Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


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Sentenza Brindisi

Caso MyWay/ForYou

Prodotto finanziario denominato 4you – Natura – Obbligo di informazione – Sussistenza. Violazione delle norme a tutela del consumatore – Sussistenza. “Contratto aleatorio unilaterale” – Atipicità del contratto – Nullità per contrasto con l’art. 1322 c.c. – Sussistenza.



Tribunale di Brindisi – Sezione fall. – Relatore Roberto Michele Palmieri, Presidente Vincenzo Fedele - Sentenza del giorno 21 giugno 2005.




La massima:

Ove l’accordo stipulato tra banca e cliente sia costituito dalla concessione di un finanziamento vincolato esclusivamente all’acquisto di particolari strumenti finanziari, la causa del negozio – caratterizzato da operazioni finanziarie tra loro funzionalmente collegate - deve essere ricercata nel collegamento negoziale tra il finanziamento e la vendita dei prodotti finanziari, con la conseguenza che alla fattispecie deve essere ritenuta applicabile la disciplina di cui agli artt. 21 e ss. del TUF, che impone all’intermediario lo specifico obbligo di diligenza, correttezza e trasparenza nei confronti del cliente.

Qualora il rapporto tra banca e cliente preveda un vantaggio certo a favore della prima ed un’alea rilevante carico del secondo, è possibile parlare di “contratto aleatorio unilaterale” avente natura atipica e non meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico ai sensi dell’art. 1322 c.c.



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale di Brindisi - Sezione Fallimentare - riunito in Camera di Consiglio con l’intervento dei Magistrati:

1) dr. Vincenzo Fedele Presidente

2) dr. Francesco Giliberti Giudice

3) dr. Roberto Michele Palmieri Giudice – rel.

ha emesso la seguente

SENTENZA
nella causa civile, in prima istanza, iscritta al n. 1926 del R.G. 2004,

TRA

D. S.,

rappresentato e difeso dall’avv.***;

- attore -

CONTRO

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A,
successore di Banca 121 s.p.a, già Banca del Salento s.p.a, in persona del legale rappresentante p.t, rappresentata e difesa dagli avv.ti ***;

- convenuta –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato, D. S. ha convenuto in giudizio la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a, esponendo che: a seguito di numerosi colloqui sollecitati dal direttore di filiale dell’ex Banca 121 s.p.a, nel corso dell’anno 2001 egli aveva concluso con la predetta banca un piano finanziario denominato “4 You”; tale prodotto gli era stato presentato quale strumento di previdenza integrativa idoneo a consentirgli guadagni su base annua superiori a quelli dei titoli di Stato; al momento della stipula del contratto egli aveva sottoscritto tutta una serie di documenti non ancora compilati e da lui non visionati, stante il rapporto fiduciario intercorrente con il suddetto diretto di filiale, e previa assicurazione di quest’ultimo che di lì a breve gli sarebbe pervenuta copia di tutta la documentazione da lui sottoscritta; egli aveva stipulato il contratto sulla base della duplice assicurazione del direttore di filiale sia che trattavasi di prodotto previdenziale, sia che egli avrebbe potuto in qualsiasi momento sciogliersi dal contratto, ottenendo la restituzione delle somme già corrisposte, maggiorate degli interessi; rassicurato da tale prospettazione dell’investimento, egli si era impegnato a versare la somma di ex lire 300.000 mensili; nel corso del 2003 aveva appreso dai mass media che il prodotto da lui acquistato consisteva non già in un piano previdenziale, sebbene in un finanziamento collegato all’acquisto di titoli di pertinenza della ex Banca 121 s.p.a; tale contratto doveva reputarsi nullo, o comunque annullabile, per le ragioni esposte in atti. Ha chiesto pertanto dichiararsi la nullità o annullamento del contratto in esame, con contestuale condanna della banca convenuta sia alla restituzione delle somme da lui versate, maggiorate della rivalutazione monetaria e degli interessi legali, sia al risarcimento dei maggiori danni da lui subiti. Il tutto con vittoria delle spese di lite, da distrarsi in favore del suo procuratore anticipatario.

Costituitasi in giudizio, la banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. ha chiesto il rigetto della domanda, con vittoria delle spese di lite.

A seguito di istanza ex art. 12 d. lgs. n. 5/03, il giudice relatore ha fissato udienza collegiale di discussione della causa per il 17.5.2005. A tale udienza le parti hanno illustrato le rispettive conclusioni e discusso oralmente la causa. Di seguito, previa conferma del decreto del g.r, il Tribunale - ai sensi dell’art. 15 5° co. d. lgs. n. 5/03 - ha riservato il successivo deposito della sentenza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda principale dell’attore è fondata, per quanto di ragione, e deve pertanto essere accolta, nei limiti di cui appresso.

Con il primo motivo di censura, deduce l’attore la nullità del contratto in esame per contrarietà a norme imperative, stante la mancata osservanza, da parte della banca proponente l’investimento, delle previsioni di cui agli artt. 21 e ss. d. lgs. n. 58/98.

La censura è fondata.

Il contratto oggetto del presente giudizio, denominato “4 You”, costituisce la risultante di una serie di operazioni economiche tra di loro funzionalmente collegate. Precisamente, il negozio si articola nella concessione, da parte della banca proponente l’investimento, di un finanziamento destinato esclusivamente all’acquisto di particolari strumenti finanziari, e segnatamente di titoli “Republic of Italy”, nonché di quote del fondo comune di investimento “Spazio Euro. NM”. Quale contropartita della concessione del finanziamento, il risparmiatore - per tutta la durata del rapporto negoziale - è tenuto al pagamento di una rata costante che comprende un tasso di interesse del 6,8% annuo.

Tale essendo il contenuto essenziale del contratto, occorre ora individuarne la natura giuridica, al fine dell’individuazione della disciplina applicabile.

Sul punto, reputa il Collegio che si esula senz’altro, nel caso in esame, sia dalla figura del mutuo semplice, sia da quella del c.d. mutuo di scopo. Ciò in quanto caratteristica precipua del mutuo – almeno nella sua connotazione c.d. reale - è rappresentata dalla messa a disposizione di una somma di danaro in capo al mutuatario, il quale ne acquista la proprietà, con l’obbligo di restituirla alla scadenza, secondo le modalità indicate nel contratto di mutuo. Particolare configurazione del contratto di mutuo è poi rappresentata dal c.d. mutuo di scopo, ricorrente tutte le volte in cui lo scopo del finanziamento assurge a causa del contratto, nel senso che il finanziamento è concesso a condizione (sine qua non) che la somma mutuata venga utilizzata dal mutuatario per una particolare finalità convenzionalmente pattuita. Con la conseguenza che l’impossibilità originaria dello scopo determina nullità del contratto, nel mentre la sua mancata realizzazione dà luogo ai rimedi risolutori (art. 1453 e ss. c.c.) normativamente previsti.

Nulla di tutto ciò accade invece nel contratto in esame. Ciò in quanto la somma asseritamente “mutuata” non è in alcun modo messa a disposizione del cliente, neppure con la limitazione rappresentata dalla sussistenza di un particolare scopo. Piuttosto, il finanziamento resta sul piano puramente nominale, in quanto, per espressa previsione negoziale (art. 1), esso “sarà esclusivamente utilizzato per l’acquisto/sottoscrizione degli strumenti finanziari indicati ai seguenti punti nn. 2 e 3” .

Alla luce di tali caratteristiche del contratto in esame, reputa il Collegio che esso esula senz’altro dalla fattispecie del mutuo, ponendosi piuttosto quale contratto atipico, la cui causa è da ricercarsi nel particolare collegamento negoziale sussistente tra le operazioni di riferimento. In particolare, reputa il decidente che la causa del contratto in esame sia da ricercarsi non solo – e non tanto – nel finanziamento di somme di danaro da parte della banca proponente l’investimento quanto, piuttosto, anche nella vendita di particolari prodotti finanziari da parte della banca medesima. Vendita attuata non già mediante acquisto diretto ed immediato di tali prodotti da parte del cliente, sibbene attraverso la concessione di un finanziamento da destinarsi al relativo acquisto.

Chiarita la natura giuridica del contratto in esame (contratto atipico con finalità, collegata, sia di finanziamento di somme, sia di acquisto di prodotti finanziari), occorre ora valutare se la banca proponente l’investimento abbia assolto agli obblighi normativamente previsti.

Sul punto, la particolare causale del contratto in esame – caratterizzata, si ribadisce, anche e soprattutto dalla vendita di strumenti finanziari – impone l’applicazione delle previsioni di cui agli artt. 21 e ss. d. lgs n. 58/98 (Testo Unico della Finanza – TUF).

Orbene, tali previsioni impongono all’istituto di credito uno specifico obbligo di informazione circa le caratteristiche fondamentali del contratto. Precisamente, grava sul proponente l’investimento uno specifico obbligo (art. 21 lett. a TUF) di diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse del cliente, obbligo che impone in particolare all’operatore finanziario un’azione tesa alla garanzia della massima informazione (art. 21 lett. b TUF) nei confronti del risparmiatore.

Ed è appena il caso di precisare che trattasi di obblighi a contenuto più stringente di quelli, generici, di correttezza ed informazione (artt. 1337-1375 c.c.), gravanti su qualunque parte del rapporto negoziale. La qual cosa deriva anzitutto dalla particolare natura del contratto in esame, il quali presenta un elevato grado di rischio, ed espone pertanto il risparmiatore ad una perdita potenzialmente illimitata della somma da lui mensilmente investito. In secondo luogo, non va trascurato che l’aderente all’investimento è spesso un soggetto privo delle cognizioni tecniche necessarie per operare in un settore altamente specializzato, quale quello del mercato dei valori mobiliari. Per tal ragione, deve ritenersi condicio sine qua non della validità del contratto la circostanza che, in sede di stipula dell’accordo negoziale, il risparmiatore abbia avuto adeguata informazione circa il tipo e le caratteristiche essenziali del contratto stesso. La qual cosa è tanto più vera se si considera che - a differenza di quanto accade in un normale schema negoziale, ove di norma non compaiono terzi garanti che vigilano ab origine sulla regolarità dell’accordo - l’attività del proponente l’investimento non è libera, ma è a sua volta soggetta a vigilanza da parte di soggetti terzi rispetto al singolo contratto, e segnatamente della CONSOB e della Banca d’Italia (artt. 5 e ss. TUF). Soggetti, questi ultimi, dotati di penetranti poteri nei confronti del proponente l’investimento, poteri articolantisi non solo in richieste di informazioni (art. 8 TUF), ma anche, più in generale, in attività di vigilanza ispettiva e regolamentare (artt. 6-7 TUF), nonché di convocazione degli organi dirigenti. Il tutto nel superiore interesse perseguito dal legislatore del 1998, che è quello – in armonia con l’esigenza costituzionale (art. 47 Cost. ) di tutela del risparmio - di assicurare massima trasparenza e correttezza dei comportamenti dei soggetti abilitati (art. 5 TUF), oltre che una sana e prudente gestione dei vari servizi finanziari da parte di questi ultimi.

In quest’ottica, non stupisce che, in deroga al principio della libertà delle forme che regola l’autonomia privata, il TUF abbia espressamente previsto (art. 23) la forma scritta ad substantiam dei contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento. Ciò in quanto, evidentemente, la sola forma scritta è stata ritenuta idonea a garantire l’adeguata informazione del risparmiatore, la sua conoscenza, cioè, del complesso dei diritti e doveri scaturenti dall’accordo negoziale.

Per tali ragioni, ritiene il Collegio che le norme regolanti i servizi di investimento di prodotti finanziari - in quanto volte alla tutela sia del singolo investitore, sia, più in generale, dell’intero mercato dei valori mobiliari – abbiano natura e portata di norme imperative. La qual cosa implica, da un lato, la non derogabilità di dette norme ad opera delle parti, e sotto altro profilo, la nullità per illiceità della causa sia dei contratti che, pur tuttavia, siano stati stipulati (c.d. nullità virtuali, arg. ex artt. 1418 – 1343 c.c.), sia delle transazioni (art. 1972 c.c.) eventualmente compiute dalle parti.

Venendo ora al caso in esame, e riprendendo quanto prima esposto, reputa il Collegio che l’istituto di credito convenuto ha violato i primari doveri di informazione stabiliti dal TUF. Invero, sussiste in capo alla banca una palese violazione dei doveri di informazione e correttezza sanciti dall’art. 21 TUF, posto che detta banca ha taciuto all’attore circostanze decisive nell’economia del contratto. Precisamente, nonostante il contratto faccia riferimento, tra gli allegati, ai prospetti informativi sia del “Republic of Italy Programme”, sia dell’offerta al pubblico di quote dei fondi comuni di investimento mobiliare gestiti da “Spazio Finanza s.p.a”, nondimeno tali allegati non risultano in alcun modo depositati nel presente giudizio.

Pertanto, nonostante il contratto preveda, quale sua componente essenziale, l’acquisto dei predetti valori mobiliari, sono state totalmente sottaciute al risparmiatore – o comunque non vi è prova di tale specifica informazione, stante l’assenza di tali allegati – le informazioni principali concernenti gli strumenti finanziari oggetto di acquisto. Precisamente, sono state sottaciute all’attore le informazioni fondamentali concernenti tali sedicenti titoli emessi dalla “Republic of Italy”, e segnatamente quelle relative a: 1) la natura giuridica della società emittente le azioni in esame, il suo volume di affari, il suo capitale sociale, se esso fosse o meno interamente versato, ecc; 2) gli eventuali rapporti di collegamento e/o partecipazione societaria; 3) la redditività media dei titoli negoziati, mediante riferimento comparativo all’utile ricavato dalle precedenti collocazioni di detto titolo sul mercato. Informazioni che, sole, avrebbero consentito al risparmiatore una piena consapevolezza degli strumenti finanziari che si accingeva ad acquistare. Informazioni che, nondimeno, sono state, nella specie, del tutto omesse.

Informazioni analoghe la banca proponente l’investimento avrebbe poi dovuto fornire in relazione al sedicente fondo comune di investimento denominato “Spazio Euro.NM”, le cui quote il risparmiatore, per contratto, andava ad acquistare. E non diversamente da quanto sopra, anche di tale Fondo si sconosce la benché minima informazione.

Ciò fa si che, al momento della stipula del contratto, l’attore fosse del tutto all’oscuro circa i valori mobiliari negoziati con la banca convenuta. In sostanza, egli ha acquistato “al buio” strumenti finanziari di cui, per legge (artt. 21 e ss. TUF), egli aveva il diritto di conoscerne le principali caratteristiche. La qual cosa costituisce l’antitesi del principio di trasparente e corretta informazione delle vicende concernenti l’acquisto di valori mobiliari, cui – in attuazione dell’art. 47 Cost. – si ispira il TUF.

Ne consegue, in accoglimento della specifica censura di parte attrice, la dichiarazione di nullità del contratto in esame, stante la sua contrarietà alle norme imperative (art. 21 TUF, in relazione agli artt. 1418-1343 c.c.) di legge.

Per quanto tali considerazioni appaiano di per sé sufficienti all’accoglimento della domanda dell’attore, ragioni di completezza inducono il Collegio - in relazione all’ulteriore censura sollevata da parte attrice - a dichiarare la nullità anche di singole clausole del contratto in esame, per contrarietà alle prescrizioni di cui agli artt. 1469 bis e ss. c.c.

Sul punto, premette il Collegio che, in astratto, la normativa sulle c.d. clausole vessatorie trova senz’altro applicazione alla fattispecie in esame, stante la qualità di consumatore rivestita dall’attore, qualità certificata dall’apposita “spunta” contenuta nella parte iniziale dell’accordo.

Tanto premesso, rileva il decidente che un primo profilo di squilibrio che il contratto prevede a vantaggio della banca proponente l’investimento ed in danno dell’attore è rappresentato dalle modalità di esercizio del diritto di recesso spettante a quest’ultimo. Invero, tale facoltà prevede, quale contropartita (Sez. II, n. 8), l’obbligo di quest’ultimo di corrispondere alla banca, “oltre agli interessi e gli altri oneri maturati fino all’esercizio di detta facoltà, un importo determinato dalla somma delle rate ancora a scadere, comprensive di capitale ed interessi, attualizzata al tasso IRS (Interest Rate Swap) corrispondente al periodo intercorrente tra la data di esercizio della facoltà di anticipata estinzione e la data di naturale scadenza del finanziamento”.

Trattasi, a tutta evidenza, di una clausola limitativa del diritto di recesso, non bilanciata da analoga facoltà concessa al consumatore per l’ipotesi di recesso della banca. Per tale ragione, detta clausola deve reputarsi nulla, ai sensi dell’art. 1469 bis 3° co. n. 5 c.c.

Altro profilo di squilibrio del sinallagma contrattuale è poi rappresentato dal fatto che la banca fa acquistare dall’attore prodotti finanziari riconducibili alla banca stessa, lucrando un tasso di interesse certo e definito (nella specie, il 6,8% annuo). In tal modo, la banca si autofinanzia, riuscendo non soltanto a collocare sul mercato titoli di altrimenti difficile negoziazione - essendo gli stessi quotati non in Borsa, ma, a tutto voler concedere, in mercati non regolamentati – ma a collocare titoli propri (o comunque ad essa riconducibili), lucrando in tal modo su un’operazione rivolta a suo prevalente, se non esclusivo, favore.

A fronte di un guadagno certo della banca (il tasso di interesse del 6,8% annuo convenzionalmente pattuito), all’attore sono invece attribuiti margini di redditività del tutto aleatori. Invero, lo stesso contratto (Sez. 1, punto 6) dà atto del fatto che “le operazioni eventualmente eseguite su strumenti finanziari non negoziati in mercati regolamentati possono comportare gravi difficoltà di liquidare gli strumenti finanziari acquistati e comunque di valutarne il valore effettivo”, per aggiungere poi che tali operazioni “sono caratterizzate da una rischiosità molto elevata, con possibilità di perdite anche eccedenti l’esborso originario, il cui preventivo apprezzamento è ostacolato dalla loro complessità”. In maniera ancora più significativa, con riferimento all’acquisto di quote del suddetto fondo comune di investimento, è lo stesso contratto a riconoscere che “non v’è garanzia del rendimento futuro delle stesse”.

Riepilogando, con l’operazione in esame la banca acquista un doppio vantaggio, rappresentato sia dal fatto che la stessa si autofinanzia (in quanto vengono acquistati prodotti ad essa stessa riconducibili, e di altrimenti difficile collocazione sul mercato), sia dal fatto che essa lucra anche un tasso di interesse da un’operazione, già di per sé, economicamente vantaggiosa.

Di contro, l’attore finanzia la banca, e lo fa a sue spese, in quanto acquista prodotti della banca stessa, pagando un tasso fisso certo (il 6,8% annuo), senza però avere alcuna garanzia circa la redditività futura del proprio investimento, ed anzi dovendo mettere in conto “…una rischiosità molto elevata, con possibilità di perdite anche eccedenti l’esborso originario”.

Per tali caratteristiche, il contratto atipico in esame realizza una figura sinora ignota al panorama giuridico italiano, quella, cioè, del “contratto aleatorio unilaterale”. Invero, l’alea – quale elemento attinente alla causa del contratto – è tutta concentrata nella sfera giuridica del risparmiatore, che paga un saggio di interesse fisso senza una aspettativa (seppur in termini soltanto aleatori) di corrispondente vantaggio, nel mentre la banca si giova di tale saggio (nonché del primario beneficio dell’autofinanziamento) senza, di contro, obbligarsi – neppure in via ipotetica, secondo i dettami dell’alea - ad alcuna corrispondente prestazione nei confronti della controparte.

È evidente, allora, lo squilibrio contrattuale derivante da tale genere di operazione. Dal che consegue anzitutto la nullità della clausola contrattuale (Sez. I, n. 6, quarta ipotesi) prevedente l’accettazione, da parte del consumatore, del rischio “di perdite anche eccedenti l’esborso originario”, per contrarietà alla previsione di cui all’art. 1469 bis 1° co. c.c.

In secondo luogo, il prevedere il contratto in esame un’alea di tipo soltanto unilaterale non consente, ad avviso del Collegio, di ritenerlo meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322 c.c.). Ciò in quanto l’ordinamento non può ammettere la validità di contratti atipici che, lungi dal prevedere semplici modalità di differenziazione dei diversi profili di rischio, trasferisca piuttosto in capo ad una sola parte tutta l’alea derivante dal contratto, attribuendo invece alla controparte profili certi quanto alla redditività futura del proprio investimento. L’insanabile squilibrio iniziale tra le prestazioni oggetto del sinallagma contrattuale rende allora l’intero contratto in esame – e non soltanto le singole clausole sopra indicate – radicalmente nullo, non soltanto per contrasto con gli art. 21 e ss. TUF, ma anche per sua contrarietà alla previsione di cui all’art. 1322 c.c, non essendo detto negozio volto alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.

Naturalmente, la nullità del contratto determina - in applicazione delle norme sull’indebito oggettivo (art. 2033 e ss. c.c.) ed in accoglimento della domanda principale dell’attore - la condanna della banca alla restituzione, in favore del S., delle somme da quest’ultimo percepite in esecuzione del contratto nullo.

Quanto alla decorrenza degli interessi legali sulla somma da restituire, rileva il Collegio che non sono emersi nel presente giudizio elementi tali da escludere la buona fede iniziale del convenuto (buona fede che, come è noto, si presume – art. 1147 c.c.). Per tale ragione, in ossequio al disposto dell’art. 2033 c.c, gli interessi legali sulla somma da restituire devono essere computati dal 30.7.2004 – data di notifica dell’atto di citazione e conseguente dies a quo di decorrenza della mora - al soddisfo.

Quanto alla richiesta di rivalutazione monetaria della somma, occorre ricordare che, trattandosi di obbligazione di valuta, il creditore aveva l’onere di dimostrare il maggior danno subito per effetto del ritardato adempimento (art. 1224, 2° co, c.c.), mediante riferimento, ad es, alla redditività media del capitale da lui utilizzato.

A tali oneri l’attore non ha assolto, sicché la sua domanda relativa alla rivalutazione monetaria deve essere rigettata.

Va del pari rigettata l’ulteriore domanda dell’attore di condanna della controparte al risarcimento dei danni precontrattuali ed extracontrattuali, stante l’assenza di prova, da parte dell’attore – a tanto onerato, in virtù dei principi generali (art. 2697 c.c.) - di un pregiudizio economico ulteriore rispetto a quello espressamente risarcito.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, con distrazione in favore del procuratore anticipatario dell’attore.

P.Q.M.

Il Tribunale di Brindisi - Sezione Fallimentare - pronunciando sulla domanda proposta da D. S. con atto di citazione ritualmente notificato a Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (quale successore a titolo universale di Banca del Salento s.p.a.), nel contraddittorio delle parti costituite così provvede:

1) 1) accoglie la domanda principale dell’attore, per quanto di ragione, e per l’effetto condanna l’istituto di credito convenuto alla restituzione, in favore dell’attore, delle somme da quest’ultimo corrisposte in esecuzione del contratto in esame, oltre interessi legali su tali somme, dal 30.7.2004 al soddisfo;

2) 2) rigetta l’ulteriore domanda risarcitoria dell’attore;

3) 3) condanna il convenuto al rimborso, in favore del procuratore anticipatario dell’attore, avv. ********, delle spese di lite da questi sostenute, che si liquidano in complessivi € 3.330, di cui € 330 per spese, € 1.000 per diritti ed € 2.000 per onorari, oltre spese generali, CAP e IVA come per legge.

Brindisi, 21.6.2005

Il Giudice est.

(Roberto Michele Palmieri)

Il Presidente


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