Menu principale:
Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2004
VIII
N. 1305/2004 Sentenza
N. 6480 Cronologico
N. 2616 Repertorio
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Trani – Sezione Promiscua, in composizione monocratica nella persona del Dott. Binetti, a scioglimento della riserva di cui al verbale dell’udienza del 5 aprile 2004 tenuta a Trani, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella controversia iscritta al n. 946/2000 del R.G.A.C., avente ad oggetto la ripetizione di indebito
TRA
D. G. G., assistito e difeso giusta mandato a margine dell’atto di citazione dall’avv. Antonio Tanza ed elettivamente domiciliato in Trani;
ATTORE
E
ISTITUTO BANCARIO SAN PAOLO DI TORINO - ISTITUTO MOBILIARE ITALIANO spa, in persona del legale rappresentante, assistito e difeso dagli Avv.ti Antonio Belsito e Gino Cavalli, giusta mandato in calce alla copia notificata dell’atto di citazione, ed elettivamente domiciliato in Trani al C.so Vittorio Emanuele , 256 (c/o Avv. G. De Zio);
CONVENUTO
Conclusioni delle parti:
per l’attore:
precisa le proprie conclusioni riportandosi a quanto chiesto, eccepito, dedotto e confermato dalla CTU; ribadisce l’opposizione a quanto ex adverso formulato ed eccepito; chiede la condanna del convenuto con ogni conseguenza anche per le spese, competenze ed onorari;
per il convenuto:
precisa le conclusioni richiamando quelle già formulate nella comparsa di costituzione e risposta.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato in data 10 marzo 2000, D. G. G. conveniva in giudizio dinanzi a questo Tribunale l’Istituto San Paolo di Torino – IMI Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, esponendo:
- di intrattenere con l’Istituto convenuto un rapporto bancario di apertura di credito con affidamento mediante scopertura su c/c n. 10/10351 per un importo di £ 80.000.000, iniziato il 21 novembre 1991 ed ancora in corso, con ultimo saldo passivo al 31 dicembre 1991 di £. 13.489.367;
- di contestare la misura del presunto credito vantato dalla banca per i motivi che seguono:
a) nullità della clausola dell’interesse ultralegale mediante rinvio al cd uso piazza; infatti il contratto originario non statuiva un tasso ultralegale ma faceva riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, clausola questa nulla per violazione del disposto di cui agli artt. 1284, comm. 3 c.c., 1346 e 1418, comm. 2 c.c.; sicchè doveva applicarsi l’interesse legale annuale, sia sui saldi attivi che su quelli passivi, con restituzione ad esso attore degli interessi indebitamente corrisposti;
b) illegittimità della pattuizione ed applicazione della capitalizzazione trimestrale dell’interesse composto; infatti, il contratto originario stabiliva l’addebito degli interessi composti o anatocistici su quelli primari, capitalizzati nei periodi trimestrali di contabilizzazione del rapporto, mentre tale pattuizione era nulla per violazione del disposto di cui agli artt. 1283 c.c. e 1418, comm. 2 c.c., né esisteva un uso normativo che la consentisse;
c) inammissibilità della provvigione di massimo scoperto; infatti nulla era dovuto, in quanto nulla era stato convenuto contrattualmente, sicchè la sua applicazione avveniva in contrasto con gli artt. 1284, comm.2, 1325 e 1418 comm.2 c.c.;
d) illegittimità della determinazione della valuta; infatti, nulla era previsto circa i cd giorni valuta; l’istituto aveva, invece, computato in modo differente i cd giorni valuta (differenza fra valuta effettiva e valuta fittizia), aumentandone il numero nelle operazioni di credito e diminuendole in quelle di debito;
e) Tasso Effettivo Globale superiore a quello di mercato
f) Illegittimità della segnalazione alla Centrale Rischi; infatti la segnalazione non era affatto necessaria, attesa la piena e dimostrabile capacità del debitore di assolvere alle sue obbligazioni ed è stata disposta solo per ottenere una definizione più sollecita della controversia a condizioni più vantaggiose per l’istituto di credito.
Tanto premesso, concludeva, chiedendo accertarsi e dichiararsi la nullità parziale del rapporto bancario per le dedotte illegittimità, accertarsi e dichiararsi l’esatto ammontare dovuto, condannando la banca alla restituzione delle somme indebitamente addebitate e/o riscosse;condannarsi la convenuta al risarcimento del danno; il tutto con vittoria di spese e competenza di giudizio.
Si costituiva con comparsa del 16 maggio 2000 l’Istituto S. Paolo, assumendo che: a) la clausola di rinvio agli usi era perfettamente valida, anche perché sin dal luglio 1992 era stata inviata alla clientele una circolare con la quale si precisava che gli interessi praticati erano quelli risultanti dall’estratto conto inviato il 30 giugno 1992, mentre dall’agosto 1995 l’opponente aveva inviato alla banca una serie di lettere nelle quali erano state sostanzialmente trascritte le condizioni pattuite con menzione del tasso di interesse, mai contestato, b) in ogni caso la validità della pattuizione degli interessi ultralegali aveva trovato conferma nella conferma di tre successivi riconoscimenti di debito e contestuali proposte di riscadenziamento; c) lo stesso opponente aveva attribuito alla banca il potere di rideterminare unilateralmente, anche in senso più sfavorevole al cliente, tutte le condizioni concernenti le operazioni indicate in contratto; d) la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi era perfettamente legittima in quanto conforme all’uso normativo; e) le c.d. commissioni di massimo scoperto costituivano una voce di spesa nettamente distinta, anche nel contratto, dalla voce “interessi”, in quanto rappresentavano il corrispettivo spettante alla banca per la messa a disposizione della somma prevista nell’apertura di credito; f) in ogni caso l’opponente, nella convinzione di essere debitore, ha provveduto ai pagamenti (per interessi e spese) in favore della banca, sicchè veniva in rilievo la soluti retentio ex art. 2034 c.c.; g) non sussisteva alcun comportamento contrario a buona fede da parte dell’istituto di credito, di modo che non era neppure dovuto alcun risarcimento.
Concludeva, pertanto, chiedendo rigettarsi le domande attoree e, in via riconvenzionale, condannarsi l’attore al pagamento della somma di £. 13.489.367, oltre agli interessi convenzionali, capitalizzati in ragione trimestrale dal 31 dicembre 1999 al saldo e condannarsi- in via cumulativa o, in subordine, in via alternativa- l’attore al risarcimento dei danni in relazione alla violazione del dovere di correttezza, da determinarsi in via equitativa; il tutto con vittoria di spese e competenze del giudizio. Espletati gli adempimenti di cui all’art. 180 (con la concessione del termine ex art. 170 c.p.c. per il deposito di note), 183 (con la c.d. appendice scritta di cui all’ultimo comma della stessa norma9 e 184, il G.I., con ordinanza del 6 novembre 2001, disponeva consulenza tecnica d’ufficio contabile a mezzo del dott. Carlo Modugno, che assunto l’incarico in data 22 maggio 2002, depositava la propria relazione il 25 luglio 2002. Sulle contestazioni mosse dalle parti alla consulenza, l’esperto veniva richiamato dal G.I. e forniva i propri chiarimenti nella relazione integrativa depositata in data 12 settembre 2003. In assenza di ulteriore attività istruttoria, le parti venivano invitate a precisare le proprie conclusioni. All’udienza del 5 aprile 2004, dunque, la causa sulle conclusioni come in epigrafe precisate, veniva riservata per la decisione con i termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
Motivi della decisione
La ricostruzione del rapporto intercorso tra le parti riguarda esclusivamente il saldo relativo ad una apertura di credito con affidamento mediante scopertura su c/c n. 10/10351. Si tratta, nella specie, di un affidamento, per l’importo di £. 80.000.000, concesso in data 21 novembre 1991 ed appoggiato su un conto corrente preesistente, affidamento che alla data del 31 dicembre 1999 presentava un saldo passivo di £. 13.489.367. In breve, il D. G. ha contestato alcune voci del predetto conto che, a suo dire, nonostante i numerosi pagamenti alla banca, avevano fatto illegittimamente lievitare l’esposizione debitoria. In particolare, è stata contestata l’applicazione di interessi ultralegali in assenza di previsione scritta e determinata, di voci di spesa quali la commissione di massimo scoperto, non dovute, di un criterio diverso e più svantaggioso per il cliente per il calcolo dei giorni valuta e della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, anch’essa ritenuta contraria al divieto normativo dell’anatocismo. Orbene, occorre prendere le mosse dalla prima delle contestazioni sollevate, per verificare anche la fondatezza delle eccezioni sollevate dalla banca convenuta. Le eccezioni sollevate dall'istituto di credito sono prive di fondamento giuridico. Infatti l’approvazione anche tacita degli estratti conto, rende incontestabili le risultanze contabili, ma non la validità ed efficacia giuridica delle operazioni cui tali contabili si riferiscono. La separazione fra l’aspetto contabile e quello sostanziale degli estratti conto, ai fini della contestazione della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori cui si riconnettono, è affermazione pacifica e risalente sia in dottrina che in giurisprudenza (per quest’ultima cfr. fra le ultime, Cass. 11.9.1997 n. 8989; 14.5.1998 n. 4846; 1.2.2002 n. 1287 in Foro It. 2002, I, 1411). In riferimento alla natura confessoria delle ricognizioni di debito - che avrebbero avuto, secondo la prospettazione della convenuta, la funzione di determinare tra le parti il tasso applicabile - va detto che la banca convenuta nel depositare la propria comparsa conclusionale e la propria memoria di replica non ha provveduto a ridepositare il proprio fascicolo di parte (ad eccezione di un fascicolo contenente soltanto precedenti giurisprudenziali) contenente tutti di documenti tra cui le citate ricognizioni di debito; di modo che non sarà possibile per lo scrivente apprezzare la natura di tali scritture, ovvero il valore asseritamene confessorio sostenuto dalla convenuta. Quanto alla nullità del patto di determinazione d'interessi in misura superiore a quella legale e con rinvio per la determinazione di esso alle condizioni di piazza, va rilevato in primis che l'art. 1284 co. 3 prescrive che il tasso ultralegale è dovuto solo se determinato per iscritto. Nel contratto de quo, esso non è specificamente indicato (circostanza questa pacifica tra le parti), né ad individuarlo, per iscritto, può valere la clausola di rinvio per relationem agli usi di piazza. Infatti la Suprema Corte , superando un precedente orientamento (di cui è esempio Cass. 9.12.1997 n. 12453 in Foro It. Rep. 1998 voce Contratti Bancari n. 34 e Giur. It 1998, 1, 1644), con successivi arresti (Cass. 11.8.1998; n. 7871; 23.6.1998 n. 6247; 19.7.2000 n. 9465 in Foro It. 2000, 1, 155; Cass. 1.2.2002 n. 1287 in Foro It. 2002 1, 1411; Cass. 21.6.2002 n. 9080 in Rep. Giur. It. 2002 voce Interessi n. 17; Cass. 28.3.2002 n. 4490 in Giust. Civ. 2002, 1, 1857; Cass. 23.9.2002 n. 13823 in Mass. Giuris. It 2002;) ha meglio precisato il suo pensiero, stabilendo che il rinvio per relationem agli usi di piazza, soddisfa il criterio sotteso dall'art. 1284 co. 3, solo quando esso contenga criteri prestabiliti e specifici per la concreta determinazione del tasso d'interesse, come nel caso in cui si faccia pattiziamente rinvio ad un criterio provvisto di caratteri di certezza, obbiettività, uniformità e conoscibilità: infatti il rinvio agli usi di piazza "sic et simpliciter” - come nel caso di cui si discute - non consente di individuare, con i sovracitati criteri di certezza ed univocità, il tasso cui le parti hanno pattiziamente fatto rinvio, poiché “sulla piazza” sono utilizzati diversi tassi passivi di interesse, diversificati per 1) ammontare dell’operazione; 2) tipo di contratto; 3) tipo di clientela. Pertanto la clausola in parola, rinviando agli accordi di Cartello su piazza, senza alcuna altra specificazione, è nulla, non soddisfacendo il criterio della determinazione scritta dell'interesse ultralegale. Più radicalmente deve ritenersi che esso non risulta stipulato per iscritto e pertanto si identifica con quello legale, poiché la disposizione dell'art. 1284 co. 3 c.c. è norma di carattere cogente la cui violazione può, quindi, esser rilevata d'ufficio. Peraltro, benché il contratto di apertura di credito con affidamento de quo sia stato stipulato il 21/11/91 e, quindi, in epoca antecedente all'entrata in vigore della L. n. 154/92 (9/7/92), la clausola di rinvio per la determinazione delle variazioni dei tassi agli usi su piazza è comunque nulla perchè tale richiamo non è idoneo a provare la pattuizione di un tasso debitore maggiore rispetto a quello concordato. In ordine al minimum richiesto per l'identificazione dell'oggetto del contratto, l’indirizzo giurisprudenziale consolidatosi prima dell'entrata in vigore della legge sulla trasparenza bancaria (cfr., in proposito, Cass. Civ. 3/2/94 n. 1110; Cass. Civ., 7/3/92 n. 2745 ed altre) riconosceva efficacia alla clausola di rinvio alle "condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza" sul rilievo che tali condizioni vengono determinate su scala nazionale, sicché il rinvio al tasso usuale vale comunque ad ancorarlo a criteri oggettivi, di agevole riscontro e non influenzabili ad libitum dal singolo istituto di credito. Tale orientamento, che legittimava una prassi bancaria che rendeva di fatto incontrollabile da parte del cliente il tasso debitore di volta in volta applicato, è di recente mutato anche a seguito delle sollecitazioni dei Giudici di merito (cfr. Trib. Napoli, 25/3/94, Trib. Pavia, 1/10/1993, Trib. Milano, 24/2/92), i quali avevano ripetutamente dichiarato la radicale nullità di tale clausola sia per violazione dell'obbligo imposto dall'art. 1284 C .C. di pattuire per iscritto gli interessi in misura ultralegale sia per la sua assoluta genericità, che non consentiva di determinare l’oggetto della prestazione in violazione dell’ art. 1346 c.c. Tale portato giurisprudenziale, tradottosi sul piano normativo nell’espressa previsione della nullità di siffatte clausole, introdotta dall’art. 4 l . n. 154/92 e dall’ art. 117 co 6° D. Leg.vo n. 385/93, ha indotto recentemente la Suprema Corte a mutare orientamento ed a statuire che il generico riferimento alle “condizioni di piazza” non soddisfa di per sé il requisito di oggettiva determinabilità del tasso di interesse, il quale, sia pure per relationem, deve essere fissato fin dal momento della stipulazione del contratto in base ad elementi certi ed oggettivi che escludano ogni successiva valutazione discrezionale della banca (cfr. Cass. Civ., 13/3/96 n. 2103; Cass. Civ. 29/11/96 n. 10657; Cass. Civ. 10/11/1997 n. 11042 e Cass. Civ. 8/5/1998 n. 4696; conforme anche Trib. Trani, 11/7/1998 n. 1023; tra le altre successive cfr. Cass. Civ., Sez. 1, 19/7/2000 n. 9465 e Cass. Civ., Sez. 1, n. 1287 /2002). In conclusione, può essere correttamente adottata la soluzione prospettata dal consulente tecnico d’ufficio al punto 1 a ) delle conclusioni (pag. 11 della relazione del 22 maggio 2002), che prevede un saldo credito di £. 17.722.112. Risulta, pertanto, superata la questione e non compete allo scrivente la relativa verifica circa l’eventuale superamento del tasso soglia previsto dalla normativa anti-usura ex lege 108/96, se bene il consulente tecnico sia stato investito della relativa indagine (ed abbia, per la verità, escluso ogni ipotesi di sconfinamento, se non nei limitati periodi 1° aprile 1999- 31 dicembre 1999, nel caso in cui si voglia considerare nel calcolo del T.A.E.G. i soli dati previsti dalla legge- interessi dare + cms + spese - , ovvero nel periodo 1° ottobre 1999- 31 dicembre 1999, nel caso in cui si vogliano considerare soltanto gli interessi dare + cms, secondo la tecnica bancaria), dal momento che la soluzione prescelta, come detto, è quella dell’applicabilità all’intero rapporto degli interessi legali in virtù della sostituzione automatica per mancata previsione per iscritto della clausola di interessi ultralegali. Quanto poi all’eccepita nullità del patto di capitalizzazione trimestrale di interessi esso è nullo per violazione del divieto d’anatocismo, contenuto nell’art. 1283 c.c., cui può derogare solo un “uso normativo”. In proposito, giova ricordare brevemente gli ultimi sviluppi in sede giurisprudenziale e normativa. E’ noto il recente orientamento giurisprudenziale, che con improvviso revirement ha escluso l’esistenza di un uso normativo in deroga al divieto di anatocismo di cui all’art. 1283 c.c. affermando che ”la revisione contrattuale della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, in quanto basata su un uso negoziale, ma non su una vera e propria norma consuetudinaria è nulla, in quanto anteriore alla scadenza degli interessi” (Cass. Civ. 16 marzo 1999, n. 2374). E’ noto altresì che dopo pochi mesi dall’avvento di quella vera e propria rivoluzione copernicana, si è registrato un intervento legislativo che, senza provvedere ad alcuna abrogazione dell’art. 1283 c.c., che ancora sancisce un generale divieto di anatocismo, con l’art. 25 del d.Lgs.n 342/99 ha aggiunto al primo comma dell’art. 120 T.U. due nuove disposizioni. Con la prima ha attribuito al CICR il potere di stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’ attività bancaria. Il CICR dunque, ha provveduto all’incombente, riconoscendo la possibilità di capitalizzazione degli interessi creditori e debitori senza impedimento alcuno, quindi anche con frequenza giornaliera, ove pattuita, e senza preoccuparsi di porre alcun limite alla nota ampia “forbice” , tipica del sistema bancario italiano, tra il tasso di interesse su conti debitori e tasso di interesse su conti creditori. Con la seconda, ha stabilito che ”le clausole relative alla produzione di interessi su interessi maturati, contenuti sui contratti stabiliti anteriormente alla data in vigore della delibera di cui al comma 2° , sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa , debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera che stabilirà altresì modalità e tempi dell’ adeguamento. In difetto dell’adeguamento le clausole divengono inefficaci e l’inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente”. Ebbene, la Corte Costituzionale , in accoglimento delle doglianze relative all’ecceso di delega immediatamente sollevate da diversi giudici di merito ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l‘art. 25, comma 3° D.Lgs., 4 agosto 1999, n. 342 ”nella parte in cui stabilisce che la clausole riguardanti la produzione di interessi su interessi maturati, contenuti nei contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della delibera del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), relativa alle modalità e criteri per la produzione di interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell'attività bancaria, siano valide ed efficaci fino a tale data, e che, dopo di essa, debbono essere adeguate - a pena di inefficacia da farsi valere solo dal cliente - al disposto detta menzionata delibera, con le modalità ed i tempi ivi previsti". La censura di incostituzionalità rende ora inutile qualsivoglia tentativo di giungere per altra via ad escludere la possibilità di applicazione del 3° comma dell'alt. 120 T.U. ai contratti bancali in conto corrente stipulati prima dell'entrata in vigore della novella. A tale risultato si era comunque pervenuti escludendo che all'art. 25 citato, potesse conoscersi il carattere di legge di interpretazione autentica o avente efficacia retroattiva con riguardo ai contratti stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore, nella consapevolezza che comunque il provvedimento legislativo in questione non abrogava, in tutto od in parte l'art. 1283 c.c., che continuava a sancire il generale divieto di anatocismo, fatta salva l'esistenza di usi normativi di segno contrario (cfr. sul punto Cass. Civ., Sez. I, 28 marzo 2002, n. 4490). Ebbene, l'iter argomentativi degli ultimi arresti della Cassazione, ripreso da diverse Corti di merito può essere ricostruito nel modo che segue. Va premesso che l'art 8 delle preleggi al codice civile del 1942, innovando rispetto alla disposizione del codice civile del 1865 e del codice di commercio del 1882, considera tra le fonti normative non tutti gli usi "tout court", ma solo quelli che siano richiamati da una fonte normativa propria. Ne consegue, sul piano del diritto positivo, differenziandosi questo da quello della ricerca storica ed erudita, che gli usi su cui fondare l'eccezione al divieto di cui all'art. 1283 c.c., devono avere il loro fondamento in norme dell'ordinamento positivo, cioè "vigente", escludendosi così, già per ipotesi logica, che possa ritenersi sussistere un uso normativamente fondato su una norma abrogata o non costituente uso normativo ex art. 8. preleggi. Pertanto né le norme del codice civile del 1865, né quelle del codice di Commercio Zanardelli del 1882, possono costituire il fondamento normativo (perché non più "norme vigenti") di un uso che costituisca eccezione alla regola dell'art. 1283. A maggior ragione non possono ritenersi normativamente fondate le raccolte di usi e consuetudini bancarie anteriori al 1942, a meno che siano recepite o fondate su una norma vigente. Inoltre, né le Norme Bancarie Uniformi né gli Accordi del Cartello Bancario possono costituire usi normativamente fondati. Non le prime, perché trattasi di raccolta di usi negoziali, realizzata a cura dell'Associazione Bancaria Italiana, i cui associati sono gli istituti di credito ai quali l'associazione che li rappresenta, fornisca indicazioni tese a raggiungere, la massima uniformità contrattuale, per ragionevoli fini di armonizzazione, non contraddittorietà e non conflittualità fra i negozi bancari posti in essere dagli operatori professionali del settore creditizio. Per tale loro spiegata natura e scaturigine, le N.B.U. non possono costituire "usi normativi" ma semplici "usi negoziali", non vietati: infatti l’art. 1374 c.c. prevede che il contratto possa essere "integrato" da un uso negoziale, solo laddove la legge generale dello Stato o quella speciale del contratto,,tacciano. Ma l’integrazione del contratto, consentita agli usi negoziale non può, come detta l'art 1374 c,c., confliggere con la volontà della legge generale, né tanto meno costituisce il fondamento di un uso che possa correttamente qualificarsi normativo. La circostanza stessa che le N.B.U., per potersi applicare al contratto specifico, debbano esser accertate dal cliente non professionista, o debbano ritenersi per riconosciute per poter esser applicabili, svela la loro sostanziale natura di fonte negoziale. Non costituiscono "uso normativo" gli Accordi del Cartello Bancario, sorti nella prima metà del XX secolo a regolare, in forza dell'art. 32 della L. Bancaria del 7.3.1938 n. 141 e 7.4.1938 n. 636, i rapporti interbancari, anche al fine di determinare i limiti dei tassi attivi e passivi da praticarsi alla clientela. Peraltro detti accordi, ex art. 32 L . Bancaria 1038, ridivennero meri accordi volontari e quindi liberi quando cessarono le funzioni del "comitato dei ministri" e dell'"Ispettorato" previsti dall'art 32 della citata legge. Neanche tali accordi dunque, possono considerarsi "usi" normativamente fondati, ex art. 8 preleggi c.c. 1942. Né, ad esempio di norma fondante la capitalizzazione trimestrale prevista dal contratto in esame, può portarsi l'accenno alla "capitalizzazione di interessi", contenuto nell'art 8 della L. 17.3.1993 n. 154, il cui testo è abrogato e trasfuso negli art 117, 119 e 120 della L. bancaria 385/93, ove non v'è più traccia di detta "capitalizzazione d'interessi", essendosi abrogato, come già detto in precedenza, per eccesso di delega, il co. 3 dell'alt. 120 T.U.L.B. come modificato dall'art. 25 del decreto legislativo 4.8.99 n. 342 (cfr. Corte Costituz. 17.10.2000 n. 425, in Foro It 2000,3045). Né si ritiene che gli art. 1 e 2 della L. 7.3.1996 n. 108, possano fornire un fondamento normativo alla capitalizzazione trimestrale anatocistica. Infatti, mentre l’art. 1 riguarda esclusivamente la riformulazione dell’art. 644 c.p., l’art. 2 co. 1, nel determinare il tasso effettivo globale medio, al fine del calcolo del tasso soglia, lo calcola in riferimento all’anno anche se la rilevazione ha cadenza trimestrale, potendo da ciò inferirsi che la capitalizzazione inferiore a tale periodo annuale sia illegittima posto che, da un canto l’art, 1283 è sicuramente imperativa non derogabile e che gli interessi anatocistici sono leciti solo se computati dal dì della sentenza e per pattuizione posteriore (e non anteriore) alla loro scadenza. Le posizioni ormai dominanti in giurisprudenza, anche di merito, cui lo scrivente ritiene di aderire, attesa la congruità delle argomentazioni, concludono nel senso che nell’ordinamento positivo si rinvenga un supporto normativo in deroga all’art. 1283 c.c. Né peraltro verso, proprio per quanto sin qui detto si può convenire con alcune sentenze rese nell’anno 1999, già note a questo Tribunale, che non ne condivide l’assunto essenziale: che, cioè per la deroga al 1283 c.c. sia inessenziale l’esistenza di uso normativo tenendo conto del mero fatto che la banca può recedere ad nutum dal contratto di c/c bancario a tempo indeterminato, ovvero diversamente sostenendo l’applicabilità al contratto di c/c bancario dell’art. 1831 c.c., anche in presenza del mancato richiamo di detta norma nell’art. 1857 c.c. Precisato che il primo argomento elude il testo normativo dell’art. 1283 c.c., il secondo, induce il Tribunale a riflettere sui rapporti legislativi positivi intercorrenti fra il contratto di conto corrente ordinario e il contratto di c/c bancario. Infatti, “in tali arresti si argomenta in favore della capitalizzazione trimestrale, supponendola fondata in alcuni articoli del codice civile, precisamente l’art. 1823, 1825, 1831, 1833. L’argomento, di tipo sistematico, non è nuovo e ve ne è traccia nella difesa svolta dagli istituti di credito innanzi alla Corte Costituzionale, in occasione del vaglio di legittimità Costituzionale, già citato, dell’art. 25 co. 3 d.leg.tivo 4.8.99 n. 342 (Corte Costit. 17.10.2000 n. 425, citata). Si parte dal presupposto esplicito dell’assimilabilità fra il contratto di conto corrente ordinario e quello di conto corrente bancario al quale ultimo, Cassazione e Dottrina avrebbero sempre ritenuto applicabili tutte le disposizioni del conto corrente ordinario. Conseguentemente, la comune applicabilità ai due tipi contrattuali degli artt. 1823, 1825, 1831 c.c. determinerebbe che gli interessi conteggiati a chiusura del conto, perdano la loro originaria natura e si trasformino in “prima rimessa” del periodo successivo, diventando cioè “capitale” secondo il meccanismo individuato nell’art. 1823 2° co. c.c. L’errore è nella premessa. Innanzitutto mentre il conto di corrispondenza ordinario è un contratto “tipico” il contratto di conto corrente bancario non è disciplinato dal c.c. vigente come figura contrattuale autonoma, laddove, invece, è positivamente disciplinato lo svolgimento delle “operazioni bancarie in conto corrente”. In dottrina, si argomenta che fra il conto corrente ordinario e quello bancario la differenza è data dalla circostanza che mentre nel primo i crediti annotati nel conto sono inesigibili, e indisponibili sino alla chiusura del conto, (art. 1823 c.c.), essendo destinati alla compensazione con eventuali futuri crediti di controparte, nel secondo il credito disponibile nel conto è sempre quello disponibile sulla base del saldo giornaliero: il che è esperienza verificabile da ognuno. Peraltro nel conto corrente bancario manca l’elemento tipico del conto corrente ordinario e cioè le “reciproche rimesse”, ovvero la pluralità reciproca di rapporti di dare ed avere, che costituisce la ragione pratica del conto corrente ordinario e la sua funzione economico sociale tipica, mentre nel conto di corrispondenza solo il correntista è facultato a dare impulso al rapporto, non la banca, che esegue gli ordini del correntista. Sotto altro aspetto gli accreditamenti della banca non possono avere valore di rimesse, anche perché queste mentre nel conto corrente ordinario (art. 1827 e 1828 c.c.) ancorché iscritte nel conto, non perdono la loro singola individualità, al contrario nel conto di corrispondenza bancario le singole partite perdono la loro individuabilità, nel senso che non danno luogo a rapporti di credito/debito autonomi fra loro, tra i quali sia configurabile, ad esempio compensazione in senso tecnico, ingenerando soltanto semplici variazioni del saldo disponibile (cfr. Cass. 12.4.1984 n.2353 in Foro It. 1984 I, 2796; Cass. 15.12.1970 n. 2685; 11.12.1978 n. 5836 in Banca, Borsa titoli di credito, 1980 II, 270; Cass. 9.6.1983 n. 3951 in Foro It. 1983, I, 3064;). Si conclude, sia in dottrina che in giurisprudenza, che il conto di corrispondenza bancario è un contratto atipico di natura mista, dominato dalle regole del mandato (Cass. 30.101968 n.3637; 9.10.1971 n. 2973; Cass. 21.12.71 n. 3701;) ben distinto dal conto corrente ordinario (Cass. 30.12.1968 n. 3667 citata; 14.12.1971 n. 3638 in Foro It. 1972, 1, 326; Cass. 111.12.78 n. 5836 citata). Peraltro la girata di un titolo di credito con l’opposizione della clausola “salvo incasso” consegue differenti effetti rispettivamente nel conto corrente ordinario e in quello bancario di corrispondenza: nel primo ha efficacia di condizione sospensiva dell’accreditamento, nel secondo è condizione risolutiva, ove segua il mancato pagamento del titolo(Cass.30.7.1984 n. 4552 in Banca Borsa titoli di credito ;1986). Infine Cass.21.3.1963 n. 689, in Foro It. 1963, 1, colonna 908 e Cass. 11.12.1978 n. 5836, ritengono inapplicabile al conto corrente di corrispondenza proprio gli art. 1823 e 1833 c.c. dettati in tema di conto corrente ordinario”. (cfr. Corte d’Appello Bari, Sez.2, 30 dicembre 2003, n.1295).” Questo Tribunale ritiene, dunque, in conformità alla citata pronuncia di merito e conformemente all’opinione espressa da Cass.16.3.1999 n. 2374; Cass. 3.3.1999 n. 3096; Cass.4.5.2001 n. 6263; Cass.28.3.2002 n. 4490 citata, che non potendosi applicare al conto corrente di corrispondenza bancario le norme del conto corrente ordinario per tutte le differenze evidenziate, a questo non sia applicabile, ex lege, un conteggio di interessi infrannuale, perchè vietato dall’art.1283 c.c. Pertanto va dichiarata sul punto la nullita’ della clausola contrattuale relativa alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, perchè in contrasto con il disposto dell’art.1283 c.c. Ciò potrebbe indurre a negare l’ammissibilità della capitalizzazione sia trimestrale che annuale o di altro tipo sui conti creditori. Tanto però condurrebbe ad escludere che l’inadempimento dell’obbligazione di pagamento degli interessi alla scadenza fosse fonte di alcuna responsabilità risarcitoria. E’ possibile, pertanto, come ha evidenziato attenta dottrina, scorgere la soluzione del problema nell’art. 1284 c.c. che individua nell’anno il termine di scadenza ex lege dell’obbligazione di interessi. Se infatti e’ la legge stessa a ritenere adeguato l’anno quale termine entro il quale l’obbligazione viene a scadenza appare congruo ritenere che esso costituisca anche un termine reputato dalla legge sufficientemente ampio per precludere quell’effetto di moltiplicazione automatica del debito che l’art.1283 c.c. vuole evitare impedendo scadenze infrasemestrali. La soluzione può essere condivisa:da un canto non stride con l’art. 1283 c.c. e, d’altro canto, ha il pregio di evitare la configurabilità nel sistema di obbligazioni il cui inadempimento sia privo di sanzione . Ciò che viene escluso per l’ipotesi del mutuo, cui non segue un rapporto di corrispondenza di dare ed avere con un sistema di interessi passivi ed attivi, può correttamente valere per il conto corrente bancario, laddove alla chiusura dell’anno vengono corrisposti al correntista gli interessi attivi e su di essi - con cadenza annuale, quindi- maturano ulteriori interessi. Tale ultimo aspetto è stato espressamente affrontato dal CTU, il quale ha individuato nel punto 2 a ) l’ipotesi di un saldo con l’applicazione del tasso legale per gli interessi passivi e la capitalizzazione annuale, indicando in £. 22.759.509 il saldo a credito a favore dell’attore al 31 dicembre 1999. La citata soluzione prevede l’applicazione della commissione massimo scoperto e delle spese così come indicate dalla banca, in quanto le stesse erano contrattualmente previste e non rappresentavano una duplicazione di voci di spesa, sebbene il loro calcolo sia stato adeguato all’esposizione debitoria accertata tempo per tempo . In definitiva la domanda attorea va accolta, determinandosi in complessive £.22.759.509 il saldo creditore in favore dell’odierno attore alla data del 31 dicembre 1999. Quanto alla domanda risarcitoria spiegata dall’attore, lo scrivente ritiene che la stessa non sia stata sufficientemente provata , dal momento che non e’ stato dato riscontro all’allegato danno sofferto dall’attore in relazione alla comunicazione della Banca alla Centrale Rischi, nè si può ritenere lo stesso presunto, non svolgendo, peraltro, il D. G. una attività di tipo imprenditoriale (o almeno non ve ne e’ traccia in atti ). Del resto le richieste istruttorie dell’attore si sono limitate alla consulenza tecnica d’ufficio, onde verificare la propria esposizione debitoria. Quanto alle spese processuali, ivi comprese quella per la CTU, esse seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Trani, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Di Gregorio Giacomo con atto di citazione notificato in data 10 marzo 2000 nei confronti dell'Istituto San Paolo IMI S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, così provvede:
1) accoglie la domanda per quanto di ragione e, per l'effetto,:
a) dichiara che l'Istituto convenuto è debitore dell'attore della somma complessiva di Euro 11.754,31 (pari a £. 22.759.509), oltre agli interessi attivi così come convenzionalmente pattuiti, cui deve applicarsi la capitalizzazione annuale decorrere dal 31 dicembre 1999 e sino al soddisfo.
b) condanna l'Istituto convenuto al pagamento in favore dell'attore della somma indicata alla lettera a);
2) condanna l'Istituto convenuto alla rifusione delle spese processuali sostenute dall'attore che si quantificano in complessivi Euro 11.800,00 di cui Euro 4.500,00 per onorari, Euro 2.500,00 per diritti, Euro 4.800,00 per esborsi (ivi compresi quelli per il ctu), oltre IVA, CAP, e rimborso forfetario come per legge.
Trani, 30 novembre 2004
Il Giudice Dott. A.Binetti
Depositata in Cancelleria il 09 dicembre 2004
IX
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Lecce - Sezione 2 Civile - composta dai Signori:
1) Dott. Alfredo LAMORGESE - Presidente
2) Dott. Marcello DELL’ANNA - Consigliere Est.
3) Dott. Rosa CASABURI - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA N.D.
nella causa civile in grado di appello iscritta al N. 609 del Ruolo Generale delle cause dell’anno 2000 trattata e passata in decisione all’udienza collegiale dell’8 giugno 2004
TRA
SANAPO Alberto, nato a Specchia (LE) il 21.8.1949 (C.F. SNP LRT 49M21 1887A) e RATTAZZI Quintina Laura, nata a Taurisano il 14.7.1954 (C.F. RTT QTN 54L54 L064Q), residenti in Ugento alla Via Capitano Giannuzzi, 97, elettivamente domiciliati in Lecce alla Via Martiri d’Otranto n. 4, presso e nello studio dell’avv. Antonio Tanza, che li rappresenta e difende in virtù di mandato apposto a margine dell’atto di appello.
APPELLANTI
E
BANCO DI NAPOLI S.p.A., con sede in Napoli alla Via Toledo n. 177, Filiale di Lecce (p. IVA 06385880635), in persona di due dei suoi legali rappresentanti pro - tempore, elettivamente domiciliato in Lecce alla Via O. Parini n. 55, presso e nello studio dell’avv. Luisa Baldassarre che lo rappresenta e difende in virtù di mandato a margine della memoria di costituzione.
- APPELLATO -
All’udienza di precisazione delle conclusioni i procuratori delle parti hanno così concluso:
IL PROCURATORE DEGLI APPELLANTI
Voglia la Ecc.ma Corte di Appello di Lecce:
1) dichiarare la invalidità a titolo di nullità delle clausole contrattuali di cui all’art. 57 delle norme regolanti il contratto di apertura di credito mediante affidamento con scopertura su c/c n. 27/792, particolarmente in relazione alle clausole di determinazione e di applicazione degli interessi ultralegali, della determinazione di applicazione dell’interesse anatocistico con capitalizzazione trimestrale, della determinazione ed applicazione della provvigione di massimo scoperto, della determinazione ed applicazione degli interessi per c.d. giorni - valuta, dei costi, delle competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese;
2) dichiarare che Sanapo Alberto e Rattazzi Quintina Laura non devono, in solido tra loro e nei confronti di Banco di Napoli S.p.a. la somma di £. 45.762.957, oltre interessi legali dal 10.7.1997 al saldo, accertata nel dispositivo della sentenza appellata;
3) dichiarare l’esatto dare - avere tra le parti dell’impugnato rapporto bancario, in base al risultati del ricalcolo che potrà essere effettuato in sede di C.T.U. contabile e sulla base dell’intera documentazione relativa al rapporto di apertura di credito oggetto del presente processo;
4) determinare il costo effettivo annuo dell’indicato rapporto bancario;
5) dichiarare la nullità e 1’inefficacia di ogni e qualsivoglia avversa pretesa per interessi, spese, ammissioni e competenze per contrarietà al disposto di cui alla legge 7 marzo 1996 n. 108, perchè eccedente il c.d. tasso soglia nel periodo trimestrale di riferimento, con 1’effetto, ai sensi degli artt. 1339 e 1419 c.c. della applicazione del tasso legale in regime di contabilizzazione semplice annuale;
6) condannare la convenuta banca alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre agli interessi legali creditori in favore degli odierni istanti;
7) dichiarare 1’invalidità di ogni altra obbligazione connessa all’impugnato rapporto bancario, ivi comprese la fideiussione omnibus rilasciata da Rattazzi Quintina Laura a favore di Sanapo Alberto, titolare del rapporto di apertura di credito per cui giudizio;
8) condannare la banca convenuta al risarcimento dei danni patiti dagli attori, in relazione agli artt. 1337, 1366, 1376 c.c., da determinarsi in via equitativa;
9) condannare la banca al risarcimento dei danni subiti dall’opponente a seguito della illegittima segnalazione alla Centrale rischi presso la Banca d’Italia a motivo del rischio a sofferenza falsamente quantificato;
10) condannare la parte soccombente al pagamento delle spese e competenze di giudizio in favore del procuratore anticipatario.
11) In via istruttoria disporre perizia contabile (C.T.U.).
IL PROCURATORE DEL BANCO DI NAPOLI
Voglia la Ecc.ma Corte dichiarare infondati i motivi d’appello ex adverso proposti e rigettare le domande di riforma della sentenza di primo grado formulate dagli appellanti principali.
Voglia altresì riformare la sentenza impugnata nella parte in cui limita 1’importo dovuto dai coniugi Sanapo a L. 45.762.957 oltre interessi legali a partire dal 10.7.1997 e non riconosce, invece, che la misura degli interessi dovuti e pari al 13,50% 1’anno.
Con vittoria di spese e competenze di entrambi i gradi del giudizio.
In via istruttoria si oppone a tutte le richieste ex adverso avanzate, in particolare all’invocata C.T.U. contabile, poiche inammissibile.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto 20 febbraio 1998, i coniugi Alberto Saponaro e Quintina Laura Rattazzi, il primo, titolare del canto corrente 27/792 presso il Banco di Napoli S.p.A. – filiale di Ugento – con apertura di credito mediante affidamento con scopertura, e la seconda fideiussore omnibus, premesso che il rapporto era iniziato il 17 marzo 1987 e che l’ultimo estratto conto recava un saldo passivo di L. 48.045.738, nel contrastare siffatta risultanza dedussero: A) la “nullità” della clausola di determinazione degli interessi al tasso “uso piazza”; B) la “illegittimità” dell’applicazione della clausola anatocistica di capitalizzazione trimestrale degli interessi scaduti e, comunque, il saggio di interessi praticato, diverso da quello legale, nella relativa operazione; C) la “inammissibilità” della commissione di massimo scoperto (C.S.M.) applicata dalla Banca nonostante 1’assenza di apposita pattuizione; D) la irregolarità delle operazioni, concernenti la valuta,attribuita, con riguardo ai versamenti,a distanza di tempo da quello in cui la banca aveva acquistato effettivamente la disponibilità del denaro; E) la illegalità del comportamento tenuto dalla Banca con riferimento al difetto di trasparenza nella pubblicizzazione degli interessi praticati ed al rispetto della normativa antitrust; F) la nullità ex lege 154/1992 della fideiussione “illimitata”.
Convennero, pertanto, il Banco di Napoli, innanzi al Tribunale di Lecce per sentire, previo ordine alla Banca di deposito dei contratti originari, delle modifiche eventualmente intervenute nonché degli estratti conti insieme con il rendiconto di gestione, e previa sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 187 del Trattato CEE per la decisione in via pregiudiziale sui quesiti all’uopo indicati nelle lettere da A e C (delle conclusioni), determinare, il dare – avere tra le parti sulla base dei rilievi formulati con condanna della convenuta alla restituzione delle somme indebitamente addebitate e/o riscosse oltre interessi legali e risarcimento dei danni – da liquidare in via equitativa – correlati alla illegittimità della comunicazione e quantificazione delle sofferenze, operate dal Banco di Napoli, alla centrale rischi presso la Banca d’Italia.
Istituitosi rituale contraddittorio, 1’istituto bancario contrasto 1’avversa pretesa sui rilievi preliminari del “riconoscimento del debito per capitale ed interessi”, effettuato dal Sanapo con dichiarazione 10 luglio 1997, contenente inoltre una richiesta di rateizzazione e la proposta – accettata – di riduzione del tasso di interessi al 13,50% nonché della mancata contestazione degli estratti – conto.
Sottolineò 1’inconsistenza dell’avversa tesi in ordine alla violazione degli artt. 85 e 86 del Trattato CEE e della conseguente richiesta di sospensione.
Osservo nel merito la validità della clausola degli interessi “usa piazza” e, dell’anatocismo, la legittimità della C.M.S. e della c.d. valuta d’uso, prevista dall’art. 7 delle N.U.B. e conforme alla prassi bancaria, e dedusse 1’irrilevanza dell’assunto attoreo sulla “pubblicità ingannevole”.
Rilevò, infine, la validità della fideiussione omnibus, peraltro, limitata nel tempo prima a L. 50.000.000 e poi a L. 70.000.000.
Le parti nei successivi scritti difensivi ribadirono le rispettive posizioni aggiungendo gli attori il difetto e comunque l’irrilevanza dell’asserito riconoscimento di debito (nota 23 febbraio 1999 e successive) ed eccependo il convenuto la configurabilità della menzionata dichiarazione come “confessione stragiudiziale” (nota 13 aprile 1999) nonché la prescrizione “della domanda” di cui al n. 1 delle conclusioni con la memoria di replica 5 luglio 1999 all’avversa comparsa conclusionale.
Con sentenza 13 luglio – 18 ottobre 1999, il giudice adito rigetto la domanda e compenso integralmente tra le parti le spese processuali.
A base della decisione rilevo: 1) la natura confessoria della dichiarazione 10 luglio 1997 a firma Sanapo, in quanta la scrittura faceva riferimento al rapporto di c.c. bancario; 2) la validita della fideiussione omnibus, in quanto anteriore alla riforma del 1992.
Avverso la pronuncia proposero appello il Sanapo e la Rattazzi, in via principale, con atto 10 novembre 2000 ed il Banco di Napoli, in via incidentale, con comparsa di risposta, depositata il 13 febbraio 2001. Precisate le conclusioni, la causa all’udienza collegiale dell’8 giugno 2004 fu riservata per la decisione con assegnazione alle parti dei termini di legge per il deposito delle difese scritte.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di gravame, gli appellanti principali criticano la qualificazione data dal Tribunale alla scrittura del 10 luglio 1997, all’uopo deducendo, sotto il profilo soggettivo, la mancanza di animus confitenti, in quanto la dichiarazione stessa aveva costituito il risultato delle pressioni esercitate dalla Banca sul Sanapo, cui era stata comunicata la revoca dell’apertura di credito con invito perentorio di ripianare entro due giorni la situazione debitoria e con avvertimento, in caso negativo, di azioni legali (v. racc. 21 maggio 1997); e rilevando, sotto il profilo oggettivo, che essa non conteneva 1’ammissione di fatti sfavorevoli al Sanapo e favorevoli alla Banca, ma in sostanza un adeguamento del primo alla richiesta della seconda o, al più, una promessa di pagamento o ricognizione di debito.
Conseguentemente, concludono che la dichiarazione in parola e priva di valore vincolante per 1’invalidità del rapporto fondamentale nella parte in cui questo era inficiato da clausole nulle (interessi ultralegali, anatocismo), addebiti non pattuiti (C.S.M.).
La censura e fondata.
La scrittura del 10 luglio 1997 e del seguente testuale tenore: “C.C. 27/792 Int. Sanapo Alberto Ugento, premesso di essere debitore dell’importo di L. 51762957 oltre interessi sino alla data di estinzione, il sottoscritto chiede, assumendone formale impegno, che detta posizione possa essere versata nel seguente modo...”; seguono le modalità per la “eliminazione dell’esposizione”.
Pur mancando, agli atti, il fascicolo di parte di primo grado della Banca, è pacifico tra le parti che quelle modalità furono da questa accettate e che la dichiarazione segui all’intimazione della Banca stessa di ripiano della posizione debitoria per il citato importo con avvertimento che, in difetto, sarebbero state adottate iniziative legali.
Cio premesso, rileva la Corte che la dichiarazione in questione non integra gli estremi della confessione, ma si colloca nell’ambito dell’art. 1988 C .C., che disciplina la promessa di pagamento e la ricognizione di debito.
A tale fine non va attribuito carattere esaustivo – come, invece, ritenuto dal Tribunale – alla circostanza che la promessa o la ricognizione sia titolata, giacché la distinzione tra promessa – ricognizione e confessione prescinde da qualsiasi esplicito riferimento al rapporto fondamentale, occorrendo, viceversa, verificare se la dichiarazione che la contiene, espliciti o meno fatti sfavorevoli alla parte che la effettua, pertinenti al predetto rapporto.
Nella specie, la frase “premesso di essere debitore” non contiene neppure un vago accenno ai fatti storici costitutivi del rapporto fondamentale di conto corrente e correlativamente alle obbligazioni che ne derivano, ma si sostanzia unicamente in una asserzione di debito (oltreché nel resto in una proposta in ordine alle modalità di pagamento), stante la correlazione sul piano logico della predetta asserzione con il previo riconoscimento del debito stesso.
Val quanto dire che l’espressione citata presuppone e si giustifica con il suddetto riconoscimento, sicché essa, sganciata da fatti, integra una dichiarazione di volontà del Sanapo, con la quale costui assume di essere debitore della Banca di L. 51.762.957 e non di scienza: a tale ultimo riguardo giova, invero, segnalare che la dichiarazione de qua non racchiude fatti storici, quali la ricezione di una determinata somma capitale, un intervenuto finanziamento, la esistenza di determinate pattuizioni.
Ne consegue che, concretando la scrittura del 10 luglio 1997 una ricognizione di debito, va escluso che essa costituisca fonte di obbligazioni nuove ed autonome, dovendosi attribuirle valore meramente confermativo di un preesistente rapporto fondamentale con il limitato effetto di dispensare colui a favore del quale e stata emessa dall’onere di fornire la prova e di porre a carico della controparte l’onere di dimostrare l’insussistenza del rapporto suddetto ovvero l’invalidità di esso nella sua interezza ovvero delle clausole dedotte come nulle o applicate in assenza di pattuizione: in altri termini la prova contraria può riguardare tutti gli aspetti rilevanti relativi al rapporto sottostante.
Come si vedrà in appresso, gli appellanti principali hanno riproposto, in questo grado, le domande – non delibate dal Tribunale, che come si e detto, accolse l’eccezione preliminare sollevata dal Banco di Napoli – relativa alla nullità delle clausole concernenti gli interessi “uso piazza” e la capitalizzazione trimestrale ed alla non spettanza della commissione di massimo scoperto.
Prima di esaminare le anzidette censure vanno vagliate le eccezioni all’uopo formulate dalla banca appellata che, con riguardo ad esse, ha dedotto: 1) la preclusione di ogni indagine per essere gli appellanti decaduti ex artt. 1832 e 1945 C .C. “dal diritto di porre in discussione le varie poste del canto corrente de quo” per mancata contestazione degli estratti conto; 2) la prescrizione del “preteso diritto alla restituzione degli interessi” ai sensi dell’art. 2948, 4 C .C.; 3) nonché, sempre con riguardo agli interessi, l’applicabilità dell’art. 2034 C .C., alla cui stregua il debitore che abbia pagato interessi superiori al tasso legale non pattuiti per atto scritto, a norma dell’art. 1284 C .C., non può ripeterne l’importo, dovendo tale pagamento essere qualificato come adempimento di un’obbligazione naturale.
Le eccezioni vanno tutte disattese.
Quanto a quella sub 1, va osservato che, per costante giurisprudenza, l’approvazione del conto – anche tacita preclude qualunque contestazione circa la conformità delle singole e concrete operazioni sottostanti ai rapporti obbligatori da cui derivano gli addebiti e gli accrediti sotto il profilo meramente contabile, senza incidere sulla validità ed efficacia dei rapporti medesimi, che restano soggette alle regole ordinarie.
Conseguentemente, la parte ben può impugnare oltre il termine pattuito o usuale le risultanze dell’estratto conto attaccando direttamente il titolo, come e avvenuto nella specie, avendo gli attori – appellanti dedotto la nullità di alcune clausole (interessi “uso piazza” e anatocismo) e l’insussistenza di convenzione in ordine ad altre voci (C.S.M. e giorni valuta).
La seconda eccezione e, innanzi tutto, inammissibile, essendo stata formulata tardivamente in violazione dell’art. 345 C .P.C.: essa era stata, infatti, formulata per la prima volta nella memoria di replica della banca alla comparsa conclusionale di Sanapo – Rattazzi. Tale eccezione e, comunque, infondata nel merito, in quanto, come gia sottolineato da questa Corte in altre pronunce, il termine prescrizionale (decennale, collegandosi la pretesa del correntista alla ripetizione di indebito) inizia a decorrere dalla chiusura del rapporto che, pur articolandosi in una pluralità di atti esecutivi, si atteggia come unico e unitario, donde è soltanto con quella chiusura che i crediti ed i debiti assumono definitività: nella specie l’apertura di credito è stata revocata il 21 maggio 1997 ed il conto chiuso successivamente, talché e indiscutibile la tempestività dell’azione.
Inammissibile e, infine, per violazione dell’art. 345 C .P.C. l’eccezione sub 3 per la prima volta sollevata alla banca in questo grado, a parte il rilievo di merito che nella specie non si e in presenza di un pagamento “spontaneo” per avere la banca proceduto di sua iniziativa e senza alcuna autorizzazione del Sanapo all’addebito sul conto di quest’ultimo di interessi in misura ultralegale.
Con il secondo motivo, gli appellanti principali si dolgono del mancato accertamento della illegittimità della clausola contrattuale di determinazione dell’interesse ultralegale mediante riferimento al c.d. usa piazza, previsto dall’art. 1284 C .C.: da qui la nullità ed inefficacia della clausola predetta.
A sua volta il Banco di Napoli, nel sottolineare che il rapporto de quo, sorto nel 1987, e insensibile alla disciplina contenuta nella L. 154/1002 e nel decreto Leg.vo 385/1993, deduce per un verso la validità della clausola in discorso potendo il tasso essere determinato per relationem e per altro verso di avere nel periodo ricompreso tra il 1993 ed il 1996 espressamente indicato i tassi di interesse che avrebbe praticato nel prosieguo del rapporto, accettati e sottoscritti dal Sanapo.
E’ fondata la censura degli appellanti principali, fermo restando che occorrerà verificare se nel periodo indicato dalla Banca vi sia stato un accordo – nelle forme di legge – tra le parti sul tasso di interesse. Com’e noto, sulla validità ed efficacia della clausola relativa all’applicazione convenzionale degli interessi nella misura del tasso ultralegale, determinati secondo il c.d. uso piazza, si e da qualche tempo registrato un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale.
Attualmente la questione si pone per i contratti conclusi anteriormente all’entrata in vigore della L. 154/1992, che all’art. 4 ha sancito la nullità delle clausole di rinvio agli usi e si incentra nello stabilire se la clausola – presente in tali contratti e di per se sottratta alla nullità comminata dalla novella – presenti o meno i requisiti necessari per l’assolvimento dell’obbligo della forma scritta fissato dall’art. 1284 C .C. appunto per la validità della pattuizione di interessi ultralegali.
In passato la prevalente giurisprudenza di legittimità e di merito, formatasi prima della novella aveva ritenuto sufficiente il suddetto parametro, in quanto per un verso le “condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza” erano indicate da un terzo estraneo, non influenzabile dalle parti del contratto, su scala nazionale con accordi interbancari, riscontrabili dalla clientela, mentre per altro verso affermava – in via di principio – che 1’elemento di forma non postulava necessariamente che il documento contrattuale contenesse l’indicazione numerica del tasso convenuto, che poteva, pertanto, essere desunto ed integrato per relationem, attraverso dati estrinseci, ma oggettivamente individuabili ai fini della concreta determinazione del tasso convenzionale: con tale ragionamento, la giurisprudenza in definitiva finisce per ritenere sussistente l’elemento della forma scritta della relativa pattuizione.
A partire dal 1996, tale orientamento è stato rivisitato non tanto con riguardo all'affermazione di principio, rimasta sostanzialmente inalterata, essendosi ribadita la legittimità della determinazione per relationem e la non necessità dell'indicazione puntuale del tasso di interesse, quanto sull'altro tema, in precedenza non trattato funditus, della sufficiente certezza dei criteri cui correlare l'uso piazza.
Sul piano sostanziale il mutato indirizzo, cui questa Corte reputa di prestare totale adesione, trova congrua e ragionevole giustificazione nella esigenza - indispensabile al fine del corretto bilanciamento degli interessi in gioco - di ancorare il giudizio di sufficienza a parametri certi, che consentano di accertare una effettiva volontà delle parti in relazione alla previsione di interessi, cui entrambe abbiano inteso riferirsi nel determinare l'oggetto della pattuizione extralegale degli interessi stessi ai sensi dell'art. 1284 cit..
Tale giudizio di sufficienza con riguardo "alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza", postula, per ritenerne la validità, l'esistenza di vincolanti discipline fissate su larga scala nazionale con accordi interbancari e non anche quando tali accordi contengano riferimenti a tipologie di tassi - praticati su scala locale - e non consentano per la genericità delle predette condizioni di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso fare concreto riferimento.
Conseguentemente solo la determinabilità effettiva e l'intrinseca controllabilità dei criteri, oggettivamente indicati e richiamati nella convenzione, conferiscono validità alle "condizioni uso piazza", requisiti entrambi che vengano meno in difetto di accordi e/o in presenza di tipologie di tassi notevolmente diversi: in quest'ambito va, altresì, considerato che oltre un decennio mancano accordi di cartello e che la indicazione del tasso c.d. prime rate non è vincolante per gli istituti bancari.
Nella specie, il contratto di conto corrente, intercorso tra le parti contiene, all'art. 5, un mero riferimento alle condizioni praticate usualmente alle aziende di credito sulla piazza e, nel contempo, attribuisce alla banca 1 facoltà di modificare "in qualsiasi momento le norme e le condizioni tutte che regolano i rapporti di conto corrente": la previsione nel combinato disposto delle due clausole non precisa alcun elemento estrinseco d: riferimento che permetta una sicura determinabilità degli interessi né i parametri, cui possa essere ancorata la variabilità nel tempo dei tassi, al di fuori di valutazioni unilaterali e discrezionali della banca stessa, sicché deve escludersi che la convenzione richiami una fonte dotata di sufficiente grado di univocità, che disciplini la prestazione degli interessi.
Conclusivamente, va dichiarata la nullità della clausola in esame, in conformità ad un orientamento che si è andato nel tempo via via consolidando, tanto da costituire ormai jus receptum (v. da ultimo Cass. 13823/2002; Cass. 17338/2002).
Con il terzo motivo gli appellanti principali deducono la nullità, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1283 e 1418, 2° c. C.C., della clausola, ricompresa nell'art. 57 citato del contratto di conto corrente, concernente la capitalizzazione trimestrale, che - assumono - si basa un uso negoziale ed interviene anteriormente alla scadenza degli interessi.
A sua volta, il banco di Napoli sostiene la validità della clausola in esame in quanto - a suo avviso - il meccanismo della capitalizzazione trimestrale configura un uso normativo.
E' fondata la tesi degli appellanti principali.
A norma dell'art. 1283 C .C. gli interessi scaduti possono produrre ulteriori interessi nella sola ipotesi di interessi dovuti da almeno sei mesi, subordinatamente alla proposizione di domanda giudiziale - che ne determina la decorrenza - ovvero al perfezionamento di una convenzione successiva alla scadenza degli interessi stessi.
La stessa disposizione fa comunque salvi gli usi contrari, ma deve trattarsi di veri e propri usi normativi e non di semplici usi negoziali o interpretativi: pacificamente trattasi di disposizione di carattere imperativo e di natura eccezionale, volta a consentire al debitore di conoscere al momento della stipulazione della convenzione anatocistica l'entità del suo debito.
Incontroverso che nella specie, il patto che racchiude la convenzione è ricompreso nel contratto di conto corrente ed è, quindi, anteriore alla scadenza degli interessi, sicché l'art. 1283 cit. non può trovare applicazione nel suo aspetto generale, il problema che si pone consiste in definitiva nello stabilire se in subiecta materia la capitalizzazione trimestrale costituisce un uso normativo o negoziale.
Com'è noto, la giurisprudenza aveva in passato sostenuto la prima tesi, senza tuttavia sviscerare la problematica, ma dando per scontata l'esistenza dell'uso, così come registrato dalle Camere di Commercio, in linea di massima ricorrendo al "notorio" e rilevando, sotto questo profilo, che "nel campo delle relazioni tra istituti di credito e clienti, in tutte le operazione di dare e avere, l'anatocismo trova generale applicazione”, donde la superfluità di accertare un uso specifico: tale orientamento si è trascinato tralaticiamente per decenni.
Anche su questo versante - come per gli interessi ad uso piazza - si è registrato di recente un mutamento di indirizzo, che può dirsi oramai consolidato e che questa Corte interamente condivide; premesso che le c.d. norme bancarie uniformi - predisposte dall'ABI non hanno natura normativa, ma pattizia, trattandosi di proposte di condizioni generali di contratto indirizzate alle Banche associate e che non esistono usi locali – come già sottolineato a proposito degli interessi ad uso piazza- l'indagine, cui s'è accennato, concerne la verifica dell'esistenza di una consuetudine - fonte di diritto - sulla capitalizzazione trimestrale.
Come rilevato in giurisprudenza l'uso normativo postula la contestuale ricorrenza di due requisiti: l'uno di carattere oggettivo, consistente nella uniforme e costante ripetizione di una determinata condotta, tra l’altro di tipo soggettivo, consistente nella consapevolezza di osservare attraverso quella condotta, una norma giuridica, sicché l'uso, come la norma, deve possedere i requisiti della generalità e dell'astrattezza.
In questo quadro, risulta indifferente - al fine di considerare esistente l'uso - che la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente alla banca trovi generale riscontro nei loro rapporti, giacché l'applicazione della capitalizzazione stessa discende dalla relativa previsione, contenuta negli schemi contrattuali predisposti dalle banche, in base alle norme bancarie uniformi, aventi natura pattizia: in sostanza la prassi così instaurata si correla al modo di operare di uno dei soggetti del rapporto - la banca - cui il cliente, nello stipulare un certo tipo di contratto, non può. di fatto sottrarsi, sicché nella stragrande maggioranza dei casi, l'adesione a quella prassi diventa in concreto ineludibile.
Siffatta ricostruzione già porta ad escludere che l'osservanza della prassi sia accompagnata dalla convinzione - che deve ovviamente essere comune ai contraenti di un certo settore - di attuare una regola, volta a disciplinare giuridicamente determinate situazioni: in definitiva, il cliente, nell'ambito dei contratti bancari, stipula sulla base delle condizioni generali, fissate dalla banca, ed il fatto stesso che si avverta la necessità di inserire - come nella specie - la clausola anatocistica tra quelle condizioni vale a dimostrare che l'uso in questione non è normativo, ma negoziale.
L'uso normativo, infatti, operando come la norma, non ha bisogno di una previsione convenzionale (o imposta), sicché l'inserimento della capitalizzazione nel documento contrattuale è funzionale a trovare una base pattizia in assenza di una regola giuridica.
L'esclusione dell'uso normativo comporta la declaratoria di nullità della clausola, in quanto questa imponendo una capitalizzazione trimestrale anteriore alla scadenza degli interessi, viene a porsi in contrasto con l'art. 1283 C .C., senza che a contrario avviso possa condurre la disciplina in tema di conto corrente ordinario.
Con il quarto motivo gli appellanti principali si dolgono dell'omesso accertamento sulla "inammissibilità ed illegittimità dell'applicazione" ed addebito in conto della commissione di massimo scoperto (C.S.M.), non convenuta tra le parti.
Anche tale assunto, è contrastato dal Banco, che sostiene che la C.M .S. è prevista nel primo comma dell'art. 7 della N.U.B., che essa "è frutto consolidato di uso normativo" e che la sua applicazione non fu contestata dal correntista, che, pertanto, ad essa aderì "quanto meno per facta concludentia".
E' fondata la censura di Sanapo - Rattazzi.
La commissione in parola non compete alla Banca, non essendo prevista in contratto come è agevole dedurre dal documento 17 marzo 1987, che contempla le clausole regolatrici del conto corrente.
Il dato è, peraltro, pacifico giacché la Banca, come si è visto, si è richiamata alle norme bancarie uniformi, inidonee a disciplinare il rapporto de quo; ad un uso normativo, imprecisato ed insussistente, posto che di esso non è stato evidenziato alcuno dei due requisiti - oggettivo e soggettivo - che devono supportarlo e che viceversa si tratta di mera prassi imposta dalla banca al cliente; ad una adesione tacita del Sanapo, in definitiva priva di prospettazione in fatto, essendo stata desunta dall`incontestato utilizzo dell'apertura di credito, circostanza questa di cui non si riesce a cogliere la correlazione con la asserita "adesione per facta concludentia".
Con il quinto motivo, gli appellanti principali si dolgono dell'omesso accertamento sulla illegittimità della clausola sull'addebito e sull'accredito delle valute.
La censura è inammissibile.
Ancorché sia condivisibile il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui per la decorrenza della valuta occorre fare riferimento alla data in cui il correntista abbia preso o acquistato la disponibilità del denaro, in quanto la banca non è libera di effettuare le relative operazioni senza limiti di tempo, ma con la massima rapidità consentita dagli strumenti tecnici, va tuttavia rilevato, in punto di fatto, che la censura non contiene l'indicazione di una sola operazione di addebito o di accredito non effettuato entro termini ragionevoli.
Al di là, quindi, della esattezza del principio, la pretesa, correlata alle, doglianze, è affatto generica e priva di idonea prospettazione per essere delibata.
Con il quinto motivo, gli appellanti principali ripropongono la domanda risarcitoria - dolendosi dell'omessa pronuncia - per la segnalazione operata dal Banco di Napoli alla centrale rischi presso la Banca d'Italia alla posizione a sofferenza del Sanapo.
La censura è infondata, in difetto di allegazione del tipo di danno, risentito dal Sanapo per effetto della dedotta segnalazione.
Peraltro per effetto dell'accoglimento dei primi quattro motivi di gravame, la causa va istruita come da separata ordinanza.
Il Banco di Napoli, a sua volta, ha proposto appello incidentale sul tasso di interesse - quello legale - riconosciutogli in sentenza con decorrenza 10 luglio 1997 - anziché quello del 13,50% - nonché sulla compensazione delle spese processuali.
L'impugnazione è inammissibile, in quanto proposta tardivamente oltre il termine previsto dal combinato disposto degli artt. 343 e 166 C .P.C.: invero, a fronte della citazione fissata nell'atto di appello per il 12 febbraio 2001, il banco di Napoli si è costituito all'udienza di comparizione tenuta il 13 successivo.
Le spese verranno liquidate con la sentenza definitiva.
P. T. M.
LA CORTE
Non definitivamente pronunciando sugli appelli proposti avverso la sentenza 13 luglio - 18 ottobre 1999 dal Tribunale di Lecce da Alberto Saponaro e Quintina Laura Rattazzi, in via principale, con atto 10 novembre 2000 e dal Banco di Napoli S.p.A., in via incidentale, con comparsa di risposta 13 febbraio 2001, così provvede:
A) in accoglimento dei primi quattro motivi dell'appello principale, previa qualificazione come ricognizione di debito dello, scrittura 10 luglio 1997, dichiara la nullità della clausola n. 57 del contratto di conto corrente stipulato dalle parti in data 17 marzo 1987 nelle parti relative agli interessi "uso piazza" ed alla capitalizzazione trimestrale e non dovuta la commissione di massimo scoperto;
B) dichiara inammissibile il quinto motivo e rigetta il sesto motivo dell'appello principale;
C) dichiara inammissibile l'appello incidentale.
Spese al definitivo.
Lecce, 22 ottobre 2004
IL CONSIGLIERE est. IL PRESIDENTE
Dott. Marcello Dell’Anna Dott. Alfredo Lamorgese
Depositata in cancelleria il 17 dicembre 2004