrale, annuale come di diversa periodicità,
-
dichiara la illegittimità della corresponsione della commissione di massimo scoperto mai pattuita e dunque non dovuta,
-
dichiara la illegittimità della corresponsione dei cosiddetti giorni valuta, per cui, per i prelevamenti la valuta dovrà coincidere con il giorno del pagamento dell’assegno, per i versamenti va riportata la valuta corrispondente al giorno in cui la banca acquista effettivamente la disponibilità del denaro,
-
dichiara non dovute le spese del conto corrente. Spese al definitivo.
In merito all’ulteriore corso istruttorio si provvede come da separata ordinanza.

Così deciso nella camera di consiglio del Tribunale di
Pescara il 12.7.2007

Il Giudice Unico
Dott. Angelo Bozza




II

Tribunale di Milano
Sezione VI

ORDINANZA INGIUNTIVA

Causa n. 590/2006
Giudice: Simonetti Amina
Parti nel processo: AMBASSADOR'S STYLE SRL (Avv. Mauro CAPODIFERRO e Avv. Antonio TANZA)
BANCA POPOLARE DI MILANO SCARL ( Avv. Giorgio DE NOVA)

Il Giudice,
sciogliendo la riserva assunta all’udienza del giorno 22.1.2008 sull'istanza ex art.186 quater c.p.c della società attrice A. S. srl;
- rilevato che la presente causa è stata introdotta dalla società attrice A. S. srl che ha proposto, in relazione al contratto di c/c n. 16450 in essere con la Banca Popolare di Milano convenuta, domanda di nullità della clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, domanda di nullità della previsione della CMS, di illegittimità delle variazioni delle condizioni economiche applicate al rapporto soprattutto con riferimento alla misura del tasso di interesse debitore perché variazioni mai previamente comunicate dalla banca, eccessività del costo del denaro (TEG);
-rilevato che sulla base di tali contestazioni la società attrice ha chiesto di rideterminare il saldo del conto corrente bancario 16450 chiuso con saldo
"0" alla data del 30.4.2004 con condanna della banca alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate per interessi anatocistici, tassi ultralegali, CMS, spese, remunerazioni a qualsiasi titolo pretese;
- rilevato che la banca convenuta si è costituita in giudizio e ha contestato in fatto e in diritto la domanda di parte attrice eccependo anche la prescrizione del diritto di credito (restituzione somme addebitate a titolo di interessi anatocistici debitori) dedotto in giudizio dall'attrice;
- visto l'esito dell'attività istruttoria consistita nell'acquisizione della documentazione prodotta dalle parti e nella CTU contabile;
rilevato che all'udienza la difesa della banca ha contestato l'ammissibilità dell'istanza ex art. 186 quater cpc sul presupposto che la pronuncia di condanna richiesta dall'attrice presupporrebbe la declaratoria di nullità della clausola contrattuale del contratto di conto corrente bancario che prevede il calcolo anatocistico degli interessi debitori;
rilevato in particolare che la difesa della società attrice ha chiesto la pronuncia di ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. per la somma di € 33.066,97 che costituisce, secondo il calcolo effettuato dal CTU contabile, il saldo alla data del 30.4.2000 del c/c bancario oggetto di causa epurato della sola somma applicata a titolo di interessi anatocistici debitori per il periodo in considerazione dal 3.8.1995, data di inizio del rapporto, al 30.6.2000, data in cui, per effetto della modifica dell'art. 120 TUB ex D.Lgs 342/99, l'anatocismo è divenuto legittimo nei rapporti bancari;
ritenuto pertanto che la domanda ex art. 186 quater c.p.c. dell'attrice è limitata tra le varie questioni introdotte con l'atto di citazione alla sola domanda di condanna della banca alla restituzione delle somme indebitamente applicate sul rapporto di c/c a titoli di interessi anatocistici;
ritenuto che la proposizione della domanda dì nullità non è di ostacolo all'ammissibilità dell'ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. ogni qual volta, come nel caso di specie, la declaratoria di nullità è passaggio logico necessario per accertare il diritto di credito dedotto in giudizio di cui si è chiesto con azione di condanna il pagamento alla convenuta;
ritenuta pertanto l'ammissibilità della predetta istanza;
rilevato che la domanda di condanna della banca al pagamento della somma di € 33.066,87 è provata da:
1. contratto di conto corrente sottoscritto dalla società attrice in data 3.8.95 (doc. l attrice);
2. copia degli estratti conto dal 31.8.1995 al 30.4.2004 (prodotti sia dall'attrice sia dalla convenuta) 3. esito della consulenza tecnica che ha concluso, rispondendo al punto 1) del quesito, nel senso che: “
Il saldo complessivo del conto corrente al 30.4.2004, escludendo l'effetto anatocistico degli interessi debitori fino al 30.6.2000 risulta pari ad euro 33.066, 87 a credito di A. S. srl essendo stati ricalcolati interessi passivi pari ad euro 156.740,29 contro euro 189.807,16 di interessi addebitati dalla Banca Popolare di Milano nel periodo 3.8.1005 al 30.4.2004”;
4. copia dell'estratto del conto corrente n. 16450 alla data di chiusura del 30.4.2004 con saldo a zero;
rilevato che le conclusioni del CTU non sono state contestate motivatamente criticate dalle difese che nessun rilievo è stato mosso ai calcoli effettuati dal consulente che per altro risultano immuni da vizi;
ritenuto che l'accertamento svolto è sufficiente ed idoneo, anche considerando la portata giuridica delle questioni sollevate dai difensori nei rispettivi atti, per supportare la presente decisione;
rilevato che nel contratto di conto corrente in esame n. 16450 era stata prevista, alla clausola n. 7 comma 2 e 3, l'applicazione sugli interessi dovuti dal cliente di ulteriori interessi nella misura concordata e ciò trimestralmente, ad ogni chiusura contabile prevista per i conti che risultassero debitori;
rilevato che dagli estratti conto prodotti risulta effettivamente l'applicazione dell'anatocismo sugli interessi debitori fin dall'inizio del rapporto di c/c;
ritenuto che la domanda di nullità della clausola 7 comma 2 e 3 del contratto di c/c, perché in contrasto con l'art. 1283 c.c., é fondata;
rilevato che la difesa della banca ha contestato l'eccezione assumendo che la regola si fondava su usi normativi risalenti nel tempo, usi legittimamente deroganti il divieto dell'art. 1283 c.c. contenuto alle situazioni in difetto di usi contrari;
ritenuta l'infondatezza della difesa della banca in quanto il Tribunale condivide i principi elaborati dalla Corte di legittimità con le sentenze n.12507/1999, 2374/99, 096/1999, 3845/99 e da ultimo Cass 870/2006; sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 21095/2004 che ha escluso che la capitalizzazione trimestrale degli interessi possa essere ricondotta all'esistenza di un uso normativo nell'ambito bancario, soluzione cui questo giudice intende aderire non ravvisando nuove e serie ragioni per discostarsene. Il divieto di capitalizzazione degli interessi debitori perché effettuato in contrasto con la norma di legge di cui all'art. 1283 c.c. vale fino all'entrata in vigore dell'art. 25 co 2 D.Igs 342/99 e della Delibera Cicr del 9 febbraio 2000 (1.7.2000) che hanno stabilito, a condizione di reciprocità, la legittimità nei contratti bancari dell'anatocismo;
rilevato che la banca ha anche eccepito la prescrizione del credito della società attrice;
ritenuta l'eccezione infondata;
rilevato su questo punto che nell'ambito del contratto di conto corrente bancario, fino a che il contratto non viene chiuso, non esiste un credito esigibile della banca (in senso conforme anche cori riferimento alla decorrenza della prescrizione per il diritto della banca si hanno le seguenti decisioni della Cassazione Cass 5720/2004, 4659/99, 2262/84) e, quindi, non può ritenersi che decorra per il cliente un termine di prescrizione alla facoltà di contestare il saldo di chiusura del rapporto;
ritenuto infatti che nella presente causa si chiede di accertare il saldo dì chiusura del rapporto bancario di c/c alla data del 30.4.2004 assumendo che esso sia positivo e che costituisca un credito verso la banca (al pagamento del saldo);
rilevato che questo credito, pagamento del saldo del conto, sorge alla data di chiusura del rapporto; ne consegue che solo alla data di chiusura del conto può decorrere il termine decennale dì prescrizione del diritto a disporre delle somme risultanti dal saldo, termine che nel caso di specie, essendo stato chiuso il. rapporto alla data del 30.4.2004, alla data di notificazione dell'atto di citazione (3.1.2006) non si era ancora compiuto. Il tribunale ritiene che sia improprio riferirsi nella fattispecie in esame alla disciplina della prescrizione della ripetizione di somme indebitamente pagate: nell'ambito del contratto di conto corrente bancario gli interessi debitori conteggiati dalla banca sulle somme capitali a debito del cliente non sono “pagati” dal titolare del conto — esclusa l'ipotesi in cui una specifica operazione di apertura di credito a termine alla scadenza venga definitivamente estinta con il versamento di tutto quanto dovuto e richiesto dalla banca per capitale e interessi (ma nel caso di specie la banca non ha allegato la chiusura di un qualche rapporto di credito regolato sul c/c); ordinariamente si tratta di regolamentazione di versamenti e prelievi, non di pagamenti alla banca posto che il credito della banca diviene esigibile solo alla chiusura del contratto di conto corrente; anche i prelievi, sempre possibili nell'ambito della disponibilità della provvista, effettuati nel corso del rapporto dal correntista non possono precludere alla fine del rapporto la pretesa del cliente di vedersi riconoscere un saldo differente da quello conteggiato dalla banca risultante dalla diversa applicazione degli interessi debitori;
rilevato che la banca ha dimostrato (doc. 1 e 3 banca) di aver modificato in conformità a quanto prescritto dalla delibera Cicr il contratto di conto corrente bancario in essere con la società attrice con effetto dall’1.7.2000 sicché l'illegittimità dell'anatocismo va contenuta al periodo 3.8.1995- 30.6.2000;
ritenuto pertanto che il saldo di chiusura del conto corrente 1645 alla data del 30.4.2004 va rettificato eliminando le annotazioni effettuate illegittimamente a titolo di interessi debitori anatocostici dalla sua costituzione al 30.6.2000 e quindi fissato in € 33.066,87 come calcolato dal CTU;
rilevato dunque che il credito della società attrice verso la banca per saldo, attivo, alla data del 30.4.2004 del c/c n. 16450, è di € 33.066,87;
- ritenuto che la condanna al pagamento può. essere accolta entro tale importo;
- rilevato che la società non ha proposto con istanza ex art. 186 quater c.p.c. domanda di condanna ad altra somma;
- rilevato, quanto alle spese processuali complessivamente, maturate fino alla data odierna, che dato l’accoglimento della domanda, esse devono riconoscersi a favore della società attrice;
ritenuto di liquidare le spese processuali in € 400,00 per spese, € 1.200,00 per diritti ed € 2.500,00 per onorari;
rilevato che le spese di CTU liquidate in data odierna con separato decreto sono state poste per intero a carico della banca soccombente con diritto della parte attrice alla ripetizione di quanto anticipato a tale titolo.


P Q M

Visto l'art. 186 quater c.p.c.

CONDANNA

la Banca Popolare di Milano Scarl a pagare a Ambassador's Style srl a titolo di saldo del rapporto di c/c 16450 alla data del 30.4.2004 la somma di € 33.066,87;
condanna la Banca alla rifusione in favore dell'attrice delle spese processuali liquidate in € 400,00 per spese, € 1.200,00 per diritti ed € 2.500,00 per onorari con diritto dell'attrice a ripetere dalla banca convenuta quanto versato in corso al CTU.
La presente Ordinanza costituisce titolo esecutivo.
Si comunichi Il Giudice Amina Simonetti
Milano 22 gennaio 2008
Depositata il 24 gennaio 2008


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