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Tribunale Gallipoli / Mesagne

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2012

TRIBUNALE DI LECCE
- Sezione Distaccata di Gallipoli -
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Lecce, Sezione distaccata di Gallipoli, in persona del Giudice Onorario Avv. Elena DI NOI, ha pronunciato e pubblicato la seguente

SENTENZA n. 305 del 22 novembre 2012

nella causa civile iscritta al n. 354/2005 R.G., avente ad oggetto "Opposizione a decreto ingiuntivo" e vertente tra,
F. A. s.r.l. (già F. s.r.l. I. C.), in persona del curatore fallimentare p.t., S. G. e P. A., difesi dall'avv. Antonio Tanza,

- Opponenti -

contro

BANCA POPOLARE PUGLIESE, in persona del legale rappresentante p.t., difesa dagli Avv.ti Raffaele e Giuseppe Dell'Anna.

- Opposta -


Fatto e Diritto

Con atto di citazione del 19.10.2005, ritualmente notificato, la A. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., S. G. e P. A., proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 127/2005 emesso dal Tribunale di Gallipoli in data 25.07.2005, mediante il quale li veniva ingiunto, in solido, il pagamento della somma di € 58.057,74, oltre interessi, a titolo di saldo debitorio del c/c n. 1110759, relativamente al quale il S. e la P. avevano prestato fideiussione.
Gli opponenti chiedevano accertarsi e dichiararsi la nullità e l'inefficacia di ogni pretesa avanzata dalla Banca opposta per interessi, spese e commissioni e competenze, nonché dichiararsi la nullità di ogni obbligazione accessoria al rapporto principale, con conseguente condanna della convenuta alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate e /o riscosse.
In particolare, gli opponenti eccepivano le seguenti cause di nullità totale e/o parziale del contratto di conto corrente e di quello di credito personale: 1)Illegittimità dell'esercizio dello ius variandi; 2) Illegittimità della pattuizione ed applicazione della capitalizzazione trimestrale dell'interesse composto; 3) Inammissibilità della provvigione di massimo scoperto; 4) Determinazione delle valute e del Tasso Effettivo Globale".
Con comparsa di risposta del 6.02.2006 si costituiva in giudizio la Banca Popolare Pugliese, in persona del suo Presidente e legale rappresentante p.t., al fine di impugnare e contestate in toto l'atto introduttivo del presente giudizio e, quindi, chiedere il rigetto delle domande attoree con conseguente conferma del decreto ingiuntivo opposto.
La causa veniva istruita a mezzo consulenza tecnica contabile quindi, all'udienza dell'8.02.2011, previa precisazione delle conclusioni, la causa veniva trattenuta per la decisione, con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.
L'opposizione proposta dal F. A. s.r.l., S. G. e P. A. può essere accolta nei seguenti termini.
In primis si ritiene infondata l'eccezione di improcedibilità dell'opposizione sollevata dalla Banca convenuta.
L'orientamento espresso dalla Suprema Corte con la sentenza del 9 settembre 2010 n. 19246 ha, senza dubbio, una mera efficacia dichiarativa, limitandosi ad interpretare la norma giuridica esistente, e, per quanto autorevole, non può costituire, nel nostro ordinamento, fonte del diritto. Pertanto, appare di tutta evidenza come l'aver fatto affidamento da parte dell'operatore del diritto sul consolidato indirizzo giurisprudenziale, innovato dalla predetta pronuncia a Sezioni Unite, non può essere imputato colpevolmente; una rigida applicazione dei principi enunciati dalla Cassazione determinerebbe un effetto di profonda ingiustizia sostanziale.
Quindi, al fine di soddisfare le esigenze concrete sottese ad una corretta applicazione degli insegnamenti della Suprema Carte, occorre contemperarle con la salvaguardia delle esigenze di giustizia sostanziale.
A tal proposito, appaiono condivisibili i seguenti principi giurisprudenziali: "Nei procedimenti di opposizione a decreto ingiuntivo, pendenti alla data della pronuncia della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 2010, va disattesa l'eccezione di improcedibilità nel caso in cui l'opponente non abbia concesso all'opposto un termine a comparire inferiore a quello legale e si sia costituito nei dieci giorni dalla notifica della citazione, in virtù del principio del giusto processo, per cui la parte che compie un atto processuale deve poter fare affidamento sull'orientamento giurisprudenziale consolidato" (Trib. Avezzano, n. 750/2010); "Nessuna norma in tema di opposizione a decreto ingiuntivo prevede la sanzione dell'improcedibilità per il caso della tardiva costituzione dell'opponente. In altri termini, l'equiparazione della costituzione tardiva alla costituzione mancata dell'opponente non può ritenersi scontata. Nel sistema del codice di rito, invero, gli art, 348, 369 e 399 c.p.c. contemplano espressamente la sanzione d'improcedibilità dell'impugnazione per la tardiva costituzione dell'impugnante, non così l'art 647 c.p.c., che disciplina il solo caso della mancata costituzione dell'opponente e non già della tardiva costituzione" (Trib. Bari, n; 192/2010); "In tema di opposizione a decreto ingiuntivo non appaiono condivisili né rilevanti, ai fini della soluzione della questione dell'improcedibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo iscritta oltre il termine di cinque giorni dalla notifica dell'atto di citazione, in difetto di dimidiazione del termine a comparire, a seguito delle precisazioni operate dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 19246/2010, l'ipotizzata efficacia soltanto per il futuro dei mutamenti giurisprudenziali in materia processuale ovvero la rimessione in termini a fronte di detti mutamenti ex art 153 cpc., poiché, essendo il giudice soggetto solo alla legge (e non alla Corte di Cassazione)- il rimedio alle decisioni sbagliate dei giudici di legittimità la cui funzione nomofilattica si esercita soltanto con l'autorevolezza, non certo ex auctoritate, è ben più elementare; basta non tenerne conto" (Corte Appello Roma, 30.11.2010).
Condivisibile è, senza dubbio, la doglianza attorea circa l'illegittimità dell'esercizio dello ius variandi da parte della Banca convenuta in relazione alla determinazione delle condizioni economiche del rapporto di c/c n. 1210759, con collegati conti anticipi n. 1115379 e n. 1076148.
A tal proposito, gli opponenti hanno lamentato di non essere mai stati destinatari di alcuna comunicazione da parte della Banca ex art. 118 Lgs. 385/1993, né hanno mai ricevuto estratti conto contenenti comunicazioni di tal genere; né, ancora, la Banca Popolare Pugliese ha fornito, nell'ambito del presente giudizio, prova contraria di quanto asserito dagli opponenti.
Si condivide, a tal proposito, il seguente principio giurisprudenziale secondo cui "È abusiva la clausola che permette alla banca di modificare unilateralmente le condizioni del contratto di conto corrente, in mancanza di giustificato motivo. Tale clausola, infatti, non può considerarsi riproduttiva dell'art. 118, d.lgs. n. 385/93 e, di conseguenza, non soggetta al sindacato di abusività ex art. 1469-ter cc. (ora art. 34 cod. cons.)" (Cass.civ., sez. I, n. 13051/2008).
È fuor di dubbio affetta da nullità la clausola sub 7) contenuta nelle condizioni generali del contratto di apercredito n. 1696, con collegato conto anticipi n. 3029, intercorso tra la F. s.r.l. e la Banca Popolare Sud Puglia (oggi BPP), la quale per la determinazione del tasso di interesse ultralegale rinvia al c.c. "uso piazza".
Sul punto la giurisprudenza di merito è ormai unanime nel ritenere affetta da nullità la suddetta clausola: "La pattuizione contrattuale contenente il rinvio ai cd "usi di piazza" per la determinazione dei tassi d'interesse è nulla anche in relazione al periodo anteriore all'entrata in vigore della disciplina sulla trasparenza bancaria ai sensi del combinato disposto degli art. 1346-1418 cc., giacché le "condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito su piazza" non costituiscono un riferimento idoneo a consentire l'oggettiva determinabilità del tasso di interesse convenzionale" (Trib. Novara, n. 671/2010); "In tema di contratti bancari, anche nel regime anteriore all'entrata in vigore della disciplina dettata dalla legge sulla trasparenza bancaria 17 febbraio 1992 n. 154, poi trasfusa nel d.lg. 1 settembre 1993 n. 385, la clausola che, per la pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale, si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, è priva del carattere della sufficiente univocità, e deve pertanto ritenersi nulla" (Trib. Napoli, 23.11.2003); "In tema di contratti bancari, la clausola, stipulata anteriormente all'entrata in vigore della legge sulla trasparenza bancaria 17 febbraio 1992 n 154, la quale, per la pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale, si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, è in ogni caso divenuta inoperante a partire dal 9 luglio 1992 - data di acquisto dell'efficacia delle disposizioni della citata legge qui rilevanti; ai sensi dell'art. 11 della medesima - atteso che la previsione imperativa posta dall'art. 4 della legge (poi trasfusa nell'art. 117 tu. 1 settembre 1993 n. 385), là dove sancisce la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse, se non incide, in base ai principi regolanti la successione delle leggi nel tempo, sulla validità delle clausole contrattuali inserite in contratti già conclusi, impedisce tuttavia che esse possano produrre per l'avvenire ulteriori effetti nei rapporti ancora in corso. Ad un tal riguardo, per rapporti in corso devono intendersi i rapporti; anteriormente costituiti, non ancora esauriti; alla data di inizio dell'operatività della norma sopravvenuta, per non avere il debitore, indipendentemente dalla pregressa "chiusura" del conto corrente bancario; adempiuto alla propria obbligazione, atteso che la già riferita innovazione impinge sulle stesse caratteristiche del sinallagma contrattuale; generatore di conseguenze obbligatorie protraentisi nel tempo" (Cass. Civ. sez. I, n. 13739/2003).
Anche la doglianza attorea relativa alla nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi, ha, a parere di questo giudice, fondamento giuridico, alla luce dell'ormai unanime orientamento giurisprudenziale in materia: "La nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi e rilevabile d'ufficio, ai sensi dell'art. 1421 c.c. rientrando nei compiti del giudice l'indagine sulla sussistenza delle condizioni dell'azione" (Trib. Roma sez. X, n. 3009/2011); "É conforme ai criteri legali di interpretazione del contratto, in particolare all'interpretazione sistematica delle clausole, l'interpretazione data dal giudice di merito ad una clausola di un contratto di conto corrente bancario, stipulato tra le parti in data anteriore al 22 aprile 2000, e secondo la quale la previsione di capitalizzazione annuale degli interessi; pattuita nel comma 1 di tale clausola, si riferisce ai soli interessi maturati a credito del correntista, essendo, invece, la capitalizzazione degli interessi a debito prevista nel comma successivo, su base trimestrale, con la conseguenza che, dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall'art. 1283 cc. (il quale osterebbe anche ad un'eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale), gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare alcuna capitalizzazione" (Cass. Sez. Un., n. 24418/2010).
Dalla sancita nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi ne deriva, quindi, l'esclusione, nell'operazione di ricalcalo, di qualsiasi tipo di capitalizzazione; invero, "La tesi finalizzata a conseguire il riconoscimento, in via subordinata, di una capitalizzazione quantomeno annuale degli interessi bancari, non può trovare ingresso. Infatti, a fronte della nullità della clausola relativa alla capitalizzazione trimestrale ex art 1283 c.c., non v'è possibilità di applicazione, in alternativa, della capitalizzazione annuale, stante, per un verso, lo mancanza di una previsione contrattuale in tal senso, e l'assenza di una norma imperativa che ne imponga l'adozione ex art. 1419 comma 2 c.c. in sostituzione della clausola nulla, e per altro verso, il disposto di cui all'art. 1283 c.c. che riconosce l'anatocismo con esclusivo riferimento al periodo successivo alla domanda giudiziale" (Trib. Bari, sez, IV, n. 991/2011).
Gli opponenti hanno, altresì, eccepito la mancata pattuizione, in sede di sottoscrizione del contratto, delle CMS, oltre che contestare la natura delle stesse.
A tal riguardo la scrivente ritiene opportuno richiamare le seguenti pronunce giurisprudenziali: "La commissione di massimo scoperto consiste nel corrispettivo per la semplice messa a disposizione da parte della banca di una somma, a prescindere dal suo concreto utilizzo, oppure come la remunerazione per il rischio cui la banca è sottoposta nel concedere al correntista affidato l'utilizzo di una determinata somma, a volta oltre il limite dello stesso affidamento. Il termine commissione di massimo scoperto non è quindi riconducibile ad un'unica fattispecie giuridica, sicché l'onere di determinatezza della previsione contrattuale deve essere valutato con particolare rigore, dovendosi esigere, se non una sua definizione contrattuale, per lo meno la specifica indicazione di tutti gli elementi che concorrono a determinarla (percentuale, base di calcolo, criteri e periodicità di addebito), in assenza dei quali non può nemmeno ravvisarsi un vero e proprio accordo delle parti su tale pattuizione accessoria, non potendosi ritenere che il cliente abbia potuto prestare un consenso consapevole, rendendosi conto dell'effettivo contenuto giuridico della clausola e, soprattutto, del suo "peso" economico: in mancanza di ciò l'addebito delle commissioni di massimo scoperto si traduce in una imposizione unilaterale della banca che non trova legittimazione in una valida pattuizione consensuale" (Trib. Piacenza, n. 309/2011); "Anche per la commissione di massimo scoperto la questione della determinatezza o determinabilità dell'oggetto, per cui in assenza di univoci criteri di determinazione del suo importo, la relativa pattuizione va ritenuta nulla, con diritto del correntista alla ripetizione di quanto indebitamente versato". (Trib. Teramo, n. 84/2010); "Posto che la clausola del contratto di conta corrente bancario, con cui si prevede l'esistenza di commissioni non meglio specificate, senza alcuna indicazione circa la misura, il valore, la periodicità, la soglia di costo e il meccanismo di calcolo, è nulla per assoluta indeterminatezza e indeterminabilità, il correntista ha diritto ad ottenere la ripetizione di quanto indebitamente corrisposto a titolo di commissione di massimo scoperto" (Trib. Busto Arstizio, 9.12.2009).
Alla luce dei suesposti principi si ritiene, quindi, di dover sancire, nel caso in esame, anche l'invalidità della commissione di massimo scoperto applicata dalla Banca opposta nell'ambito del rapporto di conto corrente in questione, nonché dell'addebito delle c.d. "valute fittizie", essendo queste ultime nient'altro che un espediente usato dalla banca per aumentare l'importo degli interessi debitori allungando l'arco di tempo in cui in realtà il correntista non ha effettuato alcun prestito; nel caso di specie; poi, tali giorni di valuta fittizia non risultano pattuiti tra le parti.
Orbene, alla luce di tutte le suesposte considerazioni, la scrivente al fine di accertare l'esatto dare-avere tra le parti, ritiene indispensabile richiamare le conclusioni a cui è pervenuto il consulente tecnico d'ufficio, il quale ha effettuato le operazioni di ricalcolo sia relativamente al c/c 1696 che al c/c 3029, in ossequio ai quesiti allo stesso posti in sede di giuramento.
All'esito di tali operazioni si è pervenuti ai seguenti risultati:
" Per il c/c 1696 chiuso il 29.06.2000 è stato accertato un saldo contabile a credito del correntista pari a € 138.127,24;
" Per il c/c 3029 chiuso il 19.10.1995 è stato accertato un saldo contabile a credito del correntista pari a € 776,13;
" Per il c/c 1076148 chiuso il 28.06.2000, è risultato un saldo pari a € 0,00 a seguito di un'operazione di versamento saldo per estinzione di € 142,48;
" Per il c/c 1110759 chiuso il 1.04.2005 è risultato un saldo pari a € 0,00 a seguito di un'operazione di girosaldo a sofferenza di € 58.057,74;
" Per il c/c 115379 chiuso il 31.03.2005 è risultato un saldo pari a € 0,00 a seguito di un'operazione di incasso insoluti del 30.03.2005 per € 320,30.
Pertanto, alla luce delle risultanze della CTU, nonché di tutte le considerazione innanzi espresse, questi giudice, accertata la nullità parziale dei contratti intercorsi tra le odierne parti processuali, dichiara la nullità del decreto ingiuntivo n. 127/2005 emesso da codesto Tribunale in data 25.07.2005 a carico degli odierni opponenti e, per l'effetto, condanna la Banca Popolare Pugliese, in persona del legale rappresentate p.t., al pagamento in favore della F. A. s.r.l., S. G. e p. A., nelle loro rispettive qualità, della complessiva somma di € 138.903,37, oltre interessi legali dal dovuto all'effettivo soddisfo.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
La presente sentenza è, "ope legis", provvisoriamente esecutiva.

P. Q.M.

Il Tribunale di Lecce, Sezione Distaccata di Gallipoli, in persona del Giudice Onorario, definitivamente pronunciando nel presente giudizio, ogni altra istanza,m deduzione ed eccezione disattesa, così dispone:
1) accoglie la domanda attorea;
2) Per l'effetto, dichiara nullo il decreto ingiuntivo n. 127/2005 emesso da codesto Tribunale in data 25.07.2005 a carico degli odierni opponenti e, per l'effetto, condanna la Banca Popolare Pugliese, in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento in favore del F. A. s.r.l., S. G. e P. A., nelle loro rispettive qualità, della complessiva somma di € 138.903,37,oltre interessi legali dal dovuto all'effettivo soddisfo;
3) Condanna, altresì, la Banca Popolare Pugliese, in persona del legale rappresentante p.t., alla rifusione delle spese di lite in favore degli attori, liquidate in complessivi € 4.875,00 di cui € 2.960,00 per onorario, oltre accessori di legge, se dovuti, nonché alla rifusione delle spese di CTU eventualmente anticipate.
Gallipoli, 20 novembre 2012.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRlBUNALE DI BRINDISI
SEZIONE DISTACCATA DI MESAGNE

in composizione monocratica, in persona del Giudice designato avv. Simone Coppola, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n.590/2001 R. G. A. C. promossa da
R. M. o A. M. T., rappresentati dagli avvocati Antonio Tanza e Francesco Serinelli;

ATTORI

CONTRO
BANCA CARIME SpA, rappresentata dall'avv. Antonio Pellegrino;

CONVENUTA

OGGETTO: Azione di ripetizione d'indebito.
CONCLUSIONI DELLE PARTI: le parti hanno precisato le conclusioni nei termini di cui al verbale di udienza del 21.10.2010.
RAGIONI DI FATTO E DI DRITTO DELLA DECISIONE
Si procede alla redazione del presente provvedimento senza la parte sullo svolgimento del processo, ai sensi dell'art. 132, n. 4 c.p.c. così come novellato dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 in ossequio al disposto dell' art. 58, comma 2 di detta legge che, nel disciplinare la fase transitoria, dispone che la modifica in questione si applichi anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della legge medesima del 04.07.2009. E' ritenuta legittima la motivazione "per relationem" la cui ammissibilità risulta codificata dall'art. 16 del d.lgs n.05/2003 recettizio degli orientamenti giurisprudenziali maggioritari. Infatti, la Suprema Corte, con la sentenza n.3636/2007 ha sancito il principio secondo cui il giudice nel motivare "concisamente" la sentenza secondo i dettami di cui all'art. 118 disp. att. c.p.c. non è tenuto ad esaminare tutte le questioni sollevate dalle parti potendosi limitare alla trattazione delle questioni rilevanti ai fini della decisione concretamente adottata, mentre le restanti questioni non trattate non andranno considerate per "omesse", escludendo in tal modo l'error in procedendo, dovendo essere considerate come assorbite per incompatibilità logico-giuridica con quanto ritenuto provato'.
L 'odierno giudicante è subentrato nel procedimento nella fase di decisione delta causa.
Le domande di parte attrice sono fondate e, pertanto, meritano accoglimento.
Con atto di citazione depositato il 21.12.2001 R. M. e A. M. T. premesso di avere chiesto ed ottenuto l'apertura di un conto corrente con affidamento presso la filiale di Mesagne della Banca Carime SpA citava la medesima banca a comparire davanti all'intestato Tribunale, esponendo che il suddetto conto corrente era stato irregolarmente gestito dalla banca, anche con applicazione d'interessi ultralegali in mancanza di pattuizione scritta, nonché con l'illegittima pratica dell'anatocismo trimestrale. Chiedeva pertanto al Tribunale di accertare l'effettiva entità del saldo del rapporto di conto corrente e di condannare la Banca alla restituzione di quanto incassato illegittimamente sul conto corrente, con vittoria di spese processuali.
La Banca Carime SpA, costituitasi con comparsa di risposta, in via preliminare, eccepiva l'intervenuta prescrizione decennale del correntista dal diritto di ripetizione, mentre nel merito rilevava che tutte le operazioni effettuate in relazione al conto corrente dedotto in giudizio erano state eseguite legittimamente e conformemente alle previsioni contrattuali. Aggiungeva la Banca che anche i tassi d'interesse praticati corrispondevano alle pattuizioni contrattuali e che, infine, in base all'art. 1283 c.c. si doveva ritenere la piena legittimità dell'anatocismo trimestrale degli interessi. Chiedeva pertanto il rigetto delle domande di parte attrice.
La causa veniva istruita mediante consulenza tecnica d'ufficio contabile.
All'udienza del 21.10.2010 le parti precisavano le conclusioni e la causa, dichiarata matura per la decisione, è stata rinviata per la discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c. all'udienza odierna nel corso della quale viene data pubblica lettura alle parti del dispositivo unitamente alla contestuale motivazione della sentenza, costituente parte integrante del verbale di udienza.
[…]
Nel merito le azioni esperite dalla parte attrice sono fondate a seguito dell'accertamento eseguito dal CTU che ha provveduto a depositare tre relazioni tecniche che chiariscono i termini della vicenda, le cui ultime conclusioni, depositate in data 13.03.2007 sono fatte proprie dall'odierno ufficio per ragioni di linearità e coerenza logico-giuridica.
In ordine all'accertamento della invalidità sia delle clausole di determinazione dell'interesse ultralegale mediante rinvio al c.d. "uso piazza", sia delle clausole inerenti alla capitalizzazione degli interessi e sia, infine, sulle clausole relative alle commissioni di massimo scoperto trimestrale, il CTU ha accertato che il conto corrente di corrispondenza n.1027/0.018.00724 intestato alle parti attrici ed acceso preso la filiale di Mesagne della Banca Carime SpA fa riferimento a condizioni contrattuali che derivano da un "contratto prestampato a condizioni standardizzate e senza alcuna indicazione specifica di tassi a debito ed a credito applicati, di eventuali tassi di determinazione della CMS, né di spese" (seconda integrazione della CTU, pag. 2). Tale accertamento, condiviso dall'odierno giudicante, determina la fondatezza delle richieste attoree.
Ed infatti, la predisposizione in via unilaterale da parte degli istituti di credito delle condizioni praticate usualmente sulla piazza devono essere concordate con il correntista in modo chiaro ex art. 1370 c.c.. Il mancato raggiungimento da parte convenuta della prova della determinazione delle clausole di determinazione dell'interesse ultralegale determina la nullità della clausola medesima, come sostenuta da ampia e concorde giurisprudenza (Cass. n.10127/2005, n. 4095/2005). La determinazione dell'interesse ultralegale con riferimento ad inesistenti e non concordati "uso piazza" rappresenta un evidente abuso bancario. Né risulta applicabile nella fattispecie in esame lo ius variandi di cui all'art. 118 Tub in assenza dell'assenso espresso dello stesso correntista trovando, per contra, applicazione l'art. 1284 cc., il correntista deve al momento delta sottoscrizione del contratto di apertura di credito conoscere le condizioni economiche regolanti il rapporto. In assenza del raggiungimento di tale prova da parte convenuta, come è rinvenibile nelle fattispecie in oggetto, tali clausole devono ritenersi nulle per violazione dell'art. 1284 cc.
Per conseguenza, in modo corretto il CTU ha ricontabilizzato il rapporto di c/c in questione applicando il tasso d'interesse con un saldo di conto corrente pari a zero in adempimento all'ordinanza ammissiva dello stesso quesito disposta dal presente Ufficio. Tale interpretazione appare logicamente e giuridicamente corretta. In effetti mentre in un primo momento il CTU ha calcolato un saldo debitorio in capo al correntista, in sede di deposito delle seconde integrazioni alta CTU ha accertato l'esistenza di un saldo creditorio in favore della stessa parte attrice. E tale apparente incongruenza è superata dalla considerazione fattuale e, di poi, giurisprudenziale, per la quale la Banca ha omesso di depositare gli estratti conto precedenti al 01.01.1992 rivendicando, però, un credito verso gli attori di €.79.321,48 che, non risulta comprovato da alcuna ricostruzione di dare-avere con accertamento del tasso legale applicato tra le parti. La Banca Carime Spa, infatti, si è limitata a dichiarare l'esistenza di un'esposizione debitoria degli attori in suo favore, senza provare la fondatezza di detto dichiarato debito. Ciò determina la nullità del saldo iniziale, che, pertanto, dovrà essere contabilizzato con saldo zero, poiché, come sancito da concorde giurisprudenza della suprema corte "soltanto la produzione degli estratti a partire dall'apertura del conto stesso consente, attraverso l'integrale ricostruzione del dare avere con applicazione del tasso legale, di determinare il credito della banca" (Cass. n. 16692/2007). E tale principio risulta ampiamente condiviso ed applicato da concorde giurisprudenza di merito. Con conseguente accertamento, nella fattispecie in esame, dell'esistenza di un credito della parte attrice verso la Parte convenuta.
In ordine alla domanda inerente al meccanismo della cd. capitalizzazione degli interessi passivi, poi, lo stesso deve considerarsi del tutto illegittimo in virtù della radicale nullità che affligge la clausola contrattuale che lo prevede. Al riguardo, la Suprema Corte, con sentenza a SS. UU. n. 21095 del 04.11.2004, oltre ad ampia giurisprudenza (ex pluris Cass. n. 13739/2003, n. 12222/2003, n.44.98/2002) ha chiarito la definitiva cancellazione dell'uso della capitalizzazione trimestrale in ragione della considerazione che la prassi dell'inserimento nei contratti bancari delle clausole in questiono nei contratti bancari è riconducibile ad un uso negoziale, peraltro non provato dalla Banca Carime SpA, e non certo normativo determinando un evidente contrasto con il disposto dell'art. 1283 c.c. e conseguente nullità delle stesse per violazione dell'art. 1418 cc..
Quanto alle conseguenze della riconosciuta nullità dell'anatocismo trimestrale sulla rideterminazione e quantificazione della somma effettivamente dovuta, ritiene il Tribunale che non si debba applicare nessun tipo di capitalizzazione degli interessi.
La esclusione di ogni forma di capitalizzazione degli interessi, in luogo dell'applicazione della capitalizzazione annuale o semestrale, appare la più corretta da un punto di vista prettamente giuridico, atteso che l'unica conseguenza possibile in ipotesi di patto contrastante con norme imperative è la sua caducazione non la sua sostituzione con una clausola di identico contenuto ed effetto sostanziale, ma solo di minore impatto economico.
Da ultimo, la Corte di cassazione, con sentenza n.24418/2010, ha accolto tale indirizzo, escludendo, in particolare, che possa ravvisarsi nella realtà storica degli ultimi decenni un uso normativo di capitalizzazione annuale degli interessi debitori e stabilendo il seguente principio dl diritto; "dichiarata la nullità della (...) previsione negoziate di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall'art. 1283 c.c., gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza capitalizzazione alcuna".
In relazione alla invalidità delle commissioni di massimo scoperto trimestrale, poi, si deve evidenziare che non solo tali commissioni non risultano previste, né concordate in sede contrattuale, ma soprattutto non è mai stato previsto ed esplicato nello stesso contratto il particolare metodo di calcolo delle C.M.S. e della loro capitalizzazione trimestrale. Anche su detto thema si è pronunciata in modo adamantino la Suprema Corte con la sentenza n. 11466/2008 che ha sancito il principio secondo il quale detta clausola "è affetta da nullità per indeterminatezza ed indeterminabilità dell'oggetto".
Ed infatti, sia che tale commissione di massimo scoperto sia un accessorio che si aggiunge agli interessi passivi, sia che la medesima commissione abbia una funzione remunerativa dell'obbligo della banca di tenere a disposizione dell'accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo, la capitalizzazione trimestrale non è dovuta, atteso che nell'un caso le clausola anatocistiche sono nulle e nell'altro caso la disciplina dell'anatocismo, prevista dall'art. 1283 c.c. espressamente per gli interessi scaduti, non è estensibile ad un corrispettivo autonomo degli interessi. Una volta affermata la nullità della capitalizzazione trimestrale, anche tale corrispettivo deve essere conteggiato annualmente.
Non risulta invece alcuna pattuizione con riferimento alle spese fisse di tenuta conto e della spese forfettarie.
La giurisprudenza è assolutamente pacifica nel ritenere che le clausole che prevedono prezzi, costi, oneri nei contratti bancari devono rivestire la forma scritta ad substantiam e devono, altresì, soddisfare i requisiti della determinatezza o determinabilità dell'onere aggiuntivo che impongono al cliente.
Consegue da ciò che, in mancanza di una espressa pattuizione, nulla spetta alla banca a titolo di spese di tenuta conto.
Orbene, in applicazione dei principi e delle statuizioni sopra esposte, deve concludersi che, alla data di chiusura, il conto corrente dedotto in giudizio presentava un saldo a credito del correntista pari ad €.295.544,77. Su tate somma, che costituisce un debito di valuta, spettano gli interessi legati dalla domanda al soddisfo, non potendosi ritenere l'accipiens in mala fede prima di tale momento.
Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Le spese di ctu vengono definitivamente poste a carico della convenuta.

P.Q. M.

definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da R. M. e
A. M. T. nei confronti di Banca Carime SpA, così provvede:
1) accoglie le domande formulate da R. M. e A. M. T. poiché fondate e, per l'effetto, condanna la Carime SpA al pagamento in favore dell'attrice della somma di €.295,544,77, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo;
2) condanna la banca convenuta al pagamento in favore .della parte attrice delle spese del giudizio, che si liquidano in complessivi €.15.200,00, di cui €. 200,00 per spese ed €.15.000,00 per competenze professionali da distrarsi in favore degli avvocati Antonio Tanza e Francesco Serinelli, oltre IVA e CNA come per legge;
3) pone le spese di CTU definitivamente a carico della convenuta.
Mesagne, 13.12.12



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