Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


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Ordinanza 24 ott 06 Truppa

Parmalat



Proc. pen. n. 2395/05 r.n.r.
Proc. pen. n. 2198/05 r.g.g.i.p.


Tribunale di Parma


Ufficio del giudice per l’udienza preliminare




ORDINANZA SULLE QUESTIONI RELATIVE ALLE PARTI CIVILI



Il Giudice, dr. Domenico Truppa

Sulle eccezioni e richieste avanzate dalle difese degli imputati sulla esclusione delle parti civili che hanno depositato atto di costituzione nelle udienze 5, 6 giugno, 26 luglio e 4 ottobre 2006;
sentito il P.M. e le altre parti;

osserva



Le questioni emerse dalle argomentazioni svolte dalle difese degli imputati, dal P.M. e dalle difese delle costituende parti civili involgono profili di pertinenza del diritto sostanziale e processuale sia penale che civile.
L’interdisciplinarietà della materia e la varietà delle questioni poste impone il tentativo di razionalizzare l’esposizione sotto il profilo logico di trattazione, e per tale motivo si ritiene di dover distinguere tra questioni generali (comuni a tutte le posizioni processuali da esaminare) e questioni specifiche attinenti a singoli atti o riferiti a singoli imputati.

QUESTIONI DI CARATTERE GENERALE

1. Sulla legittimazione a costituirsi parte civile delle società del gruppo Parmalat in amministrazione straordinaria.

Come noto, l’art. 74 del c.p.p. stabilisce che ‘l’azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all’art. 185 c.p. può essere esercitata dal soggetto al quale il reato ha arrecato danno’.
Ai sensi dell’art. 240 della L.F. ‘il curatore, il commissario giudiziale e il commissario liquidatore possono costituirsi parte civile nel procedimento penale per i reati preveduti nel presente titolo anche contro il fallito’.
L’art. 95 del decreto legislativo 8 luglio 1999 n. 270 afferma che ‘la dichiarazione dello stato insolvenza a norma degli articoli 3 e 82 è equiparata alla dichiarazione di fallimento ai fini dell’applicazione delle disposizioni dei capi I, II e IV del titolo VI della legge fallimentare’.
Infine, l’art. 97 del decreto citato sancisce che ‘ la facoltà di costituzione di parte civile prevista dall’art. 240 comma primo della legge fallimentare è esercitata, …. dopo l’apertura della procedura di amministrazione straordinaria, dal commissario straordinario’.
Dal combinato disposto delle quattro norme emerge in maniera sufficientemente chiara che anche il commissario straordinario (oltre che il curatore fallimentare, il commissario giudiziale e il commissario liquidatore) assume la rappresentanza legale degli interessi della massa creditoria delle società oggetto di dichiarazione di stato di insolvenza emessa secondo la procedura disciplinata dal decreto legislativo n. 270/99 e successivamente dalla l. n. 39/04 e può esercitare l’azione civile risarcitoria nel processo penale iscritto a carico degli imputati dei reati previsti dal titolo VI della legge fallimentare.
E’, in realtà, un’ipotesi eccezionale di rappresentanza legale che conferisce ad un unico soggetto (il curatore fallimentare e, nel caso in esame, il commissario straordinario) la qualifica di persona offesa dai reati fallimentari enucleati in imputazione in quanto egli è titolare degli interessi protetti dalle norme penali violate e descritte nel capo d’accusa: in tale veste patisce, pertanto, il cd. danno criminale, costituito dall’offesa al bene protetto di volta in volta dalle norme penali fallimentari violate.
Ma il commissario straordinario è, anche, danneggiato da reato, nel senso, qui di prima approssimazione, che patisce un danno risarcibile oggetto di specifica domanda giudiziale.

La circostanza che la persona offesa dal reato sia anche danneggiata dallo stesso è fatto, invero, di frequentissima verificazione, ma tale precisazione sarà importante per verificare l’ammissibilità, nell’ambito dei reati previsti dalla legge fallimentare, di una legittimazione esclusiva o concorrente (principale o sussidiaria) di altre categorie di soggetti in presenza di una rappresentanza legale degli interessi dei creditori delle società in amministrazione straordinaria.

Il curatore, pertanto, e, ex art. 95 d.lgs. n. 270/99, il commissario straordinario agiscono nell’interesse dei creditori impersonalmente considerati e si costituiscono
iure proprio per far valere diritti ed interessi altrui.
In quanto parte offesa così individuata durante la fase delle indagini preliminari, il commissario straordinario delle società del gruppo Parmalat in amministrazione straordinaria è stato indicato dal P.M. nella sua richiesta di rinvio a giudizio depositata presso la cancelleria del GUP in data 30.12.05 ed in tale veste egli è stato unico destinatario dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare ex art. 419 c.p.p..

Stabilito ciò, appare opportuno, sin d’ora, affrontare il problema relativo al tipo di azione che il commissario straordinario può esercitare in sede civile nella sua veste di rappresentante del ceto creditorio in funzione recuperatoria dei beni sui quali potranno soddisfarsi i creditori concorsuali e quale tipo di azione possa egli esercitare nell’ambito del presente procedimento penale.

In relazione al primo aspetto va ulteriormente premesso che tra le azioni cd di massa – riservate al commissario straordinario perché finalizzate a reintegrare la garanzia costituita dal patrimonio del debitore fallito – quali le azioni di simulazione, le azioni revocatorie e le azioni di responsabilità -, queste ultime sono le uniche che è possibile attivare in sede penale stante la limitazione dei rimedi esperibili in questa sede secondo quanto stabilito dall’art. 185 c.p. che prevede solo la possibilità di restituzione e risarcimento.

In relazione alle azioni risarcitorie di responsabilità, occorre fare riferimento alle norme del codice civile che disciplinano la responsabilità degli amministratori verso la società, i soci, i creditori e i terzi.
L’art. 2392 c.c. sancisce la natura contrattuale della responsabilità degli amministratori in quanto derivante da un rapporto di amministrazione i cui contenuti sono determinati dalla legge e dallo statuto: la violazione di tali obblighi da parte degli amministratori costituisce inadempimento per il quale è possibile azionare la pretesa risarcitoria.
Gli artt. 2393 c.c. e 2393-bis c.c. disciplinano le modalità di esercizio dell’azione da parte dell’assemblea dei soci o da parte di una quota minoritaria dei soci.
L’art. 2394 c.c. prevede che anche i creditori della società possano agire nei confronti degli amministratori per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, quando questo risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.
L’art. 2394-bis c.c. afferma che le azioni di responsabilità previste dagli articoli precedenti (art. 2393 c.c. dei soci, art. 2393-bis c.c.: dei soci di minoranza, art. 2394 c.c.: dei creditori) spettano al curatore del fallimento, al commissario liquidatore e al commissario straordinario in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria.

In relazione a tali azioni risarcitorie, va sottolineato che giurisprudenza incontrastata stabilisce che per effetto dell’apertura della procedura concorsuale, l’azione di responsabilità esercitata dal rappresentante della procedura compendi in sé le azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., le quali confluiscono in una unica azione che assume carattere unitario sia perché cumula i presupposti e gli scopi di entrambe le azioni, sia perché è sempre finalizzata alla reintegrazione del patrimonio sociale visto ad un tempo come garanzia dei soci (art. 2393 c.c.) e dei creditori sociali (art. 2394 c.c.) (per tutte, Cass. 6 ottobre 1981 n. 5241).
La lettura degli atti introduttivi delle cause civili promosse dal commissario straordinario nei confronti degli amministratori e sindaci della Parmalat spa e Parmalat Finanziaria spa dà conto della chiara impostazione della pretesa risarcitoria avanzata dall’attore, laddove si afferma la volontà di agire per il risarcimento del danno ex art. 2392, 2393, 2394, 2449 e 2407 c.c., con ciò confermando l’attivazione unitaria di un’azione risarcitoria in realtà duplice.

Orbene, per quello che qui interessa, occorre rilevare che nell’atto di costituzione di parte civile depositato dal commissario straordinario nel presente procedimento penale si legge ‘la presente costituzione di parte civile è formulata al fine di ottenere il ristoro dei danni tutti, patrimoniali e non patrimoniali, subiti dalle varie società del gruppo Parmalat in amministrazione straordinaria in occasione dei commessi reati’, rinviando per l’illustrazione della
causa petendi alla dettagliata descrizione dei comportamenti penalmente rilevanti indicati nei capi d’accusa.
Tale sintetica ed omnicomprensiva domanda di risarcimento danni derivante dal fatto illecito deve ritenersi comprensiva di ogni voce di danno (sul punto Cass. 23 giugno 1989 n. 3020), non essendovi specificata riserva alcuna per far valere nel separato giudizio civile altre voci di danno.
In definitiva, dunque, la
causa petendi non appare in nulla dissimile dalla citazione in giudizio nelle cause promosse dal commissario straordinario nei confronti di amministratori e sindaci: l’unica differenza (formale ma non sostanziale) è data dal diverso atteggiarsi dei riferimenti ritenuti rilevanti dall’attore a seconda della giurisdizione adita: nella causa civile si indica la violazione delle norme che regolano il rapporto funzionale tra amministratori e sindaci con le società del gruppo; nella causa penale il rinvio integrale ai capi d’accusa pone l’accento sui fatti di reato che presuppongono in ogni caso la violazione degli obblighi legali e pattizi concernenti le attribuzioni funzionali degli amministratori e dei sindaci (illecito penale che è al contempo illecito civile).

Se a tale conclusione si aggiunge la circostanza che la genesi da reato della pretesa risarcitoria rileva ulteriormente poiché consente anche nella sede civile il risarcimento dei danni non patrimoniali (ordinariamente preclusi e risarcibili solo in quanto previsto da norme specifiche - art. 2059 c.c.), vi è identità assoluta anche sotto il profilo del
petitum (danno patrimoniale - danno emergente e lucro cessante – e danno non patrimoniale) anche se caratteristica dell’azione civile nel processo penale è quella di consentire di precisare l’entità dei danni (il petitum) in sede di conclusioni, all’esito degli accertamenti di merito.
In definitiva, quindi, l’azione risarcitoria che il commissario esercita in sede penale non assume connotati di autonomia e diversità sostanziale, ma conserva la medesima natura pur subendo i consueti adattamenti derivanti dal carattere marcatamente pubblicistico che caratterizza il procedimento penale rispetto a quello civile: trattasi di azione di responsabilità (contrattuale per amministratori e sindaci, extracontrattuale per gli altri concorrenti nell’illecito) ex art. 2393 e 2394 c.c. cumulativamente esercitate dal rappresentante della procedura.

Le difese degli imputati Barachini, Tanzi Stefano, Mamoli, Rovelli, Baratta, Tanzi Francesca, Sciumè, Caiola, hanno sostenuto che alcune società in amministrazione straordinaria (e precisamente 16: Parmalat Finanziaria spa, Parmalat spa, Eurolat spa, Lactis spa, Parmalat Netherland BV, Parmalat Finance Corporation BV, Parmalat Capital Netherland BV, Dairies Holding International BV, Parmalat Soparfi SA, Olex SA, Geslat srl, PArmengineering spa, Contal srl, Panna Elena C.P.C. srl, Centro Latte Centallo ssrl e Newco srl) hanno aderito al concordato con assunzione ai sensi dell’art. 4-bis della l. n. 39/04 (in realtà l’argomento va riferito alle sole dieci società del perimetro concordatario che hanno optato per l’esercizio dell’azione civile e precisamente Parmalat Finanziaria spa, Parmalat spa, Parmalat Netherland BV, Parmalat Finance Corporation BV, Parmalat Capital Netherland BV, Dairies Holding International BV, Parmalat Soparfi SA, Olex SA, Geslat srl e Contal srl) e che, pertanto, commissario straordinario e creditori delle società oggetto di dichiarazione di insolvenza hanno raggiunto un accordo transattivo sull’entità e sulle modalità di soddisfazione dei crediti vantati: di talchè, con la sentenza di omologazione del concordato emessa dal Tribunale di Parma in data 1 ottobre 2005, il commissario straordinario non avrebbe più alcuna titolarità all’esercizio dell’azione civile in sede penale perché non sarebbe più persona offesa dai reati e men che meno persona danneggiata dagli stessi.
In altri termini, e sotto diversa ma convergente angolazione, la sostanziale chiusura della procedura di amministrazione straordinaria comporterebbe l’azzeramento dei poteri del commissario straordinario e la perdita della legittimazione attiva dello stesso ad esercitare l’azione civile nel presente procedimento penale.
Va ricordato, per completezza, che la sentenza di cui sopra risulta impugnata con ricorso alla competente Corte d’Appello di Bologna e, per quanto consta all’Ufficio, non è stata celebrata udienza camerale di trattazione: la sentenza, in altre parole, non è ancora divenuta irrevocabile.

L’argomentazione sopra sintetizzata impone un breve
excursus della disciplina dell’amministrazione straordinaria prevista dalla l. n. 39/04.
La attuale legge n. 39 del 18.2.2004, che ha convertito il decreto legge 23.12.03 n. 347 recante ‘misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grande imprese in stato di insolvenza’ è, invero, il risultato di ulteriori interventi correttivi apportati con altri tre decreti leggi (3.5.04 n. 119, 29.11.04 n. 281 e 28.2.05 n. 22) poi anch’essi convertiti in legge (rispettivamente l. 5.7.04 n. 166, l. 28.1.05 n. 6 e l. 29.4.05 n. 71).
I lineamenti essenziali della nuova procedura sono i seguenti: a) vi possono accedere imprese commerciali soggette al fallimento che abbiano più di 500 dipendenti ed oltre 300 milioni di euro di debiti; si trovino in stato di insolvenza ed intendano avvalersi della procedura di ristrutturazione economica prevista dall’art. 27 co. 2 del d.lv. 270/99; b) l’ammissione alla procedura è chiesta dall’impresa con istanza motivata al Ministro delle attività produttive alla quale deve accompagnarsi contestuale ricorso per la dichiarazione dello stato di insolvenza al Tribunale del luogo dove l’impresa ha la sede principale; c) con proprio decreto il Ministro provvede all’ammissione immediata dell’impresa alla procedura e alla nomina del commissario straordinario: ciò determina lo spossessamento del debitore e l’affidamento al commissario straordinario della gestione dell’impresa; d) il Tribunale, con sentenza pubblicata entro 15 giorni dalla comunicazione del decreto, dichiara lo stato di insolvenza dell’impresa; e) entro 180 giorni (termine prorogabile) il commissario straordinario deve presentare al Ministro il programma di cui all’art. 54 del d.lgs. n. 270/99 redatto secondo l’indirizzo di ristrutturazione; se il Ministro non autorizza l’esecuzione di tale programma, il commissario straordinario presenta il programma di cessione di cui all’art. 27 co. 2 lett. a) del d.lgs. n. 270/99; f) nel programma di ristrutturazione il commissario straordinario può prevedere il soddisfacimento dei creditori attraverso un concordato, anche con assunzione, che può avere il carattere più vario ed articolato che deve essere approvato dai creditori e poi omologato dal Tribunale; g) se il Tribunale approva, la procedura si chiude con il passaggio in giudicato della sentenza; se il Tribunale non approva, può essere presentato un programma di cessione:se il programma non viene presentato o non viene autorizzato dal Ministero, il Tribunale dispone la conversione della procedura in fallimento.
Il cuore della procedura è rappresentato dalla predisposizione ed attuazione del programma di ristrutturazione da parte del commissario straordinario: all’interno di tale fase, la legge mostra di considerare come esito preferenziale del programma il concordato.
Le peculiarità del concordato ‘speciale’ disciplinato dalla l. n. 39/04 sono molteplici e possono essere così riassunte: a) legittimato a presentare l’istanza di concordato non è l’imprenditore insolvente ma solo il commissario straordinario; b) la presentazione della proposta prescinde dal completamento della verifica del passivo (ed anzi la sua presenza ‘comporta l’interruzione delle operazioni di accertamento del passivo’ art. 4-bis co. 1-bis); c) la proposta di concordato non necessita di autorizzazione da parte dell’autorità amministrativa; d) il concordato può prevedere la suddivisione dei creditori in classi secondo la posizione giuridica ed interessi economici omogenei, trattamenti differenziati fra creditori appartenenti a classi diverse, la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei creditori attraverso qualsiasi forma tecnica e giuridica, l’attribuzione ad un assuntore delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato.
Dopo la verifica dei crediti e la votazione, se sono state raggiunte le maggioranze previste ‘il Tribunale approva il concordato con sentenza in camera di consiglio’: art. 4 co. 9 l. cit.; tale sentenza produce effetti nei confronti di tutti i creditori ‘per titolo fatto ragione o causa anteriore all’apertura della procedura di amministrazione straordinaria’ e ‘determina l’immediato trasferimento all’assuntore dei beni cui si riferisce la proposta di concordato compresi nell’attivo delle società’: art. 4 co. 10 l. cit..
Infine, con il passaggio in giudicato della sentenza che approva il concordato si chiude la procedura di amministrazione straordinaria: restano in carica gli organi di vigilanza per l’esecuzione del concordato che, nel caso di concordato con assunzione, è individuato proprio nell’assuntore.

Stabiliti tali aspetti, appare fondamentale trovare risposta al quesito se tale procedura di amministrazione straordinaria così tratteggiata costituisca, per gli spiccati elementi di originalità e di deviazione dal modello originale, un nuovo tipo di procedura o possa, invece, essere qualificata speciale rispetto alla procedura di amministrazione straordinaria prevista dal d.lgs. n. 270/99.
In realtà, ragioni di carattere sistematico impongono di ritenere la nuova procedura come una variante di quella introdotta nel 1999: ciò emerge in maniera inequivocabile dall’art. 8 della l. n. 39/04 che stabilisce ‘per quanto non disposto diversamente dal presente decreto, si applicano le norme di cui al d. lgs. n. 270/99 in quanto compatibili’.
Tale rinvio, oltre a consentire l’applicazione delle norme sulla procedura ‘ordinaria’ previo scrutinio positivo in ordine alla compatibilità logico-giuridica con la procedura ‘speciale’, autorizza l’interprete a fare riferimento al d.lgs. n. 270/99 anche, per quello che qui interessa, per la fase della chiusura della procedura che la l. n. 39/04 riconnette alla sola ipotesi di passaggio in giudicato della sentenza che approva il concordato: in particolare, sono sicuramente compatibili tutte le altre ipotesi previste dall’art. 74 ma possono trovare applicazione anche gli art. 75 e 76 in materia di bilancio finale della procedura, di rendiconto del commissario straordinario e di decreto di chiusura.
L’opzione interpretativa di cui sopra ha trovato autorevole conferma con la sentenza della Corte Costituzionale n. 172 del 4-5 aprile 2006: chiamata a decidere su alcuni dubbi di costituzionalità avanzati dal giudice civile in ordine alla applicazione dell’art. 6 della l. n. 39/04, la Corte regolatrice ha operato, nella parte motiva della sentenza, una ricognizione della materia disciplinata dalla cd legge ‘Marzano’ ed ha esplicitamente affermato che ‘in realtà il decreto legge n. 347 del 2003 introduce una procedura speciale che si articola in vari sub-procedimenti, nell’ambito di quella prevista dal d. lgs n. 270 del 1999 della quale condivide la natura (concorsuale) e le finalità (conservative del patrimonio produttivo) enunciate dall’art. 1 comma I del d.lgs n. 270 del 1999’.

Stabilito ciò ed applicato correttamente il criterio di compatibilità della normativa speciale con quella base con riferimento ai vari esiti della procedura in esame, vanno tenuti distinti due aspetti: quello degli effetti obbligatori e traslativi previsti nella sentenza di omologazione del concordato e quello – distinto anche temporalmente - della chiusura della procedura in amministrazione straordinaria con conseguente perdita della legittimazione attiva del commissario straordinario per difetto della qualifica formale conferita secondo le norme di legge.

Invero, in tale fase della procedura di amministrazione straordinaria – nella quale la sentenza di omologazione non è ancora passata in giudicato - anche se si sono prodotti gli effetti obbligatori e traslativi in essa previsti, non solo la procedura non si è formalmente chiusa (art. 4-bis co. 10 l. n. 39/04), ma il commissario straordinario non ha esaurito i suoi compiti e potrebbe essere chiamato a riprendere la sua attività di gestione.
Infatti, nelle more dell’impugnazione della sentenza di omologazione e comunque ‘prima della chiusura della procedura, il commissario straordinario sottopone al Ministero dell’Industria il bilancio finale della procedura con il conto della gestione, accompagnati da una relazione del comitato di sorveglianza; il Ministero ne autorizza il deposito presso la cancelleria del Tribunale che ha dichiarato lo stato di insolvenza e liquida il compenso al commissario’: art. 75. Infine, così come disposto dall’art. 76, ‘la chiusura della procedura di amministrazione straordinaria è dichiarata con decreto motivato dal Tribunale su istanza del commissario straordinario o dell’imprenditore dichiarato insolvente ovvero d’ufficio’.
Di tali atti – bilancio finale della procedura, liquidazione del compenso, decreto di chiusura - non vi è traccia al fascicolo processuale e pertanto deve ritenersi che il commissario straordinario conservi ancora inalterati i suoi poteri originari anche se il suo incarico volge ormai al termine.
Peraltro, il comma 11-bis dell’art. 4-bis della l. n. 39/04 disciplina l’ipotesi relativa alla sentenza che respinge il concordato e ciò, a ben vedere, può riguardare sia l’ipotesi di rigetto adottata dal Tribunale, sia l’ipotesi di accoglimento del ricorso alla Corte d’Appello: in ambedue i casi, si apre la strada alla possibilità di presentazione di un programma di cessione, in mancanza del quale il Tribunale converte la procedura di amministrazione straordinaria in fallimento.
Si può, pertanto, affermare che i poteri del commissario straordinario dopo la sentenza di omologazione emessa dal Tribunale entrino in stato di quiescenza e siano destinati a riespandersi in caso di accoglimento del ricorso in appello e definitivamente ad esaurirsi con il rigetto del ricorso e il passaggio in giudicato della sentenza.
Per le considerazioni sopra esposte non può affermarsi che il commissario straordinario abbia perso la sua qualifica di rappresentante della massa creditoria in virtù dell’accordo raggiunto con il concordato omologato con sentenza che ha già prodotto in via provvisoria i suoi effetti.

Tali considerazioni inducono a ritenere che nel momento attuale il commissario straordinario, oltre ad avere la rappresentanza legale (e la legittimazione attiva alla costituzione di parte civile) delle società in amministrazione straordinaria che non sono state oggetto di concordato, conserva, altresì, i poteri e gli obblighi connessi alla sua qualifica di commissario straordinario per le società in amministrazione straordinaria che hanno aderito al concordato.
Conserva, in altri termini, la sua legittimazione sostanziale intesa come titolarità della situazione giuridica a cui l’ordinamento ricollega la possibilità di esercitare l’azione civile alle condizioni stabilite dall’art. 74 c.p.p. e 240 L.F..

Occorre, a questo punto, verificare se, alla luce degli effetti traslativi determinati dalla omologazione del concordato ex art. 4-bis l. n. 39/04, il commissario straordinario abbia conservato, altresì, il diritto di azionare la pretesa risarcitoria nonostante egli abbia ceduto il diritto controverso (le azioni giudiziarie) all’assuntore.

Invero, una delle condizioni dell’azione che il giudice è chiamato a verificare (sulla doverosità di tale accertamento Cass. sez. VI 12.12.95, Finco e Cass. sez. VI 12.3.98 Benamati) è proprio quella che attiene alla cd
legitimatio ad causam che può tradursi nella seguente regola generale: si possono far valere (rectius: azionare) solo quei diritti che si affermano come diritti propri. Il principio è codificato in termini rovesciati nell’art. 81 c.p.c., pacificamente applicabile anche in sede penale, secondo cui ‘fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui’.
Con il concordato ex art. 4-bis l. n. 39/04 il commissario straordinario ha ceduto la
res litigiosa all’assuntore e, nei giudizi civili può restare nel processo – che, anzi, ‘prosegue tra le parti originarie’ co. I art. 111 c.p.c. - ma assume la veste di sostituto processuale avente una legittimazione straordinaria (uno dei ‘casi previsti dalla legge’ indicati dall’art. 81 c.p.c.) poiché fa valere un diritto che non è più suo (Cass. civ. 18.1.88 n. 320 e Cass. 7.8.90 n. 7090).

Ed allora, occorre procedere alla verifica dei poteri che spettano a quei soggetti che fanno valere come propria una pretesa che invece è altrui.
Tale problematica, mai seriamente approfondita dalla giurisprudenza e analizzata con soluzioni molto divergenti nella dottrina, appare di fondamentale importanza per stabilire la sussistenza o insussistenza della
legitimatio ad causam a seconda della soluzione prescelta che può essere efficacemente sintetizzata dalle due seguenti antitetiche affermazioni: l’alienante (nel caso in esame il commissario straordinario) è un sostituto processuale e ne ha i relativi poteri; oppure: è un caso di rappresentanza ed i poteri saranno quelli del rappresentato (che nel caso in esame è l’assuntore).

Le considerazioni che seguono portano a ritenere, nella attuale situazione processuale, che il commissario straordinario, ancorché non sia più titolare del diritto controverso, conservi il potere di azionare la pretesa risarcitoria in sede penale.
In primo luogo, secondo la regola generale di cui al comma I dell’art. 111 c.p.c., in caso di cessione della
res litigiosa, il processo non si interrompe e l’alienante continua a stare in giudizio in qualità di parte.
In secondo luogo, la circostanza di avere posto in essere un trasferimento del diritto controverso può non trasparire minimamente in sede processuale, non esistendo un obbligo di allegare in un atto processuale tale circostanza: le azioni di responsabilità e più in generale le azioni di massa promosse dal commissario straordinario potrebbero proseguire senza la comparsa sulla scena processuale del successore a titolo particolare fino alla sentenza.
In terzo luogo, solo per evitare una situazione contraria ad ogni principio di equità processuale, è previsto al comma IV dell’art. 111 c.p.c. che la sentenza pronunciata contro la parte originaria spieghi sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare (invero, se così non fosse il successore a titolo particolare avrebbe due possibilità di ‘vincere’ la causa: la prima tramite l’alienante e la seconda, se questi ha ‘perso’, facendo causa al convenuto).

Da tali considerazioni può agevolmente dedursi che l’alienante può compiere tutti gli atti necessari a condurre regolarmente il processo alla sua naturale conclusione e cioè alla sentenza. Potrà, pertanto, rivolgere istanze al giudice, dedurre prove, sollevare eccezioni, precisare conclusioni, presentare memorie e comparse, discutere la causa.

A ben vedere, in tale fase processuale ci troviamo di fronte proprio alla seguente situazione: il commissario straordinario ha promosso azione di responsabilità verso amministratori e sindaci dapprima attraverso il ricorso
ante causam per sequestro conservativo e poi con atto di citazione a comparire davanti al giudice competente; la sentenza di omologazione del concordato ex art. 4-bis l. n. 39/04 ha prodotto l’effetto traslativo della res litigiosa dal commissario straordinario all’assuntore, ma non risulta che nelle cause civili promosse vi sia stata costituzione in giudizio del successore con definitiva estromissione del commissario straordinario nelle forme ed i modi stabiliti dal comma III dell’art. 111 c.p.c..

Pertanto, può affermarsi che l’alienante conservi tutti gli atti di impulso processuale finalizzati al soddisfacimento della pretesa azionata.

A conferma della correttezza di tale impostazione, la giurisprudenza (Cass. 17.2.2004 n. 3004) ha di recente stabilito che ‘ove sia dedotta la avvenuta cessione nel processo, della proprietà del bene oggetto del controversia, la circostanza è irrilevante atteso che la stessa non fa venire meno l’interesse ad agire o a resistere in capo agli originari attori e convenuti, dovendo il processo proseguire tra le parti originarie’.

Pur senza aderire alla cd teoria dell’irrilevanza (secondo cui l’alienazione o il trasferimento del bene o del diritto oggetto del giudizio restano sempre ininfluenti nel processo) che non spiegherebbe la norma di cui al comma IV dell’art. 111 c.p.c. – secondo cui la sentenza spiega i suoi effetti anche nei confronti dell’avente causa - e creerebbe situazioni inique all’interno del processo civile, va sottolineato che alla luce delle considerazioni sopra esposte il dante causa conserva i poteri processuali finalizzati alla prosecuzione e alla definizione del giudizio.
Invero, tali poteri – ed è questo il motivo per il quale non può aderirsi
in toto alla teoria dell’irrilevanza per cui l’alienante può attuare qualsiasi negozio anche dispositivo della res litigiosa – hanno una estensione ampia ma non illimitata dovendo trovare necessariamente il loro limite in quegli atti che si concretizzano in disposizioni del diritto controverso.
In altri termini, occorre fare una distinzione tra esercizio dei poteri di impulso processuale finalizzati al soddisfacimento della pretesa e atti negoziali (quali ad esempio transazione, rinuncia all’azione e in campo strettamente probatorio la confessione o il giuramento) che incidono direttamente sul bene o diritto controverso pregiudicando le ragioni dell’avente causa.

Sul punto la giurisprudenza è molto chiara nell’affermare che ‘con il trasferimento a titolo particolare in corso di causa vengono a scindersi la titolarità del diritto controverso dalla titolarità dell’azione processuale sì che il diritto sostanziale non si sottrae all’incidenza di vicende che possono determinarne delle modifiche o l’estinzione’ (Cass. 7.8.90 n. 7970).

Pertanto, occorre operare una distinzione tra l’esercizio di poteri processuali e atti di disposizione del diritto controverso: solo questi ultimi sono inibiti (e se vengono posti in essere senza l’assenso dell’avente causa, devono considerarsi inefficaci), perché il dante causa si troverebbe a disporre dello stesso bene o diritto per due volte.

Non si può negare, peraltro, che tale situazione di equilibrio processuale, in cui può riconoscersi ancora all’alienante la piena disponibilità del poteri processuali (ad eccezione di quelli strettamente dispositivi del diritto controverso) sia precaria e destinata a mutare con l’intervento o la chiamata del successore: sulla misura e l’ampiezza del trasferimento di tali poteri inciderà non poco la qualificazione che verrà data – dal giudice civile - a tale ‘ingresso’ processuale (non essendovi affatto pareri unanimi sulla circostanza che possa trattarsi di una ipotesi di litisconsorzio necessario, di intervento
ad adiuvandum, di intervento di parte o sui generis) e la disciplina della eventuale ‘compresenza’ delle due posizioni dell’alienante e dell’acquirente (in caso di mancato consenso delle parti all’estromissione); qualora poi si verifichi l’ipotesi disciplinata dal comma III dell’art. 111 c.p.c. sull’avente causa sarebbero definitivamente trasferiti tutti i poteri processuali per proseguire a sostenere la pretesa risarcitoria e la sentenza spiegherebbe i suoi effetti solo nei suoi confronti.

Ma in questa fase, l’esame delle emergenze processuali acquisite evidenzia la sola presenza dell’alienante o al più l’avvenuto deposito della costituzione dell’assuntore.

Alla luce delle argomentazioni svolte, appare ora agevole affermare che l’atto di costituzione di parte civile nel processo penale è esercizio di un potere processuale che si inserisce nel novero di quegli atti che l’alienante, ancorché legittimato straordinario, può esercitare optando di trasferire l’azione civile dalla sua sede naturale alla sede penale.

Né può affermarsi che l’esercizio di tale potere implica rinuncia agli atti ex art. 75 c.p.p. intesa quale potere di revocare la domanda giudiziale e pertanto da considerare quale atto di disposizione del diritto ceduto: in realtà, con la costituzione di parte civile il commissario straordinario sceglie di adire un’altra giurisdizione ma non rinuncia alla richiesta di soddisfacimento della domanda spostando solo la sede della richiesta risarcitoria.

Conclusivamente sul punto, pertanto, non resta che ritenere il commissario straordinario sostituto processuale del successore e, nonostante ciò, ancora titolare del potere di azionare la pretesa risarcitoria che gli viene riconosciuto ai sensi del combinato disposto degli artt. 74 c.p.p. e 240 L.F..

Nessun problema particolare, invece, pone la costituzione di parte civile del dott. Bondi in qualità di commissario straordinario delle società in amministrazione straordinaria che non sono state oggetto dell’opzione concordataria prevista dall’art. 4-bis della l. n. 39/04.
Va, peraltro, puntualizzato che delle 16 società oggetto di omologazione concordataria, solo dieci (e segnatamente Parmalat Finanziaria spa, Parmalat spa, Parmalat Netherland BV, Parmalat Finance Corporation BV, Parmalat Capital Netherland BV, Dairies Holding International BV, Parmalat Soparfi SA, Olex SA, Geslat srl e Contal srl) hanno depositato atto di costituzione di parte civile per il tramite del procuratore speciale e difensore all’uopo nominato.
Per le rimanenti società indicate nell’atto di costituzione di parte civile (ed in particolare Parma Food Corporation BV, Parmalat Trading Limited, Boschi Luigi & figli spa, Streglio spa, Emmegi Agroindustriale srl, Coloniale spa, Albalatte srl, Alessandria Distribuzione srl, Alinola srl, Aurolat srl, BO.LAT srl, CE.DI Potenza srl, Distribuzione Alimenti Brescia srl, ural srl, Firenze Lat srl, Forital srl, FOR.MA. srl, Froslat srl, GE.DIAL 2 srl, Golden Milk srl, Leader Food srl, Lucca Distribuzione srl, Milal srl, Milano latte srl, Monzal srl, MO.RE.AL. srl, Partenopal srl, Roma Alimenti 2000 srl, Romalatte srl, S.A.F. srl, Sanrelat srl, Spelat srl, Taurolat srl, Torino latte srl, U.DI.AL. srl, Venezia Lat srl, Veronalimenti ’87 srl), va affermata la ammissibilità della costituzione di parte civile del commissario straordinario ricorrendone tutti i presupposti di legge, precisando quanto segue.
Nei capi g), h), i), j), k), q) la costituzione è effettuata dalle singole società indicate come unica parte offesa della condotta delittuosa ipotizzata; nel capo o) la costituzione è effettuata dalle società cd ‘concessionarie’ del latte.
Per i rimanenti capi d’accusa – capi a), b), c), d), e), f) - la costituzione ammessa deve intendersi in relazione a tutte le società (rientranti e non nel perimetro concordatario), con le precisazioni che saranno svolte oltre al paragrafo n. 5 sulla possibilità di scomporre oggettivamente l’azione civile così proposta: sarà poi questione di merito verificare se tali società (e quali) abbiano subito un danno dalle condotte illecite ascritte agli imputati.

2. Sulla legittimazione a costituirsi parte civile della Parmalat spa nella sua qualità di assuntore del concordato ex art. 4-bis l. n. 39/04.

Con sentenza del Tribunale di Parma in data 1 ottobre 2005 è stato omologato il concordato con assunzione proposto dal commissario straordinario in ossequio a quanto previsto dall’art. 4-bis della l. n. 39/04.
La sentenza di omologazione ha prodotto, per quello che qui interessa, effetti obbligatori e traslativi.
Quanto ai primi, - previo trasferimento dei debiti determinati in capo all’assuntore con liberazione delle società partecipi della proposta concordataria sia dall’obbligo di pagamento dei creditori privilegiati e prededucibili, sia dall’obbligo di pagamento dei creditori chirografari ridotti dalla falcidia concordataria -, l’assuntore subentra nei seguenti obblighi: provvedere entro 180 giorni dalla pubblicazione della sentenza di approvazione del concordato al pagamento dei creditori prededucibili e privilegiati; accollo del debito relativo al TFR e di ogni altra spettanza maturata dai lavoratori subordinati delle società interessate dal concordato; obbligo di soddisfacimento dei creditori chirografari secondo le modalità descritte nella proposta di concordato.
Quanto agli effetti traslativi è stato disposto il trasferimento di diritti, beni, complessi aziendali, contratti, partecipazioni ed azioni giudiziarie indicate nella parte motiva della sentenza.

La soluzione ideata, programmata, proposta, approvata ed omologata è, pertanto, quella del concordato con assunzione per le società specificamente individuate dal commissario straordinario.
La disciplina base di tale figura è contenuta nella legge fallimentare ed è (
rectius: era, alla luce del d.lgs n. 5/06 che all’art. 114 ha modificato l’art. 124 L.F.) una variante del concordato fallimentare che determina la cessazione della procedura esecutiva essendo una modalità di chiusura della procedura fallimentare (artt. 124 e ss. L.F.).
Tale disciplina prevede(va) - in sintesi - che la proposta di concordato (che può essere avanzata solo dal fallito) debba contenere l’offerta ai creditori chirografari del pagamento di una percentuale dei crediti nonché l’indicazione delle garanzie a tal fine offerte; in ogni caso debba essere garantito il pagamento integrale dei creditori privilegiati. Tra le garanzie che il fallito può proporre spicca l’assunzione, da parte di un terzo, delle obbligazioni derivanti dal concordato: il terzo assuntore assume in proprio il rischio della liquidazione, obbligandosi ad adempiere il concordato, anche eventualmente in solido con il fallito, previo rilievo di tutto l’attivo fallimentare alla cui liquidazione egli provvede per suo conto.
Se l’assunzione, pertanto, è con liberazione immediata del fallito si avrà accollo privativo, se l’assunzione è senza liberazione del fallito si avrà accollo cumulativo. Può essere espressamente pattuita la cessione all’assuntore delle azioni revocatorie intentate dal curatore. La proposta di concordato deve essere esaminata dal giudice delegato previo parere del curatore e del comitato dei creditori; se la proposta è ritenuta conveniente è comunicata ai creditori che devono far pervenire in cancelleria le proprie dichiarazioni di voto: la proposta è approvata se riporta il consenso della maggioranza numerica dei creditori aventi diritto al voto la quale rappresenti almeno i due terzi della somma dei loro crediti. Dopodichè il giudice delegato dichiara aperto il giudizio di omologazione davanti al Tribunale che dovrà effettuare un controllo di legittimità per accertare che siano state osservate le prescrizioni di legge per l’ammissione e la validità del concordato e di merito per valutare la convenienza dello stesso e la serietà delle garanzie offerte. In caso di scrutinio positivo il Tribunale emette sentenza di omologazione che è provvisoriamente esecutiva: con il passaggio in giudicato della sentenza il fallimento si chiude.

Tale modello-base così delineato nei suoi aspetti fondamentali è ‘ripreso’ nella disciplina della liquidazione coatta amministrativa (art. 214 L.F.) con un unico articolo che è richiamato dall’art. 78 del d.lgs. n. 270/99 che, come noto, detta le regole dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
Pertanto, la regolamentazione normativa più dettagliata permane quella del concordato fallimentare, e ciò anche alla luce della nuova variante contenuta nella procedura di amministrazione straordinaria della l. n. 39/04.
In tale procedura, oltre alle differenze relative alla legittimazione (solo il commissario straordinario e non già, come in tutti gli altri tipi di concordato, l’imprenditore insolvente), alle modalità di presentazione (che prescinde dal completamento della verifica del passivo, laddove nelle altre procedure ciò costituisce condizione per la presentazione della proposta) e al contenuto del concordato (una per tutte, la possibilità di suddividere in classi i creditori secondo la posizione giuridica e gli interessi economici omogenei), è previsto che potranno costituirsi come assuntori da un lato i creditori o dall’altro, ‘società costituite dal commissario straordinario le cui azioni siano destinate ad essere attribuite ai creditori per effetto del concordato’ (art. 4-bis co. 1 lett. c-bis): i creditori, in altre parole, vengono soddisfatti sostanzialmente attraverso la conversione dei loro crediti (eventualmente solo in percentuale) in azioni della nuova società attributaria delle attività del loro debitore.
E’ questa la soluzione adottata dal commissario straordinario delle società del gruppo Parmalat in amministrazione straordinaria nella proposta di concordato omologata con sentenza del Tribunale di Parma.

A questo punto, rilevato che la sentenza emessa è provvisoriamente esecutiva ed ha prodotto i suoi effetti traslativi ed obbligatori, occorre chiedersi se il legale rappresentante della società assuntrice, denominata anch’essa Parmalat, cessionaria anche delle azioni giudiziarie (di responsabilità e revocatorie) promosse dal commissario straordinario abbia o meno la legittimazione attiva ad esercitare l’azione civile nel processo penale.

Tale problema presuppone la preventiva risoluzione del rapporto tra l’istituto di diritto fallimentare disciplinato dall’art. 4-bis della l. n. 39/04 e quello previsto dalle altre procedura concorsuali.
Non vi è dubbio che la scelta interpretativa più lineare e coerente è quella che si aggancia al dato normativo testuale che si rinviene a partire dal già citato art. 8 della l. n. 39/04.
Qui si prevede, in sostanza, che le norme precedenti (della l. n. 39/04) sono le uniche deroghe e/o specificazioni che distinguono tale procedura da quella disciplinata dal d.lgs. n. 270/99, richiamando, pertanto, a coprire i molteplici vuoti l’organica disciplina del citato decreto in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
Nel caso del concordato, peraltro, la disciplina si riduce ad un cenno, l’art. 78, che rinvia all’art. 214 della L.F. ed in particolare al concordato nella procedura di liquidazione coatta amministrativa.
Anche tale articolo, poi, disciplina alcune peculiarità della procedura ma, per quanto ivi non previsto, deve ritenersi operante la disciplina base del concordato fallimentare di cui agli artt. 132 e ss L.F..
Orbene, tale triplo rinvio può giustificare, al di là di facili rilievi in ordine alla tecnica legislativa utilizzata, la conclusione che nel corso del tempo il modello base del concordato fallimentare, passato attraverso una variante specifica all’interno dello stesso r.d. 267/42, abbia costituito punto di riferimento anche per disciplina dell’amministrazione straordinaria che si è a sua volta evoluta dal sistema del d.lgs. n 270/99 - che pone come priorità assoluta del programma di ristrutturazione il recupero della capacità ad adempiere e, con esso, il soddisfacimento dei creditori -, al sistema della l. n. 39/04 dove appare chiarissimo che obiettivo primario è l’eliminazione del passivo (emblematica è la dizione ‘ristrutturazione dei debiti e soddisfazione dei creditori attraverso qualsiasi forma tecnica o giuridica’) e con esso il recupero della capacità ad adempiere della struttura societaria.
Numerose sono, ovviamente, le differenze tra il concordato fallimentare e quello della l. n. 39/04, ma attraverso la norma di cui all’art. 8 della citata legge e l’applicazione del giudizio di compatibilità tra il concordato ‘speciale’ e quello ‘base’ di cui al d.lgs. n. 270/99 e ancor prima al concordato fallimentare può affermarsi che tra i tipi diversi sopra illustrati vi sia un rapporto di
species a genus.
Tale conclusione è avallata anche da un passaggio motivazionale della sentenza della Corte Costituzionale n. 172/06 sopra ricordata che afferma ‘è appena il caso di rilevare come le due modalità del concordato previste dall’art. 4-bis del decreto-legge n. 347 del 2003 corrispondano perfettamente a quelle già previste dall’art. 124 del r.d. n. 267/42’.
Peraltro, l’art. 114 del d.lgs n. 5/06 ha profondamente modificato l’istituto di diritto fallimentare in esame con l’introduzione di elementi ‘mutuati’ proprio dall’esperienza legislativa del d.l. n. 347/03 quali, ad esempio, la possibilità di presentare la proposta di concordato prima del decreto che rende esecutivo lo stato passivo; l’impossibilità per il fallito di presentare la proposta; la possibilità di prevedere la suddivisione in classi con trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.
In tale ottica, il rapporto di genere a specie tra i due istituti previsti dal ‘nuovo’ art. 124 L.F. e quello disciplinato dall’art. 4-bis l. n. 39/04 è ancora più accentuato e difficilmente contestabile.

Tale conclusione autorizza l’interprete a fare proprie le elaborazioni giurisprudenziali maturate in tema di natura giuridica del concordato fallimentare con assunzione.
La dottrina dominante è orientata nel ritenere che l’assuntore trova la sua caratterizzazione fisionomica nell’istituto dell’accollo (art. 1273 c.c.) privativo o cumulativo a seconda che il concordato avvenga con o senza liberazione del fallito.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione, invece, appare restia ad addentrarsi nelle formulazioni generali che implicano il trapianto dell’assunzione negli schemi degli istituti positivamente disciplinati dal diritto civile, ed è orientata a delineare unitariamente la figura dell’assuntore con riferimento ai casi concreti di volta in volta individuati ed affrontati nell’applicazione pratica.
In particolare (sul punto Cass. 26 agosto 1971 n. 2576), la Corte ravvisa nel concordato con assunzione la necessaria coesistenza di due elementi costitutivi consistenti l’uno nell’assunzione da parte del terzo del rischio della liquidazione e dell’obbligo di adempiere il concordato (eventualmente anche in solido con il fallito); l’altro nel trasferimento dell’attivo fallimentare in capo all’assuntore.
Stabilito ciò, va precisato che l’effetto traslativo (dei beni e, per quello che qui interessa, delle azioni giudiziarie) è determinato dalla sentenza di omologazione e da quanto in essa specificamente previsto.
Nel caso in esame, può desumersi agevolmente dalla lettura della sentenza che l’accordo omologato prevede ‘l’immediato trasferimento all’assuntore Parmalat….. delle azioni giudiziarie promosse come indicate analiticamente nella parte motiva della presente sentenza al paragrafo n. 3’ e cioè ‘cessione di tutte le azioni revocatorie promosse dal Commissario straordinario entro la data di pubblicazione della sentenza; cessione delle azioni di responsabilità promosse dal commissario straordinario nei confronti degli organi di amministrazione e di controllo, ivi comprese le società di revisione; cessione, infine, di ogni altra azione, ivi comprese le azioni risarcitorie già promosse dal commissario e spettanti alle società interessate alla proposta di concordato’.

Occorre a questo punto domandarsi che tipo di successione si determina in seguito a tale cessione e prima ancora a chi l’assuntore succeda – debitore o massa -.

In via generale, la Suprema Corte ha precisato che l’assuntore non succede al fallito ma alla massa fallimentare (per cui gli atti e le eccezioni non opponibili alla massa e al curatore non sono opponibili neanche all’assuntore): su tale premessa la Corte ha negato l’applicabilità dell’art. 111 c.p.c. all’assuntore attribuendo allo stesso la legittimazione attiva e passiva, anche in sede di impugnazione a proseguire i giudizi già iniziati dal curatore (Cass 17.10.86 n. 6097).
Nell’ultimo decennio la Corte di Cassazione ha ammesso che la qualifica di successore a titolo particolare potrebbe essere riconosciuta all’assuntore ma solo nell’ipotesi in cui vi sia stato un subingresso nelle singole posizioni debitorie, con la contestuale liberazione del debitore originario (il caso deciso dalla Corte riguardava la legittimazione dell’assuntore – riconosciuta alla luce del principio sopra affermato – a proporre ricorso per cassazione quando non abbia partecipato al grado precedente di giudizio, Cass. 28.1.97 n. 835 e 14.8.97 n. 7627).
Due, pertanto, le condizioni da verificare: subingresso nelle singole posizioni debitorie e liberazione del debitore originario.
Quanto a quest’ultima, non vi è dubbio che nel concordato vi sia una liberazione totale del debitore – società partecipi della proposta concordataria -, poiché testualmente previsto dalla proposta concordataria recepita nella sentenza di omologazione emessa dal Tribunale di Parma.
In relazione al subentro nelle singole posizioni debitorie non è seriamente contestabile che sia per quanto concerne le azioni di responsabilità, sia per quanto riguarda le azioni revocatorie, la proposta di concordato approvata e poi omologata dal Tribunale prevede lo specifico subentro dell’assuntore nella medesima posizione processuale dell’amministrazione straordinaria nei singoli procedimenti civili indicati nella parte motiva della sentenza: vi è, in altre parole, la sucessione nella titolarità del rapporto obbligatorio in contestazione sia nelle azioni revocatorie, dove l’amministrazione straordinaria ritiene di potere recuperare in favore della massa creditoria determinate somme, sia nelle azioni di responsabilità (contrattuale ed extracontrattuale) avverso amministratori e sindaci, dove parimenti l’amministrazione straordinaria tende ad ottenere il risarcimento dei danni provocati dalle infedeltà degli amministratori e di quanti hanno agito in concorso con essi.

Non vi è dubbio, pertanto, che nel caso in esame, ci si trovi di fronte all’ipotesi prevista e disciplinata dall’art. 111 c.p.c., e pertanto l’assuntore del concordato ex art. 4-bis l. n. 39/04 sia successore a titolo particolare del fallito.
Occorre, peraltro, precisare che il fenomeno regolato dall’art. 111 c.p.c. comporta, di regola che ‘il processo prosegue tra le parti originarie’, il che vuol dire che nel processo resta l’alienante il quale non è più titolare del diritto controverso, tale essendo divenuto l’acquirente.
Ciò significa che l’alienante agisce in giudizio per far valere un diritto che non è più suo, trovandosi in una situazione di legittimazione processuale straordinaria da inquadrare nei casi di sostituzione processuale fatti salvi dall’art. 81 c.p.c. (secondo cui nessuno può far valere in nome proprio un diritto altrui).
E’ ben possibile che il nuovo titolare del diritto intervenga in giudizio (cosa programmata ed in corso di esecuzione nella procedura di amministrazione straordinaria in quanto effetto del concordato ex art. 4-bis l. n. 39/04) nelle azioni revocatorie e di responsabilità ed in genere in quelle di risarcimento danni, ed è anche possibile che l’alienante venga estromesso con il consenso delle parti.
Ma tale situazione, disciplinata dal comma III dell’art. 111 c.p.c. è allo stato solo potenziale: processualmente deve rilevarsi solo l’avvenuta successione a titolo particolare del diritto controverso e, al più, la contemporanea presenza dell’alienante (commissario straordinario) e dell’acquirente (assuntore) nelle cause civili con legittimazione processuale derivata ed autonoma del secondo e straordinaria ed eccezionale del primo.

Se tale conclusione è corretta, non vi è dubbio che in alcun modo possa parlarsi di successione a titolo universale: ciò impone un accertamento positivo sulla morte (in caso di persona fisica) o estinzione (in caso di persona giuridica) del soggetto che è parte processuale e nel caso in esame tale estinzione non è dato riscontrare, posto che le società del gruppo Parmalat in amministrazione straordinaria sono soggetti giuridici ancora in essere ancorché destinati a cessare con la chiusura della procedura di amministrazione straordinaria.

La attenzione verso la qualificazione processuale del trasferimento delle azioni giudiziarie dal commissario straordinario all’assuntore è giustificata dalla circostanza che l’art. 74 c.p.p., norma di stretta interpretazione nella materia dell’esercizio dell’azione civile nel processo penale, stabilisce, come noto che ‘l’azione civile può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha arrecato danno ovvero dai suoi successori universali’: orbene, non v’è chi non veda l’impossibilità di considerare danneggiata dal reato una entità giuridica – l’assuntore – costituitosi dopo la commissione dei reati ipotizzati nella richiesta di rinvio a giudizio; per altro verso, l’ordinamento stabilisce in via del tutto eccezionale la possibilità di trasferimento della titolarità del diritto all’azione civile - legittimazione sostanziale - solo in caso di successione a titolo universale, ipotesi ordinariamente rientranti nel riconoscimento del diritto ad esercitare l’azione civile ai prossimi congiunti di soggetti deceduti in seguito all’azione criminosa dell’imputato.
Trattasi di ipotesi in cui il successore subentra in tutti i diritti del soggetto estinto, ma anche nella sua posizione processuale considerata complessivamente: ne deriva che il successore avrà nel processo gli stessi poteri ed oneri che aveva il suo dante causa.

Non è in alcun modo prevista – o desumibile dal sistema – una ipotesi di successione a titolo particolare della legittimazione a costituirsi parte civile: il diritto di azione nel processo penale non può essere trasferito per atto tra vivi.
A ben vedere, tale ferrea regola assume connotati diversi, stemperandosi, nella giurisdizione civile dove la
res litigiosa può essere ceduta, ma il processo continua tra le parti originarie e solo in via eccezionale e a determinate condizioni stabilite dal comma III dell’art. 111 c.p.c. la causa prosegue tra l’acquirente del diritto controverso e la controparte.
Intuibili le ragioni della diversa disciplina e senz’altro ricollegabili alla diversità degli scopi del processo penale e di quello civile: nel primo l’interesse pubblicistico a tenere ancorato al fatto di reato l’autore nella sua qualità di imputato e la persona offesa o il danneggiato non ammette deroghe (salvo il caso dei successori universali) perché tutto è finalizzato al contributo di ognuno alla ricerca della verità processuale (contributo inimmaginabile se proveniente da terzi estranei ai fatti e semplici cessionari dell’azione risarcitoria); nel processo civile, ammesso il trasferimento della
res litigiosa per atto tra vivi, era necessario eliminare il pericolo che ciascuna parte potesse costringere l’altra a subire il cambiamento del suo contraddittore nell’eventualità di persona non idonea a far fronte alle responsabilità conseguenti all’esito del giudizio: cosicché, la regola dell’art. 111 c.p.c. consente l’alienazione del diritto controverso, rendendolo tuttavia inopponibile all’altra parte, salvo l’eventuale consenso nelle forme di cui al comma III dell’art. 111 c.p.c..
La traduzione della esigenza di cui sopra in campo processuale penale può rinvenirsi nella regola stabilita dall’art. 74 c.p.p. che individua i soggetti processuali che possono partecipare al processo penale ma li lega indissolubilmente al fatto di reato: devono essere o parte offesa o danneggiato. Tutt’al più eredi di questi ultimi. Ammettere la legittimazione di soggetti terzi acquirenti del diritto controverso avrebbe significato l’introduzione nel processo penale di soggetti terzi del tutto estranei all’interesse pubblicistico dell’accertamento dei fatti penalmente rilevanti.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, non resta che escludere la costituzione di parte civile della Parmalat nella sua qualità di assuntore del concordato omologato con sentenza del Tribunale di Parma del 1 ottobre 2005 nel presente procedimento penale in relazione a tutti i capi d’accusa per i quali è stata deposito atto di costituzione di parte civile.

3. Sulla legittimazione a costituirsi parte civile degli azionisti ed obbligazionisti.

Acquistando obbligazioni, il risparmiatore fornisce all’impresa risorse a titolo di capitale di debito ed assume la qualifica di creditore della società; investendo in azioni fornisce capitale di rischio e assume la qualifica di azionista.
Le obbligazioni si configurano come titoli di credito nominativi o al portatore che rappresentano frazioni di un finanziamento i cui possessori detengono tra loro pari diritti.
Agli obbligazionisti spetta il rimborso del valore nominale del titolo alla scadenza e, se l’obbligazione è con cedole, una remunerazione periodica, fissa o variabile.
Il capitale sociale di una società per azioni è suddiviso in un determinato numero di azioni ognuna delle quali rappresenta la partecipazione di un soggetto nella società: a fronte dell’apporto di capitale il soggetto diventa azionista, qualifica che gli attribuisce la titolarità di un complesso unitario di diritti e poteri di natura amministrativa e patrimoniale.

Hanno depositato atto di costituzione di parte civile i seguenti ‘gruppi’ di soggetti: Abita Gaetano + 39; Laghezza Franco + 38; Accademia srl + 40; Carignano Elena + 39; Fanuli Pietro + 39; Lugli Giancarlo + 31; Airaghi M. Angela + 106; Aba Lidia + 32.134; Alfieri Arnaldo + 40; Acernese M. Teresa + 59; Foti Sonia + 12; Parisini Marziano + 26; Capitani Olindo + 1; Orsoni Sergio; Pace Giampiero; Bestetti Giorgio; Angeli Luciana + 4; Aggero Margherita + 131, Padula Samuele; Cermenati Luigi + 521; Orsenigo Mario + 8; Dadomo Angelo; Porcari Agostino + 1; Cavalieri Carlo + 1; AFLAC; FARMLAND; Benaglia Aldo + 2; Bazzi Alberto + 12; Ambroggi Maurizio + 49; Trojanis Romano; Morandini Lucia + 1; Chiari Gemma; Celisa Roberto; De Petris Anna Maria; Dufour Umberto; Corradi Mario; Di Fazio Luigia Angela +1; Fusa Giancarlo; Adelasco Lucio + 3; Frattini Fabrizio.

Come è noto, la legittimazione a costituirsi parte civile è regolata dall’art. 74 c.p.p. che la riserva a colui cui il danno ha recato danno e ai suoi successori universali, ma per i reati concorsuali (fallimentari) opera come
lex specialis l’art. 240 L.F., espressamente mantenuto in vita dall’art. 212 disp. coord. c.p.p. e che attribuisce al curatore la legittimazione all’esercizio dell’azione civile nel processo penale.
Il secondo comma dell’art. 240 cit. stabilisce che ‘i creditori possono costituirsi parte civile nel procedimento penale per bancarotta fraudolenta quando manca la costituzione del curatore, del commissario giudiziale o del commissario liquidatore o quando intendono far valere un titolo di azione personale’.
La
ratio della norma è, con tutta evidenza, quella di garantire le ragioni creditorie attraverso l’attribuzione della legittimazione ad un soggetto unico abilitato a richiedere il risarcimento dei danni subiti dal fallimento e, di conseguenza, ad impedire una miriade di costituzioni di parte civile che appesantirebbero la speditezza del processo penale.

In via generale, pertanto, la legittimazione dei creditori è oggettivamente limitata da quella del curatore e può aversi a doppio titolo: per far valere ragioni personali di danno, nel qual caso la legittimazione è autonoma e può concorrere con quella del curatore (Cass. Sez. V 3.6.80); sussidiaria, essendo consentita la costituzione quando manchi quella del curatore: in caso di inerzia del curatore, ciascuno è legittimato ad agire per i danni riportati in proprio.

Da tale quadro, è agevole desumere che i creditori conservano, in ogni caso, l’azione personale ex art. 2395 c.c. alle condizioni vi previste.

Poiché, peraltro, è stata ammessa la costituzione di parte civile del commissario straordinario quale rappresentante delle società indicate nell’atto costitutivo, la legittimazione si configura come concorrente e sarà ovviamente questione di merito verificare l’esistenza di un danno riferibile alla società in amministrazione straordinaria che si è costituita parte civile o direttamente in capo al singolo obbligazionista.

L’ulteriore problema che si pone nella lettura della norma di cui all’art. 240 L.F. riguarda la possibilità che l’azione dei creditori possa subire limitazione dalla previsione del II comma del citato articolo nella parte in cui fa riferimento al solo reato di bancarotta fraudolenta.
In particolare, deve porsi il problema di quali conseguenze comporti la limitazione della previsione alla bancarotta fraudolenta per la legittimazione dei creditori a costituirsi parte civile nei confronti degli altri reati concorsuali (quelli, in altri termini, contestati agli imputati del presente procedimento: art. 217 e ss. L.F.).

La norme offre una triplice chiave interpretativa: a) che per gli altri reati previsti dagli artt. 217 e ss. L.F. non vi è neanche legittimazione sussidiaria; b) che per tali reati, così come è espressamente previsto per la bancarotta fraudolenta, vi è l’eccezionale legittimazione a costituirsi parte civile del curatore, ma c’è anche la legittimazione sostitutiva o concorrente dei singoli creditori; c) che per detti reati non vi siano limiti alla costituzione dei creditori, riprendendo in vigore la norma generale di cui all’art. 74 c.p.p. sulla legittimazione processuale per cui possono agire anche se si è costituito il curatore ed anche se non fanno valere un titolo di azione propria personale.
Peraltro, una risalente giurisprudenza (Trib. Firenze 7 maggio 1951), poi ribadita da altra pronuncia di legittimità più recente (Cass. 11 febbraio 1988 n. 1727) ha ritenuto che il limite di cui comma II è posto solo per la bancarotta fraudolenta e che per gli altri reati non vi sono limiti alla costituzione, anche in concorso con il curatore.

Appare logica e coerente al sistema la seconda soluzione per cui per i reati ex art. 217 ss. L.F. vi è, come è previsto espressamente per la bancarotta fraudolenta, l’eccezionale legittimazione a costituirsi del curatore ma vi è anche la legittimazione sostitutiva o concorrente dei singoli creditori.
Tale interpretazione non trova ‘solo’ il conforto della lettera della legge, ma appare quella più corretta poiché qualora si ritenesse che i creditori non possano costituirsi parte civile per i reati concorsuali diversi dalla bancarotta fraudolenta, si porrebbe un serio problema di costituzionalità della norma violandosi il principio che consente a chi ha riportato un danno da reato di agire in sede penale ex art. 3 e 24 Cost.
Peraltro, anche aderendo all’opzione giurisprudenziale che si aggancia alla lettera della norma, resta in ogni caso fondata la soluzione prospettata nella parte in cui fa salva la legittimazione dei creditori all’azione civile per titoli di reato diversi dall’art. 216 L.F..

Ammessa, pertanto, in via generale la legittimazione dei creditori della società a costituirsi parte civile, occorre puntualizzare che, invece, la categoria dei soci di società fallita (e in ammnistrazione straordinaria, come nel caso in esame) non è contemplata nell’art. 240 L.F..
In verità, va ricordato che il curatore ha funzioni rappresentative della massa e non anche degli azionisti o comunque dei soci: l’esecuzione concorsuale mira a garantire la
par condicio creditorum, o, come nel caso dell’amministrazione straordinaria, il migliore soddisfacimento possibile delle pretese creditorie. Ne consegue che, non essendo gli azionisti rappresentati dal curatore, non opera per loro, come per i creditori – anche se poi si è giunti a conclusioni identiche -, la limitazione alla costituzione di parte civile ai sensi del comma II dell’art. 240 L.F, riespandendosi appieno l’applicazione della norma generale di cui all’art. 74 c.p.p. che conferisce la legittimazione a costituirsi parte civile a chiunque abbia risentito un danno da reato.

Resta da verificare la natura dell’azione proposta da azionisti ed obbligazionisti nella presente sede penale.
Si è già detto in precedenza che il commissario straordinario ha esercitato nel processo penale l’azione ex art. 2393 e 2394 c.c..
Il creditore ed il socio che hanno esercitato l’azione civile nel presente procedimento hanno richiesto l’accertamento della fondatezza della pretesa risarcitoria secondo quanto stabilito dall’art. 2395 c.c.. Trattasi di una ipotesi specifica di responsabilità aquiliana dove l’elemento speciale rispetto al parametro di cui all’art. 2043 c.c. risiede nel fatto che deve sussistere uno stretto rapporto tra lesione cagionata al terzo ed atto di gestione compiuto dall’amministratore (così l’avverbio ‘direttamente’ presente nella norma).
Più in particolare, ciò che caratterizza l’azione ex art. 2395 c.c. è l’incidenza diretta sul patrimonio individuale dei soci o dei terzi dei comportamenti illeciti degli amministratori, cioè il fatto che i comportamenti dolosi o colposi di questi, senza intaccare (formalmente) il patrimonio sociale, abbiano arrecato danno esclusivamente a terzi.
Sono, a ben vedere, i comportamenti indicati nella
causa petendi degli atti di costituzione di parte civile di azionisti ed obbligazionisti: in ragione della falsa rappresentazione della situazione economica del gruppo Parmalat (attuata, in ipotesi di accusa, con falsificazioni contabili, creazione di società off-shore per ‘ripulire’ i bilanci, etc.) i risparmiatori si sono determinati a prestare danaro alla società aderendo alle condizioni di rimborso e di incasso delle cedole di volta in volta previste dal regolamento dell’operazione di emissione di bonds o ad acquistare azioni delle società del gruppo previa sottoscrizione di quote del capitale sociale.
Non v’è chi non veda che a tale categoria di terzi può conseguire direttamente un danno ove, in base a tali comportamenti, siano indotti ad effettuare operazioni a proprio svantaggio.

Occorre, peraltro, tenere ben distinto tale profilo (cioè l’incidenza diretta del danno sul patrimonio del socio o del terzo) dalla natura diretta del danno risarcibile, la quale attiene alla selezione e alla misura dei danni risarcibili.

Tale problema, sollevato dalle difese Barachini, Tanzi Stefano, Mamoli, Rovelli, Baratta, Caiola, Tanzi Calisto, Tanzi Francesca concerne il rapporto di causalità tra fatto di reato e danno cagionato agli azionisti ed obbligazionisti.

In via generale, va ricordato che secondo una accezione risalente e consolidata nel tempo il danno, per essere oggetto di risarcimento in sede penale, deve essere collegato in maniera diretta ed immediata al fatto di reato contestato (per tutti Cass. 23 maggio 1990, Landini).
Su tale linea, la giurisprudenza penale ha sempre recepito nel corso del tempo gli approdi argomentativi della giurisprudenza civile che fondava le proprie conclusioni sul dato letterale del disposto dell’art. 1223 c.c. in materia di danno derivante da inadempimento di obbligazioni di naturale contrattuale, ritenendo così necessario che il danno risarcibile ex art. 185 c.p. fosse conseguenza diretta ed immediata del fatto illecito.
Nel corso degli anni ‘90 parte della giurisprudenza di legittimità ma soprattutto quella di merito – sempre mutuando le conclusioni dalla giurisprudenza civile - ha affermato il principio secondo cui tra reato e danno, al di là dei casi in cui questo si presenti come immanente alla struttura del reato (estorsione, truffa) è necessario che intercorra un nesso di causalità che tuttavia non deve tradursi in un rapporto eziologico immediato, quasi che non vi possano essere passaggi o anelli intermedi nella concatenazione o sequenza causale, ma rispondere ai criteri di cui all’art. 40 e 41 c.p. con esclusione dei danni solo occasionalmente legati al fatto di reato.
Il culmine di tale orientamento è rappresentato dalla sentenza n. 4852 della sez III 19 maggio 1999 (indirizzo consolidatosi fino alla sentenza 31 maggio 2005 n. 11609 ) della Suprema Corte che ha affermato che ‘ai fini del sorgere dell’obbligazione di risarcimento dei danni da fatto illecito il nesso di causalità tra il fatto e l’evento lesivo può essere anche indiretto e mediato, purchè si presenti come effetto normale, secondo il principio della cd regolarità causale’.
In definitiva, può affermarsi che nel corso del tempo la qualificazione del danno come immediato e diretto ai fini della risarcibilità sia stato svalutato dalla giurisprudenza che ha preso coscienza della inevitabile presenza, nella scomposizione analitica del fatto, di anelli causali intermedi che non impedivano di ricollegare il danno al reato secondo un criterio di normalità causale, escludendo per tale via il nesso solo quando il danno sia occasionalmente connesso al reato (sul punto anche Cass. n. 2356/00 e Cass. n. 5913/00).
La giurisprudenza sopra richiamata ha ricevuto l’autorevole avallo delle Sezioni Unite con sentenza n. 9556/02 dove veniva affrontato il problema della rilevanza causale di danni cd ‘riflessi o mediati’ alle cd ‘vittime secondarie’ del fatto illecito da cui derivava la morte o la lesione alla vittima del reato e si poneva ai problema del danno derivante ai prossimi congiunti. Non vi è dubbio che le argomentazioni ivi svolte in tema di collegamento causale tra fatto illecito e danno possano essere utilizzate anche nella valutazione dei danni derivanti dai fatti di reato oggetto della presente imputazione.

Orbene, applicando tali principi al caso in esame non può non desumersi che sia nel caso degli azionisti che degli obbligazionisti, si è in presenza di un danno che è causalmente collegato al fatto di reato secondo un criterio di assoluta regolarità causale (e tale affermazione esime il Giudice dal dover qualificare sin d’ora il danno come diretto o indiretto, immediato o mediato) che impone, allo stato, una valutazione di fondatezza della prospettazione di un danno comunque risarcibile.

Nel caso degli azionisti, peraltro, non si può prescindere dalla sentenza, ancorché di merito, con cui il Tribunale di Milano (29.9.83, Sindona) ha negato agli azionisti la legittimazione a costituirsi parte civile qualificando il danno come mediato in quanto riflesso del danno arrecato in via diretta e immediata al patrimonio della società la cui tutela è esercitata dal curatore cui è conferita la legittimazione dall’art. 240 L.F.: ma questa soluzione non convince perché gli azionisti, nei limiti delle azioni possedute, hanno un interesse qualificato a non vederle depauperate da azioni illecite che incidono direttamente sul loro patrimonio. In tale ottica, il danno è senz’altro in rapporto di collegamento qualificato (cioè di regolarità causale) con il reato poiché il patrimonio della società è
pro quota degli azionisti.

Nel caso degli obbligazionisti, il creditore è sicuramente danneggiato dal fatto di reato in via mediata e indiretta, ma secondo una consequenzialità causale del tutto ordinaria: l’emissione dei titoli da parte di Parmalat s.p.a. o di società da essa controllata avveniva, in ipotesi di accusa, in seguito alla prospettazione di una situazione economico-contabile non rispondente al vero in quanto risultante da un sistema contabile strumentale alle falsificazioni secondo quanto dettagliatamente descritto nei capi d’accusa della richiesta di rinvio a giudizio.
I risparmiatori, pertanto, erano indotti dalle informazioni veicolate da tutti i canali del mercato mobiliare - ivi compresi i canali bancari -, a concedere in prestito alla società il danaro che veniva remunerato secondo quanto indicato nei prospetti informativi delle singole operazioni di finanziamento: al momento del
default l’impossibilità per la società di pagare le cedole e il capitale ha prodotto il danno economico indicato di volta in volta nella richiesta di risarcimento danni (che include, ex art. 185 c.p., anche la richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali).
Tale serie causale appare dotata dei requisiti di regolarità e ordinarietà senza che possa essere evidenziato un elemento fattuale che faccia degradare il rapporto reato-danno a mera occasione.

Ovviamente potrà accadere che venga accertato che la sequenza causale sopra descritta non era in concreto sussistente, ma ciò è profilo attinente al merito, mentre in tale sede deve solo accertarsi la prospettazione data dalla parte che si costituisce in relazione alle ragioni che giustificano la domanda nei confronti degli imputati: tale requisito appare sussistente ed immune da vizi poiché, ritenuto di accogliere la sopra indicata accezione di causalità del danno, risulta corretta la ricostruzione causale prospettata dagli obbligazionisti ed azionisti e che dovrà essere oggetto di dimostrazione nella fase di merito.

La ritenuta legittimazione concorrente all’esercizio dell’azione civile nel processo penale di azionisti ed obbligazionisti si fonda, pertanto, sul diverso titolo delle azioni esperite dal commissario straordinario e dai terzi e sulla possibilità di concorrenza di tali azioni (ex art. 2393-2394 c.c. da un lato e ex art. 2395 c.c. dall’altro) essendo ipotizzabile l’esistenza di danni diversi per un medesimo comportamento dannoso: in altre parole, appaiono configurabili (
rectius: prospettabili) nel caso in esame due diversi danni risarcibili e due autonomi giudizi per i medesimi atti di mala gestio degli amministratori, uno instaurato dal commissario straordinario e l’altro dal socio o terzo in ragione dello specifico oggetto di tutela dell’azione individuale.
E’ chiaro che tutti agiscono, nella sostanza, per l’intero importo del credito, ma sarà poi questione di merito verificare se e quanto possa (e debba) spettare all’amministratore straordinario che agisce nell’interesse della procedura e quanto all’obbligazionista che in sede concordataria ha ‘dovuto’ sacrificare parte consistente del suo credito.

4. Sulla legittimazione a costituirsi parte civile degli enti esponenziali.

Hanno depositato atto di costituzione di parte civile e procura speciale i seguenti enti esponenziali (in persona dei rispettivi legali rappresentanti):
ADUSBEF, Movimento di Difesa del Cittadino, Confconsumatori e Unione Nazionale Consumatori – Comitato Provinciale di Bologna e Regionale dell’Emilia Romagna.

Gli artt. 91 e ss. c.p.p. regolano i diritti le facoltà ed il modo di operare dell’ente o associazione rappresentativa di interessi lesi dal reato e al quale è conferito il diritto di intervento.
Il riconoscimento di tale soggetto nel processo penale è il risultato delle istanze sociali volte a consentire l’ingresso nel processo penale di organismi portatori di interessi diffusi o collettivi.
I primi consistono nella contitolarità di una situazione di interesse da parte di una pluralità di soggetti non identificati né identificabili in base alla preesistenza di un rapporto giuridico con un bene (tipico bene in ordine al quale non può che configurarsi un interebbe diffuso è l’ambiente); sono invece interessi collettivi quei tipici interessi di gruppo imputabili a collettività organizzate per il perseguimento di interessi propri della categoria: essi sono generali così come gli interessi diffusi ma, a differenza di questi, hanno istituzionalmente propri centri di imputazione (come ad esempio i sindacati per i lavoratori).
L’uno e l’altro tipo di interesse trovano ingresso, ordinariamente, nel processo penale a livello di mero intervento
ad adiuvandum: a questo dimensionamento di poteri è finalizzato l’art. 212 disp. coord. c.p.p. che riconduce in tali limiti il potere che da leggi e decreti era stato attribuito in precedenza ad enti ed associazioni che agivano per la tutela di interessi lesi dal reato (facendo però salvo l’art. 240 L.F.).
Peraltro, in applicazione del principio di specialità, ben può affermarsi la prevalenza su tale articolo di tutte le ipotesi in cui una espressa previsione normativa (successiva all’entrata in vigore del predetto articolo 212) autorizza forme di legittimazione straordinaria all’azione civile (ad es. l. n. 104/92 sulla tutela degli handicappati, l. n. 108/96 sull’usura).
Invero, l’elaborazione giurisprudenziale degli anni ‘80, proseguita con specificazioni anche lungo tutto l’arco del decennio successivo, ha continuato (nonostante l’intervento razionalizzatore del citato art. 212 disp. coord. c.p.p.) ad enucleare casi e modi attraverso i quali era possibile riconoscere all’ente una diretta legittimazione ad esercitare l’azione civile nel processo penale.
A tale risultato si è pervenuto attraverso un duplice percorso di elaborazione giuridica, convergente verso il medesimo risultato.
Da un lato, infatti, per costituirsi parte civile si riteneva che occorresse lamentare –e dimostrare – la lesione di un diritto soggettivo (Cass. 21 dicembre 1990, Landini) e si riteneva, pertanto, che normalmente l’ente esponenziale in relazione ai beni di cui si pone a tutela, quale portatore di interessi legittimi, non potesse costituirsi parte civile (e per superare l’ostacolo giuridico sopra indicato si affermava che l’ente esponenziale in realtà faceva valere il diritto soggettivo assoluto esistente in capo ai singoli associati e che si pretendeva leso): la materia, sul punto, è stata rivoluzionata dalla sentenza a Sezioni Unite della Cassazione n. 500/99 che ha riconosciuto la risarcibilità degli interessi legittimi.
Da altro lato, ed ancor prima di tale approdo, si è ampliato ed esteso il concetto di danno non patrimoniale risarcibile legandolo – come appena accennato - alla lesione di valori costituzionalmente garantiti legati alla persona quali quelli all’immagine, all’onore, alla reputazione, riguardanti non solo la persona fisica ma anche l’ente o l’associazione, costruendo in tal modo una figura di diritto soggettivo che pur sempre aveva alla base solo una situazione di interesse collettivo o diffuso.

A tal riguardo, con la sentenza della Corte di Cassazione sez. VI n. 59/1989 si è stabilito che ‘gli enti e le associazioni sono legittimati all'azione risarcitoria, anche in sede penale mediante costituzione di parte civile, ove dal reato abbiano ricevuto un danno a un interesse proprio, sempreché l'interesse leso coincida con un diritto reale o comunque con un diritto soggettivo del sodalizio, e quindi anche se offeso sia l'interesse perseguito in riferimento a una situazione storicamente circostanziata, da esso sodalizio preso a cuore e assunto nello statuto a ragione stessa della propria esistenza e azione, come tale oggetto di un diritto assoluto ed essenziale dell'ente. Ciò sia a causa dell'immedesimazione fra l'ente stesso e l'interesse perseguito, sia a causa dell'incorporazione fra i soci ed il sodalizio medesimo, sicché questo, per l'
affectio societatis verso l'interesse prescelto e per il pregiudizio a questo arrecato, patisce un'offesa e perciò anche un danno non patrimoniale dal reato; è affidato all'apprezzamento del giudice di merito accertare se l'interesse che l'ente o l'associazione pretende azionare rientri in un collegamento concreto ed effettivo col circostanziato ambito di incidenza del sodalizio, di tal che questo sia legittimato all'azione risarcitoria anche in sede penale, ovvero se l'interesse, ancorché accennato nello statuto sia astratto e diffuso, di guisa che l'ente sia legittimato soltanto all'intervento nel procedimento penale, purché concorrano le condizioni all'uopo previste dal nuovo codice di procedura agli articoli 91 e seguenti’.
Analogamente la pronuncia della Cassazione sez. VI n. 13314/90 ha stabilito che ‘un soggetto può costituirsi parte civile non soltanto quando il danno riguardi un bene su cui egli vanti un diritto patrimoniale, ma più in generale quando il danno coincida con la lesione di un diritto soggettivo del soggetto stesso, come avviene nel caso in cui offeso sia l'interesse perseguito da un'associazione in riferimento ad una situazione storicamente circostanziata, da essa associazione assunto nello statuto a ragione stessa della propria esistenza e azione, come tale oggetto di un diritto assoluto ed essenziale dell'ente a causa dell'immedesimazione fra il sodalizio e l'interesse perseguito. In questo caso, infatti, l'interesse storicizzato individua il sodalizio, con l'effetto che ogni attentato all'interesse in esso incarnatosi si configura come lesione del diritto di personalità o all'identità, che dir si voglia, del sodalizio stesso’.
Infine, la sentenza della Corte di Cassazione, sezione III n. 8699 del 1996 ha precisato che ‘in tema di legittimazione degli enti e delle associazioni ecologistiche a costituirsi parte civile, deve ritenersi che quando l'interesse diffuso alla tutela dell'ambiente non è astrattamente connotato, ma si concretizza in una determinata realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo, diventando la ragione, perciò, elemento costitutivo di esso, è ammissibile la costituzione di parte civile di tale ente, sempre che dal reato sia derivata una lesione di un diritto soggettivo inerente allo scopo specifico perseguito. Pertanto è, «in primis», configurabile, in capo alle associazioni ecologistiche, la titolarità di un diritto soggettivo e di un danno risarcibile, individuabile nella salubrità dell'ambiente, sempre che una articolazione territoriale colleghi le associazioni medesime ai beni lesi, sicché esse sono legittimate all'azione «aquiliana» per la difesa del proprio diritto soggettivo alla tutela dell'interesse collettivo alla salubrità dell'ambiente; è, inoltre, ipotizzabile la lesione del diritto della personalità dell'ente e la conseguente facoltà delle associazioni di protezione ambientale di agire per il risarcimento dei danni morali e materiali relativi all'offesa, diretta ed immediata, dello ‘scopo sociale’, che costituisce la finalità propria del sodalizio’. (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto che l'associazione Lega ambiente - ente esponenziale della comunità in cui trovasi il bene collettivo oggetto di lesione ed avente a scopo la salvaguardia degli interessi lesi dal reato - era legittimata a costituirsi parte civile, ai sensi degli articoli 185 c.p. e 74 c.p.p., sia per la tutela del diritto collettivo all'ambiente salubre sia per la protezione del diritto della personalità in conseguenza del discredito derivante alla propria sfera funzionale dalla condotta illecita).

Alla luce delle citate massime appare di tutta evidenza come l’evoluzione giurisprudenziale sopra sintetizzata abbia finito per porre l’accento sul grado di intensità del collegamento tra reato ed interesse diffuso o collettivo che l’ente rappresenta, andando alla ricerca di elementi oggettivi che potessero essere agevolmente verificati al fine di far assurgere tale situazione giuridica soggettiva al rango di diritto.
Orbene, se, come precisato dalla giurisprudenza, il diritto soggettivo la cui lesione giustifica l’azione di danno disciplinata dal codice di rito può essere individuato nel diritto di personalità del sodalizio - diritto leso dal comportamento delittuoso degli imputati che così agendo hanno frustrato la funzione e la ragione stessa di essere dell’ente esponenziale - tale diritto, per assumere i connotati di situazione giuridica soggettiva degna di tutela con l’azione risarcitoria, deve concretizzarsi in azioni ed iniziative che siano storicamente e geograficamente connotate e, in più, la cui tutela rappresenti lo scopo specifico dell’ente diventandone elemento costitutivo dello stesso.
In altre parole, solo a tali condizioni può affermarsi che si determini una immedesimazione tra l’ente stesso e l’interesse perseguito, creandosi in tal modo in capo all’associazione stessa un diritto soggettivo idoneo ad essere leso dalle condotte illecite contestate agli imputati.

Al di là del requisito della individuazione del diritto in una determinata realtà storica circoscritta (caratteristico delle associazioni ambientalistiche che hanno prodotto la maggiore elaborazione giurisprudenziale sulla ammissibilità della costituzione di parte civile degli enti esponenziali e peculiare della categoria degli interessi diffusi in quanto adespoti), l’indagine che ci riguarda, relativa alla categoria dei risparmiatori – rappresentata dalle associazioni che dichiarano di tutelare tali interessi, da qualificare senz’altro collettivi - va condotta attraverso l’esame degli statuti delle associazioni e con la verifica di quanto concretamente svolto dalle stesse nel settore nel quale si proclamano tutori di interessi specifici e determinati.

L’esame dello statuto delle associazioni che hanno depositato l’atto di costituzione di parte civile non consente di identificare lo specifico scopo di tutela dei risparmiatori come esclusivo o prevalente al di là della menzione (solo formale) di tutela del risparmio o del mercato dei beni e servizi.
L’ampia gamma di scopi perseguiti da tali associazioni non consente di ritenere quello pur formalmente enunciato come esclusivo o prevalente, perché nessuna opzione interpretativa autorizza a tale conclusione.
E così, l’Adusbef annovera tra i suoi scopi i seguenti: ‘promuovere studi ed iniziative giuridiche e di orientamento dell’opinione pubblica tesi all’attuazione a alla difesa dei diritti e degli interessi degli utenti dei servizi bancari e finanziari; diffondere tra gli utenti la conoscenza dei servizi bancari e finanziari; organizzare gli utenti al fine di una contrattazione collettiva delle condizioni minime garantite di accesso ai servizi bancari e finanziari; indire convegni seminari, incontri studio conferenze e dibattiti sulle tematiche rientranti nell’oggetto sociale; tutelare assistere rappresentare e difendere gli utenti dei servizi bancari e finanziari, dei fondi comuni di investimento e di qualsiasi altra funzione direttamente ed indirettamente correlata all’esercizio dell’attività creditizia’; l’associazione ‘promuove e assicura la tutela dei fondamentali diritti: di natura economico patrimoniale – diritto alla correttezza, trasparenza ed equità nella costituzione e nello svolgimento dei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi con particolare riguardo ai beni finanziarie creditizi e per la prevenzione e tutela del fenomeno sociale dell’usura, di natura informativo divulgativa – diritto di adeguata informazione e corretta pubblicità nonché promozione e sviluppo dell’associazionismo libero, e di natura sociale generale – diritto alla tutela della salute, alla sicurezza, alla qualità dei prodotti e dei servizi, alla erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità ed efficienza con particolare riguardo al servizio sanitario, al servizio postale, alla funzione pubblica di vigilanza controllo del credito, delle assicurazioni, del mercato mobiliare, del servizio farmaceutico, dei trasporti, delle telecomunicazioni e servizi, nonché in materia urbanistica ed edilizia’.
Il Movimento di Difesa del Cittadino persegue ‘la difesa dei diritti e degli interessi delle persone nei confronti delle pubbliche amministrazioni; la difesa del consumatore utente nei rapporti con le aziende pubbliche o private produttrici distributrici ed erogatrici di beni e servizi; la difesa dell’interesse individuale e collettivo alla trasparenza, correttezza, equità dei contratti, nonché alla economicità dell’offerta; la difesa e la tutela dei diritti e degli interessi individuali e collettivi dei consumatori ed utenti, allorquando agiscano quali risparmiatori, investitori o contribuenti che acquistino o comunque fruiscano di prodotti e servizi bancari, creditizi, finanziari assicurativi e postali’.
La Confconsumatori, che ha prodotto statuto originario e le successive modifiche del 24 giugno 2004 e 25-26 giugno 2005 si propone di ‘promuovere e realizzare ogni iniziativa utile a svolgere direttamente e a favorire presso le associazioni federate le attività di organizzazione di rappresentanza, di difesa, di educazione e di informazione dei consumatori; di tutelare i diritti e gli interessi morali e materiali dei consumatori anche in sede giudiziaria, presso i pubblici poteri e nei confronti delle controparti’; nell’ ultima modifica si legge che l’ente si propone come scopo esclusivo la rappresentanza e la tutela dei consumatori intesi, conformemente alla normativa di derivazione nazionale e comunitaria, come cittadini, soggetti del mercato, acquirenti di beni e servizi, risparmiatori, interlocutori della P.A. e di imprese private, fruitori del patrimonio artistico ed ambientale, utenti di pubblici servizi ecc.’; persegue poi finalità di vario genere indicate dalla lettera a) alla lettera h) dell’art. 2 dello Statuto che vanno dalla tutela dei diritti e degli interessi legittimi delle persone nei confronti delle imprese e delle pubbliche amministrazioni fino alla tutela di bambini, anziani, disabili, immigrati nel territorio nazionale e persone economicamente svantaggiate.
Infine, l’Unione Nazionale Consumatori, con le proprie competenze regionali e provinciali di Bologna ha lo scopo di ‘educare, informare, rappresentare, assistere, tutelare con ogni possibile mezzo ed in ogni sede i consumatori e gli utenti, in quanto soggetti svantaggiati per la posizione di debolezza negoziale e per l’asimmetria informativa che pagano nei confronti dei professionisti, difendendo i loro diritti civili ed assistendoli nei loro rapporti con i fornitori di beni e servizi pubblici e privati’.

Alla luce di tali enunciazioni, appare chiara la molteplicità degli interessi presi in considerazione dall’ente e posti a fondamento dell’azione di tutela che ci si prefigge: al di là delle dichiarazioni formali nessuno scopo è esclusivo, ma nessuno scopo può altresì essere individuato come chiaramente prevalente sugli altri, posto che appare nella fisiologia di tali enti allargare il proprio raggio di tutela delle situazioni ‘sensibili’ per farne poi oggetto di intervento ed azione. Se da un lato ciò appare il frutto di istanze sociali fortemente sentite, attuazione di principi fondanti della Carta costituzionale – e pertanto meritevoli di promozione ed approvazione -, dall’altro non pare seriamente contestabile che tutta la pluralità di intenti che tali enti esponenziali si prefiggono possa elevare la situazione giuridica soggettiva di base - l’interesse diffuso o collettivo – al rango di diritto soggettivo o comunque di interesse alla cui lesione debba riconnettersi un danno risarcibile.
In realtà, è più corretto ritenere che all’allargamento ‘fisiologico’ delle finalità e al compito (sempre presente negli statuti) di ‘sensibilizzazione’ della società sugli scopi dell’ente (incontri, seminari, conferenze studi) corrisponda in maniera più adeguata e aderente al sistema processuale penale quell’attività propulsiva e adesiva che consente all’ente di fare sentire la sua ‘voce’ all’interno del processo secondo le modalità stabilite dagli artt. 91 e ss c.p.p.. Riconoscere la possibilità di intervento agli enti esponenziali significa attribuire agli stessi un ruolo adiuvante e propulsivo del procedimento in tutte le fasi processuali con l’esercizio di poteri che ben si inseriscono nell’ambito delle attività e finalità dei soggetti associativi.
Tale impostazione non implica la preclusione in assoluto della costituzione di parte civile degli enti, ma riconosce semplicemente tale facoltà solo quando vengano lesi diritti che veramente appartengono agli stessi, attraverso quel processo di immedesimazione tra l’ente e l’interesse perseguito che va affrontato in concreto con la verifica delle condizioni di ‘immedesimazione’.

Il salto di qualità da soggetto che interviene
ad adiuvandum a parte processuale, oggettivamente presente nella giurisprudenza di merito e meno in quella di legittimità, ha comportato necessariamente una interpretazione restrittiva che ha focalizzato l’attenzione sulla necessità di verificare formalmente e sostanzialmente lo scopo esclusivo o prevalente dell’ente e poi di accertare ciò che concretamente l’ente ha attuato in quel settore e in quel contesto storico al fine di tutelare l’interesse diffuso individuato.

Su tale versante, peraltro, fa riscontro l’assenza assoluta di elementi addotti dagli enti esponenziali che possano dare conto di una effettiva e concreta azione da loro svolta nel settore del risparmio in modo da qualificare la loro attività di fatto esclusivamente o (almeno) prevalentemente orientata alla tutela dei risparmiatori e per tale via superare l’ostacolo formale rappresentato dalla enunciazione di una serie interminabile di scopi all’interno dello statuto costitutivo.
Va, poi, rilevato che le modifiche statutarie apportate da alcuni enti (in particolare la Confconsumatori) in nulla modificano le conclusioni alle quali si è pervenuti, alla luce della semplice considerazione della necessità di contestualizzare gli scopi dell’ente e le azioni da questo intraprese al momento della consumazione della condotta lesiva posta in essere dagli imputati, pena l’inammissibile autoinvestitura formale di una situazione giuridica soggettiva da ricollegare ad una pretesa risarcitoria che, per tale motivo, non potrebbe avere cittadinanza nel processo penale neanche sotto la veste di intervento
ad adiuvandum.

Conclusivamente sul punto, va dichiarata inammissibile la costituzione di parte civile delle associazioni di categoria ADUSBEF, Movimento di Difesa del Cittadino, Confconsumatori e Unione Nazionale Consumatori – Comitato Provinciale di Bologna e Regionale dell’Emilia Romagna per difetto di legittimazione attiva, sotto il profilo della assenza di elementi che possano condurre ad una positiva valutazione della situazione giuridica soggettiva vantata dagli enti in termini di diritto soggettivo azionabile in sede penale.

L’assenza delle condizioni formali previste dall’art. 93 c.p.p. (in particolare quella di cui al comma I lett. d) e di quella sostanziale relativa al consenso della p.o. (comma II) impediscono di ritenere l’atto di costituzione depositato al fascicolo processuale come atto di intervento
ad adiuvandum secondo quanto stabilito dagli artt. 91 e ss. c.p.p..

La dichiarazione di inammissibilità, con conseguente esclusione degli enti esponenziali ADUSBEF, MDC, Confconsumatori e UNC, esime questo Giudice dall’esame delle questioni ulteriori prospettate dalle difese degli imputati in ordine a vizi relativi ai singoli atti di costituzione di parte civile.

5. Sulla possibilità di limitare soggettivamente e oggettivamente l’azione civile proposta.

Le difese degli imputati Tanzi Stefano, Mamoli, Rovelli, Baratta, Tanzi Francesca, Caiola hanno sostenuto la necessità di scomporre (in denegato accoglimento della richiesta di inammissibilità
tout court delle costituzioni di parte civile) oggettivamente e soggettivamente l’azione civile proposta in sede penale dagli azionisti ed obbligazionisti nonché dal commissario straordinario (così dovendosi delimitare la questione dopo la dichiarazione di inammissibilità della costituzione di parte civile della Parmalat spa come assuntore del concordato).

Invero, si afferma che per azionisti ed obbligazionisti l’azione civile sarebbe esperibile solo per i reati –
rectius per i capi d’imputazione - che contemplano, in ipotesi di accusa, un danno alla società di cui erano creditori ed azionisti, non potendosi ammettere una generalizzata costituzione per tutti i reati contemplati nella richiesta di rinvio a giudizio.
Parimenti, sotto l’aspetto soggettivo, tali richieste di esercizio dell’azione civile nel presente procedimento penale vanno limitate ai soggetti effettivamente indicati quali amministratori sindaci o revisori della società danneggiata e della quale l’obbligazionista è creditore e l’azionista è socio.
Ancora, tale scomposizione soggettiva imporrebbe di limitare ulteriormente la costituzione di parte civile da punto di vista temporale escludendo dal novero dei soggetti chiamati a rispondere civilmente del danno indicato chi non rivestiva cariche sociali nel momento di emissione dei bonds o di acquisto di azioni.
Analogamente, sul versante della richiesta di esercizio dell’azione penale del commissario straordinario, si è sostenuto che, almeno per i capi da a) ad f), fosse necessario limitare la costituzione di parte civile di ogni società al solo capo d’imputazione che la riguarda, escludendo le pretese risarcitorie avanzate in relazione a condotte ed imputazioni che hanno interessato il patrimonio di altre società.
Infine, sul versante soggettivo, si lamenta l’inammissibile estensione dell’azione civile nei confronti di imputati che non sono oggetto di contestazione specifica in relazione ad alcuni capi d’imputazione e pertanto risulterebbero sin d’ora estranei ai fatti reato ivi descritti.

Tutti i rilievi sopra sintetizzati non possono allo stato e per la sede assumere l’estremo della concludenza in quanto superati dal II comma dell’art. 187 c.p. che stabilisce ‘i condannati per uno stesso reato sono obbligati in solido al risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale’: tale principio di solidarietà nelle obbligazioni
ex delicto, che affonda le sue radici nell’art. 2055 c.c., è stato ritenuto sussistente anche quando l’evento sia la risultante di più condotte illecite, coeve o successive (Cass. 20 gennaio 1961, Pesaresi) ed anche se le condotte sono tra loro indipendenti (Cass. 15 gennaio 1964, Ricciardi).
Invero, la giurisprudenza civile ha precisato anche di recente ( Cass. sez. III 15 luglio 2005 n. 15030) che l’angolo prospettico dal quale è necessario valutare la responsabilità solidale non è quello degli autori dell’illecito, ma quello del danneggiato, per il quale il fatto dannoso è unico: per questo tale forma di responsabilità può sussistere anche se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose costituenti fatti illeciti distinti, sempre che le azioni od omissioni abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno.
E’ proprio l’unicità dell’evento dannoso ad offrire il fondamento della responsabilità solidale ex art. 187 c.p. anche quando le condotte siano tra loro indipendenti al punto da integrare reati distinti. L’unicità della condotta lesiva realizzata da tutti gli imputati, come nella prospettazione accusatoria qualificata anche dal vincolo associativo, rende allo stato inammissibile ogni scomposizione delle condotte che nell’assunto sono unitarie e come tali titolo per la responsabilità ex art. 187 c.p..

Ciò comporta, sul versante dell’accertamento della responsabilità civile ex art. 2055 c.c., che vi possano essere addirittura ipotesi diverse di responsabilità solidale di soggetti che non siano stati colpiti da alcuna condanna o che siano stati colpiti da condanna per reati diversi o che siano taluni colpiti da condanna ed altri no: tale affermazione si traduce, nella giurisdizione penale, con la norma di raccordo dell’art. 187 c.p. che lega con il vincolo della solidarietà i soggetti che vengono condannati per un fatto illecito previsto dalla legge come reato, limitando in tal modo l’estensione della responsabilità disciplinata dall’art. 2055 c.c..

Infine, poiché l’eventuale condanna solidale al risarcimento del danno postula che il fatto di reato sia identico per tutti i concorrenti, nell’ipotesi di reato continuato costituito da una serie di identici reati succedutisi nel tempo ma uniti dal vincolo della identità del disegno criminoso, la predetta obbligazione solidale sussiste fra tutti i concorrenti se viene dimostrata la partecipazione a tutta la serie di azioni criminose (Cass. 17 dicembre 1966, Leone).

Appare chiaro dunque che, in sede di valutazione di ammissibilità della costituzione di parte civile di un obbligazionista o di un azionista nonché del commissario straordinario per le società in amministrazione straordinaria, tali principi, da applicare in ipotesi di condanna, impongano sin d’ora un giudizio di astratta possibilità che tutti gli imputati possano essere ritenuti responsabili dei reati ascritti uniti dal vincolo della identità del disegno criminoso: in tale ipotesi, si renderebbe operativo il principio di cui al II co. dell’art. 187 c.p. per cui a ciascuno degli imputati potrà essere chiesto l’intero, ferma l’azione di regresso verso gli altri condannati coobbligati.
Ma, ovviamente, solo in sede di valutazione del merito delle condotte criminose potranno emergere tutti gli elementi per verificare se vi sia estraneità oggettiva (fatto produttivo di danni per altri soggetti) o soggettiva (dell’imputato) per richiedere al Giudice di rigettare la domanda di risarcimento danni proposta per difetto di (prova di) legittimazione passiva. Ciò potrà avvenire solo nella fase di merito, all’esito di tutti gli accertamenti sia in punto di verificazione dei fatti addebitati sia in punto di attribuibilità degli stessi agli imputati.
In tale fase, la semplice prospettazione dei danni così riferiti agli imputati per effetto delle loro azioni criminose, alla luce del principio di solidarietà dell’obbligazione
ex delicto, impone il rigetto delle richieste di limitazione oggettiva e/o soggettiva delle azioni proposte da azionisti ed obbligazionisti delle società del gruppo Parmalat e dal commissario straordinario delle società in amministrazione straordinaria.

6. Sull’ammissibilità della costituzione di parte civile per il reato di associazione a delinquere.

Si è posto da parte di alcune difese – Tanzi Stefano, Tanzi Francesca - il problema se possono costituirsi parte civile per il reato p. e p. dall’art. 416 c.p., che non è ‘fallimentare’: a) le società del gruppo Parmalat in amministrazione straordinaria in persona del commissario straordinario, b) il legale rappresentante della società Parmalat assuntore del concordato, c) gli azionisti ed obbligazionisti e) gli enti esponenziali.

La dichiarazione di inammissibilità della costituzione di parte civile dell’assuntore del concordato e degli enti esponenziali consente di concentrare l’esame della problematica ai soggetti indicati alla lett. a) e c).

La soluzione del problema impone di verificare in primo luogo ed in via generale chi sia legittimato a costituirsi parte civile nel procedimento penale iscritto per il reato p. e p. dall’art. 416 c.p..

La scarna giurisprudenza di legittimità e di merito rinvenuta, invero, non fa che recepire il principio generale in materia di legittimazione all’azione civile sancito dall’art. 74 c.p.p., secondo cui legittimato all’azione civile nel processo penale è sia la persona offesa intesa quale titolare dell’interesse giuridico protetto dalla norma, sia chiunque risulti danneggiato dal reato in esame, ossia chiunque abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all’azione od omissione del soggetto attivo del reato.

In applicazione di tale principio, appare corretta la prospettazione fatta da azionisti ed obbligazionisti in ordine alla esistenza di un danno riferibile anche al fatto contestato nel capo a) dell’accusa, restando ovviamente impregiudicato il merito della pretesa risarcitoria che potrà essere riconosciuto in presenza di tutti gli elementi richiesti dalle norme sull’azione civile.
Il fatto che la giurisprudenza di legittimità abbia sempre affermato la ammissibilità della domanda di costituzione di parte civile per il reato di associazione a delinquere degli organismi statali e degli enti territoriali nei cui confini l’associazione abbia operato non è, a ben vedere, ricollegato al riconoscimento della titolarità esclusiva di parte offesa del reato in capo a tali enti in considerazione del fatto che il bene giuridico protetto dalla norma è da individuarsi esclusivamente nell’ordine pubblico, quanto, piuttosto, alla circostanza che nel caso in esame solo quei soggetti hanno dimostrato che il danno subito era conseguenza immediata e diretta del comportamento delittuoso attuato con la commissione del reato associativo.
Come si può ben vedere, la tematica affrontata riguarda il merito della pretesa, laddove nel caso in esame la semplice prospettazione che un soggetto (sia esso persona fisica o giuridica) avanzi in relazione all’evento dannoso ricollegato al reato associativo, impone, allo stato, di ritenere ammissibile la costituzione di parte civile.

Altro e diverso aspetto concerne la figura del curatore fallimentare (e del commissario straordinario), per il quale la legittimazione straordinaria stabilita dall’art. 240 L.F. per i reati concorsuali sembrerebbe escludere la possibilità per costui di esercitare l’azione civile per reati diversi e ciò in virtù del divieto di estensione analogica della norma sopra richiamata di portata eccezionale e derogatoria.
Invero, si può ritenere che l’art. 240 L.F. non esaurisca l’ambito di legittimazione della curatore, andando a disciplinare in maniera specifica la costituzione di parte civile del curatore nei reati fallimentari anche al fine di regolarne i rapporti con l’azione sussidiaria e/o concorrente dei creditori: al di là di tale ambito, il curatore potrà esercitare l’azione civile secondo quanto stabilito dall’art. 74 c.p.p. avendo così l’onere di provare la causazione di un danno come conseguenza delle condotte illecite oggetto dei reati diversi da quelli concorsuali.
Va, pertanto e conclusivamente sul punto, affermata l’ammissibilità della costituzione di parte civile dell’amministrazione straordinaria delle società del gruppo Parmalat in persona dell’amministratore straordinario munito all’uopo di procura speciale, nonché degli azionisti e obbligazionisti per il reato associativo enucleato al capo a) dell’imputazione.

QUESTIONI SPECIFICHE

1. Sulla costituzione di parte civile fuori udienza dell’Avv. Cistriani e dell’Avv. D’Errico.

La costituzione di parte civile può aver luogo in due modi alternativi, potendosi avere una fattispecie a formazione progressiva ed una a formazione immediata: il primo caso è quello della costituzione fuori udienza mediante notifica della costituzione alle altre parti dell’azioni civile con deposito in cancelleria della prova dell’avvenuta notifica; l’altro è quello di costituzione direttamente nell’udienza mediante presentazione dell’atto.
Nel caso di costituzione fuori udienza, se l’atto non è notificato alle parti, non produrrà effetti salvo nel caso in cui venga integrata da dichiarazione della persona offesa che in udienza si presenti e dichiari di volersi costituire parte civile.
Nel caso dell’atto di costituzione di parte civile dell’avv. Benito Cistriani va rilevato che esso è pervenuto per posta al fascicolo processuale e, oltre a non essere stata data prova dell’avvenuta notifica dell’atto agli imputati, non è comparso nessuno per rilasciare la dichiarazione di costituzione di parte civile. Peraltro, nel caso dell’Avv. Cistriani la costituzione è avvenuta in proprio, poiché egli, danneggiato da reato, ha altresì la qualifica professionale che lo abilita ad esercitare l’autodifesa tecnica come parte civile nel processo penale. Ma la Corte di Cassazione (Cass. 4 febbraio 1997 n. 815) ha escluso tale possibilità non potendosi estendere al sistema processuale penale la regola stabilita dall’art. 86 c.p.c. che prevede che la parte quando ha la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore, può stare in giudizio senza il ministero di altro difensore. Pertanto, è stato affermato il principio della necessaria alterità tra la parte civile e il suo difensore cui deve essere conferita la procura
ad litem ex art. 100 c.p.p. pena l’inammissibilità della costituzione.
Nel caso dell’atto di costituzione di parte civile dell’Avv. M.A. D’Errico, va rilevato che esso è pervenuto per posta al fascicolo processuale e nonostante la presenza di valida procura speciale e nomina a difensore, nessuno è comparso in udienza per la dichiarazione di costituzione.
Per i motivi suesposti le due costituzioni di parte civile vanno dichiarate inammissibili.

2. Sulla inesistente o insufficiente indicazione della causa petendi rilevata dalle difese degli imputati negli atti di costituzione di parte civile Cavalieri + 1, Foti + 12, Trojanis, Acernese + 59, Capitani +1, Orsoni, Pace, Bestetti, Airaghi + 93, Abita + 39, Laghezza + 38, Accademia srl + 40, Carignano + 39, Fanuli + 39, Lugli + 31 .

Va ricordato che l’enunciazione della
causa petendi serve solo ad individuare la pretesa fatta valere in giudizio e non anche ad enucleare le ragioni che ne impongono l’accoglimento (Cass. sez. V 1 giugno 1999, Mazzella); resta però il problema di stabilire il minimum necessario perché l’indicazione, richiesta a pena di inammissibilità, possa dirsi sussistente. Sul punto deve essere condiviso ed applicato ai casi in esame il criterio stabilito dalla Suprema Corte che nella sentenza sopra citata ha sottolineato che il riferimento al fatto di reato è sufficiente per l’offeso dal reato mentre il danneggiato che non sia anche offeso deve indicare le ragioni per le quali dalla commissione del reato gli sia derivato un danno. Più in particolare si è sottolineato che occorre distinguere da caso a caso, secondo la natura delle imputazioni ed il rapporto tra i fatti lamentati e la pretesa azionata.
Non vi è dubbio che, nel caso in esame, l’obbligo di enunciazione della
causa petendi debba ritenersi soddisfatto in presenza del duplice requisito del richiamo al capo d’accusa quanto mai dettagliato ed analitico nella descrizione dei fatti penalmente rilevanti e delle ragioni (con evidenza da pretendersi succinte ed essenziali in quanto complementari ai fatti descritti nell’imputazione) che hanno causato un danno al soggetto che vuole azionare la pretesa risarcitoria.
Quanto al richiamo ai capi d’accusa, va precisato che esso può tradursi in una pedissequa riproduzione della richiesta di rinvio a giudizio (pertanto con precisa indicazione dei nomi degli imputati e delle norme violate) o in un richiamo sintetico che, però, contenga in maniera chiara e precisa almeno i due elementi dei nomi degli imputati e delle norme violate con i comportamenti illeciti indicati dall’organo dell’Accusa.
L’esame di tutti gli atti di costituzione di parte civile induce a ritenere ammissibili sotto tale profilo tutte le costituzioni esaminate ad eccezione di:
- Cavalieri D’Oro Carlo + 1 : il richiamo al capo d’accusa è generico per il ‘reato di bancarotta fraudolenta’ e l’indicazione degli imputati (cioè dei soggetti contro i quali ci si costituisce) è oltremodo imprecisa, indicandosi solo ‘Tanzi Calisto più altri’;
- Morandini Lucia + 1 : il richiamo al capo d’accusa è del tutto generico con l’indicazione di numerose norme di legge violate senza poter comprendere a quale capo d’accusa si riferiscano (artt. 2621-2622 c.c., 110, 112 e 81 c.p., 216, 223 e 219 r.d. 267/42, 9 d.l. 347/03 e d.lv. 817/99 n. 270) così come generico e impreciso è il riferimento agli imputati, individuati per categorie ‘pro-tempore’: Tanzi Calisto, componenti del consiglio di amministrazione, del collegio sindacale e della società di revisione D&T e Grand Thornton della Parmalat spa;
- Padula Samuele: il richiamo ai capi d’accusa è impreciso (si fa riferimento al reato di truffa non presente nel capo d’accusa) ed il rinvio alle imputazioni è nominale, generico e aspecifico (si fa riferimento alla associazione a delinquere, alla bancarotta fraudolenta, al falso in bilancio e alle false comunicazioni sociali) poiché non è dato comprendere a quali capi d’accusa la costituzione di parte civile è riferita; inoltre, l’indicazione degli imputati è del tutto generica (‘Tanzi Calisto + altri’) senza indicare chi siano ‘gli altri’ verso i quali viene esercitata l’azione civile per il risarcimento dei danni;

3. Sull’inammissibilità delle costituzione di parte civile del ‘gruppo’ Aba Lidia + 32.134 per vizio inerente le procure speciali depositate agli atti.

Gli artt. 76 e 122 c.p.p. disciplinano la cd
legitimatio ad processum, cioè le forme volte ad attribuire ad un soggetto terzo la qualità di parte processuale (fermo restando che parte in senso sostanziale è solo il danneggiato): si tratta di una dichiarazione personale della parte o di una procura speciale conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata che attribuisce ad un mandatario la rappresentanza che però non è di tipo tecnico, ma attiene alla capacità di essere parte, tanto è vero che può essere conferita anche non al difensore ma ad un terzo.
In virtù di tale atto, il procuratore speciale diventa l’
alter ego della parte e può esercitare le facoltà riservate personalmente alla parte e non al difensore, quale quella, ad esempio, di rinunciare all’azione o all’impugnazione.
L’atto di costituzione di parte civile di Aba Lidia + 32.134 è avvenuto attraverso il deposito, per quello che qui interessa, delle procure speciali dei singoli soggetti che si costituiscono attribuendo ad alcuni soggetti (Laschena Renato, Ge Giancarlo, Balocco Emilio Marchesa-Rossi Ugo, Corbetta Riccardo) la qualità di parte processuale.
Nel conferire la procura speciale, vengono indicati alcuni procedimenti pendenti a Milano e a Parma per i quali deve intendersi conferita la rappresentanza.
Tra essi vi è il proc. n. 5934/03 r.n.r., ‘nonché ogni altro eventuale procedimento derivante da quello menzionato’: appare chiaro che la scelta processuale del PM di separare la posizione processuale dei numerosi imputati ed iscriverli a mod. 21 con attribuzione di un nuovo numero di registro (anche per il GIP) costituisce un ‘accidente’ della dinamica processuale che non impedisce in alcun modo di ritenere specifica e determinata l’indicazione contenuta nelle procure speciali oggetto di esame.
Invero, è a tutti chiaro che il presente procedimento, rubricato al n. 2395/05 r.n.r. e 2198/05 r.g.g.i.p., costituisce diretta derivazione del proc. n. 5934/03 r.n.r. come da provvedimento di separazione e nuova iscrizione disposto dal PM in sede di richiesta di rinvio a giudizio depositata in data 30 dicembre 2005 presso l’Ufficio del Giudice per le indagini preliminari.
Non resta che dichiarare infondata l’eccezione difensiva avanzata nei termini sopra specificati.

4. Sul possesso della documentazione attestante il diritto di credito: non più esistente, risalente o inattendibile.

All’atto costitutivo delle parti civili indicate in precedenza è allegata la procura speciale e la documentazione comprovante l’acquisto di titoli azionari e obbligazionari.
Tale allegazione costituisce elemento per valutare la sussistenza delle ‘ragioni che giustificano la domanda’ ex art. 78 comma I lett. d) c.p.p..
Si richiede, infatti, che nell’atto costitutivo venga enunciata la pretesa fatta valere.
Tale enunciazione (la norma utilizza il termine ‘esposizione’) inizia per tutti con la descrizione della circostanza che il singolo soggetto ha acquistato titoli obbligazionari o azionari della Parmalat spa o Parfin spa (o altra società del gruppo): a conforto di tale circostanza vengono allegati certificazioni di vario tipo rilasciate dagli istituti di credito con cui è stata conclusa l’operazione.
Orbene, ai fini della costituzione di parte civile tale documentazione appare del tutto bastevole per prospettare una situazione di fatto posta a fondamento della richiesta risarcitoria, dovendosi ogni questione relativa alla validità efficacia o genuinità del documento demandare alla opportuna sede di merito.
Ancor minor pregio assume, in tale ottica, l’eccepita non attualità del possesso dei titoli azionari o obbligazionari: da un lato, infatti, la prospettazione del danno deriva non solo dall’acquisizione del titolo in costanza dei comportamenti delittuosi degli imputati, ma anche dal mantenimento dello stesso in ragione del perdurare della rilevanza penale di tali comportamenti che hanno determinato forti minusvalenze concretizzatesi al momento della cessione dei titoli stessi; dall’altro, ed in via più generale, l’aver l’azionista o l’obbligazionista optato per soluzioni transattive o traslative della titolarità delle azioni o obbligazioni non esclude l’originaria fonte di danno posta a fondamento della pretesa risarcitoria, potendo tali aspetti determinare una diversa entità del danno da liquidare ma solo all’esito degli accertamenti di merito da svolgere nella opportuna sede processuale.
Per tali considerazioni, vanno rigettate tutte le eccezioni attinenti a pretesi vizi della documentazione allegata alle costituzioni di parte civile e relative alla qualità di creditore (o socio) fatta valere nell’esercizio della pretesa risarcitoria avanzata.

5. Sulla costituzione ‘in proprio’ dell’avv. A. Benaglia.

Come già in precedenza precisato, la giurisprudenza (Cass. 4 febbraio 1997 n. 815) ha escluso la possibilità di difesa tecnica in proprio, non potendosi estendere al sistema processuale penale la regola stabilita dall’art. 86 c.p.c. che prevede che la parte, quando ha la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore, può stare in giudizio senza il ministero di altro difensore; pertanto, è stato affermato il principio della necessaria alterità tra la parte civile e il suo difensore cui deve essere conferita la procura
ad litem ex art. 100 c.p.p. pena l’inammissibilità della costituzione; nel caso dell’avv. Annalisa Benaglia va dichiarata ammissibile la costituzione di parte civile effettuata da Aldo Benaglia e Vittorio Benaglia che hanno conferito procura speciale e mandato ad litem all’avv. Annalisa Benaglia; va, invece dichiarata inammissibile la costituzione in proprio di quest’ultima avendo dovuto ella, nella sua qualità di danneggiata, nominare altro difensore abilitato alla difesa tecnica.

6. Sulla costituzione di parte civile nei i reati indicati al capo N (calunnia) e al capo U (illecito finanziamento ai partiti politici).

In relazione al reato di calunnia, va precisato che offeso dal reato è sicuramente la società Lehman Brothers, in tale qualità destinataria dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare; nulla esclude, però, che tale soggetto non esaurisca il novero dei danneggiati dal reato, qualora venga dimostrato che gli imputati del capo N) (Tanzi Calisto, Tonna Fausto e Zini Gianpaolo) abbiano strumentalmente denunciato la società per aggiotaggio al fine di giustificare il fallimento dell’emissione del prestito obbligazionario del febbraio 2003: tale segmento di azione si inserirebbe tra quelli che hanno contribuito a determinare un danno rilevante per gli obbligazionisti e gli azionisti. In tale ottica, sarà poi questione di merito verificare tale collegamento e la rilevanza causale rispetto al danno lamentato.
Alle medesime conclusioni deve pervenirsi per il reato di illecito finanziamento ai partiti politici: le parti che hanno esercitato l’azione civile anche in relazione al capo U non sono parte offesa di tale reato (essendo tale soggetto la società da cui provengono illecitamente i danari ricevuti dai politici), ma semplici danneggiati: sarà questione di merito verificare che anche dalla condotta sub U sia a loro derivato un danno ricollegabile anche a tale condotta penalmente rilevante.

7. Sulle costituzioni avvenute dopo le udienze del 5 e 6 giugno 2006.

L’attività di deposito di costituzione delle parti civili si è svolta, dopo l’accertamento della corretta instaurazione del rapporto processuale con gli imputati nelle udienze sopra indicate, rinviandosi all’udienza del 10 luglio 2006 per l’esposizione delle questioni relative alla esclusione e/o inammissibilità della costituzione prospettate dalle difese degli imputati.
L’udienza del 10 luglio 2006 veniva rinviata a quella del 26 luglio 2006 per adesione dei difensori all’astensione proclamata dall’O.U.A. dalle udienze.
All’udienza del 26 luglio 2006 hanno preso la parola i difensori degli imputati, rinviandosi al 4 ottobre 2006 per consentire al PM e ai difensori delle costituende parti civili di svolgere le proprie osservazioni.
All’esito di tale udienza, il giudice si è riservato su tutte le questioni rinviando per la lettura dell’ordinanza all’odierna udienza.
Al di là delle due costituzioni di parte civile pervenute per posta e già dichiarate inammissibili, va ricordato che all’udienza del 26 luglio 2006 è stato depositato atto di costituzione di parte civile di Chiari Gemma + 4 per il tramite del procuratore speciale e difensore avv. C. Fumagalli, nonché atto di costituzione di parte civile di Corradi Mario + 3 per il tramite del procuratore speciale e difensore avv. C. Coratella. Infine, all’udienza del 4 ottobre 2006 hanno depositato atto di costituzione di parte civile di Adelasco Lucio + 3 e Frattini Fabrizio gli avv. F. Palestro e M. Bocedi.
Si pone, pertanto, il problema della tempestività della costituzione avvenuta per tali soggetti nelle udienze del 26 luglio e 4 ottobre 2006.

Sul punto, va ricordato che l’art. 79 co. I c.p.p. stabilisce che ‘la costituzione di parte civile può avvenire per l’udienza preliminare e, successivamente, fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall’art. 484 c.p.p.’. Pertanto, se viene stabilito un termine di efficacia iniziale della costituzione (che può avvenire anche fuori udienza e nella fase delle indagini preliminari, ma spiega i suoi effetti ‘per’ l’udienza preliminare) nulla è detto in relazione all’individuazione del momento finale dell’udienza preliminare che consente la costituzione del danneggiato.
La giurisprudenza, in via generale, ha precisato che ‘il termine finale stabilito dalla legge a pena di decadenza per la costituzione di parte civile in sede di udienza preliminare va individuato nel momento in cui il giudice dichiara aperta la discussione ai sensi dell’art. 421 co I c.p.p.’ (Cass. 17 aprile 2002, Varotto).
Tale affermazione riguarda, con evidenza, la situazione fisiologica in cui vi sia stata rituale costituzione di parte civile e il Giudice abbia rinviato il processo ad altra udienza per motivi ulteriori (ad es. irregolare composizione del collegio giudicante) o, come nel caso preso in esame nella sentenza sopra citata, per consentire la ‘regolarizzazione’ della costituzione di parte civile, situazione quest’ultima che implica aspetti di mera irregolarità che non involgono profili di inammissibilità comportante l’esclusione della parte civile.
In altre parole, ove non siano poste questioni che riguardano vizi della costituzione di tale civile tale da determinarne, in caso di accoglimento, l’esclusione vale la regola stabilita dalla giurisprudenza sopra richiamata.
Laddove, invece, si faccia questione di esclusione, deve necessariamente applicarsi il comma II dell’art. 80 c.p.p. che, in materia di richiesta di esclusione della parte civile in udienza preliminare stabilisce che tale richiesta ‘è proposta, a pena di decadenza, non oltre il momento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti’.
Ed allora, appare chiaro che nel caso in esame l’accertamento relativo alla costituzione degli imputati e delle parti civili è terminato all’udienza del 26 luglio 2006 quando è stata data la parola ai difensori degli imputati in ordine alle richieste di esclusione delle parti civili.
Va da sé, pertanto, che le costituzioni di parte civile dell’avv. Fumagalli per Chiari Gemma + 4 e dell’avv. Coratella per Corradi Mario + 3 sono avvenute in
limine litis e pertanto tali costituzioni, ricorrendone peraltro tutti gli altri presupposti di legge, devono ritenersi ammissibili.
Per le altre due costituzioni va rilevato che il limite dell’accertamento di cui all’art. 80 c.p.p. è stato superato, e pertanto, esse sono intempestive.
Peraltro, la tardività di tali costituzioni nulla osta alla possibilità di ritenerle valide sin d’ora per il dibattimento qualora ne ricorrano le condizioni stabilite dall’art. 78 c.p.p.: invero, se l’atto di costituzione di Adelasco Lucio + 4 contiene tutti i requisiti previsti dal predetto articolo, non così può affermarsi per la costituzione di parte civile di Frattini Fabrizio, dove la
causa petendi non si ritiene soddisfatta alla luce delle precisazioni sopra specificate ed in particolare quelle relative alla indicazione degli imputati e delle condotte (capi d’accusa) cui fa riferimento l’esercizio dell’azione civile. In tale atto, invero, tali estremi sono del tutto mancanti.
In definitiva, va dichiarata inammissibile la costituzione di parte civile di Frattini Fabrizio per difetto di indicazione della
causa petendi e va considerata la tardiva costituzione di parte civile di Adelasco Lucio + 4 ammissibile sin d’ora per il dibattimento.

8. sulla richiesta di citazione del responsabile civile avanzata dalle parti civili Abita Gaetano + 39, Laghezza Franco + 38, Accademia Srl + 40, Carignano elena + 39, Fanuli Pietro + 39, Lugli Giancarlo + 31.


Negli atti di costituzione delle parti civili sopra indicati, dopo la descrizione della causa petendi relativa all’esercizio dell’azione risarcitoria in sede penale, si legge ‘da quanto esposto risultato civilmente responsabili: Banca di Roma spa, Sanpaolo Imi spa; Banca Popolare Italiana spa, Deloitte & Touche spa, UBS Limited, Citibank N.A., Deutsche Bank spa, Deutsche Bank AG London, MS Bank International Limited Milan Branch; Morgan Stanley & Co. International Ltd, Nextra Investment sgr spa, oltre le altre citate nella richiesta di rinvio a giudizio. Sin d’ora, anche con il presente atto, si chiede di essere autorizzati dal Tribunale a citare in giudizio i responsabili civili’.
Alla luce di tale richiesta, appare opportuno premettere che il danneggiato da reato può esercitare l’azione civile in sede penale contro il responsabile civile – persona fisica o giuridica – che è chiamato a rispondere con l’imputato a norma delle leggi civili, secondo quanto stabilito dall’art. 185 co. II c.p.: tale azione è consentita solo se si deve rispondere del fatto altrui in virtù di norma di legge.
Ed allora, senza minimamente entrare nel merito della fondatezza della pretesa del danneggiato, si pone sin d’ora un serio problema di
legittimatio ad causam intesa come sussistenza dei requisiti minimi per accogliere la domanda della parte civile ed emettere il decreto di citazione del responsabile civile.

Alla luce di quanto riportato negli atti di costituzione di parte civile, non vi è dubbio che sia necessaria e doverosa un verifica preliminare che si traduca in una delibazione che, senza entrare nel merito della pretesa, accerti l’esistenza dei requisiti minimi per citare in giudizio il responsabile civile.
Tali requisiti sono specificati dall’art. 83 c.p.p. e due di essi sono del tutto insufficienti per giustificare l’adozione del decreto richiesto dai danneggiati costituitisi parte civile: la denominazione dell’ente completa delle generalità del suo legale rappresentante e l’indicazione delle domande che si fanno valere contro il responsabile civile.

Quanto al primo requisito non pare possa revocarsi seriamente in dubbio l’approssimazione contenuta nella indicazione di istituti di credito e società di revisione sia in relazione al non meglio specificato riferimento ad articolazioni territoriali, sia in relazione alla indeterminata clausola che fa riferimento alle altre banche indicate nel capo d’accusa, sia, infine, in relazione alla omessa indicazione del legale rappresentante degli enti. Così richiesta, la citazione è del tutto generica con riferimento al responsabile chiamato in causa, non potendo il Giudice disporre di poteri di integrazione autonomi per rendere l’atto di impulso processuale completo e specifico sotto tale profilo.

In relazione alla indicazione delle domande che si fanno valere con la citazione del responsabile civile, non può tacersi che tale requisito è del tutto inesistente nel caso in esame: se, infatti, è necessario che la parte civile si affermi titolare del diritto al risarcimento (anche) nei confronti di colui che cita quale responsabile civile, deve prospettare se stessa e la controparte come termini di un rapporto risarcitorio che, senza entrare nel merito della fondatezza della pretesa, consenta di verificare in virtù di quale fonte normativa gli enti indicati quali responsabili civili possano essere chiamati in solido con l’imputato a risarcire il danno subito dalla condotta dell’imputato.
In altre parole, non è stato descritto perché quelle società di revisione e perché quegli istituti di credito possano essere chiamati a risarcire il danno per fatto altrui.

Tale difetto – che si concretizza nella carenza assoluta di indicazione delle ragioni della domanda che si fa valere -, impedisce anch’esso l’emissione del decreto di citazione del responsabile civile che possa provocare la rituale costituzione del responsabile civile e la eventuale questione sulla legittimazione passiva dello stesso.

9. Ulteriori specificazioni.

Da ultimo, va sottolineato che vi sono alcuni atti di costituzione di parte civile nei quali l’esercizio dell’azione risarcitoria è spiegato avverso tutti gli imputati ad eccezione di alcuni: così nell’atto costitutivo di Aggero Margherita + 131 la costituzione è avvenuto avverso 58 dei 64 imputati; la costituzione di Angeli Luciana + 4 è avvenuta nei confronti di 57 dei 64 imputati; la costituzione di Cermenati Luigi + 521, Orsenigo Marco + 8 e Da domo Angelo è avvenuta nei confronti di 62 dei 64 imputati; la costituzione di Acampora Mario + 26 è avvenuta nei confronti di 61 dei 64 imputati: tali esclusioni soggettive non sono state specificamente motivate nell’atto costitutivo. Resta valida ed ammissibile la costituzione di parte civile così come indicata di volta in volta negli atti costitutivi sopra menzionati.
In relazione alle costituzioni di parte civile dei soggetti rappresentati dall’avv. Tanza, va precisato che la numerazione delle parti offese indicate nell’atto non corrisponde al numero dei soggetti che si costituiscono parte civile, posto che in alcuni casi, sotto uno stesso numero, sono ricompresi due o tre soggetti. Gli atti costitutivi sono, pertanto, così dimensionati: Abita Gaetano + 47, Laghezza Franzo + 47, Accademia srl + 56, Carignano Elena + 54, Fanuli Pietro + 54, Lugli Giancarlo + 39.

Infine, deve rilevarsi che le posizioni processuali di Roveraro Gian Mario e Marzili Pier Giovanni sono state separate con formazione di autonomo fascicolo processuale poiché è intervenuta
medio tempore una causa di improcedibilità dell’azione penale (essendo gli imputati deceduti).
Tutti gli atti di costituzione di parte civile ammessi devono, pertanto, riferirsi agli imputati indicati nei singoli atti di costituzione ad eccezione, per tutti e per la motivazione sopra indicata, di Roveraro Gian Mario e Marzili Pier Giovanni




PQM



Dispone l’esclusione della parte civile Parmalat spa in persona del legale rappresentante dott. Picella.
Dispone l’esclusione della parte civile Adusbef, Movimento di Difesa del Cittadino, Confconsumatori e Unione Nazionale Consumatori – Comitato Regionale dell’Emilia-Romagna e Comitato Provinciale di Bologna.
Dispone l’esclusione della parte civile Cistriani Benito e Orazi Davide.
Dispone l’esclusione della parte civile Cavalieri D’Oro Carlo + 1; Morandini Lucia + 1 e Padula Samuele.
Dispone l’esclusione della parte civile Annalisa Benaglia.
Dispone l’esclusione della parte civile Frattini Fabrizio.

Respinge nel resto le formulate eccezioni ed ammette tutte le restanti costituzioni di parte civile.
Ammette per il dibattimento la costituzione tardiva Adelasco Lucio + 4

Respinge la richiesta di emissione del decreto di citazione del responsabile civile avanzata dalle parti civili assistite dall’Avv. Tanza.

Parma, 24-25 ottobre 2006


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