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Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2005
V
Decreto Ingiuntivo - Oggetto del giudizio di opposizione a Decreto ingiuntivo su credito bancario; - onere probatorio a carico della banca; efficacia dell’ e/c certificato alla sola fase monitoria (art. 645, comma 2, cpc) e valore indiziario dell’ e/c certificato nel giudizio ordinario; - contenuto dell’ e/c certificato ai sensi dell’art. 50 del D. Lgs. 385/93; necessità per la banca ingiungente di depositare tutti gli e/c del rapporto; necessità per la banca di provare l’avvenuto invio degli e/c;
MANCATA CONTESTAZIONE E/C - l’implicita approvazione delle operazioni annotate nell’estratto connessa alla mancata tempestiva contestazione, non esclude l’ammissibilità di censure concernenti la validità e l’efficacia d rapporti obbligatori dai quali esse derivino (art 1832 c.c.);
USURA - nel caso di scoperto di conto corrente la pattuizione di interessi moratori a tasso divenuto usurario della legge 108/96 è illegittima, quand’anche fosse stata convenuta in epoca anteriore all’entrata in vigore della detta legge;
ANATOCISMO - una volta ritenute sicuramente nulle le clausole con cui era prevista la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, è illegittima la cadenza più lunga (p. es. annuale) nella capitalizzazione degli interessi dovuta dal correntista;
CMS - la nullità dell’uso anatocistco ai sensi e per gli effetti dell’art. 1283 c.c. travolge anche le c.d. cms trimestrali;
SPESE TENUTA CONTO – illegittimità – limiti;
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Velletri - Sezione Distaccata di Albano Laziale, in persona del dott. Francesco Remo Scerrato, in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
NON DEFINITIVA nella causa civile di primo grado, iscritta al n° 2754, Ruolo Generale dell’anno 1997 e trattenuta in decisione all’ udienza del 22 novembre 2004, vertente
TRA
CARBONE Marisa e CATENACCI Matilde,
elettivamente domiciliate ad Albano Laziale, via Donizetti n° 6, presso lo studio dell’avv.to Alessandro BIAGGI, che le rappresenta e difende, unitamente all’avv.to Antonio TANZA, in forza di procura speciale a margine della citazione in opposizione,
OPPONENTE
E
BANCA DI ROMA SPA, in persona del legale rappresentante,
elettivamente domiciliata a Velletri. via Mattoccia n° 54. presso lo studio dell’avv
Piergiorgio LUNGARINI, che la rappresenta e difende in forza di procura generale alle liti conferita con atto notaio Zappone del 29/10/93, rep. 42996,
OPPOSTA
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’opposizione é parzialmente fondata e va accolta nei limiti di cui in motivazione, con necessità di rimessione della causa sul ruolo per la determinazione del quantum.
Preliminarmente giova ricordare che il decreto ingiuntivo è un accertamento anticipatorio con attitudine al giudicato e che, instauratosi il contraddittorio a seguito dell’opposizione, si apre un giudizio a cognizione piena caratterizzato dalle ordinarie regole processuali (cfr. arL 645, 2° comma, c.p.c.) anche in relazione al regime degli oneri allegatori e probatori (cfr. Cass. 17371/03; Cass. 6421/03), con la conseguenza che oggetto del giudizio di opposizione non è tanto la valutazione di legittimità e di validità del decreto ingiuntivo opposto, quanto la fondatezza o meno della pretesa creditoria, originariamente azionata in via monitoria, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza (cfr. Cass. 15186/03: “Nei giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, che nel sistema delineato dai codice di procedura civile si atteggia come un procedimento li cui oggetto non è ristretto alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità del decreto stesso, ma si estende all’accertamento, con riferimento alla situazione di fallo esistente al momento della pronuncia della sentenza -e non a quello anteriore della domanda o dell’emissione del provvedimento opposto-, dei fatti costitutivi del diritto in contestazione“, (Cass. 6663/02); quindi il diritto del preteso creditore (formalmente convenuto, ma sostanzialmente attore) deve essere adeguatamente provato, indipendentemente dall’esistenza -ovvero, persistenza- dei presupposti di legge richiesti per l’emissione del decreto ingiuntivo.
omissis
Parte opponente ha eccepito che il decreto ingiuntivo era stato emesso sulla base di un semplice saldaconto, anziché di un vero e proprio estratto conto, come da ultimo previsto dall’art. 50 del D.Lgs. 3 85/93.
L’eccezione fondata.
Al riguardo va osservato che la vecchia normativa relativa all’efficacia dell’estratto dei saldaconti nell’ambito del (solo) procedimento monitorio - normativa contenuta nell’art. 102 della legge bancaria 7 marzo 1938 n. 141 - risulta ormai abrogata dal citato art. 50 del nuovo T.U. bancario (cfr. Cass. SU 6707/94: “... il valore probatorio dell’estratto “dei saldaconti” e’ limitato al procedimento monitorio … mentre non si estende al susseguente procedimento di opposizione ed in genere agli ordinari giudizi di cognizione ..., nei quali il detto documento - diverso dall’estratto conto vero e proprio la cui efficacia probatoria discende dalla specifica previsione dell’art. 1832 cod. civ. ed e dall’art. 50 della nuova disciplina della materia, destata dal decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385. Richiesta anche agli esposti fìni monitori, con conseguente abrogazione della succitata norma di previsione del “saldaconto” - può assumere rilievo solo come elemento indiziario...”).
Alla luce delle superiori osservazioni sull’abrogazione dell’art. 102 della vecchia legge bancaria, perdono di rilievo pratico la distinzione fra l’estratto dei saldaconti e l’estratto conto vero e proprio e le disquisizioni sul differente valore probatorio negli ordinari giudizi di cognizione, ivi compresi quelli conseguenti ad opposizione a decreto ingiuntivo (cfr. Cass. 14234/03; Cass. 02751/02; Cass. 3630/96; citata Cass. 6707/94).
Peraltro dalla ontologica differenza fra i due documenti (cfr. Cass. 14234/03: “In tema di prova del credito fornita da un istituto bancario, va distinto l’estratto di saldaconto (che consiste in una, dichiarazione unilaterale di unilaterale di un funzionario della banca creditrice accompagnata dalla certificazione della sua conformità alle scritture contabili e da un’ attestazione di verità e liquidità del credito), dall‘ordinario estratto conto, che è funzionale a certificare le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall‘ultimo saldo, con le condizioni attive e passive praticate dalla banca”) e dall’espresso richiamo, contenuto nel più volte citato art 50 TU bancario, all’estratto conto si deve concludere che, ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo, non è più sufficiente il documento contenente unicamente il saldo finale del rapporto contrattuale regolato in conto corrente e senza alcuna indicazione delle singole partite che hanno concorso a formare quel determinato saldo, circostanza - quest’ultima - che di fatto impedirebbe al cliente di verificare ed eventualmente contestare le poste attive e passive del conto.
Pertanto l’innovazione legislativa, oltre ad aver esteso la disciplina indistintamente a tutte le banche - l’art. 102 della vecchia legge bancaria si riferiva infatti solo all’istituto di emissione, agli istituti dì credito di diritto pubblico, alle banche di interesse nazionale ed alle casse di risparmio-, ha comportato un cambiamento a tutela del correntista, il quale, anche ai fini della valutazione di una eventuale opposizione, ha la possibilità di avere tutte le indicazioni inerenti lo svolgimento del rapporto di conto corrente nel periodo di tempo considerato, ivi comprese quelle relative alle commissioni, alle spese, alle ritenute fiscali, agli interessi passivi e attivi maturati, all’indicazione del saldo attivo o passivo, ecc. (cfr. relazione illustrativa al nuovo TU bancario).
Con riferimento all’ambito temporale si ritiene che la banca ingiungente debba produrre gli estratti conto relativi all’intero periodo nel corso del quale è stato intrattenuto il rapporto di conto corrente, in modo tale che il giudice, in sede di rilascio del decreto ingiuntivo, e il cliente, in sede di valutazione dell’opportunità di presentare opposizione o dì predisposizione dell’opposizione stessa, abbiano contezza di tutte le operazioni contabili e di tutte le partite di dare e avere da cui deriva il credito fatto valere in via monitoria.
A fronte di tale eccezione, la difesa della banca ingiungente non appare in concreto condivisibile.
Al riguardo va osservato che la banca ingiungente pur partendo da una premessa astrattamente esatta e condivisibile, riassumibile nella deduzione che la mancata tempestiva contestazione degli estratti conto inviati al correntista nel corso del rapporto li fa presumere approvati ex art. 1832 c.c., altera la prospettiva entro cui deve essere esaminata la controversia ed inverte gli oneri allegatori e probatori su cui fonda il suo ragionamento.
Invero si dà per scontato che gli estratti conto siano stati effettivamente inviatj.al correntista nel corso del rapporto, ma non stata fornita alcuna prova a sostegno di tale allegazione;quindi in via preliminare sarebbe stato onere delta banca, al fine di invocare far valere la presunzione di approvazione di cui all’art. 1832 ce., provare che effettivamente nel corso del rapporto erano stati inviati al correntista i vari estratti conto con la cadenza contrattualmente prevista.
Solo a seguito della prova della comunicazione, sarebbe sorto l’onere per il cliente di dimostrare di aver provveduto ad una tempestiva e puntuale contestazione degli estratti conto ovvero, in difetto di ciò, sarebbe sorta l’invocata presunzione di approvazione.
In concreto peraltro la questione perde di utilità pratica in considerazione del fatto che nel corso del presente giudizio di opposizione la banca ingiungente ha prodotto copia degli estratti conto relativi al rapporto dedotto in giudizio e tale produzione assolve a tutti gli effetti - quindi anche in relazione all’art. 1832 c.c - la funzione di trasmissione / comunicazione al cliente (cfr. Cass. 12 169/00: “ … a tal fine, peraltro, è irrilevante che le suddette rilevanze non siano già state stragidizialmente rese note al correntista, atteso che la produzione in giudizio costituisce “trasmissione” dell’art. 1832 cod civ., onerando il correntista alle necessarie specifiche contestazioni al fine di superare l’efficacia probatoria della produzione”; Cass. 9579/O0)
Richiamando le superiori osservazioni sulla natura e sull’oggetto dei giudizio di cognizione, conseguente alla proposta opposizione a decreto ingiuntivo, è di tutta evidenza che anche l’eventuale difetto di prova in sede di richiesta e di emissione di decreto ingiuntivo non impedisce al giudice dell’opposizione di esaminare nel merito la domanda originariamente azionata in via monitoria.
Inoltre, avvenuta tale produzione in giudizio, sorge l’onere a carico del correntista di procedere alle necessarie specifiche e puntuali contestazioni al fine di superare l’efficacia probatoria, ricollegata, per legge, all’intervenuta trasmissione / comunicazione degli estratti conto.
Incidentalmente va comunque rammentato che “l‘incontestabilità delle risultanze del conto conseguente all’approvazione tacita dell’estratto conto, a norma dell’art. 1832 cod. civ. si riferisce agli accrediti ed agli addebiti considerati nella loro realtà effettuale, ma non impedisce la contestazione della validità e dell’efficacia dei rapporti obbligatori da cui essi derivino, né l’approvazione o la mancata impugnazione conto comportano che il debito fondato su di un negozio nullo, annullabile, inefficacia (o, comunque, su situazione illecita.) resti definitivamente incontestabile” (cfr.Cass. 10186/01); quindi l’implicita approvazione delle operazioni annotate nell’estratto connessa alla mancata tempestiva contestazione, non esclude l’ammissibilità di censure concernenti la validità e l’efficacia d rapporti obbligatori dai quali esse derivino (Cass. 18626103).
omissis
Al riguardo premesso - per mera completezza espositiva- che nel caso di scoperto di conto corrente la pattuizione di interessi moratori a tasso divenuto usurario della legge 108/96 è illegittima, quand’anche fosse stata convenuta in epoca anteriore all’entrata in vigore della detta legge, con la conseguenza che diventa necessario applicare un tasso diverso a quello ormai divenuto usurario (cfr. Cass. 5286/00; Cass. 8442/02: “La clausola, contenuta in un contratto di conto corrente bancario stipulato anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina sull’usura (legge n. 108 del 1996,) e con la quale siano stati pattuiti interessi divenuti superiori a quelli consentiti da detta normativa, è priva di effetto quanto alla misura degli interessi anteriormente convenuti ed essi possono essere rinegoziati”; Cass. 14899/00 e Cass. 5324/03 in tema di contratto di mutuo, ma i principi sono gli stessi).
omissis
In tale contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento, si pone il problema delle ricadute pratiche sui rapporti fra le parti a causa della nullità delle pattuizioni anatocistiche contenute nei contratti bancari stipulati prima dell’entrata in vigore (22/04/00) della ricordata delibera del CICR del 9/2/00.
In pratica, una volta ritenute sicuramente nulle le clausole con cui era prevista la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, si può porre il problema della legittimità di una cadenza più lunga (p. es. annuale) nella capitalizzazione degli interessi dovuta dal correntista.
Al riguardo si sono registrate oscillazioni nella giurisprudenza di merito per quanto riguarda la possibilità di prevedere la capitalizzazione su base annuale degli interessi passivi dovuti dal correntista, cioè di prevedere termini maggiori quanto al prodursi degli effetti dei meccanismi moltiplicativi delle competenze.
L’orientamento favorevole alla capitalizzazione annuale, seguito da vari tribunali (cfr. a quanto consta, Tribunale Terni n ° 251 dcl 18/3/03; Tribunale Roma ti 2120 del 22/1/04; Tribunale Milano n 8896 deI 4/7/02; Tribunale Reggio Calabria 28/6/02; Tribunale Torino 16/12/02), si fonda sul presupposto che, una volta esclusa la capitalizzazione trimestrale come da recente orientamento della Cassazione, sarebbe possibile ammettere la capitalizzazione su base annua in forza di una sorta di parità di tratta fra banca e cliente, rinvenibile nell’art. 7 delle condizioni generali di contratto, comunemente applicate nei rapporti bancari; in altri termini le suddette sentenze si fondano, al fine di evitare discriminazioni lesive del principio di uguaglianza, su un anatocismo equitativo ponendo sullo stesso piano, quanto a termini ed effetti, il meccanismo di produzione degli interessi (sugli interessi) attivi, cioè quelli a favore del cliente, e passivi, cioè quelli a favore della banca.
Altro elemento a sostegno di tale orientamento viene rinvenuto, a livello normativo, nella previsione contenuta nell’art. 1284 c.c. in ordine alla produzione degli interessi legali.
Fra i due opposti orientamenti, ritiene il Giudicante di aderire a quello che esclude ogni forma di capitalizzazione degli interessi passivi a prescindere dalla cadenza (annuale) utilizzata o utilizzabile.
Invero, affermata la nullità parziale del contratto per nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi per violazione dell’art. 1283 c.c. non si vede come si possa giustificare una capitalizzazione su base annuale nè come possa il Giudice prevedere una modifica del dato contrattuale in assenza -fra l’altro- di una disposizione che preveda in questo caso l’automatico inserimento di norme imperative su una maggiore periodicità (annuale anziché trimestrale) al posto delle clausole nulle (artt. 1339 e 1419 c.c)
In base ai principi generali in tema di successione delle leggi nel tempo non sembra neanche possibile applicare retroattivamente la previsione contenuta nella delibera CICR del 9/2/00 e giungere così ad estendere, in via analogica, la cadenza annuale degli interessi attivi a quella degli interessi passivi; attualmente, cioè dalla entrata in vigore della suddetta (delibera CICR, è infatti ammesso il meccanismo anatocistico nei rapporti bancari purché sia prevista la stessa periodicità nel conteggio degli interessi debitori e creditori.
Analogamente non pare condivisibile il riferimento all’art. 1284 c.c., in quanto la previsione di maturazione di interessi legali su base annua non comporta di per sé l’applicazione di un meccanismo moltiplicativo delle competenze e di produzione di interessi su interessi.
A ben vedere, se si porta ad estreme conseguenze il ragionamento della Cassazione sulla nullità delle clausole anatocistiche quanto agli interessi passivi, viene meno anche il ragionamento delle predette sentenze circa il preteso equilibrio contrattuale che si otterrebbe ammettendo, sempre con riferimento al periodo anteriore alta delibera CICR d 9/2/00, l’anatocismo su base annuale per entrambi i contraenti.
Invero, se si era in presenza di un identico meccanismo di capitalizzazione degli interessi, sia pure con periodi di applicazione differenti (annuale per gli interessi attivi e trimestrale per quelli passivi) e se la medesima natura anatocistica ditale meccanismo di produzione degli interessi su interessi è stato chiaramente confermato dalla delibera CICR, è allora evidente, sempre con riferimento al periodo anteriore alla entrata in vigore di detta delibera, che se è illegittima la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi in assenza di uso normativo, non può non essere illegittima anche la clausola che prevede(va) la capitalizzazione annuale degli interessi attivi.
In definitiva per gli interessi passivi non si può ipotizzare. come fanno le sentenze qui criticate, il riferimento alla capitalizzazione annuale degli interessi attivi in quanto, in difetto di una disposizione di legge, la stessa capitalizzazione degli interessi attivi si basa su una clausola da ritenere, per le stesse superiori argomentazioni, ugualmente affetta da illegittimità.
Pertanto l’invocata equità fra i contraenti si potrebbe ottenere anche escludendo totalmente, come sembra giusto fare alla luce della nuova giurisprudenza della Cassazione, il meccanismo anatocismo nei (progressi) rapporti fra le parti.
Deve pertanto escludersi qualsiasi ipotesi o forma di anatocismo quanto agli interessi passivi.
Ritiene in conclusione il Giudicante che dal debito a carico della parte opponente debba essere sicuramente espunto l’ammontare degli interessi passivi derivanti dalla capitalizzazione trimestrale operata dalla banca.
Analogamente, alla luce delle superiori osservazioni, va esclusa qualsiasi capitalizzazione degli interessi passivi su base annuale.
Le superiori deduzioni sull’esclusione di qualsiasi meccanismo moltiplicativo basato sull’anatocismo ex art 1283 c.c. valgono anche per la commissione sul massimo scoperto, che al pari degli interessi propriamente detti concorre -come detto alla remunerazione dell’apertura di credito in conto corrente.
omissis
Peraltro, non potendosi riconoscere alcuna capitalizzazione annuale degli interessi convenzionali (interessi propriamente detti più c.m.s.) nè potendosi riconoscere la voce ‘spese di tenuta conto’ per difetto di prova della debenza e dei criteri dì riferimento nonchè di determinazione del relativo quantum, ….
PQM
NON DEFINITIVAMENTE pronunciando:
Revoca il Decreto n. 410/97 del Tribunale di Velletri – Sezione Distaccata di Albano Laziale del 18 luglio 1997;
Dispone la rimessione della Causa sul Ruolo per ulteriore istruzione;
Provvede sul punto con separata e contestuale ordinanza;
Dispone che il regime delle spese sia deciso con sentenza definitiva.
Così deciso ad Albano Laziale, il 12 febbraio 05
Depositata il 5 aprile 2005
VI
Cassazione Civile, Sez. I, 14 maggio 2005
(Pres. Cappuccio; Rel Piccininni; PM (conf.) Apice; Ric. Banca del Salento – Banca 121 Spa (Avv. Prof. Fortunato) contro Curatela del Fallimento Gridi Costruzioni SRL (Avv. Antonio Tanza) e CHIRIATTI Luigi – CAPPELLO Enrica (Avv. Prof. Bruno Inzitari)
Competenza civile fallimento - Rito speciale e impugnative negoziali – domanda proposta dalla curatela per crediti del fallimento – Proposizione nelle forme del processo ordinario di cognizione - Domanda riconvenzionale del convenuto con cui si vanta un credito nei confronti del fallimento – Inammissibilità o improcedibilità della domanda nel giudizio di cognizione ordinaria – Proposizione nelle forme speciali dell’accertamento del passivo – Necessità – ammissione in stato passivo di presunto debito oggetto di credito del fallimento in giudizio ordinario – tamquam non esset – carenza di potere del G.D. (Cpc, articoli 36, 40, 50, 324; Rd 16 marzo 1942 n. 267, articoli 52, 92 e ss, 93 e ss, 932, 953; c.c. 2909)
Banche – Contratti Bancari – Tasso Convenzionale di Interessi – Determinazione per relationem – Riferimento al tasso prati cat o uso piazza – Nullità – (art. 1284 c .c.);
Banche – Contratti Bancari – Tasso Convenzionale di Interessi – Funzione di intermediaria assegnata alla banca nella determinazione del tasso - inammissibilità – (art. 1284 c .c.);
Banche – Contratti Bancari – Tasso Convenzionale di Interessi – Riferimento al tasso prati cat o uso piazza – Funzione di intermediaria assegnata alla banca nella determinazione del tasso - inammissibilità – (art. 1284 c .c.);
Banche – Contratti Bancari – Tasso Convenzionale di Interessi – Riferimento al tasso prati cat o uso piazza – Utilizzo dell’art. 16 ABI – Inammissibilità – (art. 1284 c .c.; art. 7 e 16 formulario ABI);
Banche – Contratti Bancari – Tasso Convenzionale di Interessi – Riferimento al tasso prati cat o uso piazza – Utilizzo del criterio del terzo arbitratore di cui all’art. 1349 c .c. - Inammissibilità – (artt. 1284, 1349 c .c.);
Banche – Contratti Bancari – Tasso Convenzionale di Interessi – Riferimento al tasso prati cat o uso piazza – Utilizzo della normativa del conto corrente ordinario - Inammissibilità – (artt. 1284, 1825, 1857, 1826, 1829, 1832 c .c.);
Banche – Contratti Bancari – capitalizzazione trimestrale – natura pattizia norme ABI – assenza di positivo accertamento di uso normativo e mancanza opinio iuris ac necessitatis - nullità - (art. 1283 cc.);
Banche – Contratti Bancari – capitalizzazione trimestrale – inapplicabilità dell’art. 1283 c .c. al fenomeno dell’annotazione in conto corrente degli interessi scaduti - inammissibilità -(artt. 1283, 1852, 1282, 1832, 1857 cc.);
Banche – Contratti Bancari – capitalizzazione trimestrale – inapplicabilità dell’art. 1283 c .c. al fenomeno dell’annotazione in conto corrente degli interessi scaduti - inammissibilità -(art. 1283 cc.);
Banche – Contratti Bancari – Conto Corrente – Commissioni di massimo scoperto – mancanza di previsione in contratto – inesistenza dell’uso – indeterminatezza dell’oggetto delle C.M.S.- Nullità – (art. 1284 c .c.);
Banche – Contratti Bancari – prescrizione decennale della ripetizione dell’indebite competenze bancarie – dies a quo dalla chiusura dell’intero rapporto – (art. 2946 ed art. 2948, 4 comma, C.C.);
Banche – Contratti Bancari – dies a quo restituzione somme indebito dal giorno del pagamento nell’ipotesi di mala fede della banca – (art. 2033 C .C.);
Banche – Contratti Bancari – decadenza contestazione degli estratti conto – limiti – eccezioni del fideiussore - (artt. 1832 e 1945 C .C.);
Liquidazione spese processuali – principio soccombenza compensazione – limiti;
REPUBBLICA ITALIANA
In Nome del Popolo Italiano
La Corte di Cassazione
Sezione Prima Civile
composta dai Sigg. Magistrati:
dott. Giammarco Cappuccio Presidente
dott. Giuseppe Marziale Consigliere
dott. Giuseppe Vito Magno Consigliere
dott Carlo Piccininni Rel. Consigliere
dott. Sergio Del Core Consigliere
ha pronunziato la seguente
SENTENZA n. 10127/05
sul ricorso proposto da:
Banca del Salento — Banca 121 s.p.a. in persona del Presidente, el. dom. in Roma , via Condotti 91, presso l’Avv. Sabino Fortunato, che la rappresenta e difende, in virtù di procura speciale autenticata per atto del Notaio Rocco Mancuso in data 20.12.2001, rep. n. 7415;
ricorrente
CONTRO
Fallimento Gridi Costruzioni s.r.l. in persona del curatore, el. dom. in Roma, via Ungarelli 5, presso l’avv. Alessandra Di Sarno, rappresentato dall’avv. Antonio Tanza per delega a margine del controricorso;
controricorrente e ricorrente incidentale
Chiriatti Luigi e Cappello Errica, el. dom. in Roma , via Ungarelli 5, presso l’avv. Alessandra Di Sarno , rappresentati dall’avv. Bruno Inzitari, che li rappresenta per procura speciale rilasciata con atto Notaio Mancuso di Lecce, n. 258973, in data 11.3.2002;
controricorrenti e ricorrenti incidentali;
avverso la sentenza n. 598/2001 emessa dalla Corte di Appello di Lecce in data 22.10.2001;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza dal Consigliere dott. Carlo Piccininni;
sentito l’avv. Fortunato per il ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale, il rigetto di quello incidentale del fallimento, l’inammissibilità di quello incidentale di Chiriatti e Cappello;
sentito l’avv. Tanza per il fallimento, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento di quello incidentale;
sentito l’avv. Inzitari per Chiriatti e Cappello, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento di quello incidentale;
sentito il Procuratore Generale in persona del dott. Umberto Apice, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale del fallimento, per l’inammissibilità del ricorso incidentale di Chiriatti e Cappello e per l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato del ricorrente principale.
Con atto di citazione del 25.3.1996 La Gridi Costruzioni s.r.l., titolare di conto corrente presso la Banca del Salento, Luigi Chiriatti ed Enrica Cappello quali fideiussori, avendo rilevato che dall’ultimo estratto Conto bancario risultava un saldo debitore di £. 457.369.987, convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Lecce la detta banca, per sentir dichiarare la nullità dei diversi contratti di apertura di credito e delle obbligazioni accessorie, e sentir quindi condannare la banca, previo ricalcolo delle somme a credito e a debito di entrambe le parti, al pagamento della somma di £. 335.950.583.
La Banca del Salento, costituitasi, rivendicava la legittimità del proprio comportamento, osservando in particolare che il tasso di interesse era stato determinato per relationem con criteri oggettivi, che l’anatocismo era stato correttamente applicato, trattandosi di uso normativo, che il computo degli interessi sugli assegni con decorrenza dal giorno della loro emissione risultava in sintonia con l’art. 7 del contratto, e proponeva inoltre domanda riconvenzionale per ottenere il pagamento di £. 457.369.987, oltre accessori, somma corrispondente a quella riconosciuta in sede di ammissione alla procedura di amministrazione controllata da parte della società debitrice.
Il Tribunale di Lecce emetteva dapprima sentenza non definitiva, con la quale dichiarava che gli interessi dovuti in relazione a contratto di conto corrente erano quelli legali; che gli interessi composti dovuti, capitalizzati secondo contratto, erano quelli legali e avevano decorrenza fino al 29.9.1993, data di chiusura del conto; che nulla era dovuto per commissione di massimo scoperto; che il calcolo della decorrenza degli interessi sugli assegni risultava corretto. Disposta la prosecuzione del giudizio per le relative quantificazioni, emetteva poi sentenza definitiva, con la quale venivano rigettate, perché non provate, le domande rispettivamente proposte dalle parti.
Entrambe le sentenze venivano impugnate, in via principale dalla Banca del Salento, ed in via incidentale sia dalla società, nel frattempo dichiarata fallita, che dai fideiussori.
La Corte di Appello di Lecce, pronunciando sulle due cause riunite, condannava la banca al pagamento in favore del fallimento della somma di £. 376.375.436, oltre interessi legali dalla domanda, dichiarava inoltre che nulla era dovuto dai fideiussori, rigettava infine la domanda riconvenzionale della Banca.
In particolare la Corte disattendeva innanzitutto l’eccezione di improcedibilità della domanda, proposta in ragione dell’intervenuta ammissione al passivo del fallimento del credito vantato dalla banca, e ciò in ragione del fatto che il credito in questione sarebbe risultato da sentenza non definitiva e quindi, una volta esercitata da parte degli organi. fallimentari l’opzione per l’impugnazione ai sensi dell’art. 95, comma 3, l.f., il processo avrebbe dovuto necessariamente proseguire davanti al giudice naturale dell’impugnazione, privando in tal modo il giudice delegato del potere di decidere al riguardo, tanto che il provvedimento di ammissione da lui emesso sarebbe “ nella parte in cui contempla il credito della Banca del Salento tamquam non esset, in quanto emesso in assoluta carenza di potere “.
Rilevava inoltre, nel merito, l’infondatezza della censura concernente il tasso di interesse applicabile nella specie, osservando innanzitutto come fosse insussistente il denunciato vizio di ultrapetizione, atteso che gli attori avrebbero indicato la ragione della nullità della clausola relativa agli interessi fin dall’atto di citazione; fosse priva di pregio l’intervenuta approvazione degli estratti conto, essendo nella specie in contestazione la validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali erano conseguentemente derivate le annotazioni; non fosse ravvisabile l’eccepita prescrizione, la cui decorrenza sarebbe da far risalire alla chiusura del rapporto, avvenuta il 29.9.1993, mentre l’azione era stata esercitata il 5.3.1996; fosse viziata per genericità la clausola determinativa degli interessi con riferimento al c.d. uso piazza, né avessero rilevanza in senso contrario le ulteriori considerazioni svolte dalla banca circa la sua posizione di arbitratore, la ricorrenza di usi, la mancata contestazione del credito della banca prima del giudizio, il riconoscimento nei bilanci di esercizio e nel ricorso per l’ammissione alla procedura di amministrazione controllata, il richiamo all’art. 1825 c.c., rispettivamente in quanto: la banca avrebbe rivestito la qualità di parte e non di terzo, sarebbe indimostrata l’esistenza degli usi invocati al riguardo, la mancata contestazione non precluderebbe il successivo esercizio del diritto, il riconoscimento del debito, funzionale all’ammissione alla procedura, non avrebbe efficacia novativa dell’obbligazione e non potrebbe perciò dar luogo alla caducazione del diritto di sollevare eventuali eccezioni in proposito, l’art. 1825 sarebbe applicabile per il conto corrente ordinario e non anche per quello bancario.
Ugualmente infondate sarebbero poi: la censura dell’appellante principale relativamente al capo concernente la capitalizzazione trimestrale, esclusa per il periodo successivo alla chiusura del conto (mentre fondata sarebbe invece quella degli appellanti incidentali in relazione all’affermata legittimità della detta capitalizzazione durante il periodo di vitalità del rapporto), dovendosi ritenere esistente sul punto, a dire della Corte di merito, un uso negoziale e non normativo, inidoneo in quanto tale ad escludere l’applicazione del divieto dettato dall’art 1283 c.c.; quella – sempre dell’appellante principale - attinente al mancato riconoscimento della Commissione di massimo scoperto, che correttamente sarebbe stata negata “ in quanto non prevista in contratto “; quella - dedotta dagli appellanti incidentali - avente ad oggetto il rigetto della domanda di nullità della clausola sull’addebito delle valute, essendovi in proposito previsione contrattuale, certamente valida pur in assenza di uso normativo, non contrastata da alcuna disposizione di legge.
Avverso la detta decisione proponeva ricorso per cassazione la Banca del Salento, che con sei motivi, articolati in più profili, denunciava violazione di legge e vizio di motivazione, rilevando in particolare: l’impugnazione sarebbe improcedibile perché l’accertamento del credito vantato da esso istituto di credito sarebbe demandato al giudice delegato del fallimento e vi sarebbe un nesso inscindibile fra domanda principale e riconvenzionale, come più volte affermato da questa Corte di legittimità in sede di interpretazione del combinato disposto degli artt. 43 e 52 l.f. Inoltre non vi sarebbe carenza di potere da parte del giudice delegato nel disporre l’ammissione del credito al passivo del fallimento, ma sarebbe al contrario in proposito ravvisabile, come conseguenza, una preclusione da giudicato, e l’ammissione del credito avrebbe dovuto per di più essere interpretata come rinuncia all’impugnazione. Infine la sentenza definitiva sarebbe intervenuta dopo la dichiarazione di fallimento, circostanza questa che escluderebbe l’applicabilità sotto tale profilo dell’art. 95, comma 3, l.f.; sarebbe errata la pronuncia relativa alla clausola “uso piazza” sotto diversi aspetti, e cioè perché sarebbe riscontrabile vizio di ultrapetizione posto che la citazione sarebbe priva di riferimenti alla violazione dell’art. 1284 c.c.,troverebbe applicazione la disciplina dell’art. 1349, per la quale la banca avrebbe potuto legittimamente integrare l’elemento indeterminato con giudizio eventualmente modificabile a seguito di contestazione giudiziale irragionevolmente sarebbe stata esclusa l’applicabilità al caso di specie dell’art. 1825 c.c. dettato in tema di conto corrente ordinario, considerata l’analogia esistente fra le due distinte figure contrattuali (conto corrente ordinario e bancario); ugualmente censurabile sarebbe l’intervenuta declaratoria di nullità della clausola contrattuale che disciplina la capitalizzazione degli interessi dovuti, e ciò sotto il triplice riflesso che l’art. 1283 c.c. non sarebbe applicabile “al fenomeno dell’annotazione in conto corrente degli interessi scaduti”, la disposizione non avrebbe natura imperativa, e gli usi avrebbero carattere normativo; a torto la Corte di merito avrebbe ritenuto non prevista dal contratto la commissione di massimo scoperto per due concorrenti ragioni, vale a dire per il fatto che nell’accordo si sarebbe fatto riferimento all’obbligo per il correntista di far fronte alle commissioni, e per effetto delle clausole d’uso, evocabili ai sensi dell’art. 1340 c.c., che per l’appunto deporrebbero in tal senso; contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, l’eccezione di prescrizione sarebbe fondata, perché il termine iniziale di decorrenza sarebbe quello della data di ciascun pagamento indebito e non quello della chiusura del rapporto contrattuale; la Corte di merito avrebbe infine errato nel rigettare la domanda riconvenzionale di esso istituto di credito e nel compensare le spese processuali.
Resistevano con controricorso sia il Fallimento Gridi Costruzioni che Luigi Chiriatti e Errica Cappello, i quali proponevano anche ricorso incidentale, con cui il primo denunciava violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla statuizione attinente al computo della valuta (che per effetto del parametro adottato si tradurrebbe “in ultima analisi in un addebito di interessi passivi ultralegali”), alla decorrenza degli interessi legali, il cui termine iniziale avrebbe dovuto essere individuato dalla data di maturazione del credito anziché dal momento di proposizione della domanda, come era stato stabilito, alla disposta compensazione delle spese di giudizio; i secondi, analogamente, lamentavano l’erroneità della decisione in relazione ai primi due punti sopra considerati, attinenti rispettivamente al computo della valuta ed alla decorrenza degli interessi legali, che avrebbe dovuto essere diversamente calcolata in ragione dell’assenta mala fede della banca.
Resisteva con controricorso al ricorso incidentale dei resistenti la Banca del Salento, che rilevava l’inammissibilità di quello dei fideiussori, in quanto vittoriosi nel giudizio di merito con riguardo al capo concernente il computo delle valute ed estranei alla statuizione attinente agli interessi; l’inammissibilità di quello del fallimento per la decorrenza degli interessi legali sulla somma oggetto di ripetizione, trattandosi di domanda nuova; l’infondatezza nel merito delle questioni prospettate.
La banca proponeva inoltre con lo stesso atto ricorso incidentale condizionato, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione per l’omessa considerazione degli effetti riconducibili alla mancata impugnazione dell’estratto conto, a suo dire preclusivi della possibilità di contestazione delle operazioni materiali di accredito e di addebito.
Chiriatti e Cappello, infine, depositavano memoria.
La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 20.1.2005.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Disposta preliminarmente la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c. e prendendo dapprima in esame quello principale, si osserva che con il primo motivo la Banca del Salento ha denunciato violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all’affermata infondatezza dell’istanza formulata all’udienza del 19.5.1999, con la quale era stata sollecitata la declaratoria di improcedibilità della domanda proposta dal fallimento nei suoi confronti,in ragione del fatto che dall’avvenuta e definitiva ammissione allo stato passivo (questo, infatti, era stato dichiarato esecutivo il 10.5.1999) del medesimo credito vantato dalla Banca nel presente giudizio sarebbe derivata la dedotta improcedibilità per effetto dell’art. 52 l.f., secondo il quale ogni credito azionato nell’ambito fallimentare deve essere accertato ai sensi degli artt. 92 e segg. 1.f., e cioè in sede dì verificazione dello stato passivo.
In particolare il citato art. 52 avrebbe stabilito una competenza funzionale del giudice delegato a conoscere le ragioni di credito verso il fallito, competenza che sarebbe stata tuttavia derogabile nel caso di decisione non passata in giudicato (e ciò sia nell’ipotesi di accoglimento che in quella di rigetto della domanda), in cui il giudice delegato avrebbe il potere di avvalersi o meno della sentenza non definitiva che accerta o rigetta il credito, decidendo conseguentemente, in via alternativa, di impugnare o di ammettere il credito oggetto di contestazione.
Il fatto dunque che il giudice delegato aveva ammesso al passivo del fallimento il credito fatto valere dalla banca con la domanda riconvenzionale avrebbe reso priva di efficacia - e quindi inutile - l’eventuale decisione della Corte territoriale sull’esistenza o meno del detto credito, mentre la necessità di una valutazione congiunta da parte del tribunale fallimentare delle due posizioni creditorie fra loro antagoniste ( banca/fallimento - fallimento/banca ) sarebbe discesa dalla identità del titolo delle due domande (principale e riconvenzionale) e dal conforme consolidato orientamento giurisprudenziale sul punto.
La Corte di Appello aveva però disatteso la prospettazione dell’appellante principale Banca del Salento nel presupposto che l’art. 95, comma 3, dovesse essere interpretato nel senso che, pur restando ferma la possibilità per il giudice delegato di impugnare la sentenza ovvero di ammettere il credito, tale opzione dovesse ritenersi preclusa una volta privilegiata, come nella specie, la via dell’impugnazione. In detta ipotesi infatti, secondo la Corte, il processo avrebbe dovuto proseguire davanti al giudice naturale, sicché il provvedimento di ammissione sarebbe stato adottato dal giudice delegato in assoluta carenza di potere, e sotto questo aspetto sarebbe stato da considerare “tamquam non esset”.
La decisione sul punto veniva quindi censurata dalla Banca del Salento sotto diversi profili, rispettivamente individuati come segue: le due domande “trovano legittimazione in un unico titolo”, quella nei confronti del fallimento deve essere delibata dal giudice delegato, “l’intera controversia deve essere conosciuta ... nella sede e secondo il rito fallimentare”, in sintonia con l’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, atteso che non è consentito operare una scissione fra le due opposte pretese, ed il principio deve trovare applicazione in ogni grado di giudizio; il provvedimento di ammissione non sarebbe stato quindi emesso “in assoluta carenza di potere” ma, al contrario, la sua adozione avrebbe prodotto gli effetti processuali e sostanziali degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c., trattandosi di decisione definitìva; l’avvenuta ammissione del credito avrebbe dovuto essere interpretata come implicita rinuncia all’azione; non sarebbe applicabile la disciplina dettata dall’art. 95, comma 3, l.f., poiché nella specie si sarebbe trattato di sentenza di accertamento e non di condanna.
Pur essendo condivisibili alcuni dei rilievi svolti dal ricorrente, soprattutto con riferimento all’affermata esclusività ed inderogabilità del foro fallimentare per quanto riguarda il riconoscimento dei crediti vantati nei confronti del fallito, nonché in relazione all’improprietà del richiamo alla disciplina dell’art. 93, comma 2, l.f., la decisione adottata sul punto dalla Corte di Appello deve essere modificata solo parzialmente, vale a dire limitatamente alla statuizione concernente la pretesa creditoria della banca verso il fallimento.
Ed infatti in proposito va innanzitutto premesso che l’art. 95, comma 3, l.f., che stabilisce la necessità dell’impugnazione della sentenza non passata in giudicato da cui risulti l’esistenza di un credito contro il fallimento, nel caso in cui il giudice delegato non ritenga di procedere alla sua ammissione, non appare correttamente evocato poiché nella specie la dichiarazione di fallimento era intervenuta il 10.6.1997, e quindi in epoca antecedente alla prima sentenza non definitiva emessa il 25.9.1997 con la quale non era stata pronunciata alcuna condanna, ma erano stati più semplicemente fissati gli indispensabili parametri, da adottare successivamente per la conseguente quantificazione rimessa al prosieguo.
La data di pubblicazione della sentenza in esame, la formulazione letterale dell’art. 95, comma 3, che fa riferimento a credito risultante da sentenza passata in giudicato e la stessa “ratio” della disposizione, evidentemente dettata, oltre che da esigenze di economia processuale, dalla necessità di evitare effetti preclusivi derivanti dal passaggio in giudicato della sentenza, inducono dunque a ritenere che il citato art. 95 non sia stato correttamente richiamato, dal che discende anche l’inconsistenza della statuizione concernente l’assenta incompetenza del giudice delegato in ordine all’ammissione del credito una volta interposto appello.
Fatta dunque questa premessa, si osserva che nella specie il giudizio era iniziato a seguito di domanda proposta da società (e dai fideiussori), successivamente dichiarata fallita, per ottenere il pagamento di un preteso credito, alla quale aveva quindi fatto seguito domanda riconvenzionale del convenuto nei confronti degli attori, fra i quali la Gridi Costruzioni s.r.l. all’epoca “in bonis”, per far valere a sua volta un credito basato sullo stesso titolo.
Ne consegue pertanto, sulla base del chiaro disposto dell’art. 52 l.f., che per quanto riguarda la domanda della banca nei confronti della società fallita opera il rito speciale ed esclusivo dell’accertamento del passivo ai sensi degli artt. 93 e ss. l.f., circostanza da cui discende che la stessa (e non anche quindi quella rivolta contro i fideiussori) va dichiarata improcedibile nel giudizio di cognizione ordinaria.
Profili di maggiore opinabilità si presentano invece con riferimento alla domanda contro i fideiussori ed a quella originariamente proposta dalla società “in bonis”, rispetto alle quali il ricorrente ha invocato una “vis attractiva” del foro fallimentare, in sintonia con un orientamento giurisprudenziale di questa Corte, per il quale, le opposte pretese derivanti dal medesimo rapporto contrattuale dovrebbero essere inscindibilmente devolute alla cognizione di un unico giudice e quindi, per effetto della specialità del rito, trasferite nella sede concorsuale del procedimento di accertamento e di verificazione dello stato passivo.
Il rilievo è privo di pregio in quanto il “simultaneus processus” non può né dare luogo ad una deroga al rito fallimentare né sottrarre la domanda al giudice per essa naturalmente competente per devolverla al giudice fallimentare, così determinando un travisamento della struttura logica del sistema concorsuale (C. S.U. 2004/21500, C. S.U. 2004/21499, C. 2003/6475, C. 2003/148).
Ciò pertanto comporta che la declaratoria di improcedibilità va limitata alla sola domanda riconvenzionale della banca nei confronti del fallimento, e non anche a quella contro i fideiussori ed a quella proposta in via principale dallo stesso fallimento contro l’istituto di credito.
Né a diverse conclusioni possono indurre i due ulteriori profili di censura dedotti dal ricorrente principale, secondo i quali il giudice delegato avrebbe implicitamente rinunciato all’appello con l’ammissione del credito allo stato passivo e comunque sarebbe precluso ogni ulteriore esame sulla domanda del fallimento, per effetto del definitivo accertamento in sede fallimentare di un credito della banca derivante dallo stesso titolo azionato nel giudizio ordinario.
Quanto al primo punto, l’asserita rinuncia è stata apoditticamente prospettata, non risulta precedentemente rappresentata, presuppone la formulazione di un giudizio di merito incompatibile con il presente giudizio, contrasta con la partecipazione attiva del fallimento al giudizio di secondo grado. Sul secondo va rilevato che il provvedimento di ammissione del credito della banca ha efficacia endofallimentare in termini di partecipazione dei creditori al concorso e pertanto, indipendentemente dalla assoluta estraneità di alcune delle parti (vale a dire i fideiussori) alla relativa delibazione, lo stesso, a cognizione sommaria e avente ad oggetto l’esistenza del diritto concorsuale al riparto, è del tutto indifferente e privo di efficacia diretta nel giudizio in corso nel quale si controverte, nella pienezza del contraddittorio, sulla esistenza o meno del diritto azionato (in tal senso la consolidata giurisprudenza di questa Corte).
La limitazione della pronuncia di improcedibilità alla domanda della banca contro il fallimento comporta dunque che sono suscettibili di delibazione in questa sede le ulteriori domande proposte nel giudizio, quella cioè del fallimento e dei fideiussori contro l’istituto di credito e quella di quest’ultimo contro i fideiussori, circostanza da cui discende quindi che devono essere comunque esaminati gli altri motivi del ricorso principale, tenuto conto dell’incidenza sui fideiussori del dato relativo all’esistenza o meno di una posizione debitoria della Gridi Costruzioni verso l’istituto di credito ricorrente.
Venendo dunque al secondo motivo di ricorso, si osserva che la Banca del Salento ha poi denunciato violazione di legge, vizio di motivazione e nullità della sentenza per ultrapetizione sulla “clausola uso piazza”, in relazione all’affermata inidoneità delle modalità di determinazione “per relationem” del saggio ultralegale a dare certezza deI tasso pattuito.
Più precisamente, e innanzitutto, la Corte avrebbe erroneamente ritenuto infondata l’eccezione di extrapetizione sul punto, atteso che l’atto di citazione non avrebbe contenuto alcuno specifico riferimento alla violazione dell’art. 1284, che sarebbe stata invece denunciata solo nel prosieguo del giudizio.
Inoltre, venendo al merito, ricorrerebbero le condizioni per la riforma della decisione impugnata, essenzialmente per le seguenti concorrenti ragioni: l’esclusione di qualsiasi intervento della banca nella concreta determinazione del tasso contrasterebbe con la funzione di intermediaria ad essa assegnata; la portata reale della “clausola uso piazza” avrebbe dovuto essere ricostruita non solo sulla base del contenuto letterale dell’art. 7 delle condizioni contrattuali, ma anche del disposto dell’art. 16, che prevede una riserva in favore della banca per la modifica delle condizioni regolanti il rapporto, oltre che delle prassi comportamentali seguite dalle parti ai sensi degli artt. 1362, comma 2, 1363 c.c.; il potere di intervento della banca nella determinazione del tasso sarebbe riconducibile all’art. 1349 c.c. nonostante la sua qualità di parte e non di terzo, poiché le relative espressioni sarebbero comunque suscettibili di sindacato da parte dell’autorità giudiziaria, ove sollecitata a tal fine; sarebbe stata erroneamente esclusa l’applicabilità al conto corrente bancario dell’art. 1825 c.c., che si riferisce al conto corrente ordinario, essendo ricavabile la regolamentazione del primo da disposizioni dettate per il secondo, attesa l’analogia fra le due figure contrattuali.
Le doglianze sono infondate, rispettivamente in quanto: a) la questione dell’ultrapetizione era già stata oggetto di specifica attenzione nei motivi di impugnazione, e la Corte di Appello ne aveva affermato l’inconsistenza rilevando come a pagina 13 dell’originario atto di citazione gli attori avessero enunciato le ragioni di nullità della clausola concernente gli interessi ad uso piazza richiamando la disposizione a loro avviso applicabile (art. 1284, comma 3, c.c.) ed individuando inoltre nella insufficienza del criterio “per relationem” la carenza del parametro adottato per la determinazione del tasso. Su questo punto nulla ha dedotto il ricorrente, che si è sostanzialmente limitato a richiamare, con enunciazione generica, quanto già precedentemente lamentato, per cui il profilo di censura rappresentato deve essere disatteso.
b) La pretesa contraddizione ravvisata fra la funzione di intermediaria assegnata alla banca e l’affermata impossibilità di un suo diretto intervento per la determinazione del tasso è enunciata in termini generici ed è di per sé inidonea ad individuare l’assenta erroneità dei profili argomentativi svolti sul punto dalla Corte territoriale.
c) la Corte di merito ha preso in esame gli artt. 7 e 16 del contratto, ritenendo che la previsione del combinato disposto delle due clausole non consentisse di precisare alcun elemento estrinseco di riferimento idoneo a garantire una sicura determinabilità degli interessi, per cui la diversa interpretazione suggerita avrebbe dovuto essere sorretta dalla denuncia dei canoni ermeneutici asseritamente violati, con l’indicazione dei profili di erroneità riscontrati;
d) la Corte di Appello aveva ritenuto non pertinente il richiamo della banca all’art. 1349 c.c. a sostegno della legittimità dì un suo intervento finalizzato alla determinazione del tasso, sotto un duplice profilo testuale e logico; quanto al primo, perché la norma richiama la possibilità di deferire solo al terzo la determinazione della prestazione, quanto al secondo, perché la funzione equilibratrice demandata all’arbitratore presuppone la sua posizione di terzietà ed esclude che la stessa possa essere correttamente svolta da colui che è titolare di un proprio interesse in contrasto con quello dell’ altro.
A fronte delle dette argomentazioni il ricorrente ha proposto una interpretazione alternativa dell’art. 1349, essenzialmente basata: sulla possibilità dell’ adozione di correttivi in sede giudiziaria rispetto alle determinazioni dell’arbitratore — parte; sulle funzioni svolte dalla banca sul mercato; sulla necessità, per i contratti di durata, di prevedere il rinvio alle condizioni di mercato. Tuttavia non ha rappresentato né le ragioni per le quali le non condivise affermazioni della Corte territoriale configurerebbero violazioni di legge o sarebbero viziate nella motivazione, né i profili di erroneità sotto tale riflesso riscontrati.
e) la Corte territoriale ha ritenuto improprio il richiamo all’art. 1825 c.c. in ragione del fatto che la norma si riferisce al conto corrente ordinario, e non a quello di conto corrente bancario; che quest’ultimo contratto è connotato da autonomia strutturale e funzionale rispetto al primo; che nell’art. 1857 c.c., contenente disposizioni integrative alla disciplina delle operazioni bancarie in conto corrente con rinvio agli artt. 1826, 1829, 1832 c.c.., non è contenuto alcun riferimento al citato art. 1825.
Si tratta di rilievi del tutto esatti e pertinenti, rispetto ai quali il ricorrente si è limitato ad invocare l’astratta possibilità del ricorso all’analogia in ragione di una pretesa comune caratteristica strutturale e funzionale dei due contratti in questione, senza indicare né i profili di erroneità in cui sarebbe incorsa la Corte, né la lacuna di disciplina normativa che, ai fini della decisione della controversia, sarebbe stato necessario colmare mediante l’utilizzazione del procedimento analogico previsto dall’art. 12 disp. prel. c.c.
Con il terzo motivo di impugnazione la Banca del Salento ha denunciato violazione di legge in relazione alla intervenuta declaratoria di nullità della clausola del conto corrente che disciplina la capitalizzazione degli interessi dovuti dal correntista Gridi Costruzioni.
In particolare la statuizione sul punto sarebbe viziata sotto un triplice riflesso, e cioè: a) per l’inapplicabilità della fattispecie delineata dall’art. 1283 c.c. al fenomeno dell’annotazione in conto corrente degli interessi scaduti; b) per l’affermata natura imperativa della detta disposizione, da cui sarebbe derivata la nullità delle pattuizioni ad essa contrarie; c) per la negata esistenza di usi normativi idonei a derogare alla disciplina in tema di anatocismo, ai sensi dell’art. 1283 c.c.
La doglianza va disattesa per le seguenti considerazioni: sub a). L’inapplicabilità dell’art. 1283 deriverebbe dal fatto che la somma di cui il correntista può disporre ai sensi dell’art. 1852 cc., c.d. saldo disponibile, sarebbe costituito sia dalle somme depositate che da quelle tenute a disposizione dalla Banca, sicché l’annotazione in conto corrente di qualsiasi posta costituirebbe il mezzo attraverso il quale le parti regolano le reciproche obbligazioni,delle quali rappresenterebbe una modalità di adempimento, e la stessa ravvisata fattispecie della produzione di interessi su interessi scaduti non sarebbe quindi neppure ipoteticamente configurabile.
La detta prospettazione non è tuttavia condivisibile perché gli interessi nelle obbligazioni pecuniarie, quale quella in oggetto, si determinano su crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro (art. 1282 c.c.), l’estratto conto si intende approvato se non contestato (art. 1832 richiamato dall’art. 1857 c.c.) ed è quindi da tale data che sono computabili gli interessi sul debito esistente. Da ciò discende pertanto l’inconsistenza, sotto il profilo normativo, della ricostruzione suggerita dal ricorrente, ricostruzione che avrebbe una valenza rilevante esclusivamente in via, astratta e prescindendo dal rapporto concretamente considerato, posto che la Corte di Appello ha in punto di fatto accertato che la pretesa creditoria della banca era stata formulata con il computo degli interessi sugli interessi scaduti in violazione dell’art. 1283 e la relativa statuizione è stata oggetto di censura esclusivamente in relazione alla differente imputabilità delle somme asseritamente dovute (poiché non ascritte al debito per gli interessi), senza alcun riferimento alla pretesa erroneità dei criteri di determinazione dell’ammontare del credito. Sub b). La Corte di appello ha evidenziato come nella specie “pacificamente trattasi di disposizione di carattere imperativo e di natura eccezionale”, in sintonia con un consolidato indirizzo di questa Corte di legittimità fra le altre si richiamano C. 2003/13739, C. 2001/5675, C. 2000/5286, C. 199/2374, C. 1977/1724), mentre la censura è incentrata sulla irragionevolezza di una interpretazione legittimante deroghe soltanto da parte dì usi normativi anteriori al 1942, censura basata su diversa ricostruzione della normativa anziché sui profili di erroneità riscontrabili nella difforme decisione del giudice del merito. Sub c). Gli usi nei quali troverebbe fondamento nel caso di specie la disciplina degli interessi anatocistici avrebbero natura normativa e non negoziale, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di Appello.
La questione è stata specificamente affrontata da questa Corte che, con motivazione del tutto condivisibile alla quale pertanto più compiutamente si rinvia (C. S.U. 2004/21095, C. 2003/13739, C. 2003/12222, C. 2003/2593), ha ravvisato la natura pattizia delle cosiddette norme bancarie uniformi predisposte da al riguardo, in considerazione sia del mancato accertamento da parte della Commissione speciale permanente presso il Ministero dell’Industria dell’esistenza di un uso normativo generale di contenuto corrispondente alla clausola in questione, sia dell’impossibilità di individuare nei soggetti contraenti con le banche l’atteggiamento psicologico di spontanea adesione ad un precetto giuridico (“opinio iuris ac necessitatis”).
Ne discende dunque che non ricorrono le condizioni idonee a legittimare una deroga al dettato dell’art. 1283 c.c. e, conseguentemente, che correttamente è stata dichiarata la nullità della clausola in contestazione.
Con il quarto motivo la Banca del Salento si è doluta dell’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui la commissione di massimo scoperto non sarebbe stata contrattualmente prevista, per cui non avrebbe dovuto essere applicata. La statuizione sarebbe infatti viziata per violazione di legge e carenza di adeguata motivazione, tenuto conto del fatto che l’art. 1826 c.c. stabilisce che i detti diritti sono inclusi nel conto, salva convenzione contraria, che le clausole d’uso sono inserite nel contratto se non risulta volontà contraria delle parti, che esiste consolidata prassi contrattuale nel senso prospettato da esso ricorrente.
Il rilievo non ha pregio perché la clausola non era prevista nel contratto (p. 27 della sentenza di secondo grado), il giudice di appello ha giudicato inidonee le norme bancarie uniformi e le istruzioni della Banca d’Italia a disciplinare il rapporto in esame e la decisione non è stata censurata, non risulta sia stata data prova dell’esistenza dell’uso richiamato, la genericità del richiamo non consentirebbe di determinare esattamente l’oggetto della relativa obbligazione, con gli effetti conseguenti in ordine alla sua validità.
Con il quinto motivo di impugnazione il ricorrente ha sostenuto che, contrariamente alla decisione adottata sul punto dalla Corte territoriale che ha rigettato la relativa eccezione, la decorrenza del termine decennale di prescrizione per il reclamo da parte del correntista delle somme indebitamente trattenute dalla banca per interessi calcolati in misura ultralegale senza valida pattuizione dovrebbe iniziare dalla data in cui ciascun pagamento è stato effettuato, trattandosi di azione di ripetizione di tanti indebiti oggettivi quanti sono i pagamenti effettuati in esecuzione delle clausole impugnate.
L’assunto è in contrasto con la condivisa giurisprudenza di questa Corte (C. 2004/5720, C. 1998/3783, C.1984/2262, C. 1956/2488), che ha valorizzato il legame intercorrente fra una pluralità di atti esecutivi in virtù dell’unicità del rapporto giuridico derivante da un contratto unitario, e pertanto deve essere disatteso.
Analogamente deve infine dirsi con riferimento all’ultimo motivo di ricorso, con il quale il giudice di appello ha compensato le spese del relativo giudizio, tenuto conto dell’esito negativo dell’appello principale proposto da esso ricorrente.
Passando quindi all’esame dei ricorsi incidentali, si osserva, per quanto riguarda quello dei fideiussori Chiriatti e Cappello, che lo stesso è inammissibile, atteso l’esito del giudizio di appello nel quale sono risultati vittoriosi, considerato che è stata accolta la loro domanda nei confronti della Banca del Salento, e per l’effetto dichiarato che nulla era da essi dovuto all’istituto di credito convenuto.
In ordine invece a quello del fallimento Gridi Costruzioni, va rilevato che sono stati articolati tre distinti motivi, con i quali è stato innanzitutto lamentato violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla decisione di rigetto della domanda di nullità della clausola sull’addebìto delle valute, che a dire dell’appellante avrebbe dovuto decorrere dalla data di emissione (o di negoziazione nel caso di postdatazione), questione cui sarebbe stata successivamente agganciata quella relativa alla data degli accrediti.
Più precisamente la detta decisione era stata adottata, con riferimento agli addebiti, per la mancanza di norme o di usi in senso contrario cui pure il ricorrente avrebbe subordinato la legittimità del computo effettuato e, in relazione agli accrediti, per la tardività della prospettazione, asseritamente non trattata con l’appello incidentale, nel quale si sarebbe dato atto dell’assenza di pattuizioni sul punto senza peraltro provvedere alla segnalazione di alcun colpevole ritardo conseguente.
La sua erroneità, secondo il ricorrente, dipenderebbe poi dal fatto che la questione delle valute sarebbe stata congruamente affrontata (pp. 3, 4, 5, 13, 14, 15 dell’atto di citazione, pp. 74, 75, 76, 77 dell’atto di appello incidentale), che non sarebbe stato tenuto debito conto delle valutazioni compiute in proposito dal consulente di parte, che non si sarebbe considerato che “il gioco delle valute” è contrario agli obiettivi della trasparenza e si tradurrebbe “in ultima analisi in un addebito di interessi passivi ultralegali”.
Le doglianze sono infondate perché la Corte di Appello ha affrontato separatamente le due diverse questioni concernenti la decorrenza degli addebiti e degli accrediti, adottando per ciascuna di esse una differente motivazione a sostegno della identica decisione di rigetto (per l’addebito la clausola negoziale non contrasterebbe con alcuna norma, né la sua validità presupporrebbe la preesistenza di un uso normativo in tal senso, per l’accredito la questione non sarebbe stata trattata con l’atto di impugnazione, nel quale l’indicazione relativa all’assenza di pattuizioni sul punto non sarebbe stata affiancata né dalla segnalazione di ritardi colpevoli nell’accreditamento da parte della banca, né comunque da alcuna conclusione al riguardo), profili che sono stati censurati soltanto con il richiamo all’irregolare computo delle valute (senza ulteriori precisazioni in ordine alle conseguenti domande asseritamente mancanti) che esso ricorrente avrebbe operato nelle diverse difese prodotte nel giudizio di merito, alle valutazioni compiute in proposito dal consulente di parte, al parallelismo tra gli effetti prodotti da tale irregolare computo e quelli derivanti dalla violazione dell’art. 1284 c.c., e quindi in modo del tutto generico rispetto alle sopra citate “rationes decidendi” sulle quali la Corte ha basato la propria determinazione sul punto.
Con il secondo motivo di ricorso il fallimento ha poi denunciato vizio di motivazione in relazione al computo degli interessi “ dalla domanda al soddisfo sulla somma di £. 376.375.436 che la banca è stata condannata a pagare in suo favore, decorrenza che viceversa a suo dire avrebbe dovuto essere indicata a far tempo dalla data di maturazione del credito, e ciò in virtù sia del dettato normativo di cui all’art. 1282 c.c., per il quale i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto, che delle previsioni contrattuali, posto che ai sensi dell’art. 821 c.c., in mancanza di diversa pattuizione delle parti, gli interessi ed i frutti civili si acquistano giorno per giorno.
La Banca del Salento ha rilevato l’inammissibilità del detto motivo assumendo trattarsi di domanda nuova, prospettazione che non può però essere condivisa, attesa la generica formulazione della richiesta adottata dal ricorrente incidentale in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di appello, quali desumibili dall’epigrafe della sentenza impugnata (“oltre interessi dalla maturazione al saldo”).
La doglianza tuttavia va disattesa nel merito poiché, trattandosi di pagamento indebito, gli interessi sono dovuti dal giorno del pagamento soltanto se chi lo ha ricevuto era in mala fede (art. 2033 c.c.), condizione la cui esistenza presuppone un accertamento di merito implicitamente effettuato in termini negativi dalla Corte di Appello, e comunque incompatibile con il presente giudizio di legittimità.
Con il terzo motivo, infine, il fallimento si è doluto della disposta compensazione delle spese processuali in ragione della pretesa fondatezza delle argomentazioni svolte, doglianza che va accolta tenuto conto della constatata improcedibilità della domanda proposta dalla banca nei suoi confronti.
Il rigetto del primo motivo del ricorso incidentale comporta l’assorbimento di quello incidentale condizionato articolato dalla Banca del Salento con riferimento all’assenta approvazione tacita degli estratti conto, approvazione dalla quale sarebbe derivata una preclusione in ordine alle contestazioni astrattamente proponibili al riguardo.
Conclusivamente, la domanda di quest’ultima nei confronti del fallimento va dichiarata improcedibile e conseguentemente la sentenza impugnata deve essere cassata sul punto senza rinvio; il ricorso incidentale dei fideiussori va dichiarato inammissibile; il ricorso principale e quello incidentale del fallimento devono essere rigettati.
Quanto alle spese processuali, dall’improcedibilità della domanda formulata contro il fallimento e dalla spiccata rilevanza sotto il profilo quantitativo e qualitativo delle questioni - disattese - sollevate dalla banca nel presente giudizio rispetto a quelle dedotte dal fallimento discende che le stesse vanno poste a carico della Banca del Salento, nella misura indicata in dispositivo. Le spese devono invece essere compensate per quanto concerne il rapporto banca -fideiussori,attesa la dichiarata inammissibilità del ricorso di questi ultimi.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi. Dichiara improcedibile la domanda della Banca del Salento nei confronti del fallimento Gridi Costruzioni s.r.l. e per l’effetto cassa senza rinvio la sentenza impugnata nella parte in cui pronuncia sulla detta domanda; dichiara inammissibile il ricorso incidentale dei fideiussori Luigi Chiriatti e Enrica Cappello; rigetta il ricorso principale e quello incidentale del fallimento; condanna la Banca del Salento al pagamento delle spese processuali sostenute dal fallimento nel giudizio di secondo grado e in quello in oggetto; dichiara compensate le spese processuali nei confronti dei fideiussori.
Liquida le spese in favore del fallimento in Euro 7.100, di cui Euro 100 per esborsi, per il presente giudizio e in Euro 7.500, di cui Euro 600 per esborsi per quello di appello oltre, per entrambe le liquidazioni, accessori di legge.
Roma, 20.1.2005
Il Presidente
Giammarco CAPPUCCIO
Il consigliere relatore
Carlo PICCININNI
Depositato in Cancelleria, 14 maggio 2005