Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


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Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2004

I

TRIBUNALE DI LECCE
Sezione Distaccata di Nardò

SENTENZA n.42/04

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice Unico del Tribunale di Lecce, Sezione Distaccata di Nardò ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 820 1/99 del Ruolo Generale promossa

DA

PAGLIARA FERNANDO, rappresentato e difeso dall’avv. A. Tanza

CONTRO

ROLO BANCA 1473 S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. M. Sesta e L. Erroi All’udienza del 23-12-2003 le parti precisavano così le conclusioni:

per l’attore: riportandosi a quelle rassegnate nell’atto di citazione e nei successivi scritti di parte e verbali di causa;

per la convenuta : riportandosi a quelle precisate nella comparsa di costituzione e risposta e nei successivi scritti difensivi e verbali di causa.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato a controparte il 22-6-1999 Fernando Pagliara, associato Adusbef, riferiva di avere intrattenuto con il CREDITO ROMAGNOLO S.p.A., ora ROLO BANCA 1473 S.p.A., filiale di Copertino un rapporto di apertura di credito con affidamento mediante scopertura sul c/c n. 621 e sconto effetti iniziato il 6-9-1990 che, secondo l’ultima richiesta della banca, aveva quale saldo passivo £ 141.899.175, oltre £ 258.024.840 per titoli cambiari scontati salvo buon fine e non onorati, nonché interessi ; nel contestare la misura del credito vantato dalla banca, eccepiva:

· la nullità della c.d. clausola interessi uso piazza, in quanto il contratto base originario che regolava il rapporto di apertura di credito non statuiva un tasso legale ultralegale, ma faceva riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza: conseguiva alla nullità l’applicazione in via suppletiva ex art. 1284 u.c. c.c. dell’interesse legale annuale sia sui saldi attivi che passivi (con applicazione anche dell’ art. 1370 c. c. in materia di interpretazione contro l’autore della clausola), con insorgenza del diritto alla ripetizione degli interessi ultralegali oggetto di indebito pagamento nel limite prescrizionale di 10 anni a decorrere dalla data di chiusura dell’intero rapporto;

· la nullità della convenzione anatocistica preventiva e trimestrale, che potrebbe essere consentita ai sensi dell’art. 1283 c.c. solo in presenza di un uso normativo che espressamente la preveda, ma non esistono usi normativi. di tal fatta antecedenti all’entrata in vigore del codice civile del 1942, né possono essersene validamente formati di successivi ; peraltro nulla doveva considerarsi la clausola contrattuale secondo cui la capitalizzazione trimestrale degli interessi continua ad operare anche dopo la cessazione del rapporto e fino alla data di estinzione del debito;

· l’inammissibilità della provvigione di massimo scoperto (C.M.S.) in mancanza di espressa convenzione tra le parti, ma anche di alcuna previsione normativa;

· l’inammissibilità della determinazione della valuta operata dalla banca valuta fittizia risultante dall’aggiunta o dalla sottrazione di un certo numero dei c.d. giorni banca alla valuta effettiva (in cui il giorno a partire dal quale la somma corrispondente diventa fruttifera coincide con quello in cui la banca acquista o perde la disponibilità giuridica delle somme versate o prelevate);

· l’illegittimità di spese e commissioni che, unitamente ad interessi ultralegali, provvigioni di massimo scoperto, giorni di valuta e capitalizzazione trimestrale, costituiscono un insieme di esborsi che, espressi in percentuale annua (tasso effettivo globale T.E.G.), il cliente sostiene per l’utilizzo di una somma di denaro concessagli in credito dalla banca e risultano superiori a quelli di mercato;

· l’illegittimità della segnalazione alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia della posizione di rischio di parte attrice come posizione a sofferenza, nonostante la piena e dimostrata capacità del soggetto di far fronte al presunto debito con il suo patrimonio e l’insussistenza dei debiti;

pertanto chiedeva che venisse dichiarata l’invalidità e la nullità parziale dei singoli contratti di apertura di credito, di conto corrente e di sconto effetti oggetto del rapporto tra le parti; che venisse determinato l’esatto dare-avere tra le parti in base ai risultati del ricalcalo da effettuarsi a mezzo di C.T.U. ; che venisse determinato il costo effettivo annuo del rapporto bancario ; che la banca convenuta venisse condannata alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre agli interessi legali creditori in suo favore, con compensazione di dette somme con quelle relative agli effetti cambiai-i insoluti; che venisse dichiarata l’invalidità di ogni altra obbligazione connessa all’impugnato rapporto bancario ; che la banca convenuta venisse condannata al risarcimento dei danni subiti da esso attore a seguito dell’illegittima segnalazione alla Centrale rischi presso la Banca d’Italia del rischio a sofferenza e falsamente quantificato; con vittoria di spese e competenze di lite.

Con comparsa di costituzione con domanda riconvenzionale si costituiva la ROLO BANCA 1473 S.p.A. rilevava quanto segue:

la condotta tenuta dall’ex Credito Romagnolo era sempre stata conforme ai patti contrattuali validamente intercorsi tra le parti;

il Pagliara non aveva mai contestato gli estratti conto regolarmente inviatigli e che quindi dovevano ritenersi approvati ai sensi dell’ art. 18 delle condizioni generali di conto corrente ed anzi aveva riconosciuto espressamente con lettera dell’1-3-1993 il proprio debito;

tanto premesso e considerate la piena validità della pattuizione degli interessi in misura ultralegale tramite rinvio alle condizioni usualmente praticate dalle banche sulla piazza e l’espressa approvazione ex artt. 1341 e 1342 c.c. dell’art. 16 delle condizioni generali di e/e in forza del quale è stata data alla banca la possibilità di modificare unilateralmente l’ammontare degli interessi nel corso del rapporto, gli interessi erano stati computati in conformità del criterio fissato dalle parti in via preventiva;

l’applicazione della C.M.S. (che si sostanzia in un costo aggiuntivo dovuto dal correntista per il credito concessogli extra fido dalla banca ed è funzionale al contenimento delle operazioni di addebito in e/e non coperte da apertura di credito) e la determinazione della valuta erano state effettuate sulla base della previsione e valida pattuizione di cui all’art. 7 delle condizioni generali di e/e : peraltro irrilevante doveva ritenersi in ragione dell’autonomia negoziale la mancata previsione normativa dell’applicazione della C.M.S., mentre rilevante sarebbe stata solo una previsione normativa che la vietasse:

quand’anche la pattuizione di interessi ultralegali fosse stata invalida, lo spontaneo pagamento costituirebbe adempimento di obbligazione naturale con conseguente irripetibilità dell’importo versato;

quanto all’applicazione dell’ anatocismo relativamente agli interessi debitori, era intervenuto il Digs. 23-7-1999 ad affermare espressamente la legittimità delle clausole che lo prevedevano;

· vi è l’obbligo per gli istituti di credito di comunicare tempestivamente ed indistintamente ogni posizione registrata a sofferenza alla Centrale Rischi;

· assolutamente generica doveva ritenersi la contestazione riguardo al fatto che il T.E.G. sarebbe superiore ai valori di mercato;

pertanto chiedeva il rigetto di tutte le avverse domande e, in via riconvenzionale, la condanna del Pagliara al pagamento della somma di £ 141.899.175 oltre interessi pattuiti dall’1-1-1994 al saldo nonché della somma di £ 258.024.840, per titoli cambiai-i scontati salvo buon fine e non onorati, oltre interessi pattuiti dal dì del dovuto al saldo, ovvero, in denegata ipotesi, della minor somma che sarebbe risultata di giustizia, con vittoria di spese, competenze ed onorari.

Nel corso del giudizio veniva disposta CTU contabile; all’udienza del 23-12-2003 le parti precisavano le conclusioni nei termini di cui sopra. -

MOTIVI DELLA DECISIONE

Occorre preliminarmente osservare che ad avviso di questo giudicante non può ritenersi valida la costituzione in giudizio intervenuta solo in sede di comparsa conclusionale da parte della UniCredit Banca S.p.A. in luogo dell’originariamente costituita Rolo Banca 1473 S.p.A. (a seguito di fusione per incorporazione, modificazione di denominazione sociale e conferimento di ramo d’azienda), per cui la presente decisione verrà emessa nei confronti della Rolo Banca 1473 S.p.A.

Passando al merito della controversia, dalla CTU contabile espletata è emerso che il rapporto tra le parti, avviato con l’apertura del e/e n. 621 presso la filiale di Novoli dell’allora Credito Romagnolo S.p.A. da parte dell’attore, ha avuto una durata di 1243 giorni dal 6 settembre 1990 al 31 gennaio 1994, allorché il e/e evidenziava un saldo debitore di £ 141.899.175.

Veniamo all’esame delle questioni sollevate dall’attore.

Preliminarmente occorre precisare che secondo un consolidato orientamento del supremo Collegio “la mancata tempestiva contestazione dell’estratto conto trasmesso da una banca al cliente rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo strettamente contabile, ma non sotto quelli della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano” (Cass. Civile, Sez. I, 11-3-1996 n. 1978), sicché deve escludersi l’asserita natura confessione della ripetuta approvazione degli estratti conto da parte dell’attore a fronte delle eccezioni di nullità di clausole contrattuali.

Cominciando da quella relativa alla previsione di interessi ultralegali uso piazza, questo giudice precisa di aderire a quell’orientamento rigoroso del Supremo Collegio che anche per i contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della L. 154/92 prevede:

· che debbano essere determinati per iscritto ex art. 1284 c.c.;

· che possano essere determinati per relazionem, ma solo “attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obiettivamente individuabili” (Cass. Civile, Sez. I, 23-6-1998, n. 6247);

sicché, sempre secondo la testé citata sentenza, non deve ritenersi “sufficientemente univoca la clausola che si limiti ad un mero riferimento per relazionem”, che “può considerarsi sufficiente soltanto ove esistano vincolanti discipline del saggio, fissate su scala nazionale con accordi di cartello, e non già ove tali accordi contengano diverse tipologie di tassi, o, addirittura, non costituiscano più un parametro centralizzato e vincolante”.

Nel caso di specie 1’ art. 7 Co. delle condizioni generali di contratto ha previsto testualmente : “Gli interessi dovuti dal Correntista alla Banca, salvo patto diverso si intendono determinati alle condizioni praticate usualmente dalle Banche sulla piazza, e producono a loro volta interessi nella stessa misura”.

Orbene non è dubbio che il generico riferimento per relazionem “alle condizioni praticate usualmente dalle Banche sulla piazza” non risulti ancorato ad un accordo di cartello a livello nazionale.

Ne discende la nullità della clausola in questione.

Va inoltre dichiarata la nullità della clausola di applicazione della provvigione delle commissioni di massimo scoperto e delle spese di tenuta del conto, in quanto l’art. 7 Co. delle condizioni generali di contratto ha precisato : “Le operazioni di accredito e di addebito vengono regolate secondo i criteri concordati con il Correntista o usualmente praticati dalle Banche sulla piazza con le valute indicate nei documenti contabili o comunque negli estratti conto. Secondo gli stessi criteri sono applicate e rese note le commissioni sul massimo scoperto e le spese di tenuta del conto” : tale clausola (non ritenendosi invece fondata l’asserita mancanza di valida giustificazione causale con particolare riferimento alla cms) deve ritenersi nulla per indeterminatezza dell’oggetto ex art. 1346 c.c., rinviando o ancora una volta ad un non meglio precisato uso piazza ovvero a criteri concordati tra le parti ed evidentemente da trasfondere in una convenzione non reperita dal CTU, che ne ha dato atto in contraddittorio con i CTP (vedi verbale - delle operazioni di CTU del 16-10-2002).

Nulla parimenti per violazione dell’art. 1283 c.c. deve ritenersi la clausola di applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, contenuta nel citato art. 7 Co. delle condizioni generali di contratto, che appare non riconducibile alle ipotesi di anatocismo riconosciute dalla predetta norma codicistica (allorché a tal fine sia stata proposta domanda giudiziale ovvero sia stata stipulata convenzione posteriore di almeno 6 mesi dalla scadenza degli interessi produttivi di interessi) in mancanza di usi (sicuramente normativi) contrari, a fronte della consolidata giurisprudenza del Supremo Collegio — a cui questo giudice ritiene di aderire - che, a partire dalle note sentenze della Sez. I del 16-3-1999 n. 2374 e della Sez. III del 30-3-1999 n. 3096, ha ritenuto meri usi negoziali e non già normativi quelli posti a fondamento delle clausole di applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente alla banca (in particolare entrambe le citate sentenze hanno precisato che le c.d. norme bancarie uniformi in materia di conto corrente di corrispondenza e servizi connessi, predisposte dall’ABI per la prima volta con effetto dall’1-1-1952 e regolanti trimestralmente la capitalizzazione degli interessi, attestano l’esistenza di una vera e propria consuetudine mai accertata invece dalla -Commissione Speciale Permanente presso il Ministero dell’Industria e che gli accertamenti di conformi usi locali da parte di alcune Camere di Commercio provinciali sono tutti successivi al 1952). Va poi dichiarata nulla la citata clausola contrattuale di cui all’art. 7 Co.4° delle condizioni generali di contratto anche con riferimento alla determinazione dei giorni di valuta sempre per le evidenziate ragioni dì indeterminatezza dell’oggetto della clausola, confermata anche in questo caso dalla riscontrata (nel già richiamato verbale delle operazioni di CTU del 16-10-2002) insussistenza di una specifica convenzione tra le parti.

Pertanto nella determinazione del saldo dare — avere tra le parti, per cui si rimanda alla decisione definitiva all’esito di opportuni chiarimenti da parte del CTU, andrà tenuto conto delle odierne statuizioni sulla nullità delle suindicate clausole contrattuali.

Infine con la presente decisione non definitiva, rinviando alla definitiva la statuizione sulle ulteriori domande proposte dalle parti, si può rigettare la domanda attorea di condanna della banca convenuta al risarcimento dei danni conseguenti alla –asserita- illegittima segnalazione alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia del rischio a sofferenza dell’attore falsamente quantificato, avuto riguardo alla circostanza che, a fronte di una rilevata posizione di sofferenza (che peraltro non sembra venuta meno anche all’esito della declatoria di nullità delle suindicate clausole contrattuali) la banca convenuta aveva l’obbligo di effettuare la contestata segnalazione alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia.

Le spese vanno liquidate al definitivo.

Provvede separatamente con ordinanza sul prosieguo del giudizio

P.Q.M.

il Tribunale, non definitivamente pronunciando, dichiara la nullità delle clausole di cui alle condizioni generali del contratto del 6-9-1990 relative agli interessi convenzionali, alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, alle commissioni di massimo scoperto, alle spese di tenuta del conto ed alla determinazione di giorni di valuta;

rigetta la domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla segnalazione alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia del rischio a sofferenza dell’attore Pagliara Fernando spese al definitivo provvede separatamente sul prosieguo del giudizio.

Nardo ‘5 aprile 2004

IL GIUDICE

Dr. Nicola LARICCIA



§§§



Il commento

di

Rosanna Cafaro



La mancata tempestiva contestazione dell’estratto conto trasmesso da una banca al cliente rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo strettamente contabile, ma non sotto quelli della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano.

Non ha natura di confessione la ripetuta approvazione degli estratti conto da parte dell’attore a fronte delle eccezioni di nullità di clausole contrattuali.

E’ nulla la clausola c.d. di “uso piazza, in quanto il generico riferimento per relationem “alle condizioni praticate usualmente dalle Banche sulla piazza” non risulti ancorato ad un accordo di cartello a livello nazionale.

E’ nulla, per indeterminatezza dell’oggetto ex art. 1346 c.c., la clausola di applicazione della provvigione delle commissioni di massimo scoperto e delle spese di tenuta del conto.

Del pari, è nulla, per violazione dell’art. 1283 c.c., la clausola di applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi.





Ancora una volta il Tribunale di Lecce (Cfr., Trib., ordinanze 21/10/1999; 29/10/1999 e 10/12/1999: r.o. nn. 690 e 753 del 1999, n. 44 del 2000; Trib. Sent. 352/2004; C. Appello, sent. 27/6/2000; C. Appello, sent. 22/10/2001; C. Appello 6/2/2001;) si è rivelato particolarmente sensibile alle istanze degli utenti bancari, in materia di contratti di conto corrente e di interessi passivi.

Per anatocismo si intende il fenomeno della produzione degli interessi sugli interessi, oppure interessi composti nell’ambito delle obbligazioni pecuniarie, nel senso che è possibile che interessi, scaduti per il decorso del termine di esigibilità, possano produrre a loro volta interessi, i quali pertanto andranno a computarsi su un importo comprensivo del capitale e degli interessi che su di esso sono maturati e che ad esso si incorporano (si capitalizzano), indicando la misura attuale della esposizione del debitore, anzichè sulla somma originariamente accreditata.

“Ad esempio, quando la banca anticipa al cliente, contro il pagamento degli interessi corrispettivi (ovvero di interessi dovuti quale corrispettivo del godimento che il debitore abbia dalla disponibilità del capitale per un periodo di tempo) nella misura contrattuale del 10% annuo, la somma di lire 10 milioni, il cliente divenuto debitore dei 10 milioni, una volta trascorso il periodo di capitalizzazione degli interessi (l’anno, il semestre, o, come sempre accade, il trimestre), dovrà restituire alla banca, oltre alla somma ed agli interessi corrispettivi maturati – nel caso qui richiamato 10 milioni di capitale e 1 milione di interessi – anche gli ulteriori interessi, appunto denominati anatocistici o composti; essi si sono prodotti non più sulla somma originaria ma sulla maggiore somma di 11 milioni (10 milioni di capitale e 1 milione di interessi prodotti e dunque capitalizzati).” (Cafaro R. – Tanza A., La tutela dei consumatori nel credito, nei servizi finanziari e bancari, Piacenza, 2003, 135)

Così, a parità di tasso di interesse corrispettivo, ad ogni scadenza del periodo di capitalizzazione, aumenta la somma di denaro su cui si producono e si calcolano gli interessi.

Sin dai tempi di Giustiniano le usurae usurarum erano viste con particolare disfavore ed il legislatore ha sempre condiviso tale punto di vista, così che nel codice civile del 1942 “all’art.1283, ha infatti previsto che gli interessi possano produrre nuovi interessi alle seguenti rigorose condizioni: 1) gli interessi che si vogliono portare a capitale devono essere scaduti da almeno sei mesi (quindi per i primi sei mesi l'anatocismo non opera); 2) deve essere presentata apposita e specifica domanda giudiziale; 3) (in alternativa alla domanda giudiziale) occorre stipulare idonea convenzione successiva alla scadenza degli interessi.

In mancanza della domanda giudiziale o della convenzione posteriore alla scadenza degli interessi, questi ultimi restano infruttiferi.” (Sempre, Cafaro R. – Tanza A., cit., 136)

Essendo l’art.1283 c.c. una norma imperativa, non derogabile dai privati, la violazione di essa produce la nullità delle relative pattuizioni anteriori alla scadenza degli interessi.

La sentenza in rassegna si segnala anche per il principio sancito in tema di contestazione/approvazione dell’estratto conto, documento certificato dal dirigente, il cui valore probatorio è limitato ai soli fini dell’ottenimento del decreto ingiuntivo.

Per unanime e consolidato orientamento giurisprudenziale, in un ordinario giudizio di cognizione, l’efficacia probatoria dell’ estratto conto è regolata dai principi generali (Trib. Genova, sent. 1/4/1999, Gius, 1999, pag. 2446; C.Cass., sent.10/8/1990, n. 8128, in Giustizia Civile, 1991, I, 51; Trib. Cagliari, sent. 4/7/1989, in Riv. Giur. Sarda, 1991, 75; Trib. Milano, sent.13/10/1988, in Banca, Borsa e titoli di credito, 1990, II, 213; inoltre, Trib. Alessandria, sent.13/5/1997, in Giur. It., 1998, 54, con nota di Ziino; Trib. Venezia, sent.4/6/1992, in Foro It., 1994, I, 289, secondo cui il saldaconto non costituisce neppure prova idonea per l’ingiunzione di pagamento.); mentre, “la migliore dottrina e giurisprudenza, attenendosi alla lettera della norma, hanno sottolineato il carattere eccezionale, circoscrivendo, tassativamente, il valore probatorio al procedimento monitorio; mentre si è riconosciuto al documento medesimo, nell’ambito del giudizio di cognizione, l’idoneità a fornire meri elementi di prova indiziaria atti a contribuire soltanto nel contesto di altri elementi ugualmente significativi alla formazione del libero convincimento del giudice.” (Ancora, Cafaro R. – Tanza A., cit., 122)

Di solito, nelle controversie fra banca e utente, la prima solleva solitamente la medesima eccezione per contestare la richiesta di ripetizione delle somme : l’eccezione è quella di decadenza per mancata contestazione dell’estratto conto.

In tal senso, deve delimitarsi l’estensione dell’effetto preclusivo, derivante dalla mancata tempestiva contestazione degli estratti conto ex artt.1832, 1857 c.c., nonché 119 T.U. legge bancaria.

Per giurisprudenza e dottrina ormai consolidate, l’approvazione del conto ex art.1832 c.c. (applicabile al conto corrente bancario in forza del richiamo operato dall’art.1857 c.c.) rende incontestabili le annotazioni in conto, derivanti dalla mancata impugnazione, nella loro realtà effettuale, ma non determina la decadenza da eventuali eccezioni relative alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori (contratto ed altre pattuizioni) da cui dette annotazioni derivano. (Cfr. Cass. 11/5/ 1998 n. 4735; Cass. 11/9/1997, n.8989; Cass. 16/1/1997 n.404; Cass. 10/10/1996, n.8851; Cass. 11/3/1996, n.1978; Cass. 15/6/1995, n.6736; Cass. 24/5/1991, n.5876; Cass. 13/1/1988, n.178; Cass. 24/7/1986, n.4735; Cass. 7/9/1984, n.4788; Cass. 14/2/ 1984, n.1112; Cass. 19/1/1984, n.452; Cass. 19/8/1983, n.5409, Cass. 10/4/1980, n.2095; ecc.).

“Il silenzio del correntista (perché in ciò si risolve la mancata contestazione) non può, quindi, essere interpretato come costitutivo di diritti di credito in realtà insussistenti, tanto più se si considera che, di norma, le contestazioni formulabili presuppongono un bagaglio di conoscenze tecnico - giuridiche delle quali, per comune esperienza, il normale cittadino è del tutto sprovvisto, né va sottovalutata la posizione dell'imprenditore che, avendo investito le somme oggetto di affidamento, è impossibilitato a restituire immediatamente le medesime qualora la banca, indispettita da pesanti contestazioni, revochi immediatamente l’affidamento stesso.” (Così, Cafaro R. – Tanza A., cit., 123)

Nel provvedimento in esame il Giudicante si sofferma sulla ‘storica’ questione dei c.d. “usi di piazza”, stabilendo che “il generico riferimento per relazionem alle condizioni praticate usualmente dalle Banche sulla piazza” non risulta ancorato ad un accordo di cartello a livello nazionale e che, quindi, va condiviso l’“orientamento rigoroso del Supremo Collegio”, secondo cui anche per i contratti di conto corrente anteriori all’entrata in vigore della Legge n.154 del 1992 gli interessi ultralegali vanno determinati per iscritto ex art. 1284 c.c. e per relationem solo mediante “il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purchè obiettivamente individuabili”.

Invero, la clausola di determinazione dell’interesse ultralegale, mediante riferimento al c.d. “uso di piazza”, è da ritenersi nulla e improduttiva di ogni effetto per violazione del disposto di cui agli artt.1284, comma 3°, c.c., 1346 e 1418, comma 2°, cod. civ.. La Suprema Corte sin nella sentenza n. 11042 del 10 novembre 1997 ha infatti inequivocabilmente osservato che “una clausola, la quale si limiti a far riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, non è sufficientemente univoca e non può quindi giustificare la pretesa al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale, in quanto, data l’esistenza di diverse tipologie di interessi, essa non consente, per la sua genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso concretamente riferirsi”.

Nel senso della dedotta invalidità a titolo nullità, in quanto contraria al disposto degli artt. 1284, comma 3°, c.c. e 1418, comma 2°, c.c., della clausola determinativa dell’interesse corrispettivo ultralegale mediante il rinvio "alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza", si è sovente pronunciata la Corte di Cassazione sempre in senso uniforme (Cfr., C.Cass., Sez. I, sent. 14/1/1999 n. 348, inedita).

Per quanto riguarda la c.m.s. (commissione di massimo scoperto) anche il Tribunale di Lecce, nella sentenza in epigrafe, aderisce ad un’opinione ormai più che consolidata della giurisprudenza di merito e di legittimità (ex plurimis, l’inedita C.Cass., sent. 21/11/2000, n. 15024), nonché della dottrina : la ratio delle c.m.s. non può essere individuata in alcuna fonte normativa, poichè il nostro ordinamento non fa mai riferimento alla C.M.S., termine che, di fatto, è considerato un vera e propria integrazione del tasso nominale di interesse e che non ha una specifica giustificazione economico-tecnica. (Brusasca, Tecnica Bancaria, Milano; Dell’Amore, Economia delle aziende di credito, Istituto di Economia Aziendale Università Bocconi di Milano, III, Le banche di deposito, 777; Cafaro R- Tanza A., cit. p.116)

Insomma, anche il Tribunale di Lecce, come altri sul territorio, si è avveduto che le banche riescono a “lucrare ulteriori competenze fittizie a proprio favore” (Cafaro R- Tanza A., cit. p.117) a scapito del cliente, che assiste ad una notevolissima – quanto ingiusta ed ingiustificata – ‘lievitazione’ dei conti attivi della banca, come “effetto di protrazione fittizia del presunto debito o decurtazione del periodo di durata del credito”. (Cafaro R- Tanza A., cit., ibidem, passim)

La pronuncia in esame, non definitiva, si conclude con un’importante affermazione del Giudicante, che, per la determinazione del saldo dare-avere fra le parti, rimanda “alla decisione definitiva all’esito di opportuni chiarimenti da parte del CTU”, ferme restando le “odierne statuizioni sulla nullità delle suindicate clausole contrattuali”: Egli ha ritenuto “nulla parimenti per violazione dell’art. 1283 c.c…. la clausola di applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, contenuta nel citato art. 7 Co. delle condizioni generali di contratto”.

La convenzione anatocistica, preventiva e trimestrale, potrebbe essere consentita, ex art. 1283 c.c., solo in presenza di un uso normativo, in forza del quale sia espressamente prevista la preventiva pattuizione della capitalizzazione trimestrale degli interessi scaduti.

Tuttavia, non esiste un uso normativo, anteriore all’entrata in vigore del vigente codice civile del 1942, né successivo a detta data, il cui contenuto consenta la preventiva pattuizione della capitalizzazione trimestrale degli interessi non ancora scaduti.

E, se, per assurdo, si fosse creato un tale uso successivamente all’entrata in vigore del codice civile, questo non avrebbe potuto validamente formarsi, in quanto contra legem.

Dunque, la pronuncia in rassegna conferma ancora una volta che la pretesa consuetudine normativa di capitalizzazione trimestrale degli interessi non soltanto è inesistente al momento dell’entrata in vigore del codice del 1942, ma anche successivamente, visto che le prime N.U.B. (Norme Bancarie Uniformi, gruppo di 15 condizioni elaborate dall’ABI), in tema di conto corrente, sono state adottate dal 1° gennaio 1952 (ma non erano presenti né nel 1942, né successivamente) e prevedevano, per la prima volta, la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori.

Per quanto riguarda gli “usi”, registrati dalle Camere di Commercio in sede provinciale (prima o in concomitanza con l’entrata in vigore del codice civile e delle “condizioni generali uniformi di banca” in tema di conto corrente), non contenevano previsioni circa la chiusura e la capitalizzazione trimestrale dei conti debitori a favore delle banche.

In conclusione, dunque, deve convenirsi che l’inserzione nei contratti bancari di conto corrente, ed in altri, di una previsione di capitalizzazione trimestrale non costituisce un uso normativo; al più, essa potrebbe costituire una tendenza (dettata dall’imposizione di un contraente forte) verso la costituzione di un uso negoziale (art. 1340 c.c.), la cui formazione peraltro non si sarebbe mai compiuta, considerato il contrasto di questa clausola con il divieto imperativamente stabilito dalla legge. (Così, Cafaro R. – Tanza A., cit., 103)

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