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Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2006
V
TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
SEZIONE CIVILE
Il Tribunale di Vibo Valentia, nella persona del G. I. Dott.ssa Patrizia Pasquin, in funzione di Giudice Unico, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n° 568/2001 R G.A.C., avente ad oggetto: "Rapporto bancario"
vertente:
TRA
D'ACO STEFANO, nato a Soriano Calabro it 2/9/1941 e residente a Vibo Valentia, alla Via Domenico Savio n. 6 ed ivi elettivamente domiciliato alla Via Carulli n. 5, presso e nello studio dell'Avv. Nicola Ferro e dell'Avv. Antonio Tanza del faro di Lecce, the to rappresentano e difendono in virtu di mandato a margine all'originale dell'atto introduttivo
attore
CONTRO
BANCA CARIME S.p.A. con sede in Cosenza, Viale Crati, codice fiscale e partita IVA n.01831880784, in persona del legate rappresentante pro tempore Amministratore delegato Dott. Alberta Valdembri, elettivamente domiciliato in Vibo Valentia, Via Mons. Sorbilli n. 6 presso lo studio dell'Avv. Nicola D'Agostino, rappresentato e difeso dell'Avv. Salvatore Perugini per delega in calce all'atto di citazione notificato in data 28/412001
convenuto
CONCLUSIONI
Per l’attore: "...Dichiarare 1'invalidità a titolo di nullità parziale del contratto di apertura di credito mediante affidamento con scopertura sul c/c n. 51/1414/04 oggetto del rapporto tra parte attrice e banca, particolarmente in relazione alle clausole di determinazione e di applicazione degli interessi ultralegali, della determinazione ed applicazione dell'interesse anatocistico con capitalizzazione trimestrale, all'applicazione della provvigione di massimo scoperto. Accertare e dichiarare per l'effetto l'esatto dare-avere tra le parti in base ai risultati del ricalcolo effettuato sulla base dell'intera documentazione relativa al rapporto di apertura di credito. Condannare la Banca convenuta alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate o riscosse oltre agli interessi legali e creditori in favore dell'attore. Condannare la Banca al risarcimento dei danni patiti dal l' attore, condannare la parte soccombente at pagamento spese e competenze di giudizio".
Per la convenuta: "... Rigettare tutte le domande ex adverso formulate perchè inammissibili, improponibili, infondate e prescritte con ogni consequenziale statuizione anche in ordine al pagamento delle spese e competenze di giudizio".
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 28/4/2001, l’ing. D'Aco Stefano adiva questo Tribunale evocando in giudizio la Banca Carime s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, deducendo in sostanza:
- di aver intrattenuto con l' istituto bancario convenuto tin rapporto contrattuale consistente in un'apertura di credito, con affidamento mediante scopertura sul conto corrente n. 51/1414/04, originariamente finalizzata, secondo la natura tipica del contratto, a soddisfare le temporanee esigenze di elasticità di cassa;
- il rapporto prevedeva anche un servizio Carismat- Bancomat, nato nel 1985;
- che detto contratto bancario di affidamento era iniziato nel 1975 per un importo originario di L. 25.000.000 ed era tuttora in corso, ammontando il saldo passivo all'attualità a L. 30.618.209;
- che più volte l’esponente aveva cercato di comporre bonariamente la vicenda, senza esito, poiché la banca assume di vantare un credito non dovuto per l'applicazione di interessi, competenze, remunerazioni e costi non concordati o comunque non dovuti, in ogni caso superiori a quelli nominali;
- specificamente viene contestata la nullità della clausola di applicazione dell'interesse ultralegale " secondo le condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza " perchè contrastante con i requisiti di determinabilità ex art. 1346 c.c., della forma scritta richiesta ad substantiam per gli interessi ultralegali, ex art. 1284 c.c.;
inoltre e nulla la clausola di applicazione dell'interesse anatocistico trimestrale, in violazione dell'art. 1283 c.c., in assenza di un uso normativo che contempli la capitalizzazione degli interessi scaduti;
- che e nulla la commissione di massimo scoperto, perchè tale addebito dove ritenersi illegittimo per violazione degli artt. 1284, 3° comma, 1325 c 1418, 2° comma c.c., consistendo in una vera e propria integrazione del tasso nominale di interesse, priva di una specifica giustificazione economico-tecnica;
- che non e previsto in contratto l'addebito dei giorni di valuta e cioè da quando la somma versata divenga effettivamente fruttifera: " in pratica la banca largheggia sui giorni delle operazioni che le fruttano interessi, mentre sottrae giorni sulle operazioni che fruttano interessi al cliente o comportano una riduzione dei suoi presunti oneri";
- che era stata illegittimamente segnalata alla Centrale Rischi presso la Banca d'Italia la situazione debitoria dell'attore come posizione " a sofferenza ", cosi operando intenzionalmente per favorire un rientro più sollecito del credito;
tanto premesso, chiedeva al Tribunale:
che fosse dichiarata la nullità o l'invalidità parziali del contratto di apertura di credito e di conto corrente in corso tra le parti, con determinazione dell'esatto dare-avere in base al ricalcolo da effettuarsi per mezzo di C.T.U. tecnico - bancaria, previa individuazione del TAEG applicabile, senza capitalizzazione, al tasso legale consentito dalla normativa antiusura con esclusione di tutte le clausole nulle, condannando all'esito la banca alla restituzione delle somme indebitamente addebitate e riscosse oltre agli interessi creditori in favore dell'odierno istante e con 1'ulteriore risarcimento dei danni subiti dall'attore per l'indebita segnalazione alla Centrale dei Rischi; il tutto, con vittoria di spese e competenze.
In linea istruttoria, instava perchè fosse ordinata I'acquisizione del contratto-base, di tutti gli estratti conto, delle ricevute di versamento, delle schede della banca e di quanto altro inerente il contratto bancario impugnato, prodromico all'espletamento di C.T.U. cantabile idonea.
Si costituiva l'Istituto di credito, con comparsa di risposta depositata l'111612001, nella quale contestava tutte le contestazioni ex adverso e segnatamente deduceva:
che il divieto di capitalizzazione trimestrale non e stato sancito in maniera univoca dalle recenti pronunce della Corte di Cassazione, sicché non si può parlare di un consolidato orientamento, riguardo alla negazione di validità degli usi normativi, in materia di interessi bancari, riconosciuti anche dalla motivazione delle sentenze di contrario avviso.
L'uso in questione e accreditato dalle camere di Commercio da oltre ottanta anni ed e perfettamente compatibile con il meccanismo di cui agli artt. 1283 e 1285 c.c., in riferimento alle scadenze contabili di chiusura del canto.
Inoltre, la pronuncia della Corte Costituzionale del 17/10/2000 n. 425, che ha statuito l'illegittimità dell'art. 25, comma 3°, del D. Leg.vo n. 342 del 418/1999, per eccesso di delega ( contrasto con l'art. 76 Costituzione ), ha lasciato intatto il 2° comma dell'art. 120 T.U.B., che ha attribuito al CICR il potere regolamentare sui criteri per la produzione di interessi sugli interessi.
Ancora, l’art. 8 della legge 171211992, n. 154 sulla " trasparenza bancaria ", nell'indicare il contenuto della documentazione periodica che la banca deve inviare al cliente per informarlo dell'andamento del rapporto di durata nel periodo di riferimento, elenca esplicitamente quella "sulla capitalizzazione degli interessi", con ciò riconoscendone in modo univoco la legittimità.
Il D.M. Tesoro 24/4/1992 (in G.U. n. 108 dell' 11/5/1992 ), di attuazione, stabilisce con altrettanta univocità che " I tassi di interesse devono essere indicati al valore nominate ed essere riportati su base annua, con indicazione della periodicità di capitalizzazione."
Il contratto in oggetto e stato stipulato prima della riforma dell'art. 1815 c.c. e ad esso non si applicherà la nuova normativa.
Infine, la normativa di cui al D.L. 29/12/2000 n. 394, convertito nella legge n. 24 del 28/2/2001 ha legislativamente regolato la materia con interpretazione autentica del secondo comma dell'art. 1815 c. c. e dell'art. 644 c.p., cosi espressamente prevedendo:
LL Ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p. e dell'art. 1815, 2° comma. C.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limte stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo. indipendentemente dal loro pagamento."
Poiché il contratto e antecedente all'entrata in vigore della legge n. 108196, non si da applicazione, in ogni caso delle detta normativa.
Tanto rilevando,
chiedeva che il Tribunale si pronunciasse conformemente, rigettando la domanda, con vittoria di spese e competenze di giudizio.
In linea istruttoria, depositava copia di contratto, saldoconto, estratti-conto.
In corso di causa, attesa l' incertezza della somma dovuta, era disposta, con ordinanza del 7/3/03 dal G.I., ed esperita, C.T.U. per la determinazione degli effettivi rapporti dare-avere tra le parti, ricalcolando gli interessi debitori tenendo canto del tasso-soglia a far tempo dall'entrata in vigore della legge antiusura, per il pregresso devalutando la somma dovuta, con capitalizzazione annuale ed esclusione delle commissioni non dovute.
Avvenuto il deposito della relazione peritale, il G.I. all'udienza del 18/3/2005 assegnava la causa a-sentenza, con la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., per il deposito di comparse conclusionali e repliche.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda principale va accolta, per quanto di ragione, come di seguito esplicitato.
Trattasi di fattispecie riconducibile all' indebito oggettivo, previsto dall' art. 2033 c.c., il quale recita:
" Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha diritto inoltre ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda."
Va ancora precisato in diritto che quando, come nel caso di specie, venga in rilievo la mancanza di causa di un'obbligazione contrattuale in riferimento a qualche clausola del rapporto negoziale o la nullità anche parziale del negozio stesso, in base at quale e stato eseguito un pagamento, si fa riferimento, per le azioni di ripetizioni, all'istituto di cui all'art. 2033 c.c. e non a quello di cui all'art. 2041 c.c. ( arricchimento senza causa ), il quale presuppone 1'assenza di un qualsivoglia contratto lecito e tutelabile.
Secondo tale disciplina e sufficiente a legittimare la ripetizione di quanto illegittimamente prestato da una parte in esecuzione di un contratto dichiarato nullo
1 in tutto o in parte, come nel caso di specie, in cui alcune clausole sono da dichiararsi nulle, il requisito dcll'avvenuto pagamento e quello dell'inesistenza ( qui parziale ) del titolo in virtù del quale tale esecuzione ha avuto luogo. Non si richiede anche - ne costituisce correlativamente impedimento a tali restituzioni - la circostanza di un arricchimento del patrimonio dell' accipiens e di una corrispondente diminuzione del patrimonio del solvens, elementi caratteristici della diversa azione di arricchimento senza causa.(cfr. Cass. Civ., Sez. I, 71211975, n. 469)
Infatti, l'azione di arricchimento senza causa e del tutto complementare e può essere esercitata solo quando manchi qualunque titolo specifico, sul quale possa essere fondato il diritto preteso (e che quindi deve essere proposta in modo esplicito), per come previsto dall'art. 2042 c.c., mentre la ripetizione di indebito riguarda altra e diversa ipotesi giuridica, basata su due necessari e sufficienti requisiti: l'esistenza di un pagamento e il fatto che il pagamento stesso non doveva essere eseguito.
( cosi espressamente Cass. Civ., Sez. III, 20/5/1969, n. 1769 ).
Da tale prospettazione, cioè con l' inquadramento del caso concreto entro la disciplina dell'indebito oggettivo, escludente la configurabilità di un'obbligazione naturale, ex art. 2034 c.c., discende che la mancata irripetibilità di quanto pagato in più dal correntista, con conseguente percorribilità dell' istruzione al riguardo.
Una datata giurisprudenza cosi si esprimeva sulla questione " Il pagamento spontaneo di interessi in misura ultralegale, pattuito invalidamente, costituisce adempimento di obbligazione naturale e determina l'irripetibilità della somma cosi pagata, ma I'indicato presupposto non ricorre nel caso di una banca che abbia proceduto all'addebito degli interessi ultralegali sul conto corrente del cliente per sua esclusiva iniziativa e senza autorizzazione alcuna da parte del cliente medesimo."
( cosi Cass. Civ., Sez. I, 91411984, n. 2262 ).
Risulta evidente nel caso di specie che l'ing. D'Aco non ha autorizzato alcunché, ma firmando il contralto su formulario o per adesione, con la previsione degli interessi secondo la clausola " usi su piazza ", illecita, riteneva di essere conforme ad una prassi contemplante interessi legali quindi senza ulteriori addebiti a suo carico.
In punto di prova, questo Giudice in funzione di istruttore ha disposto, ai sensi dell'art. 210 c.p.c., come richiestone, l'acquisizione processuale dei tabulati bancari dell'intero rapporto in contestazione, ai fini della redazione della C.T.U. e il corredo documentale offerto dalla convenuta società, del quale l'ausiliare nominato ha preso piena cognizione, costituisce iI fondamento probatorio pacifico inter partes. Peraltro, va sottolineato come la banca si sia sottratta a tale onere probatorio per il periodo antecedente al 1990, sicché il C.T.U. ha potuto esaminare solo tale documentazione, omettendo l'esame del periodo pregresso dal 1975 al 1990, del che si dovrà tenere conto in sede di rideterminazione globale del debito.
Vanno precisati, in generale alcuni profili giuridici relativi all'efficacia processuale del contratto di conto corrente e dei relativi accessori: .
a) del saldoconto bancario
Al riguardo si rileva innanzitutto la validità, in relazione al conto corrente bancario, del c.d. saldoconto previsto dall'art. 50 del D. L.vo n. 385/1993 (che ha modificato l’art. 102 della c.d. " legge bancaria " di cui al R.D.L. 12/3/1942 n. 375, convertito nella legge 7/3/1938 n. 141 e modificato dal RDL,. 17/7/1937, n. 1400, convertito in legge 7/4/1938 n. 636 ), - dichiarazione unilaterale di un funzionario di banca attestante la conformità dello stesso alle scritture contabili e che il credito certo, liquido ed esigibile, - quale prova della somma vantata contro un debitore in favore di un istituto di credito, ai fini della sola emissione del decreto ingiuntivo.
L'efficacia di questo documento in un giudizio ordinario, quale quello di specie, e soggetta all'onere di dimostrare gli elementi costitutivi del credito vantato. (cfr. Cass. Civ., 101811990, n. 8128 ).
Da esso si differenzia l'estratto-conto, idoneo a certificare le movimentazioni debitorie e creditorie, con le condizioni attive e passive praticate dalla banca nel giudizio contenzioso ( cosi pacifica e costante giurisprudenza, vedasi da ultimo Cass. Civ. , Sez. I, sent. 20/8/2003, n. 12233 ).
Nella vicenda de qua non è stato allegato al fascicolo dell'Istituto convenuto un c.d. estratto del conto corrente, intestato a D'Aco Stefano alla data della segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d'Italia, emesso a tenore dell'art. 50 del D.L.vo 1993 n. 385, e quindi la banca stessa non ha quantificato in misura, per lei attestabile, il reale riscontro del conto alla data di contestazione.
b) dell'efficacia dell'estratto-conto bancario
In corso di causa l'Istituto di credito ha prodotti tabulati contenenti gli estratti conto scalari relativi al conto corrente intestato all'attore.
E' ormai pacifico nell'esegesi giurisprudenziale che la mancata contestazione degli estratti conto nei termini di sei mesi dalla ricezione degli stessi, rende incontestabile la verità storica dei dati in essi riportati, lasciando pero impregiudicata ogni questione concernente la loro rilevanza giuridica, sia singolarmente sia complessivamente riguardata e la validità dei titoli posti a fondamento delle singole annotazioni ( cosi, ex multis: Cass. Civ., Sez. I, 28/3/2002, n. 4490 ).
L'estratto conto bancario e un mero documento contabile nel quale e per il quale le singole operazioni ivi rappresentate, di addebitamento e di accreditamento, on danno luogo, a differenze del conto corrente ordinario, alla costituzione di autonomi rapporti di debito-credito tra il cliente e la banca.
Tali operazioni, al contrario, rappresentano l'esecuzione di un unico negozio da cui deriva il complessivo credito o debito della banca verso il correntista, ossia il saldo di conto corrente (in questo senso: Cass. Civ., 7/9/1984, n. 4788; 24/5/19991,n. 5876; 29/11/1994, n. 10185 ).
Quindi la mancata contestazione del correntista rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti unicamente sotto il profilo meramente contabile, ma non pregiudica la possibilità per il correntista di contestare la validità e l'efficacia dei rapporti obbligatori che hanno data luogo agli accrediti e agli addebiti ( Cass. Civ., 30/511989, n. 2644; 241511991, n.'5876; 101411995, n. 6736; 23/6/1998, n. 6247 ).
Ha , anzi, precisato la Suprema Corte ( Sezione 1, sent. 11/3/1996, n. 1978 ), ribadendo un concetto gia espresso pia volte negli anni recenti che " la mancata contestazione dell'estratto conto trasmesso da una banca al suo cliente rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti sotto il profilo meramente cantabile, ma non sotto quelli della validità e dell'efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano. Infatti la decadenza semestrale prevista dal secondo comma dell'art. 1832 c.c. per le contestazioni del conto da parte del cliente riguarda unicamente le impugnazioni per i motivi indicati nel comma stesso ( errori di scritturazione o di calcolo ), tai che, a maggior ragione, deve ritenersi inaccettabile la tesi della decadenza dalla possibilità di contestare tutte le altre poste del conto per la mancata loro impugnazione nel termine di quaranta giorni dalla comunicazione dell'estratto conto; e ciò perchè la maggior brevità del termine impedirebbe al correntista il diritto di promuovere anche quelle azioni che, per la loro pin elevata complessità, richiedono un maggior tempo di ponderazione.". (cfr. per quest’ultimo concetto: Cass. Civ., 14/2/1984, n. 1112; Cass., 7/9/1984, n. 4788 ).
Sul punto appare irrilevante la previsione specifica, sia per il contraente sia per i fideiussori, contenuta nel contratto secondo la quale, quando siano trascorsi sessanta giorni dalla data della ricezione degli estratti conto senza che sia pervenuto all'Azienda di credito per iscritto un reclamo specificato, gli estratti-conto si intendono senz'altro approvati dal Correntista, con pieno effetto riguardo a tutti gli elementi, che hanno concorso a formare le risultanze del conto, per l'ordine di idee teste esposto.
Nella fattispecie concreta, quindi, sotto il profilo probatorio, la documentazione offerta dalla banca e sufficiente, dall'anno 1990, a valutare le posizioni creditorie e debitorie reciproche, poste al vaglio critico della C. T. U. contabile.
Questioni sostanziali: illegittima applicazione interessi ultralegali, anatocismo, capitalizzazione trimestrale
Sostiene l'attore che la banca abbia applicato illegittimi interessi in misura ultralegale.
Nel contratto di conto corrente intercorso tra la Banca Carime e D'Aco Stefano del 27/10/1975 non sono previsti gli interessi dovuti dal Correntista all'Azienda di Credito, che, quindi erano determinati alle condizioni praticate usualmente dalle Aziende di Credito sulla piazza, con applicazione dello jus variandi unilaterale, nullo; il tutto, con l'ulteriore aggiunta della commissione massimo scoperto, anch'essa variabile, nonché di addebito di valute in mode punitivo.
la fattispecie ricade, con 1'esclusione dei primi anni, dal luglio 1992, sotto lo disciplina della Legge 17/2/1992 n. 154 sulla c.d. trasparenza bancaria, entrata in vigore appunto il 9/7/1992, che ha sancito nel suo art. 4: " i contratti devono indicare il tasso di interesse c ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi gli eventuali maggiori oneri in caso di mora "mentre le clausola di rinvio agli usi " sono nulle e si considerano non apposte".
Tale contenuto normative e stato poi recepito dall'art. 117 D. L.vo 1/9/1993, n. 385 (recante i1 nuovo testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) di cui l’art. 161, sesto comma, ha sostituito la disposizione in esame.
In ogni caso, circa l'applicazione retroattiva della disposizione in oggetto, cosi come la Corte di Cassazione con la sent. n. 204/1997 ha statuito in materia di fideiussione omnibus, 1'applicabilità della nuova disciplina anche ai contratti stipulati anteriormente, con efficacia pero limitata al periodo successive all'entrata in vigore delle nuove leggi, i1 medesimo criterio deve ritenersi applicabile alla fattispecie in oggetto.
Inoltre la Suprema Corte, per il periodo antecedente al 1992 ritiene nulle le clausole dei contratti stipulati anteriormente l'entrata in vigore della legge n. 154/1992 che, per la determinazione dei tassi, facciano riferimento agli interessi in " usi su piazza ". (cfr. Cass. Civ., Sez. 1, 231611998, n. 6247 ).
Chiarisce sul tema, come prospettiva generale, la Cassazione in una sentenza incisiva di recente emissione ( Cass. Civ., Sez. I, 281312002, n. 4490 nella quale vengono sintetizzati tutti gli attuali orientamenti giurisprudenziali in tema di interessi bancari ) che " il requisito della forma scritta richiesto, a pena di nullità, per la pattuizione di interessi superiori alla misura legale (ex art. 1284, ultimo comma, c.c.) non postula necessariamente che il documento contrattuale contenga l' indicazione in cifre del tasso d' interesse pattuito, ma puo essere soddisfatto anche per relationem, essendo sufficiente che le parti richiamino per iscritto criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, obiettivamente individuabili, che consentano la concreta determinazione del tasso convenzionale "
( cosi anche Cass. Civ., 18/5/1966, n. 4605; 11/11/1997, n. 11042; 8/5/98 n. 4696; 3/6/98, n. 6247; 19/7/2000, n. 9465 ).
Nel caso di specie, quindi, il requisito della forma scritta non appare soddisfatto, poichè il tasso reale, per stessa ammissione della banca, era sottoposto a variazioni, in genere maggiorative, comunicate al cliente unitamente agli estratti canto periodici, senza pero che t'utente potesse interloquire sul medesimo tasso e senza un meccanismo di predeterminazione.
Pertanto il requisito della trasparenza delle condizioni praticate dalla Banca Carime non pare osservato, per carenza della determinabilità del saggio, la cui esistenza l’art. 1346 c.c. esige a priori, al punto che esso non possa essere determinato o variato successivamente; tanto più quando i1 saggio non sia determinato o variato da entrambe le parti, ma da una di esse, che 1'abbia portato a conoscenza dell'altra, attraverso documenti che abbiano il fine di fornire l'informazione delle operazioni periodicamente contabilizzate e non anche di contenere proposte contrattuali, capaci di assumere dignità di patto in difetto di espresso dissenso.
( cfr. Cass. Civ., Sez. III, 2/10/2003, n. 14684 che richiama la sentenza 1/2/2002 n. 1287 ).
Ne deriva anche l'assoluta illiceità del tasso originario e delle variazioni apportate alle condizioni iniziali.
II concetto di trasparenza applicato ai contratti bancari postula i1 rispetto delle norme di buona fede stabilite dagli artt. 1175, 1337, 1366, 1375 c.c., nel generate concetto di protezione del contraente debole `, tutelato anche in via prioritaria dalla Direttiva CEE 93/13, art. 5 e dalla conseguente normativa sulle clausole abusive ex artt.1469 bis e quater c.p.c., introdotti dalla legge n. 52/96 in attuazione della cit. Direttiva.
Quanto al tasso applicabile, l’art. 1284 c.c. stabilisce che il saggio degli interessi legali può essere determinato annualmente in misura diversa secondo apposito decreto ministeriale.
La legge 7/3/1996 n. 108 contenente disposizioni in materia di usura stabilisce il limite entro il quale, nelle operazioni di credito, gli interessi sono sempre usurari art. 2, secondo comma ).
I1 combinato disposto di queste due norme ( letto alla luce della disciplina antitrust di cui alla legge n. 287 del 10/10/1990 e della gia richiamata Direttiva CEE sul credito ) ha segnato un'inversione di tendenza della nozione monolitica del rapporto contrattuale bancario, il quale deve sottostare alle sopravvenute regale imperative.
Infatti, la clausola contenuta in un contratto di conto corrente stipulato anteriormente all' entrata in vigore della nuova disciplina dell'usura e con la quale sono pattuiti interessi diventati superiori a quelli della soglia dell'usura, e priva di effetto quanta alla misura degli interessi anteriormente convenuta ed essi possono essere rinegoziati ( Cass. Civ., 22/4/2000, n. 5286 ).
Ne deriva che quando si sia verificata una situazione quale quella indicata ( come nel caso in esame) i punti da sciogliere sono: 1'individuazione del tasso applicabile in luogo di quello non più utilizzabile, il meccanismo per il calcolo degli interessi, nonchè il momento al quale riferire la valutazione circa il carattere usuraio degli stessi.
Non vi è dubbio che a far tempo dall'entrata in vigore della legge antiusura il tasso applicabile, per tipo di operazione, sia quello risultante dai vari decreti ministeriali trimestrali e che per il pregresso, attesa la nullità della clausola degli interessi convenzionali, come si e detto, nel caso di specie per illegittima applicazione dei generici " usi su piazza " e dello jus variandi contro il contraente debole, con abuso di posizione dominante, si debba fare applicazione del tasso legate, il quale, in favor della banca, e quello rapportato al tasso soglia, devalutato all'indietro di anno in anno (e non quello,minore, previsto dal codice civile ).
Relativamente all'anatocismo trimestrale pacificamente applicato dalla Banca Carime spa ormai costituisce jus receptum che le clausole sulla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi abbiano fonte nelle c.d. Norme Bancarie uniformi,le quali non costituiscono un uso normativo, ma uso negoziale e, quindi non danno luogo al fenomeno dell'inserzione automatica del contratto ai sensi dell' art. 1374 c. c.. ( cosi Cass. Civ., 16/3/1999 n. 2374; 30/3/1999 n. 3096; 11/11/1999 n. 12507; 22/4/2000 n. 5286; 17/11/2000 n. 14899; 11/4/2002 n. 5136; 13/6/2002 n. 8442; anche per il passato esistono pronunce della Suprema Corte che mettono in discussione l'esistenza di usi normativi e soprattutto che le NBU possano costituire la fonte di tali usi: cosi Cass. Civ., 4/5/1965, n. 795; 8/5/1965 n. 864; n. 3572 del 1968; n. 3638 del 1971, la n. 1130 del 1979, n. 5815 del 15/6/1194; ).
Anche la Banca d'Italia, del resto, nel Provvedimento n. 12 del 3/12/1994 ha dichiarato che le clausole nelle NBU, tra le quali quella che stabilisce l'anatocismo trimestrale, " integrano la fattispecie lesiva della concorrenza prevista dall' art. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 287/1990 " (e tanto si badi bene, ancor prima dell'entrata in vigore della legge antiusura, anche se i1 monito e rimasto del tutto inascoltato dal cartello bancario italiano ).
Correttamente, quindi, l'attore postula la violazione e falsa applicazione degli artt. 1283 c.c. e 1374 c.c., in relazione agli artt. 1 e 8 Dispos. Prel. C.c. per la capitalizzazione trimestrale degli interessi maturati sugli interessi.
Come noto, la questione e stata al centro di attenzione giurisprudenziale e normativa di vario tipo a cominciare dalle due sentenze quasi coeve della Suprema Corte ( Cass. 16/3/1999 n. 2374 e 30/3/1999 n. 3096 ), nelle quali il massimo Collegio ha ribaltato un'ottica interpretativa cinquantennale appiattita sulle posizioni bancarie, dichiarando la nullità delle clausole sulla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, perchè basate su un uso negoziale, unilaterale da parte del contraente più forte e dunque illecito, anziché su una norma consuetudinaria, come fino a quel momento era stato ritenuto.
Si difende l'Istituto bancario sostenendo, invece, che trattasi di veri usi normativi, attestati da oltre 80 anni dalle Camere di Commercio di tutta Italia e tra l'altro codificati ben prima del 1952, nel previgente art. 1232 del C. C. del 1865, nonché nelle norme del 1929 sui conti correnti di corrispondenza.
Inoltre, la legge n. 342/1999 riconosce I'uso normativo, non solo salvando il pregresso, ma attribuendo potere normativo al CICR di dettare una disciplina sugli interessi, sicche la disciplina legislativa e regolamentare ha riconosciuto e recepito la capitalizzazione trimestrale, che in materia di conto corrente non deve essere intesa come anatocismo.
Orbene, risponde al vero che Fart. 1232 del codice del 1865 prevedesse l'anatocismo e lo consentisse, ma a due condizioni: che gli interessi capitalizzati fossero scaduti e che rappresentassero almeno un'annualità.
lnoltre, il contratto di conto corrente sino al 1942 era regolato dal Codice del Commercio, agli artt. 346 e 347: la regolamentazione del contro corrente bancario nasceva dal combinato disposto delle due normative.
Aggiungasi che l'istituto dell'apertura di credito è recente, datandosi lo stesso in Italia all'inizio del XX secolo, mentre la sua prima codificazione nota è quella del Codice Cileno del 1886.
La dottrina contemporanea, infatti, non riporta segnale alcuno di sedimentazione di usi normativi sino al 1919, anno della prima codificazione dell'Accordo interbancario.
Concetto fondamentale per radicare la capitalizzazione degli interessi e la periodicità della chiusura del conto, la quale, secondo ii nostro Codice del Commercio del 1883, disponeva la liquidazione del conto secondo la convenzione, gli usi o, in difetto, alla fine di dicembre di ogni anno.
Vi e la certezza della chiusura del conto annuale ope legis, mentre non sono registrati usi commercialis certi circa la chiusura periodica del conto corrente.
Nel Regolamento Interbancario del 1919, invece, si legge che " concorrono pure at regolamento giuridico del rapporti bancari gli usi commerciali " e negli Accertamenti camerali delle consuetudini ed usi provinciali, emerge che non vi e uso di capitalizzazione degli interessi che sia stato rilevato prima del 1942.
In proposito la sentenza n. 2374 del 16/3/1999 così si e espressa analiticamente:
"Non è stata accertata dalla commissione speciale permanente presso il Ministero dell'Industria, ai sensi del D.L.vo c.p.c. 27/1/1947 n. 152, modificato con la legge 13/3/1950, n. 115 l'esistenza di un uso normativo generale corrispondente alla clausola dell'anatocismo. Tale uso generale e stato oggetto di accertamento e pubblicazioni in raccolte di natura meramente privata.
Per quanto riguarda, inoltre l'accertamento di usi locali da parte di alcune Camere di Commercio provinciali, ai sensi del combinato disposto degli artt. 34, 39, 40 R. D. 20/9/1934 n. 2011 e dell'art. 2 d. leg. lgt. 21/9/1944 n. 315, deve rilevarsi che si tratta di accertamenti avvenuti tutti in epoca successiva al 1952 e ciò esclude in concreto che possa essere attribuita all'indicata clausola delle Nome Uniformi Bancarie in vigore dal 1952 una funzione probatoria di usi locali preesistenti.
Peraltro, la presunzione derivante dall'inserimento nelle raccolte delle camere di commercio, di cui all'art. 9 preleggi C.C. riguarda l'esistenza e non anche la natura, normativa o negoziale degli usi....potendo al massimo ritenersi che si tratti di clausole d' uso ai sensi dell'art. 1340 c.c..
A conferma della fondatezza di tale presunzione può ricordarsi che nella raccolta degli usi bancari curata dalla camera di commercio di Firenze, edizione del 1960, 1'uso relativo alla capitalizzazione trimestrale degli interessi a carico del cliente e espressamente definito come uso negoziale."
E' allora intervenuto i1 legislatore con il c.d. decreto salvabanche ( D. L.vo 41811999 n. 342 ), stabilendo all'art. 25 da un lato che le nuove modalità e i criteri per la capitalizzazione degli interessi sarebbero stati fissati con delibera del Comitato Interministeriale del Credito e del Risparmio, assicurando in ogni caso la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori ( art. 25 secondo comma ) e dall'altro che le clausole stipulate prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina sarebbero state valide ed efficaci sino a tale data ( art. 25 terzo comma ).
Quest'ultima disposizione veniva stata però dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 425 del 17/10/2000 perchè viziata per eccesso di delega.
Essa si pone inoltre in palese contrasto con gli artt. 3 lett. g ), 10, 81, 82 e 86 del Trattato che istituisce la Comunità Europea nonché la Direttiva Cee 5/4/1993 sulle norme a tutela del consumatore, in quanto la clausola anatocistica si colloca in violazione delle norme antitrust e di trasparenza che costituiscono un vero e proprio obbligo legate generate per tutti gli stati aderenti.
La norma dichiarata costituzionalmente illegittima cessa di avere efficacia ( e quindi non può più essere applicata) dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza ( art. 136, prima comma, Cost. ).
I1 venir meno di tale norma, eliminando l'eccezionale salvezza della validità e degli effetti delle clausole gia stipulate, lascia queste ultime, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sotto il vigore della norma anteriormente vigente, alla stregua della quale, come si è detto, esse non possono che essere dichiarata nulle, perchè stipulate in violazione dell'art. 1283 c.c..
Completando l'excursus storico-giuridico in argomento, va detto che un'opinione interpretativa di giudici di merito vorrebbe non applicabile la disciplina dell'art. 1283 c.c. ai contralti di conto corrente bancario per il disposto degli artt. 1831, 1825 e 1823 c.c., in base ai quali la differente disciplina promanerebbe dalla circostanza della chiusura periodica del conto, in genere trimestrale o semestrale, che legittimerebbe la capitalizzazione.
Tale impostazione e stata espressamente censurata dalla pronuncia della Corte di Cassazione del 21/10/2002 n. 14091, la quale ha cosi statuito sul punto:
" Un patto anatocistico preventivo non può ritenersi legittimato dalla applicabilità degli artt. 1823, 1825 e 1831 c.c. anche al conto corrente bancario.' Chè, anzi, al conto corrente bancario resta applicabile la disciplina dell'art. 1283 c.c., mentre ad esso non è applicabile, in quanto non richiamata dall'art. 1857 c.c., la disciplina del conto corrente ordinario, secondo la quale ex artt. 1831 e 1825 c.c., gli interessi vengono liquidati ad ogni chiusura del conto e la relativa capitalizzazione inserita nella liquidazione del saldo."
I1 divieto di anatocismo vale a livello generate, qualunque sia 1'intervallo di tempo considerate, con il risultato che sono anatocistici anche gli interessi capitalizzati annualmente, il che implicherebbe un conteggio depurato totalmente degli interessi, da calcolarsi a parte senza capitalizzazione, con il computo dell'interesse semplice.
Quanto sopra vale anche per gli interessi di mora dopo la chiusura del canto.
Si osserva, poi, come la legge n. 24/2001 di conversione del d.l. 29/12/2000 n. 394, c.d. di "Interpretazione autentica della legge 713192 n. 108, recante disposizioni in materia di usura" e universalmente considerata applicabile solo ai mutui a tasso fisso e quindi non appare rilevante nella ipotesi di specie.
In realtà al C.T.U. si è posto il quesito del calcolo del dovuto con la capitalizzazione annua, ad analogia di quanto disposto dall'art. 1284 c.c. e secondo gli indici di rivalutazione Istat che sono sempre su base annua, il che, però, a rigore logico, costituisce un favor per la banca.
Della violazione dei principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto
Il diniego della banca di addivenire ad una composizione bonaria della vicenda e soprattutto, la mancata produzione dei tabulati in suo possesso per il periodo antecedente il 1992, quello nel quale è verosimile siano maggiormente lievitati gli interessi, appare contrario ai principi di buona fede nell'esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c. anche in riferimento alle norme poste a presidio dell'istituto del mandato al quale deve conformarsi la banca.
Del pari, del tutto contrario alla correttezza nel sinallagma contrattuale, è stata la segnalazione alla Centrale Rischio, in pendenza del rapporto, quando verosimilmente, non erano mutate le condizioni personali e patrimoniali dell' ing. D'Aco e non essendo integrata nessuna delle condizioni che legittimano l'allarme medesimo, secondo le stesse istruzioni della Banca d'Italia e le norme regolamentari interne anche a ciascun istituto di credito.
Sul punto, la convenuta non si è sostanzialmente difesa, evidentemente arrogandosi la pretesa di attivarsi in qualunque momento, al di fuori della verifica di ogni presupposto del protocollo applicativo.
I1 detto comportamento assume una connotazione gravissima e dal punto di vista della dinamica del contratto, valendo come elemento di ritorsione canto la richiesta di chiarificazione degli addebiti da parte del correntista e per quel che concerne la possibilità dell'attore di accedere al credito, preclusagli presso qualunque banca, in conseguenza di tale segnalazione.
Non vi è dubbio che questa condotta, contrattualmente scorretta, possa essere generatrice di un danno risarcibile, per come è stato richiesto e che potrà essere liquidato in via equitativa.
Anche la questione della difforme ed incontrollata computazione della valuta, a seconda che sia a credito o a debito per la banca costituisce senz'altro argomento valido di sostanziale contestazione del finale saldoconto bancario, ma non si è potuto tradurla in un apposito quesito al CTU per la complessità dell'accertamento a distanza di tanti anni e comunque anche di questo potrà tenersi canto in sede di quantificazione definitiva del debito.
d) Altre questioni rilevabili di ufficio
Invero, si ravvisano nel contratto anche altre clausole nulle, quali la commissione di massimo scoperto, con un costo aggiuntivo non previsto in alcuna disposizione di legge; essa è, secondo l'accezione data dalla Banca D'Italia, il corrispettivo per una prestazione effettuata dalla banca erogatrice del credito. Tale prestazione consisterebbe nel tenere a disposizione del cliente una certa giacenza liquida per potergli permettere in qualsiasi momento l'intero utilizzo del fido. Questo impegno si tradurrebbe in maggiori costi della gestione della tesoreria, a compenso dei quali le banche richiedono la corresponsione della commissione di massimo scoperto.
Quindi tale clausola non costituirebbe un interesse in senso proprio e secondo qualche autore esperto di legislazione bancaria, perciò sfuggirebbe al divieto di anatocismo: la Banca D'Italia ha ritenuto che la voce non rientra nel calcolo del TEG ( tasso effettivo globale ) ed ha ritenuto di pubblicarla a parte.
In verità, tale opzione è determinata da necessità del tutto diverse, relative alle differenti modalità di calcolo della commissione di massimo scoperto rispetto agli interessi.
Se, infatti, si rilevasse la commissione sul massimo scoperto come un interesse anche nei conti correnti che sono esposti per periodi di pochi giorni, si otterrebbero dei risultati aberranti che porterebbero a considerare usuraie anche piccole somme percepite come commissione sul massimo scoperto.
Va rilevato che l'indicazione sui contratti bancari, come nell'ipotesi specifica, della mera percentuale di calcolo non appare sufficiente a soddisfare il requisito della determinabilità a priori richiesto dall'art. 1346 c.c.; infatti, la banca non chiarisce se per massimo scoperto si debba intendersi il debito massimo che il conto corrente raggiunge anche per un solo giorno o quello che duri almeno dieci giorni,oppure sull'importo generate dei prelevamenti o altro ancora.
Ne consegue la nullità di detta clausola; anche sotto il profilo della illiceità della causa essa non trova valida giustificazione in chi vorrebbe spiegarla come il pagamento per il maggior rischio che la banca si assume in proporzione all'ammontare dell'utilizzo, se cosi fosse, essa non dovrebbe insistere sulla punta massima di scopertura ma dovrebbe parametrarsi ad ogni singola variazione in pia o in meno e per la durata medesima.
Inoltre, l' incidenza dovuta all'incremento del rischio dovrebbe gi a essere calcolata in partenza, al momento della concessione del fido e dovrebbe essere progressiva, mentre non lo è.
Last, but not least, la commissione sul Massimo scoperto non può essere considerata ne un interesse, appunto, ne un accessorio dell' interesse, in quanto, se " l'interesse compensativo è - come enuncia l’art. 820 c.c., 3° c. - il corrispettivo del godimento del denaro altrui, esso non può che far riferimento giorno per giorno (vedi art. 821, 3° c. c.c. ) al capitale effettivamente prestato dalla banca al cliente.
Dunque, detta clausola e da considerarsi nulla, come ritenuto anche dal Trib. di Milano nella sent. 4/7/2000, confermata dalla giurisprudenza della Suprema Corte, che aderisce pienamente all'impostazione sostanzialmente anatocistica, e quindi vietata con nullità assoluta, della commissione massimo scoperto.
Esame della C.T.U. e quantificazione finale del dovuto
L'ausiliare del Giudice ha risposto correttamente ai quesiti postigli, che sono del seguente tenore, a puntuale esplicazione dei principi di diritto e delle interpretazioni giurisprudenziali oggi conclamate:
“1) Ricostruisca dal suo sorgere i rapporti dare-avere tra le parti al fine di quantificare il saldo effettivo, con applicazione:
a) come saggio di interesse del tasso soglia a far tempo dall'entrata in vigore della legge n. 108/96 e a ritroso del tasso devalutato annualmente sino al 1975;
b) di capitalizzazione analitica annuale;
c) con esclusione della clausola di massimo scoperto e di ogni altra nulla; d ) con imputazione dei pagamenti prima agli interessi e poi al capitale; 2 ) Ogni altro elemento utile."
La banca opposta non ha proposto censure specifiche all'elaborato che ne e risultato.
Il dott. Di Vito ha, infatti, applicato i tassi debitori applicati dalla banca solo quando erano inferiori al tasso soglia, per il resto sostituendo tale saggio, come determinato trimestralmente dai D.M.; per i1 periodo pregresso all'entrata in vigore della legge antiusura si e adottato il criterio del tasso soglia devalutato a ritroso annualmente, secondo gli indici Istat, applicando un principio giurisprudenziale di larga utilizzazione nelle ipotesi risarcitorie.
Il dato sembra al giudicante assai pertinente e maggiormente rispondente ai meccanismi di mercato effettivi rispetto al tasso legate, consentendo una remunerazione del costo del denaro che tiene canto effettivo, ma con un metodo di calcolo predeterminato, delle variazioni dei tassi.
Quando al rilievo possibile che il contralto in oggetto e stato stipulate prima dell'entrata in vigore della legge antiusura e ne sarebbe quindi svincolato, sono intervenute puntuali pronunce delle Cassazione ( Sez. III, sent, 2/2/2000, n. 1126; Sez. I, 2/4/2000, n. 5286; Sez. I, 17/11/2000, n. 14899) che hanno statuito 1'applicabilità della legge n. 108/96 alla regolamentazione di rapporti con effetti ancora in corso, ancorchè sottoscritti precedenternente, stabilendo anche l'assoluta omogeneità di trattamento ai fini specifici degli interessi corrispettivi e moratori, poichè " il ritardo colpevole non giustifica di per se il permanere della validità di un' obbligazione cosi onerosa e contraria al principio generale posto dalla legge.
Il richiamo effettuato in della sentenza e sempre alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 204197 in tema di fideiussioni, che rigettava la concezione rigida del contratto, impermeabile alle innovazioni legislative.
Il risultato logico finale che ne consegue e, ancora una volta, la possibilità di sostituire clausole contrattuali divenute illecite, per legge sopravvenuta, con clausole rispondenti alla nuova disciplina.
In termini numerici nee scaturito un conteggio, in effetti diminutivo rispetto a quanto calcolato dalla banca alla data di proposizione dell'atto di citazione ( maggio 2001 ), cioe part a L. 28.479.887 ( con una differenza di L. 2.387.170) che, pero, va ulteriormente decurtato di almeno lire 2.000.000 stabiliti in via equitativa, per il periodo a ritroso dal 1975 al 1990, lasso temporale che non è stato preso in considerazione dal CTU, il quale, inoltre non ha potuto considerare la problematica dei momenti di appostazione sul conto corrente delle valute. Per detto aspetto, nonchè per le commissioni di massimo scoperto nel periodo pregresso rispetto a quello considerato dal Dott. Di Vito, dal 1975 al 1990, può riconoscersi un ulteriore dimininuzione di lire 500.000, così pervenendosi ad un debito di lire 25.979.887 (lire 28.479.887 - lire 2.500.000 - lire 500.000), il tutto da riconvertirsi in euro e da riconoscersi alla data di maggio 2001.
Per i comportamenti che violano le regole di correttezza nell'esecuzione dei contratti, come sopra esplicitate, e segnatamente per la segnalazione illegittima alla Centrale dei Rischi della Banca d'Italia, compete all'ing. D'ACO un risarcimento dei danni, ragguagliato alla mancata liquidità che lo stesso avrebbe potuto conseguire presso un altro istituto di credito per sanare lo scoperto con la CARIME e, quindi, definibile in euro 12.500,00.
Le spese processuali, ivi comprese quelle della CTU come separatamente liquidate, vanno poste a carico della banca, totalmente soccombente e si liquidano in complessivi euro 3.350,00, di cui euro 250,00 per esborsi, euro 2.000,00 per onorario ed il resto per diritti, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.
La presente sentenza è immediatamente esecutiva per legge.
PQM
definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da D'ACO Stefano contro la BANCA CARIME SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, con atto di citazione notificato il 28 aprile 2001, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede:
1) ACCOGLIE la domanda, per l'effetto dichiarando che il debito da parte dell'Ing. D'Aco nei confronti della Banca CARIME Spa, in relazione al contratto di conto corrente di cui, all'oggetto è pari a lire 25.979.887 - ed oggi il rispondente in euro - alla data del maggio 2001;
2) CONDANNA, altresì, la Banca CARIME al risarcimento dei danni patrimoniali per scorretto comportamento contrattuale, liquidati in complessive euro 12.500,00;
3) CONDANNA la Banca convenuta al pagamento delle spese processuali, ivi comprese quelle di CTU, queste ultime come separatamente liquidate, determinate in complessive euro 3.550,00 oltre IVA, CAP e spese generali come per legge, di cui euro 250,00 per esborsi di lite, euro 1.100,00 per diritti ed il resto per onorario, ponendole a carico della banca opposta.
Così deciso in Vibo Valentia il 28 settembre 2005
Il Giudice Unico
Dott. PASQUIN Patrizia
Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2006
Il Cancellire Dott. Giglietta
VI
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI PESCARA
In composizione monocratica ed in persona del Giudice Dott. Gianluca Falco, ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 298/06
Nella causa civile in I grado, iscritta al N° 1698 del Ruolo Generale dell’anno 2003, trattenuta in decisione all’udienza del 6.10.2005, promossa da:
D’ANDREAMATTEO GIUSEPPE, residentein Città S. Angelo (PE), selettivamente domiciliato in Pescara, Via elettra n.50, presso lo studio dell’Avv. Alberto Lorenzi che lo rappresenta e difende come da mandato a margine dell’atto di citazione, unitamente e disgiuntamente all’Avv. Antonio Tanza, come da mandato a margine della costituzione di nuovo difensore apposta a margine della memoria ex art. 183, V comma, c.p.c. depositata il 17.11.2003.
-attore-
CONTRO
S.I.G.R.E.C. Spa., con sede in Roma, Via dei Montecatini n. 17, in persona del Legale Rappresentante pro tempore, quale mandataria, in virtù di procura generale per atto Notaio Antonio Maria Zappone di Roma del 2.8.2002, Rep. 72286, Racc. 7485, di BANCA DI ROMA S.p.a.- GRUPPO BANCARIO CAPITALIA, con sede in Roma, Viale U. Tupini n. 180, selettivamente domiciliata presso lo studio legale dell’Avv. Alberto De Donatis che la rappresenta e difende come da mandato in calce alla comparsa di risposta.
- convenuta –
OGGETTO: diritto bancario
CONCLUSIONI
All'udienza del 6.10.05 per l'attore il difensore [...] "precisa le proprie conclusioni riportandosi a quelle già precisate in atti (citazione e memoria 183) chiedendo, in particolare, la condanna del BANCO DI ROMA al pagamento della somma come evidenziata dalla CTU a credito del correntista, oltre spese di CTU e legali" Per la convenuta il difensore [...] " precisa le proprie conclusioni riportandosi a quelle avanzate negli atti e nei verbali di causa. In particolare chiede che il credito dell'Istituto convenuto sia determinato e accertato secondo quanto precisato in CTU, con determinazione annuale di cui alla capitalizzazione degli interessi passivi, ivi comprese le spese e gli oneri accertati dal CTU relativi al rapporto di conto corrente intercorso tra le parti, nel caso di non pattuizione contrattuale degli interessi e per il periodo di riferimento. Con applicazione degli interessi debitori sulla base degli interessi debitori pattuiti tra le parti, sempre con individuazione a credito dell'Istituto convenuto di tutte le spese e gli oneri, nonché ogni altra remunerazione, applicata al rapporto, siccome individuata dal CTU, vinte le spese e competenze del giudizio. Chiede autorizzarsi il ritiro del fascicolo di parte e quello di cui al procedimento cautelare incardinato ex art. 669 quater, vinte le spese e competenze anche della menzionata fase cautelare già espletata".
FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 25.3.2003, ritualmente notificato, D'ANDREAMATTEO GIUSEPPE conveniva
in giudizio la BANCA DI ROMA S.p.a. deducendo - per quanto qui interessa- che:
• Aveva intrattenuto con la convenuta- dal 5.2.92 al 8.1.03- un rapporto di apertura di credito in conto corrente n. 80837 con affidamento.
• Alla data del 8.1.03 la convenuta gli aveva comunicato il proprio recesso dal rapporto, contestualmente chiedendogli il pagamento della somma di €. 15.466,29 quale asserito saldo finale del conto a debito del correntista.
• Dalle risultanze emerse da una consulenza tecnico-contabile fatta eseguire dall'esponente, era tuttavia emerso che il credito della Banca ammontava in realtà- previa depurazione dei costi illegittimamente pretesi dalla prima- alla minor somma di €. 3.565,16.
Trattavasi infatti di rapporto bancario connotato- secondo la prospettazione attorca- da:
• Nullità ex artt. 1346/1284 c.c. della clausola di determinazione del tasso di interesse ultralegale mediante il rinvio ali' "uso piazza".
• Illegittimità ex art. 1283 c.c. della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista.
• Illegittimità della applicazione della Commissione di massimo scoperto, conteggiata dalla Banca ancorché mai pattuita nel contratto.
• Illegittimità della applicazione della cd. "antergazione e/o postergazione" delle valute come conteggiata dalla Banca ancorché mai pattuita nel contratto.
• Eccessività del costo effettivo del credito tale da esigere la verifica dell'eventuale superamento dei
tassi soglia di cui alla legge n. 108/96.
Tanto premesso, l'attore concludeva chiedendo la depurazione giudiziale dell'asserito credito della Banca dai costi derivati dalle pretese indebite ed invalide summenzionate, con conseguente accertamento dell'inesistenza di qualsivoglia residuo credito della controparte ovvero dell'esistenza di un minor credito rispetto a quello preteso in sede stragiudiziale, ovvero, qualora fosse risultato un credito a favore dell'esponente, la condanna della convenuta al pagamento del medesimo, oltre al risarcimento dei danni per violazione del principio di buona fede e correttezza da determinarsi in via equitativa. Con vittoria di spese ed onorari di giudizio.
Con comparsa di risposta depositata in data 3.6.2003 si costituiva in giudizio la Società S.I.G.R.E.C. S.p.a.., con sede In Roma, Via dei Montecatini n. 17, in persona del Legale Rappresentante prò tempore, quale mandataria, in virtù di procura generale per atto Notaio Antonio Maria Zappone di Roma del 2.8.2002, Rep. 72286, Racc. 7485, di BANCA DI ROMA S.p.a.- GRUPPO BANCARIO CAPITALIA, con sede in Roma, Viale U. Tupini n. 180, la quale, contestando la fondatezza delle avverse domande e chiedendone il rigetto, deduceva:
• L'intervenuta decadenza ex artt. 1832/1857 c.c. del correntista dalla facoltà di contestare la debenza delle somme annotate negli estratti conto del rapporto bancario in questione, estratti conto che gli erano stati sempre regolarmente inviati e mai dal medesimo contestati.
• L'intervenuta prescrizione ex art. 2948 c.c. degli interessi eventualmente maturati in favore del correntista nell'ambito del rapporto in parola.
• La piena legittimità della analitica pattuizione scritta delle condizioni del rapporto di conto corrente avvenuta con la conferma di fido del 23.3.1998 sottoscritta dal cliente ed allegata agli atti.
• La liceità del riferimento alle condizioni usualmente praticate dalla piazza per la determinazione del tasso di interesse convenzionale passivo.
• La legittimità della capitalizzazione trimestrale passiva degli interessi perché fondata su un uso normativo.
• La pretestuosità della doglianza attorca relativa all'asserita usurarietà del tasso effettivo del
contratto.
Tanto premesso, la convenuta concludeva chiedendo in via principale il rigetto delle avverse domande, in via riconvenzionale la condanna dell'attore al pagamento della somma di €. 15.597,54 oltre accessori quale saldo passivo finale del conto come risultante dall'estratto conto di chiusura del 2.5.03 autenticato ex art. 50 TUB, in via subordinata la condanna della controparte al pagamento della diversa somma risultata dovuta, previa compensazione con eventuali controcrediti dell'attore. Con vittoria delle spese processuali.
Acquisita la documentazione prodotta dalle parti, espletata la trattazione della causa, rigettato il ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c., proposto in corso di causa dall'attore, per le motivazioni di cui alla relativa ordinanza, espletata una CTU ex art. 198 c.p.c. per la ricostruzione contabile del rapporto controverso, le
parti precisavano le rispettive conclusioni all'udienza del 6.10.2005. All'esito il Giudice tratteneva la causa in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda proposta da D'ANDREAMATTEO GIUSEPPE risulta fondata nella misura e per le considerazioni che di seguito vengono esposte.
È innanzitutto opportuno premettere sinteticamente che:
• Tra le parti è intercorso - dal 5.2.92 al 8.1.03- un rapporto di apertura dì credito in conto corrente n. 80837 con affidamento (circostanza pacifica: cfr. le relative deduzioni processuali delle parti; cfr. anche gli estratti conto prodotti; cfr. l'ulteriore documentazione in atti).
• Nessuna delle parti ha prodotto in giudizio il contratto del 5.2.92 di "accensione" dell'apertura di credito in c/c in questione (cfr. la documentazione in atti; cfr. la CTU).
• Dal 5.2.1992 e sino alla data del 23.3.1998 la Banca ha applicato al rapporto in questione interessi ultralegali "uso piazza", commissioni di massimo scoperto e capitalizzazione trimestrale degli interessi e della CMS a debito del correntista (circostanza pacifica e documentale: cfr. le relative deduzioni processuali delle parti; cfr. gli estratti conto prodotti; cfr. la relazione di CTU).
• L'attore ha ritualmente dedotto (allegato) il fatto "negativo" della mancanza, nel predetto contratto del 1992 (contratto- come detto- non prodotto in giudizio da alcuna delle parti), di qualsivoglia pattuizione di commissioni di massimo scoperto, di regolamentazione temporale delle valute e di spese di tenuta e gestione del conto (cfr. l'atto di citazione e le ulteriori deduzioni processuali).
• La convenuta non ha né controdedotto né tanto meno provato il fatto "positivo" della avvenuta pattuizione- nel contratto "iniziale" di cui si discute- di tali "costi" del credito (cfr. la comparsa di risposta e le ulteriori deduzioni processuali).
• In data 23.3.1998 le parti- sottoscrivendo il contratto allegato in atti (cfr. il doc. 3 del fascicolo della convenuta)- hanno "rinegoziato" (ovviamente per il futuro: cfr. il testo contrattuale) le condizioni del rapporto, ivi convenzionalmente determinando- in misura numerica ed in maniera analitica- i tassi di interesse, le altre remunerazioni, le spese e la commissione di massimo scoperto (cfr. il contratto del 23.3.1998).
• II rapporto si è quindi chiuso in data 21.3.2003 con giro del conto a sofferenza (cfr. la
documentazione contabile in atti; cfr. la CTU).
Orbene, fatta questa preliminare "ricognizione" sulle acquisite risultanze processuali, si deve procedere all'esame del merito della controversia.
Al riguardo deve innanzitutto dichiararsi l'infondatezza della preliminare eccezione sollevata dalla convenuta in ordine alla asserita intervenuta prescrizione ex art. 2948 c.c. del diritto del correntista di ripetere le somme eventualmente a suo credito in quanto:
• Il termine di prescrizione dei diritti di credito nascenti da un rapporto di apertura di credito in conto corrente deve essere calcolato con decorrenza dalla data in cui essi divengono esigibili per effetto del recesso della banca dall'apertura di credito e, comunque, della chiusura del conto corrente, dovendosi valorizzare il legame intercorrente fra la pluralità di atti esecutivi in virtù dell'unicità del rapporto giuridico derivante dal contratto unitario di conto corrente (cfr. da ultimo Cass. Sez. 1, Sentenza n.10127 del 2005: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5720 del 23/03/2004; Cass. Sentenza n. 4659 del 11/05/1999; Cass. N. 3783 del !998; Cass . 1984/2262, Cass. 1956/2488; riferimenti normativi: Cod. Civ. art. 1845, Cod. Civ. art. 1936, Cod. Civ. art. 2935).
• Ne consegue che la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2948 c.c- richiamata dalla convenuta- riguarda i crediti corrispondenti a ciò che deve pagarsi periodicamente (ad anno o in termini più brevi) e dunque non risulta applicabile a rapporti obbligatori per i quali la periodicità sia, o sia stata dalle stesse parti del rapporto, prevista con riferimento alla presentazione di rendiconti e non anche al pagamento dei debiti accertati e liquidati nei rendiconti medesimi (v. Cass. n. 826 del 1977), indicazione di genus, questa, che ben può essere riferita alla disciplina del contratto di conto corrente ove comunicazione periodica del conto (art. 1831) e meccanismi di approvazione del medesimo (art. 1832) non tolgono l'unicità e la continuità del rapporto sino alla chiusura del conto (ancora art. 1831. 1833 e 1857) (così testualmente Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5720 del 2004 in motivazione; cfr. anche Cass. n. 5481 del 1997, n. 3783 del 1998. n. 5024 del 2001).
• Nel caso di specie la chiusura del conto in contestazione è avvenuta per giro a sofferenza in data 21.3.2003.
• Ne consegue- quindi e con evidenza- la infondatezza della eccezione dì prescrizione dei diritti pecuniarì rivendicati sul conto medesimo dall'attore con la domanda giudiziale notificata alla controparte in data 2.4.2003.
Deve a questo punto affermarsi la nullità per indeterminatezza del tasso di interesse ultralegale "uso piazza" (concordato tra le parti nel contratto del 5.2 1992, applicato dalla Banca e rimasto "vigente" tra le parti stesse sino alla rinegoziazione dei tassi avvenuta del 1998) in quanto:
• E’ noto che in tema di contratti bancari, nel regime anteriore alla entrata in vigore della disciplina dettata dalla legge sulla trasparenza bancaria 17 febbraio 1992, n. 154, poi trasfusa nel testo unico 1 settembre 1993, n. 385, la clausola che, per la pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale, si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, è priva del carattere della sufficiente univocità, per difetto di univoca
determinabilità dell'ammontare del tasso sulla base del documento contrattuale, e non può quindi giustificare la pretesa della banca al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale
quando faccia riferimento a parametri locali, mutevoli e non riscontrabili con criterì di certezza (e non anche quando rimandi ad una disciplina stabilita su scala nazionale in termini chiarì e vincolanti, sempre che questa non sia a sua volta nulla in quanto integrante accordi di cartello, vietati dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287: cfr. da ultimo Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4094 del 25/02/2005; Cass. N. 4490 del 2002; Cass. N. 13823 del 2002;
Cass. N. 10129 del 2001; riferimenti normativi: Cod. Civ. art. 1284, Cod. Civ. art. 1339, Cod. Civ. art. 1419, Legge 17/02/1992 num. 154 art. 4, Legge 01/09/1993 num. 385 art. 117).
• Inoltre, sempre in relazione ai contratti di conto corrente bancario ai quali si applica, "ratione temporis" e come nella specie, l'art. 8 della legge n. 64 del 1986 (abrogato dall'art. 4 della legge n. 488 del 1992 con decorrenza dal 1° maggio 1993), deve ritenersi nulla la clausola contrattuale che rinvia, per la determinazione del saggio convenzionale degli interessi, agli usi praticati su piazza, in quanto tale norma vieta con disposizione non derogabile la differenziazione dei tassi di interesse in relazione alle singole zone del territorio, con salvezza solo dei tassi più favorevoli per il correntista previsti espressamente dalla legge per le zone più svantaggiate (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4095 del 25/02/2005; riferimenti normativi: Cod. Civ. art. 1284, Legge 01/03/1986 num. 64 art. 8, Legge 19/12/1992 num. 488 art. 4; cfr. Cass. N. 5675 del 2001; Cass. N. 4490 del 2002; Cass. N. 13739 del 2003).
• La legge n. 64 del 1986 stabilì infatti, all'art. 8 (poi abrogato dall'art. 4 della legge n. 488 del 1992, con decorrenza dall'1 maggio 1993), che "le aziende e gl'istituti di credito, salve le disposizioni della presente legge, debbono praticare, in tutte le proprie sedi principali e secondarie, filiali, agenzie e dipendenze, per ciascun tipo di operazione bancaria, principale o accessoria, tassi e condizioni uniformi, assicurando integrale parità di trattamento nei confronti della stessa azienda o istituto, a parità di condizioni soggettive dei clienti, ma esclusa, in ogni caso, la rilevanza della loro località di insediamento o della loro operatività territoriale". Tale norma, inserita in un testo legislativo riguardante l'intervento straordinario nel Mezzogiorno ed ancora vigente all'epoca della stipulazione del contratto del 5.2.1992, ebbe quindi a vietare, con una prescrizione non derogabile in quanto volta alla tutela dell'interesse pubblico alla parità di trattamento degli utenti del credito bancario su tutto il territorio nazionale, la differenziazione dei tassi d'interesse in relazione alle singole zone del territorio stesso, con salvezza solo dei tassi più favorevoli espressamente previsti dalla stessa legge per le zone svantaggiate.
• Successivamente, già prima dell'abrogazione della legge n. 488 del 1986, entrò in vigore la legge n. 154 del 1992, la quale, all'art. 3, rese obbligatoria la forma scritta per i contratti bancari, statuendo espressamente all'art. 4 che "le clausole contrattuali di rinvio agli usi sono nulle e si considerano non apposte" (norma trasfusa poi nel più ampio testo dell'art. 117 del d.lgsl. n. 385 del 1993, contenente 11 testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia).
• Considerato che il contratto di conto corrente in relazione al quale si controverte è stato aperto il 5.2.1992 e quindi prima della entrata in vigore della Legge n. 154 del 17 febbraio 1992, ne deriva inesorabilmente la nullità ex art. 1346 c.c./1284 c.c./ 8 della legge n. 64 del 1986 della clausola di rinvio agli usi su piazza per la determinazione degl'interessi (cfr. la citata Cass. Sentenza n. 4095 del 25/02/2005).
• Trattasi inoltre di clausola che- in quanto stipulata anteriormente all'entrata in vigore della legge
sulla trasparenza bancaria 17 febbraio 1992, n. 154, sarebbe in ogni caso divenuta inoperante a
partire dal 9 luglio 1992 - data di acquisto dell'efficacia delle disposizioni della citata legge qui
rilevanti, ai sensi dell'art. 11 della medesima -, atteso che la previsione imperativa posta dall'art. 4 della legge là dove sancisce la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse, se non incide, in base ai principi regolanti la successione delle leggi nel tempo, sulla validità delle clausole contrattuali inserite in contratti (come nella specie) già conclusi, impedisce tuttavia che esse possano produrre per l'avvenire ulteriori effetti nei rapporti ancora in corso. Ad un tal riguardo, per rapporti in corso devono intendersi i rapporti, anteriormente costituiti, non ancora esauriti, alla data di inizio dell'operatività della norma sopravvenuta, per non avere il debitore, indipendentemente dalla pregressa "chiusura" del conto corrente bancario, adempiuto alla propria obbligazione, atteso che la già riferita innovazione impinge sulle stesse caratteristiche del sinallagma contrattuale, generatore di conseguenze obbligatorie protraentisi nel tempo (cfr. testualmente Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13739 del 18/09/2003; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4490 del 28/03/2002).
• Da quanto detto consegue che deve applicarsi al rapporto in questione il tasso di interesse legale dalla apertura del conto (5.2.1992) sino alla data della scrittura del 23.3.1998 di rinegoziazione del conto (e del tasso di interesse), il tasso ultralegale numerico determinato validamente in detta ultima scrittura per il periodo di rapporto successivo al 23.3.1998 e sino alla chiusura del conto avvenuta il 21.3.2003.
Una volta individuato il tasso di interesse passivo legittimamente applicabile al rapporto bancario di cui è causa, deve a questo punto essere affrontata la diversa questione della legittimità o meno della capitalizzazione degli interessi passivi operata dalla banca durante il rapporto nella misura analiticamente ricostruita dal CTU.
Si è già detto che nell'intero rapporto bancario di cui è causa la capitalizzazione degli interessi debitori è avvenuta trimestralmente, a fronte di una capitalizzazione annuale degli interessi creditori (cfr. gli estratti conto relativi all'intero rapporto di conto corrente; cfr. la rinegoziazione delle condizioni contrattuali avvenuta in data 23.3.1998; cfr. la mancanza di contestazioni sul punto della Banca).
Al riguardo è noto che questo Giudice condivide l'arresto interpretativo della costante giurisprudenza di legittimità, ormai consacrato anche dalle S.U. della Cassazione (sentenza n. 21095 del 7.10/4.11.2004) e, quindi da ritenersi definitivamente consolidatosi sul punto, il quale- com'è noto- ha statuito l'illegittimità del fenomeno della capitalizzazione trimestrale degli interessi in materia bancaria, in quanto prassi contraria alla norma imperativa di cui all'art. 1283 c.c. e non trasfusa in un uso normativo, con conseguente nullità ex tunc ex artt. 1283/1284/1419 c.c. delle clausole negoziali di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi anche in relazione ai periodi anteriori al noto mutamento giurisprudenziale avvenuto nel 1999 (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n.10127 del 2005; Cass. N. 10599/2005; Cass. S.U. n. 21095/2004; Cass. N. 2593/2003; Cass. N. 17813/2002; Cass. N. 8442/2002; Cass. N. 4490/2002; C.Cost. n. 425/2000; per la giurisprudenza di merito cfr. Trib Torino 7.1.2003; Trib. Napoli 27.11.2002; Trib Roma 8.11.2002; Corte App. L'Aquila 11.6.2002).
Inoltre, tale conclusione appare legittima anche con riferimento al contratto di conto corrente bancario, non condividendosi le argomentazioni talvolta utilizzate da una giurisprudenza minoritaria ( cfr. Trib. Roma sent.27.1.2003 e da ultimo sent. 11.11.2004; cfr. C. Appello Torino 7.5.2004; cfr. anche Trib. Palermo 6.9.2002) a sostegno dell'applicabilità a tale "tipo" negoziale dell'anatocismo cd "indiretto" ( in quanto mediato dal meccanismo di chiusura del conto) ex art. 1831 c.c. previsto per il conto corrente ordinario: in particolare si contesta l'applicabilità della norma appena menzionata al conto corrente bancario, sia per l'insuperabilità del dato testuale dell'art. 1857 c.c. (che non richiama tale norma per il conto corrente bancario), sia in quanto
interpretazione analogica non può essere richiamata in ragione della profonda diversità di ratio tra il conto corrente bancario- che prevede l'esigibilità a vista del saldo ex art. 1852 c.c., e conto corrente ordinario, che
prevede l'inesigibilità delle prestazioni ex art. 1823 c.c.. Per cui, se il saldo del conto corrente bancario è
esigibile in ogni momento, non ha senso applicare l'art. 1831 c.c., in quanto tale norma ha la funzione di
rendere esigibile il saldo per il conto corrente ordinario (per la indiscutibile applicazione della disciplina di
cui all’art.1283 c.c. anche ai contratti bancari in c/c si veda la sentenza delle S.U. Cass. n. 21095/04 più
volte citata; cfr. da ultimo a tale specifico riguardo Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10127 del 2005, già citata, in
motivazione, la quale ha anche confutato con adeguati argomenti la tesi che la convenuta, parafrasando le
sentenze prima menzionate del Tribunale di Roma 11.11.2004 e della Corte d'Appello di Torino 7.5.2004, ha
propugnato in comparsa conclusionale circa una presunta inapplicabilità della fattispecie delineata dall'art.
1283 c.c. al fenomeno dell'annotazione in conto corrente degli interessi scaduti: l'inapplicabilità dell'art. 1283
deriverebbe- secondo la isolata tesi in parola- dal fatto che la somma di cui il correntista può disporre ai sensi
dell'art. 1852 c.c. c.d. saldo disponibile, sarebbe costituito sia dalle somme depositate che da quelle tenute a
disposizione dalla Banca, sicché l'annotazione in conto corrente di qualsiasi posta costituirebbe il mezzo
attraverso il quale le parti regolano le reciproche obbligazioni, delle quali rappresenterebbe una modalità di
adempimento, e la stessa ravvisata fattispecie della produzione di interessi su interessi scaduti non sarebbe
quindi neppure ipoteticamente configurabile. La detta prospettazione è stata tuttavia già smentita dalla citata
Cassazione, sia sulla base di quanto prima evidenziato in ordine alla "ontologica" differenza strutturale tra
conto corrente ordinario e conto corrente bancario, sia perché gli interessi nelle obbligazioni pecuniarie,
quale quella in oggetto, si determinano su crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro (art. 1282 c.c.),
l'estratto conto si intende approvato se non contestato (art. 1832 richiamato dall'alt. 1857 c.c.) ed è quindi da
tale data che sono computabili gli interessi sul debito esistente. Da ciò discende pertanto l'inconsistenza,
sotto il profilo normativo, della ricostruzione suggerita dalla convenuta, ricostruzione che avrebbe una
valenza rilevante esclusivamente in via astratta e prescindendo dal rapporto concretamente considerato in
cui la pretesa creditoria della banca è stata formulata con il computo degli interessi sugli interessi scaduti in
violazione dell'art. 1283 c.c.:cfr. testualmente in questi termini Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10127 del 2005, in
motivazione).
La capitalizzazione trimestrale applicata dalla banca nel rapporto di conto corrente di cui è causa deve pertanto essere dichiarata illegittima.
Né una tale declaratoria di illegittimità (come quella relativa al tasso di interesse ultralegale "uso piazza") è inibita -come invece sostenuto da parte convenuta- dalla mancata contestazione da parte dell'attore degli estratti conto in pendenza di rapporto; infatti è noto che la mancata tempestiva contestazione dell'estratto conto trasmesso da una banca al cliente rende inoppugnabili gli addebiti soltanto sotto il profilo meramente contabile, ma non sotto i profili della validità e dell'efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano: in tal caso, infatti, l’impugnabilità investe direttamente il titolo, non essendo limitata alla contestazione di accrediti e di addebiti sotto il profilo contabile, ed è regolata dalle norme generali sui contratti (cfr. Cass. N. 18626/2003; Cass. N. 6548/2001; Cass. N. 12507/1999; Cass. N. 1978/1996; Trib. Genova sent. 5.5.2002; C.App. Lecce n. 598/2001).
A questo punto, va affrontata la questione relativa agli effetti della illegittimità della capitalizzazione degli interessi: in particolare, occorre stabilire se, al di là della sicura impossibilità di capitalizzare gli interessi con frequenza trimestrale, debba essere esclusa qualsiasi capitalizzazione ovvero possa individuarsi una diversa frequenza di legittima capitalizzazione degli interessi (a favore di entrambe le parti del rapporto). Al riguardo una parte della giurisprudenza di merito, seguita anche da alcuni Giudici di questo Tribunale, si è più volte espressa in favore del riconoscimento, pur in presenza di una clausola anatocistica nulla ex art. 1283 c.c., di una capitalizzazione annuale degli interessi comunque ricavabile dal sistema normativo codicistico dettato per le obbligazioni pecuniarie, nel cui alveo e nella cui disciplina sarebbero pienamente riconducibili- secondo la tesi in discorso- anche le obbligazioni di interessi.
In particolare, questa posizione ermeneutica, partendo dalla premessa che "l’art.1283 c.c. non vieta il fenomeno dell’anatocismo in sé (consentendo, pur nel concorso delle condizioni della convenzione posteriore ovvero della domanda giudiziale, l'applicazione del meccanismo anatocistico agli interessi maturati per almeno sei mesi) bensì vieta soltanto in assoluto una frequenza infrasemestrale di applicazione dell'anatocismo ed in mancanza di determinati requisiti l'anatocismo semestrale", conclude sostenendo che la medesima norma permetterebbe un "fenomeno anatocistico con cadenza ultrasemestrale". Al riguardo, si osserva che "sarebbe possibile individuare nell'art. 1284 comma I c.c. la fonte di un fenomeno legale di anatocismo annuale (ovvero di risarcimento forfettario, con cadenza annuale, del danno da inadempimento dell'obbligazione pecuniaria di interessi)".
Infatti- si osserva- tale norma, nel prevedere che " il saggio degli interessi legali è determinato [...] in ragione di anno", individuerebbe, oltre ad un criterio di determinazione del tasso degli interessi dovuti, anche un principio generale di naturale scadenza ed esigibilità annuale degli interessi. Da tale scadenza conseguirebbe anche l'effetto, proprio della scadenza di ogni obbligazione, del risarcimento del danno da inadempimento, regolato, per le obbligazioni pecuniarie come quella di interessi, dall'art. 1224 c.c.. Da tutto ciò dovrebbe quindi desumersi che "ex lege ( in mancanza di convenzione contraria nei limiti consentiti dall'ordinamento) gli interessi producono interessi con cadenza annuale". Orbene, è ormai noto che a parere di questo Giudice una siffatta tesi non appare condivisibile in quanto non sembra rispettosa di due fondamentali principi di diritto: da un lato della natura imperativa e non derogabile della disciplina codicistica dettata dall'art. 1283 c.c. per regolare il fenomeno dell'anatocismo, e dall'altro della "specialità" dell'obbigazione di interessi rispetto al "genus" delle obbligazioni pecuniarie. Al riguardo assume assoluto rilievo quanto le stesse Sezioni Unite della Cassazione hanno chiaramente affermato nella sentenza n. 9653 del 17.7.2001 in relazione sia all'anatocismo sia alla natura dell'obbigazione di interessi. In particolare le Sezioni Unite- chiamate a dirimere un contrasto giurisprudenziale sorto sulla questione della configurabilità o meno dell'obbligazione di interessi (anche quando sia stata adempiuta l’obbligazione principale) come una qualsiasi obbligazione pecuniaria dalla quale derivi quindi anche il diritto agli ulteriori interessi di mora nonché al risarcimento del maggior danno (ex art. 1224 comma II c.c.) ovvero come una obbligazione sui generis soggetta soltanto alla regola dell'anatocismo, ha affermato i seguenti principi di diritto:
• "II debito di interessi pur concretandosi nel pagamento di una somma di denaro, non si configura come una obbligazione pecuniaria qualsiasi, ma presenta connotati specifici, sia per il carattere di accessorietà' rispetto all'obbligazione relativa al capitale, sia per la funzione (genericamente remuneratoria) che gli interessi rivestono, sia per la disciplina prevista dalla legge proprio in relazione agli interessi scaduti.
• In contrario non varrebbe opporre che il connotato di accessorietà' concerne il momento genetico
dell'obbligazione di pagamento degli interessi, destinata invece ad assumere nella c.d. fase dinamica una propria
autonomia, palesata dall'apposita previsione di un termine di prescrizione (art.2948, n. 4, cod. civ.), dalla
possibilità' di disporre separatamente del credito per interessi rispetto a quello di capitale, dalla possibilità' di
agire in giudizio indipendentemente dalla proposizione della domanda per il credito principale. Questi rilievi
sono esatti ma, non incidono sull'obbligazione de qua in guisa tale da trasformarne la natura, perche' non
alterano la già' segnalata funzione degli interessi e, soprattutto, non valgono a rimuovere le implicazioni
desumibili dalla specifica disciplina degli interessi scaduti.
• E lo stesso deve dirsi in relazione all'argomento secondo cui, quando l'obbligazione principale sia già' estinta per adempimento da parte del debitore, l'obbligazione per interessi dovrebbe comunque assumere carattere autonomo. Pur postulando tale autonomia (che pero' non può' portare a considerare irrilevante il momento genetico di quell'obbigazione), essa non e' idonea a trasformare la causa (funzione) dell'obbligazione medesima fino a rendere il debito per gli interessi scaduti una obbligazione pecuniaria come tutte le altre.
• Invero gli interessi scaduti, se equiparati in toto ad una qualsiasi obbligazione pecuniaria (credito liquido ed esigibile di una somma di denaro), sarebbero stati automaticamente produttivi d'interessi di pieno diritto, ai sensi dell'alt. 1282 cod. civile
• Tale effetto, invece, e' escluso dal successivo art. 1283 (dettato a tutela del debitore ed applicabile per ogni specie d'interessi, quindi anche per gli interessi moratori), alla stregua del quale, in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi (c.d. anatocismo o interessi composti).
• La citata disposizione non comporta soltanto un limite al principio generale di cui all'art. 1282 cod. civ., ma vale anche a rimarcare la particolare natura che, nel quadro delle obbligazioni pecuniarie, la legge attribuisce al debito per interessi, con la previsione di una disciplina specifica, che si pone come derogatoria rispetto a quella generale in tema di danni nelle obbligazioni pecuniarie, stabilita dall'art. 1224 cod. civile, e che proprio per il suo carattere di specialità' deve prevalere su quest'ultima norma, (sulla natura "eccezionale" della norma di cui all'art. 1283 c.c., cfr. ex multis anche Cass.N. 14912/2001).
• Se cosi' non fosse, del resto, l'art. 1224 c.c. verrebbe ad assorbire tutto il campo applicativo dell'art. 1283, che resterebbe circoscritto ai casi in cui il debito per interessi e' quantificato all'atto della proposizione della domanda. Ma una simile limitazione dell'ambito applicativo del citato art. 1283 cod. civ. non emerge da tale norma e viene anzi a porsi con essa in contrasto, perche' trascura la peculiare natura del debito per interessi sopra segnalata ed elude, almeno in parte, la finalità' di tutela per la posizione del debitore che la norma ha previsto stabilendo in quali casi e con quali presupposti gli interessi scaduti possono essere produttivi di altri interessi.
• D'altro canto, non sarebbe neppure conforme al principio di ragionevolezza un approdo ermeneutico che, in presenza di obbligazioni di pagamento aventi natura e contenuto identici (interessi), rendesse applicabile al debitore che ha già' pagato il debito principale l'art. 1224 cod. civ. ed al debitore totalmente inadempiente, e quindi convenuto per il pagamento del capitale e degli interessi, l'art. 1283 in relazione a questi ultimi.
• Conclusivamente, il debito per interessi (anche quando sia stata adempiuta l'obbligazione principale) non si configura come una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla quale derivi il diritto agli ulteriori interessi dalla mora nonché' al risarcimento del maggior danno ex art. 1224 comma II cod. civ., ma resta soggetto alla regola dell'anatocismo di cui all'art. 1283 cod. civ., derogabile soltanto dagli usi contrari ed applicabile a tutte le obbligazioni aventi ad oggetto originario il pagamento di una somma di denaro sulla quale spettino interessi di qualsiasi natura" (per il conseguente corollario per cui gli interessi non perdono la loro natura, ai fini della loro eventuale capitalizzazione, per effetto della loro inclusione nei ratei di ammortamento dei mutui, cfr. ex multis Cass. N. 2593/2003)
L'attualità e l'autorità di siffatto precedente ha orientato nello stesso senso la giurisprudenza di legittimità successiva (cfr. Cass n. 2439/2002; Cass. N. 2771/2002; Cass. N. 4133/2003).
Orbene, dai predetti chiari e generali principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite della Cassazione, da coordinarsi con gli altri definitivi arresti ermeneutici effettuati dalla Giurisprudenza di Legittimità nella materia bancaria di cui quivi si discute e con una debita considerazione della ratio dell'art. 1283 c.c., derivano- ad avviso di questo Giudice e pur nella consapevolezza di discostarsi dall'orientamento più volte accolto anche da altri Giudici di questo Tribunale- le seguenti obbligate conclusioni:
• L'art. 1283 c.c- norma espressamente dettata dal legislatore per disciplinare il fenomeno dell'anatocismo- è norma imperativa e di natura eccezionale che ammette la capitalizzazione degli interessi soltanto a determinate condizioni, prevedendo che gli interessi scaduti possono produrre a loro volta interessi solo dal giorno della domanda giudiziale (purché questa sia in modo specifico rivolta ad ottenere il pagamento degli interessi sugli interessi scaduti, non essendo a ciò sufficiente la domanda dei soli interessi principali: cfr. ex multìs Cass. N. 22565 in motivazione; Cass. nn. 5271/2002, 15838 e 7407/2001, 8377/2000, 5035/1999Cass. N. 2381/1994; Cass. N. 9311/1990; Cass. N. 4088/1988) o per effetto di una convenzione fra le parti successiva alla scadenza degli stessi, e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno un semestre, salvo usi contrari ( per le ragioni per cui il codice vigente, con l'art. 1283, mentre ha conservato il requisito della domanda giudiziale ha ridotto, rispetto alla disciplina del codice civile abrogato, l'entità degli interessi scaduti- sui quali si applicano gli interessi anatocistici- a sei mesi, si veda il rilievo risultante dalla relazione sul progetto ministeriale per cui" il valore odierno della moneta consente di ritenere che con l'importo di un semestre di interessi si può costituire una somma rilevante che il creditore potrebbe utilizzare come capitale", rilievo debitamente sottolineato da Cass. N. 9311/1990).
• Ciò- come più volte ribadito dalla stessa Giurisprudenza di Legittimità- onde prevenire fenomeni usurari e consentire al debitore di conoscere i maggiori costi comportati dal suo inadempimento (onere della domanda giudiziale) e comunque di calcolare, al momento della stipula della convenzione, l'esatto ammontare del suo debito. Richiedendo che l'apposita convenzione sia successiva ala scadenza degli interessi, il legislatore mira anche ad evitare che l'accettazione della clausola anatocistica possa essere utilizzata come condizione che il debitore deve necessariamente accettare per poter accedere al credito (così Cass. N. 2593/2003; Corte d'Appello Milano, sent. del 28.1.2003).
• Infatti, la disposizione limitativa di cui all'art. 1283 cod. civ. trova la propria ragione nella natura del debito di interessi e nel particolare sfavore con cui il legislatore- nel solco di una tradizione di avversità ad un fenomeno percepito quale forma di esercizio dell'usura - ha inteso considerare la capitalizzazione degli interessi, in coerenza con le altre restrizioni previste per gli interessi superiori a quelli legali (così testualmente Cass. N. 2381/1994).
• II tenore letterale e la ratio dell'art. 1283 c.c. consentono di ravvisare nella norma in esame un principio di carattere generale, derogabile soltanto dagli usi contrari (configurati come usi normativi) \(così Cass. N. 2381/1994 in motivazione).
• Gli usi contrari di cui all'art. 1283 c.c. sono usi normativi, inesistenti nella specifica materia bancaria di cui si tratta.
• In mancanza di usi contrari e delle condizioni imperative alla cui effettiva sussistenza la norma di cui all'art. 1283 c.c. consente l'anatocismo, la clausola anatocistica pattuita (non per effetto di una "convenzione fra le parti successiva alla scadenza degli interessi" ex art. 1283 c.c. ma) in via anticipata e (non in relazione a "interessi dovuti per almeno un semestre ex art. 1283 c.c." ma) prima della scadenza di qualsivoglia interesse, va dichiarata nulla per contrasto con la norma imperativa di cui all'art. 1283 c.c. (cfr. negli stessi termini Corte d'Appello Milano, sent. del 28.1.2003 citata; cfr. Trib. Mantova sentenza 16.1.2004; cfr. App. Torino 21.1.2002).
• Atteso che la contrarietà alla norma imperativa di cui all'art. 1283 c.c. involge- ovviamente-l’ intero contenuto della clausola (e non solo, quindi, la parte di essa relativa alla periodicità della capitalizzazione), è la pattuizione in contratto dell'anatocismo ad essere nulla, onde secondo i principi generali, trattasi di contratto ab origine privo di qualsivoglia pattuizione di capitalizzazione, trimestrale come annuale come di diversa periodicità.
• Non vi è possibilità di sostituzione legale o di inserzione automatica di clausole prevedenti
capitalizzazioni di diversa periodicità, in quanto l'anatocismo è consentito dal sistema - con norma
eccezionale, imperativa e derogatoria (così Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10127 del 2005, già citata, in
motivazione; cfr. anche le citate Sezioni Unite della Cassazione)- soltanto in presenza di determinate condizioni (quelle di cui all'art. 1283 c.c.), in mancanza delle quali esso rimane giuridicamente non pattuito tra le stesse. ,
• Ricavare dal sistema- pur in presenza di pattuizione di anatocismo violativa delle condizioni imperative di cui all'art. 1283 c.c.- una capitalizzazione con periodicità più lenta quale quella annuale "rinvenuta" nel "sistema di cui agli artt. 1282/1284/1224 c.c. vorrebbe dire sia derogare alla natura imperativa ed inderogabile di cui all'art. 1283 c.c., norma dettata "ad hoc" per prevedere a quali condizioni l'interesse semplice può diventare interesse composto, sia "frustrare" la citata ratio di tutela del debitore pecuniario ad essa sottesa (per la quale l'art. 1283 c.c. ha dettato le precise condizioni della capitalizzazione), sia "immaginare" un anatocismo generale e "di sistema" ulteriore e "di riserva" (residuale o per taluni "equitativo") rispetto all'anatocismo "di cui all'art. 1283 c.c. (così degradato da anatocismo "esclusivo", ossia il solo previsto dal sistema, ad anatocismo speciale rispetto a quello "generale" annuale), sia privare di senso e di funzioni la stessa previsione della disciplina di cui all'art. 1283 c.c., sia ed in definitiva assimilare in toto l’obbligazione di interessi alla "remuneratività" delle comuni obbligazioni pecuniarie pur nella riferita differenza ontologica delle stesse.
• Solo in mancanza della previsione legislativa della norma speciale di cui all'art. 1283 c.c., gli interessi scaduti, in quanto costituenti a loro volta un credito liquido ed esigibile di una somma di danaro avrebbero potuto ritenersi in ogni caso produttivi automaticamente di interessi legali di pieno diritto ai sensi dell'ari. 1282 (così Cass. N. 9311/1990 in motivazione, la quale ha affrontato per la prima volta la questione del saggio degli interessi anatocistici ).
• La disciplina dell'art. 1283 c.c. ha inciso sulla stessa natura degli interessi anatocistici: essi non solo sono previsti dalla legge per ogni specie di interessi e quindi anche per gli interessi moratori (seni, n. 3500/86), ma a loro volta, proprio perché la norma esplica una funzione sostanzialmente protettiva della sfera giuridica del debitore, essi non sono ammessi in ogni caso, ma soltanto alle due condizioni di cui alla norma citala (cosi ancora Cass. N. 9311/1990 citata).
• L'unica forma di legittimo collegamento e coordinamento tra l'art. 1283 c.c. ed il successivo art. 1284 c.c. è quella per cui sugli interessi scaduti almeno per un semestre (art. 1283 c.c.) sono dovuti dalla domanda giudiziale gli interessi anatocistici al tasso legale (art. 1284 comma 1 c.c.), a meno che le parti abbiano convenuto per iscritto un saggio di interessi extralegali posteriormente alla loro scadenza (arti. 1224/1284 c.c.) (cfr. Cass. N. 9311/1990): in altri termini, dall'art. 1284 (e dall’art.1224 c.c.) c.c. si può ricavare soltanto il saggio degli interessi anatocistici, qualora questi siano dovuti ex art. 1283 c.c., non anche una debenza degli stessi pur in mancanza delle condizioni di cui all'art. 1283 c.c..
• Che questo, e questo soltanto, sia il coordinamento tra le due norme trova piena conferma dal raffronto tra l'art. 1283 c.c. ed il corrispondente art. 1232 del codice abrogato
• L'art. 1232 comma 1 c.c. 1865 così statuiva: "Gli interessi scaduti possono produrre altri interessi o nella tassa legale in forza di giudiziale domanda e dal giorno di questa, o nella misura che verrà pattuita in forza di una convenzione posteriore alla scadenza dei medesimi".
• L'art. 1283 c.c. vigente è così concepito: "In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi".
• La Cassazione al riguardo ha già osservato (cfr. Cass. N. 9311/1990 citata) come la ragione per la quale il codice vigente non ha riprodotto letteralmente la locuzione "interessi al tasso legale" del codice abrogato non risiede in una esigenza di innovazione della disciplina anteriore, ma nella circostanza che mentre l'art. 1232 aveva distinto gli interessi anatocistici in interessi al tasso legale dalla domanda giudiziale o nella misura pattuita con convenzione posteriore alla loro scadenza, il nuovo testo, nel riprodurre sostanzialmente la precedente disciplina (con la sola riduzione da un anno, di cui al 3 comma dell'ari. 1232 a sei mesi degli interessi scaduti), non ha più fatto riferimento al tasso degli interessi, ritenendo che questi trovassero la loro disciplina nel successivo art. 1284.
• L'art. 1283, in realtà, nella nuova formulazione, sintetizzando il concetto già espresso dal corrispondente art. 1232, lungi dal voler modificare il tasso degli interessi anatocistici, l'ha del tutto confermato secondo la disciplina anteriore. La norma, con la nuova formulazione non poteva più fare riferimento agli interessi anatocistici come interessi al tasso legale sugli interessi scaduti perché nel contesto dello stesso periodo ha'fatto anche riferimento agli interessi anatocistici convenzionali per i quali non è estensibile il tasso degli interessi legali che può valere soltanto per gli interessi anatocistici legali (cfr. Cass. N. 9311/1990 citata),
Ne deriva quindi ed in definitiva, che in mancanza, come nella specie, di una valida pattuizione anatocistica, nessuna capitalizzazione, né annuale, né semestrale, né di altra periodicità degli interessi e delle altre remunerazioni del conto può essere riconosciuta, né alla BANCA né al cliente.
Nessun adempimento spontaneo di un'obbligazione naturale (con conseguente irrepetibilità di quanto pagato) può infine ed ovviamente rinvenirsi nel comportamento del correntista che abbia versato somme maggiori in pagamento di anatocismi pattuiti in contratto, quindi in adempimento di un'obbligazione giuridica, ancorché in forma invalida e non già di un mero dovere morale o sociale.
Il saldo del contratto in questione deve essere altresì depurato della Commissione di Massimo Scoperto illegittimamente applicata e conteggiata dalla Banca (nella misura di complessivi €. 2608,29: cfr. la relazione di CTU) nel periodo del rapporto decorrente dalla sua accensione (5.2.1992) alla sua rinegoziazione (23.3.1998) in quanto:
• Nessuna delle parti ha prodotto in giudizio- come già sottolineato- il contratto del 5.2.92 di "accensione" dell'apertura di credito in c/c in questione (cfr. la documentazione in atti; cfr. la CTU).
• Sino alla data del 23.3.1998 la Banca ha applicato al rapporto de qua - come già sottolineato- oltre agli interessi ultralegali uso piazza ed alla capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista, anche le commissioni di massimo scoperto sulla massima esposizione debitoria die trimestre (circostanza pacifica e documentale: cfr. le relative deduzioni processuali delle parti; cfr. gli estratti conto prodotti; cfr. la relazione di CTU).
• L'attore ha ritualmente dedotto (allegata) il fatto "negativo" della mancanza, nel predetto contratto del 1992 (contratto, come detto, non prodotto in giudizio da alcuna delle parti) di qualsivoglia pattuizione di commissioni di massimo scoperto (oltre che di regolamentazione temporale delle valute e di spese di tenuta e gestione del conto: cfr. l'atto di citazione e le ulteriori deduzioni processuali).
• La convenuta non ha né controdedotto né tanto meno provato il fatto "positivo" (della cui prova la stessa era ovviamente onerata, ex art. 2697 e.e., per poter fronteggiare la avversa doglianza) della avvenuta pattuizione, nel contratto del 1992, di tali "costi" del credito (cfr. la comparsa di risposta e le ulteriori deduzioni processuali).
• È noto che la commissione di massimo scoperto rappresenta un elemento retributivo per la banca, aggiuntivo agli interessi praticati, che non ha fonte legale e quindi richiede la necessità di specifica pattuizione.
• Infatti la CMS è un costo, legittimamente concordabile nell'ambito della autonomia privata delle parti, connesso all'elargizione da parte della BANCA ed alla disponibilità da parte del correntista del credito bancario oggetto del fido, essendo oggetto di discussione soltanto se se tale commissione sia un accessorio che si aggiunge agli interessi passivi - come potrebbe inferirsi anche dall'esser conteggiata, nella prassi bancaria, in una misura percentuale dell'esposizione debitoria massima raggiunta, e quindi sulle somme effettivamente utilizzate, nel periodo considerato - che solitamente è trimestrale - e dalla pattuizione della sua capitalizzazione trimestrale, come per gli interessi passivi -ovvero se essa abbia una funzione remunerativa dell'obbligo della banca di tenere a disposizione dell'accreditato una determina somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo - ed è questa la tesi da ritenere preferibile anche alla luce della circolare della Banca d'Italia del primo ottobre 1996 e delle successive rilevazioni del c.d. tasso di soglia, in cui è stato puntualizzato che la commissione di massimo scoperto non deve esser computata ai fini della rilevazione dell'interesse globale di cui alla legge 7 marzo 1996 n. 108, ed allora dovrebbe esser conteggiata alla chiusura definitiva del conto (cfr. in tal senso, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11772 del 06/08/2002, la quale ha poi correttamente puntualizzato che nell'un caso e nell'altro non è comunque dovuta la capitalizzazione trimestrale perché, se la natura della commissione di massimo scoperto è assimilabile a quella degli interessi passivi, le clausole anatocistiche, pattuite nel regime anteriore all'entrata in vigore della legge 154/1992, sono nulle secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, come tra poco sarà evidenziato; se invece è un corrispettivo autonomo dagli interessi, non è ad esso estensibile la disciplina dell'anatocismo, prevista dall'ari. 1283 cod. civ. espressamente per gli interessi scaduti).
• Nella specie manca totalmente la prova della avvenuta pattuizione di un "tale costo del credito" il quale- come tale- va scomputato dal saldo debitore dalla data di accensione del conto del 5.2.1992, potendosi riconoscere alla Banca soltanto la CMS come rinegoziata in data 23.3.1998 e "maturata sul conto" da questa ultima data sino alla chiusura del medesimo, avvenuta il 21.3.2003.
Per gli stessi motivi di cui sopra ed in particolare per il difetto di allegazione e di prova, da parte della convenuta, dell'esistenza, nel contratto del 1992 di una disciplina pattizia sul calcolo delle valute, deve procedersi al "ricalcalo" delle valute medesime dalla data contabile delle singole operazioni (cfr. la relazione di CTU).
Il difetto assoluto di allegazione e di prova della disciplina pattizia delle remunerazioni e dei costi dell'apertura di credito del 1992 impone, parimenti, la depurazione dal saldo finale di chiusura del conto corrente in questione di quanto ivi addebitato dalla Banca a titolo di spese varie ("spese trimestrali"; "spese elab. C/C"; "spese istruttoria") relativamente alla parte del rapporto (5.2.1992- 23.3.1998) regolamentata da un titolo rimasto- come detto- di forme e contenuti ignoti: anche in ordine a siffatte spese (in astratto aventi una fonte ex contractu e non ex lege) manca- per le stesse ragioni appena esposte in ordine alla CMS-qualsivoglia prova del fatto, contestato dal correntista- della esistenza nel contratto del 1992 di una pattuizione relativa alla imposizione ed alla quantificazione delle spese pur addebitate sul conto (cfr. le relative deduzioni processuali delle parti; cfr. la documentazione negoziale in atti).
Non essendo stata data la prova dell'esistenza (contestata dal correntista) di un titolo contrattuale legittimante la Banca ad addebitare siffatte spese (ammontanti complessivamente ad €. 2.016,42: cfr. la relazione di CTU e gli estratti conto) nel periodo "governato" dal non meglio identificato contratto del 5.2.1992, esse vanno, quindi, scomputate dal conto.
Ed al riguardo è appena il caso di notare che neanche un siffatto diritto del correntista dì depurare il saldo finale del conto da siffatti "indebiti addebiti" di spese ( risultate processualmente) non pattuite, possa ritenersi pregiudicato dalla mancata contestazione, da parte dell'attore, delle annotazioni delle spese stesse contenute negli estrani conto periodicamente inviargli (circostanza pacifica) in pendenza di rapporto; si è già detto, infatti, che la mancata tempestiva contestazione dell'estratto conto trasmesso da una banca al cliente rende inoppugnabili gli addebiti soltanto sotto il profilo meramente contabile, ma non sotto i profili della validità e dell'efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano e quindi- a maggior ragione- neanche sotto il profilo della inesistenza (come quivi processualmente acclarata) della fonte convenzionale di quei medesimi rapporti obbligatori (nella specie quelli di cui alla ipotetica ma indimostrata clausola di pattuizione delle spese del conto): anche in tal caso, infatti, l'impugnabilità investe direttamente il titolo e- più in generale- l'esistenza stessa di un accordo, non essendo limitata alla contestazione di accrediti e di addebiti sotto il profilo contabile, ed è regolata dalle norme generali sui contratti (cfr. Cass. N. 18626/2003: Cass. N. 6548/2001; Cass. N. 12507/1999; Cass. N. 1978/1996; Trib. Genova seni. 5.5.2002; C.App. Lecce n. 598/2001).
Infine, la esperita CTU ha accertato- con metodo analitico ed immune da vizi di ordine logico- che il Tasso Effettivo Globale "sviluppato" dal rapporto bancario in esame è rimasto costantemente al di sotto dei cd. "tassi soglia antiusura" (cfr. la relazione di CTU), onde sarebbe superfluo in questa sede ogni ulteriore approfondimento della questione- tuttora aperta nella stessa giurisprudenza della Cassazione (cfr. la Legge n. 24/01; cfr. l'art. 1815 comma II c.c.; cfr. la Corte Cosi. n. 29/2002; cfr. Cass. Sez. 1. Sentenza n. 13868 del 24/09/2002; Cass. Sez.. 3. Sentenza n. 17813 del 13/12/2002; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4380 del 25/03/2003).- circa la operatività o meno del '“vaglio antiusura" anche per la parte del rapporto bancario svìluppatasi anteriormente alla prima rilevazione trimestrale ministeriale (D.M. 22.3.1997) dei predetti tassi-soglia.
Pertanto ed in conclusione, la ricostruzione contabile operata analiticamente dal CTU sulla base dei dettami impartiti dal Giudice in applicazione dei superiori principi di diritto e dell'interesse semplice (ipotesi senza capitalizzazione) ha portato ai seguenti risultati:
• Saldo ricalcolato del C/C ( attraverso la depurazione, dal 5.2.1992 al 23.3.1998, del tasso di interesse ultralegale passivo "uso piazza", dell’anatocismo attivo e passivo, della postergazione ed
antergazione delle valute ed attraverso la applicazione, per il periodo successivo al 23.3.1998, delle
rinnovate e legittime condizioni contrattuali di cui al contratto stipulato in detta ultima data e sino al
21.3.2003)= € 3.038,83 a credito del correntista.
• Importo non dovuto per la CMS (per il periodo di rapporto intercorrente tra il 5.2.1992 ed il 23.3.1998, disciplinato dal contratto del 5.2.1992) = € 2608,20 a credito del correntista
• Importo non dovuto per spese trimestrali, per spese elab. C/C, per spese istruttoria (per il periodo di rapporto summenzionato) = €. 2.016,4 a credito del correntista.
• Saldo finale ricalcolato = €. 7.663,45 a credito del correntista
L'attore ha quindi il diritto di ricevere dalla convenuta detta somma, con gli interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza (trattandosi di credito divenuto liquido soltanto con la presente pronunzia) sino al saldo effettivo.
(...)
Le spese processuali del giudizio di merito seguono la soccombenza della convenuta, previa compensazione di 1/5 per la soccombenza dell’attore in ordine alla spiegata domanda risarcitoria summenzionata.
Le spese vive di CTU si pongono invece definitivamente a carico della convenuta, totalmente soccombente in ordine alle proprie deduzioni “contabili”
P.Q.M.
Il Tribunale, in persona del Giudice Unico, definitivamente pronunciando nel giudizio di iscritto al R.G. N.1698/2003 promosso da D’ANDREAMATTEO GIUSEPPE, residente in Città S. Angelo (PE), nei confronti della S.I.G.R.E.C. Spa., con sede in Roma, Via dei Montecatini n. 17, in persona del Legale Rappresentante pro tempore, quale mandataria, in virtù di procura generale per atto Notaio Antonio Maria zappone di Roma del 2.8.2002, Rep. 72286, Racc. 7485, di BANCA DI ROMA S.p.a. – GRUPPO BANCARIO CAPITALIA, con sede in Roma , Viale U. Tupini n.180, così decide.
In accoglimento della domanda attorea
CONDANNA
La parte convenuta, in persona del legale rappresentante pro tempore, il pagamento in favore della parte attrice o per le causali di cui in motivazione, della somma di € 7,663,45, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino al saldo effettivo.
RIGETTA
Tutte le altre domande, eccezioni e domande riconvezionali, per le casuali di cui in motivazione.
CONDANNA
La parte convenuta al rimborso in favore della parte attrice delle spese processuali del giudizio di merito che liquida- previa compensazione di 1/5 per le casuali di cui in motivazione- nei restanti 4/5 e quindi in complessivi € 5.105,00, di cui € 2.025,00 per diritti, € 2.800,00 per onorari di avvocato, € 4,00 per spese imponibili, € 276,00 per spese esenti, oltre accessori ex T.F., I.V.A. e C.P.A come per legge.
PONE
Le spese delle CTU definitivamente a carico della convenuta, per le casuali di cui in motivazione, con conseguente obbligo della stessa di restituire gli importi alla attrice se quest’ultima li abbia eventualmente anticipati nel corso del giudizio.
COMPENSA
Integralmente tra le parti le spese del procedimento cautelare espletato in corso di causa.
Pescara, 5.1.2005 Il Giudice
Dott. Gianluca Falco
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