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Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2006
IX
TRIBUNALE di LIVORNO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
SEZIONE CIVILE
Il Tribunale di Livorno, nella persona del G. I. Dott. Roberto URGESE, in funzione di Giudice Unico, ha emesso la seguente
SENTENZA Parziale n. 259/06
nella causa civile iscritta al n° 838/01 R.G.C., vertente:
TRA
MEINI Massimo, presso e nello studio dell'Avv. Marco GIUNTI e dell'Avv. Antonio Tanza del foro di Lecce, che li rappresentano e difendono in virtu di mandato a margine all'originale dell'atto introduttivo
attore
CONTRO
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, presso e nello studio dell'Avv. Luisa LAPUCCI, che la rappresenta e difende in virtu di mandato a margine della comparsa di costituzione;
CONCLUSIONI
Il procuratore dell’attore chiede e conclude: “ Voglia l’On.le Tribunale adito, respinta ogni altra istanza, in accoglimento dei motivi su esposti:
1. ACCERTARE e DICHIARARE l’invalidità a titolo di nullità parziale del contratto di apertura di credito mediante affidamento con scopertura sul c/c n. 31998.01, oggetto del rapporto tra parte attrice e la banca, particolarmente in relazione alle clausule di determinazione e di applicazione degli interessi ultralegali, della determinazione ed applicazione dell’interesse anatocistico con capitalizzazione trimestrale all’applicazione della provvigione di massimo scoperto, all’applicazione degli interessi per giorni valuta, dei costi, delle competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese;
2. ACCERTARE e DICHIARARE, per l’effetto, l’esatto dare-avere tra le parti in base ai risultati del ricalcalo che potrà essere effettuato in sede di CTU tecnico-contabile e sulla base dell’intera documentazione relativa al rapporto di apertura di credito;
3. DETERMINARE il costo effettivo annuo dell’indicato rapporto bancario;
4. ACCERTARE e DICHIARARE, previo accertamento del Tasso effettivo globale, la nullità e l’efficacia di ogni qualsivoglia pretesa della convenuta banca per interessi, spese,commissioni, e competenze per contrarietà al disposto di cui alla legge 7 marzo 1996 n. 108, perché eccedente il c.d. tasso soglia nel periodo trimestrale di riferimento, con effetto, ai sensi degli artt.1339 3 1419, II comma, c.c., della applicazione del tasso legale senza capitalizzazione;
5. CONDANNARE la convenuta banca alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre agli interessi legali creditori in favore dell’odierno istante;
6. DICHIARARE l’invalidità di ogni altra obbligazione connessa all’impugnato rapporto bancario;
7. in ogni caso, CONDANNARE la banca convenuta al risarcimento dei danni patiti dall’attore, in relazione agli artt. 1337, 1338, 1366, 1376 c.c., da determinarsi in via equitativa;
8. CONDANNARE la banca al risarcimento dei danni subiti dall’opponente a seguito della illegittima segnalazione alla Centrale rischi presso la Banca d’Italia a motivo del rischio a sofferenza falsamente quantificato;
9. CONDANNARE in ogni caso la parte soccombente al pagamento delle spese e competenze di giudizio in favore dei sottoscritti procuratori antistatali,
IN VIA ISTRUTTORIA CHIEDONO che l’Ill.mo Sig. G.I. Voglia:
ORDINARE l’acquisizione del contratto base di tutti gli estratti conto, delle ricevute di versamento, delle schede banca e di quanto altro inerente ai contratti di apertura di credito impugnati, nonché di un completo rendiconto (che indichi, tra l’altro, da una parte il capitale effettivamente erogato dalla banca e dall’altra le remunerazioni, le competenze ed i guadagni percetti dalla banca con riferimento all’intero periodo del rapporto, nonché la certificazione della Centrale Rischi presso la Banca d’Italia relativa alla posizione degli odierni istanti;
DISPORRE perizia contabile (CTU) avente per oggetto i seguenti quesiti: con riferimento al rapporto di apertura di credito mediante affidamento con scopertura su c/c n. 31998.01 a) CALCOLARE la durata dell’intera apertura di credito tra le parti in causa; b) CALCOLARE la scopertura media in linea capitale ; c) CALCOLARE l’ammontare complessivo delle competenze addebitate nei vari periodi comprendenti eventuali interessi anatocistici; d) CALCOLARE il tasso di interesse effettivo globale medio annuo con riferimento ai periodi trimestrali di rilevazione del c.d. tasso – soglia di cui alla Legge 108/1996; f) CALCOLARE il tasso di interesse debitore-creditore in regime di tasso legale, senza capitalizzazione, computando le operazioni di credito effettivo delle valute dal giorno in cui la banca ha acquistato o perduto la disponibilità dei correlativi importi”.
Il procuratore del convenuto chiede e conclude:
“ rigettare tutte le domande attrici perché infondate in fatto e in diritto; nella denegata ipotesi di accoglimento delle domande avversarie, dichiara comunque prescritto il preteso diritto al risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale el preteso diritto alla restituzione delle somme percepite dalla banca anteriormente al decennio precedente la notifica della citazione e riconoscere gli interessi sulle somme da restituire solo a far tempo dalla notifica della domanda giudiziale Con vittoria di spese ed onorari di causa”.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 16.3.2001 Massimo Meini conveniva in giudizio la Banca Monte dei Paschi di Siena per sentire accogliere le conclusioni di cui in eepigrafe.
L’attore, premessa la stipula con la Banca convenuta di un contratto di controcorrente aperto in data 12.9.1986 eccepiva la nullità della clausola di determinazione dell’interesse ultralegale mediante rinvio al c.d. uso piazza per violazione degli articoli 1346, 1318 c.c. in quanto generica ed indeterminata; la nullità della pattuizione d applicazione della capitalizzazione trimestrale dell’interesse composto per violazione degli artt. 1283 e 1418 c.c. basandosi su un mero uso negoziale e non su di una norma consuetudinaria; la inammissibilità della provvigione di massimo scoperto per violazione degli artt.1284, 1325 e 1418 c.c. in quanto vera e propria integrazione del tasso nominale d’interesse priva di una specifica giustificazione economico tecnica; la illegittimità della applicazione degli interessi per c.d. giorni di valuta, dei costi delle competenze e delle remunerazioni lamentando il superamento dei tassi di soglia.
Chiedeva l’attore, quindi, la dichiarazione della parziale invalidità del rapporto di apertura di credito e la rideterminazione dell’esatto dare avere tra le parti, oltre al risarcimento del danno.
Si costituiva la convenuta contestando la domanda ed in particolare rilevando, per ciò che riguarda la clausola determinativa degli interessi, che detta clausola sarebbe valida in quanto facente riferimento a criteri ben determinati; per ciò che riguarda la provvigione di massimo scoperto e la valuta, che le norme contrattuali che regolano i conti correnti indicano espressamente le commissioni e si fa rinvio per l’applicazione delle stesse ai criteri usualmente praticati dalle aziende di credito sulla piazza, usi pubblicizzati nei fogli informativi; per ciò che attiene alla illegittimità della capitalizzazione trimestrale, che la capitalizzazione periodica risale a prima del codice civile del 1942 e comunque gli usi contrari non possono essere circoscritti solo a quelli già esistenti alla data di entrata in vigore del codice civile e che l’uso normativo ben può formarsi anche nel caso di adesione a contratti unilateralmente predisposti. Secondo la convenuta il mutamento della giurisprudenza non potrebbe cancellare un orientamento ventennale ormai consolidato circa la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi.
In ordine alla presunta eccedenza dei limiti previsti dalla legge 108/96, la convenuta rilevava la carenza di prova sul punto e comunque la disciplina della legge n.108 non sarebbe applicabile ai rapporti già in essere al momento di entrata in vigore della stessa.
Infine la convenuta eccepiva la prescrizione del diritto alle restituzioni e chiedeva il rigetto della domanda di risarcimento.
La causa, esperita l’istruttoria, veniva trattenuta per la decisione all’udienza del 17.11.2005, con concessione dei termini di cui all’art.190 c.p.c.
Motivi
Innanzitutto si deve rilevare come la banca convenuta non ha contestato l’esistenza del rapporto di contro corrente istaurato con l’attore, né ha contestato la tipologia di contratto in essere, per cui si può senz’altro passare all’esame delle varie clausole che, secondo l’attore, sarebbero affette da nullità.
Per ciò che attiene alla censura avente ad oggetto la clausola che stabilisce interessi ultralegali regolati secondo gli usi di piazza, si ritiene condivisibile la recente giurisprudenza di legittimità che ha avuto modo di analizzare il fenomeno, richiamandosi in particolare la decisione n.1027 emessa dalla sezione I dal Supremo Collegio in data 14.5.2005.
Si ritiene l’inidoneità delle modalità di determinazione “per relationem” del saggio ultralegale a dare certezza dal tasso pattuito.
Nel caso esaminato dalla corte la banca eccepiva l’esclusione di qualsiasi intervento della banca stessa nella concreta determinazione del tasso con conseguente contrasto con la funzione di intermediaria ad essa assegnata; la portata reale della “clausola uso piazza” avrebbe dovuto essere ricostruita non solo sulla base del contenuto letterale dell’art, 7 delle condizioni contrattuali, ma anche del disposto dell’art.16, che prevede una riserva in favore della banca per la modifica delle condizioni regolanti il rapporto, oltre che delle prassi comportamentali seguite dalle parti ai sensi degli artt. 1362, comma 2, 1363 c.c.; il potere di intervento della banca nella determinazione del tasso sarebbe, poi, riconducibile all’art.1349 c.c. nonostante la sua qualità di parte e non di terzo, poiché le relative espressioni sarebbero comunque suscettibili di sindacato da parte dell’autorità giudiziaria, ove sollecita a tal fine; sarebbe stata erroneamente esclusa l’applicabilità al conto corrente bancario dell’art. 1825 c.c., che si riferisce al conto corrente ordinario, essendo ricavabile la regolamentazione del primo da disposizioni dettate per il secondo, attesa l’analogia fra le due figure contrattuali.
La Corte ha ritenuto le suddette doglianze infondate rispettivamente in quanto la pretesa contraddizione ravvisata fra la funzione di intermediaria assegnata alla banca e l’affermata impossibilità di un uso diretto intervento per la determinazione del tasso è enunciata in termini generici ed è di per sé inidonea ad individuare l’asserita erroneità dei profili argomentati svolti sul punto dalla Corte territoriale. C) la Corte di Merito ha preso in esame gli artt.7 e 16 del contratto, ritenendo che la previsione del combinato disposto delle due clausole non consentisse di precisare alcun elemento estrinseco di riferimento idoneo a garantire una sicura determinabilità degli interessi, per cui la diversa interpretazione suggerita avrebbe dovuto essere sorretta dalla denuncia dei canoni ermeneutici asseritamene violati, con l’indicazione dei profili di erroneità riscontrati,
d) la Corte di Appello aveva ritenuto non pertinente il richiamo della banca all’art.1349 c.c. a sostegno della legittimità di un suo intervento finalizzato alla determinazione del tasso, sotto un duplice profilo testuale e logico; quanto al primo, perché la forma richiama la possibilità di deferire solo al terzo la determinazione della prestazione, quanto al secondo, perché la funzione equilibratrice demandata all’arbitratore presuppone la sua posizione di terzietà ed esclude che la stessa possa essere correttamente svolta da colui che è titolare di un proprio interesse in contrasto con quello dell’altro.
A fronte delle dette argomentazioni il ricorrente ha proposto una interpretazione alternativa dell’art. 1349, essenzialmente basata sulla possibilità dell’adozione di correttivi in sede giudiziaria rispetto alle determinazioni dell’arbitratore- parte; sulle funzione svolte dalla banca sul mercato; sulla necessità, per i contratti di durata, di prevedere il rinvio alle condizioni di mercato. Tuttavia non ha rappresentato né le ragioni per le quali le non condivise affermazioni della Corte territoriale configurerebbero violazioni di legge o sarebbero viziate nella motivazione, né i profili di erroneità sotto tale riflesso riscontrati. E) la Corte territoriale ha ritenuto improprio il richiamo all’art.1825 c.c. in ragione del fatto che la norma si riferisce al conto corrente ordinario, e norma quello di conto corrente bancario; che quest’ultimo contratto è connotato da autonomia strutturale e funzionale rispetto al primo; che nell’art.1857 c.c. , contenente disposizioni integrative alla disciplina delle operazioni bancarie in conto corrente con rinvio agli artt.1826, 1829, 1832 c.c., non è contenuto alcun riferimento al citato art.1825.
Si condividono le argomentazioni svolte dalla Corte di Appello confermate dalla Cassazione.
Non vi è dubbio che il richiamo agli usi di piazza sia insufficiente a determinare una corretta volontà per carenza dei requisiti che l’art. 1346 c.c., individua in relazione all’oggetto del contratto: l’oggetto della clausola che stabilisce interessi ultra legali è sicuramente indeterminato se non fa riferimento, come nel caso di specie, a specifica misura. Non pertinente il richiamo alla disciplina di cui all’art.1825 c.c. che riguarda i contratti di controcorrente ordinari e non quelli bancari la cui disciplina non richiama quella dei conto correnti ordinari, evidentemente proprio per la diversa funzione socio-economica che sta alla base di essi.
Per ciò che attiene alla clausola relativa al calcolo degli interessi con capitalizzazione trimestrale si rileva come Suprema Corte a Sezioni Unite (v. sent.n. 21095 del 2004) ha avuto modo di stabilire che l’evoluzione del quadro normativo- impressa dalla giurisprudenza e dalla legislazione degli anni ‘90, in direzione della valorizzazione della buona fede come clausola di protezione del contraente più debole, della tutela specifica del consumatore, della garanzia della trasparenza bancaria, della disciplina dell’usura- ha innegabilmente avuto il suo peso nel determinare la ribellione del cliente (che ha dato, a sua volta, occasione al “ revirement” giurisprudenziale) relativamente a prassi negoziali, come quella di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti alle banche, risolventesi in una non più tollerabile sperequazione di trattamento imposta dal contraente forte in danno della controparte più debole.
Ma ciò non vuole dire (e il dirlo sconterebbe un evidente salto logico) che, in precedenza , prassi siffatte fossero percepite come conformi a “ius” e che, sulla base di una tale convinzione (“ opinio iuris”), venissero accettate dai clienti.
Più semplicemente, di fatto, le pattuizioni anatocistiche, come clausole non negoziate e non negoziabili, perché già predisposte dagli istituti di credito, in conformità a direttive delle associazioni di categoria, venivano sottoscritte dalla parte che aveva necessità di usufruire del credito bancario e non aveva, quindi, altra alternativa per accedere ad un sistema connotato dalla regola del prendere o lasciare. Dal che la riconducibilità, “ab inizio”, della prassi di inserimento, nei contratti bancari, delle clausole in questione, ad un uso negoziale e non già normativo (per tal profilo in contrasto dunque con il precetto dell’art.1283 c.c. ), come correttamente ritenuto dalle sentenze del 1999 e successive. Né è in contrario sostenibile, secondo la Corte, che la “fondazione” di un uso normativo, relativo alla capitalizzazione degli interessi dovuti alla banca, sia in qualche modo riconducibile alla stessa giurisprudenza del ventennio antecedente al “revirement” del 1999.
Anche in materia di usi normativi, così come con riguardo a norme di condotta poste da fonti-atto di rango primario, la funzione assolta dalla giurisprudenza, nel contesto di sillogismi decisori, non può essere altra che quella ricognitiva, dell’esistenza e dell’effettiva portata, e non dunque anche una funzione creativa, della regola stessa.
Discende come logico ed obbligato corollario da questa incontestabile premessa che, in presenza di una ricognizione, pur reiterata nel tempo, che si dimostri poi però erronea nel presupporre l’esistenza di una regola in realtà insussistente, la ricognizione correttiva debba avere una portata “naturalite” retroattiva, conseguendone altrimenti la consolidazione “medio tempore” di una regola che troverebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenza che, erroneamente presupponendola, l’avrebbero con ciò stesso creata.
Ciò vale evidentemente, nel caso di specie, anche con riguardo alla giurisprudenza (costituita, per altro, da solo dieci tralaticie pronunzie nell’arco di un ventennio) su cui fa leva la tesi contraria, la quale – a prescindere dalla sua idoneità (tutta da dimostrare e in realtà indimostrata) ad ingenerare nei clienti una “opinio iuris” del meccanismo di capitalizzazione degli interessi, inserito come clausola in suscettibile di negoziazione nei contratti stipulati con la banca – non avrebbe potuto, comunque, conferire normatività ad una prassi negoziale che si è dimostrato essere “ contra legem”.
Della insuperabile valenza retroattiva dell’accertamento di nullità delle clausole anatocistiche, contenuto nelle pronunzie del 1999 si è mostrato subito, del resto, ben consapevole anche il legislatore il quale – nell’intento di evitare un prevedibile diffuso contenzioso nei confronti degli istituti di credito – ha dettato, nel comma 3 dell’art. 25 del già citato d.lgs. n.342/99, una norma “ad hoc”, volta appunto ad assicurare validità ed efficacia alle clausole di capitalizzazione degli interessi inserite nei contratti bancari stipulati anteriormente alla entrata in vigore della nuova disciplina, paritetica, della materia, di cui ai precedenti comuni primo e secondo del medesimo art.25.
Quella norma di sanatoria è stata, però come noto, dichiarata incostituzionale, per eccesso di delega e conseguente violazione dell’art. 77 Cost., dal Giudice delle leggi, con sentenza n.425 del 2000.
L’eliminazione “ex tunc”, per tal via, della eccezionale salvezza e conservazione degli effetti delle clausole già stipulate lascia queste ultime, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sotto il vigore delle norme anteriormente in vigore, alla stregua delle quali, per quanto si è detto, esse non possono che essere dichiarate nulle, perché stipulate in violazione dell’art..1283 c.c.. (cfr. Cass. n. 4490/02).
La ricostruzione operata dalla giurisprudenza appare convincente ed in ogni caso aderente alla tendenza anche legislativa ad operare una più efficace tutela del consumatore rispetto ai contraenti più forti e ciò anche in aderenza con il dettato costituzionale ed in particolare ai principi di cui all’art.3.
Del resto anche in sintonia con un consolidato indirizzo della Corte di legittimità (fra le altre si richiamano C. 2003/13739, C.2001/5675, C.2000/5286, C. 199/2374, C. 1977/1724), si ritiene che non correttamente la censura della banca sia incentrata sulla irragionevolezza di una interpretazione legittimante deroghe soltanto da parte di usi normativi anteriori al 1942, in quanto tale censura è basata su diversa ricostruzione della normativa anziché sui profili di erroneità. Gli usi nei quali troverebbe fondamento il sistema di calcolo degli interessi anatocistici avrebbero natura normativa e non negoziale, secondo la prospettazione della convenuta.
La qustione è stata specificamente affrontata come sopra evidenziando dalla Corte di legittimità (v. C. S.U. cit., C. 2003 / 13739, C. 2003/12222, C. 2003/2593) che ha ravvisato la natura patrizia delle cosiddette norme bancarie uniformi predisposte dall’A.B.I. al riguardo, in considerazione sia del mancato accertamento da parte della Commissione speciale permanente presso il Ministero dell’Industria dell’esistenza di un uso normativo generale di contenuto corrispondente alla clausola in questione, sia dell’impossibilità di individuare nei soggetti contraenti con le banche l’atteggiamento psicologico di spontanea adesione ad un precetto giuridico (“opinio iuris ac necessitatis”).
Ne discende dunque che non ricorrono le condizioni idonee a legittimare una deroga al dettato dell’art. 1283 c.c. e che, conseguentemente, la clausola in contestazione deve dirsi nulla.
Per ciò che attiene alla commissione di massimo scoperto la Corte di legittimità (v. C. n. 1027 cit.) ha statuito che tale commissione deve essere contrattualmente prevista, per cui in mancanza di pattuizione si deve applicare la norma di cui all’art. 1826 c.c. che stabilisce che i diritti di commissione sono inclusi nel conto salva pattuizione contraria. Il richiamo alle norme bancarie uniformi e/o alle istruzioni della banca d’Italia sono state correttamente ritenute inidonee a disciplinare il rapporto in oggetto, né risulta provata l’esistenza di un uso contrattuale che per altro non consentirebbe di superare la censura di nullità per indeterminatezza dell’oggetto.
Per ciò che attiene ai giorni di valuta si ritiene che la questione vada regolata in base accertamento della copertura o meno con riferimento al saldo disponibile da determinarsi, quanto agli addebiti degli assegni tratti sul conto corrente in ragione delle epoche della loro registrazione da parte della banca e non al saldo per valuta. Del resto in assenza di prova contraria e in mancanza di previsione contrattuale si deve riconoscere la valuta nel giorno in cui l’operazione fu eseguita, dovendosi ritenere che la forma scritta sia necessaria anche per le pattuizioni relative alla decorrenza della valuta, dato che esse si risolverebbero in una modifica del saggio di interesse applicato ai saldi attivi e passivi (v.Trib.Milano 22.3.1993 e Cass. 10.9.2002 n.13143).
Si ritiene, quindi di poter accogliere la domanda relativa alla nullità delle clausole aventi ad oggetto la capitalizzazione trimestrale degli interessi, la previsione di interessi ultralegali stabili secondo gli usi di piazza, nonché la illegittimità delle commissioni di massimo scoperto applicate al rapporto e dell’applicazione dei giorni di valuta riferite agli assegni.
La causa dovrà rimettersi in istruttoria per l’espletamento di CTU come da separata ordinanza
p.q.m.
Non definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Massimo Meini nei confronti della Banca Monte dei Paschi di Siena
dichiara
La nullità delle clausole contenute nel contratto di contocorrente stipulato dalle parti e oggetto di causa relative alla capitaòizzazione trimestrale degli interessi e alla previsione degli interessi ultralegali stabiliti secondo gli usi di piazza
dichiara
Non dovute le commissioni di massimo scoperto applicate al rapporto ed illegittima l'applicazione concretamente attuata dei gorni valuta riferita agli assegni
rimette
La causa in istruttoria come da separata ordinanza
Spese al merito
Livorno, 6 marzo 2006 Il Giudice
Dott. Roberto URGESE
Depositata il 6 marzo 2006
L'operatore Giudiziario
Dott. Paola GRANDI
X
TRIBUNALE di ROMA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
VIII SEZIONE CIVILE
Il Tribunale di Roma, nella persona del G. I. Dott. Maria GURRIERI, in funzione di Giudice Unico, ha emesso la seguente
SENTENZA Parziale n. __ /06
nella causa civile iscritta al n° 69743/02 R.G.C., vertente:
TRA
CEAP COSTRUZIONI EDILE APPALTI PUBBLICI SRL, presso e nello studio dell'Avv. Bruno Guglielmetti e dell'Avv. Antonio Tanza del foro di Lecce, che li rappresentano e difendono in virtu di mandato a margine all'originale dell'atto introduttivo
attore
CONTRO
BANCA di ROMA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, presso e nello studio dell'Avv. Giancarlo FOLLETTI e Avv. Luigi FEDRETTI, che la rappresenta e difende in virtu di mandato a margine della comparsa di costituzione;
(in via di registrazione)
... dichiara nulla e inefficace la capitalizzazione trimestrele degli interessi debitori operata dalla banca convenuta nei rapporti di conto corrente dedotti in giudizio, di cui in motivazione e per tutta la loro durata nonchè illegittimi gli addebiti di commissione per massimo scoperto operati dalla stessa banca ai rapporti di conto corrente intrattenuti nel periodo dall'8 agosto 1988 al 14 giugno 1994;
Come da separata ordinanza rimette la causa sul ruolo istruttorio per l'espletamento di CTU al fine di quantificare le somme non dovute alla banca convenuta in relazione alle suddette voci, alla data del saldo definitivo contabile dei dedotti rapporti;
Spese al definitivo;
rimette la presente causa davanti al Giudice all'udienza del 16 novembre 2006, ore 9,30 per la prosecuzione della necessaria istruzione mediante la disposta CTU.
Così deciso in Roma il 2 marzo 2006
Il Giudice
Dott. Maria GURRIERI
Depositata il 21 marzo 2006
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