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SECONDA RIMESSIONE ALLA CORTE CORTE COSTITUZIONALE DEL DECRETO SALVACOMPAGNIE.
NUOVA VITTORIA DI ADUSBEF: IL GIUDICE DI PACE DI BARI TRASMETTE GLI ATTI ALLA CORTE PER L’ESAME DI LEGITTIMITA’
(degli Avv. Antonio Tanza e Massimo Melpignano)
A distanza di poco più di una settimana dalla prima rimessione del Giudice di Pace di Lecce, il Giudice di Pace di BARI, Avv. Maria Goffredo, sulla eccezione sollevata dagli Antonio TANZA (Vicepresidente Nazionale ADUSBEF Onlus) e Avv.ti Massimo MELPIGNANO (delegato di ADUSBEF onlus Terra di Bari) in un giudizio promosso da un utente ADUSBEF di Bari, ha depositato in data 19 marzo 2003 l’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale per la dichiarazione di illegittimità dell’art. 1 del decreto legge 8 febbraio 2003 n. 18 (meglio noto come decreto “salva-compagnie”) per violazione dell’ artt. 24 della Costituzione.
Secondo le 10 pagine dell’ordinanza di rimessione del Giudice GOFFREDO, il decreto viola la Costituzione, che invece assicura a tutti i cittadini i mezzi per agire e difendersi in giudizio.
Per il Giudice di Pace di Bari “avere consentito, con l’emanazione del decreto legge n. 18/2003, l’impugnazione dinanzi al Tribunale di tutte le sentenze emesse dal giudice di Pace anche di importo inferiore a 1100 euro, nei giudizi riguardanti i contratti di massa, e quindi istituito un doppio grado di giurisdizione, è aver limitato in modo grave e sostanziale l’accesso alla giustizia dei non abbienti per cause di importi modesti”.
Il decreto legge impugnato, quindi, si pone in contrasto con le numerose norme (tra cui di recente il gratuito patrocinio) che sono state emanate proprio per consentire a tutti un effettivo accesso alla Giustizia, in ossequio all’art. 24 della Costituzione.
ADUSBEF Onlus segna un nuovo punto a favore dei consumatori/cittadini/utenti nella lotta contro la prepotenza dei poteri forti.
Già il 10 marzo il Giudice di Pace di Lecce, avv. Luigi Piro, aveva rimesso gli atti alla Corte Costituzionale per violazione degli artt. 3, 24, 25, 41, 77, 101, 102 e 104 della Costituzione.
A tale pronuncia si aggiunge ora quella del Giudice di Pace di Bari.
Mentre a Roma – in Parlamento - si discute sulla conversione in legge del famigerato decreto, nel resto d’Italia comincia a montare la protesta contro l’illegittimo provvedimento salva compagnie.
Dopo Lecce e Bari, sono previste nei prossimi giorni altre ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale da parte di altri Uffici del Giudice di Pace, sulle eccezioni sollevate da Adusbef.
UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI BARI
Il Giudice di Pace di Bari Avv. Maria I. Goffredo nella causa iscritta al N. 869 R.G. Affari Civili dell’anno 2003 vertente tra Di Bartolomeo Tommaso, rappresentato e difeso unitamente e disgiuntamente dall’Avv. Massimo Melpignano del Foro di Bari e dall’Avv. Antonio Tanza del Foro di Lecce contro la Fondiaria Sai Spa nella persona del legale rappr.te ( già Sai Spa giusta fusione per incorporazione tra la Spa Fondiaria e Spa SAI pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale N. 1 del 2.1.2003.) rappr.ta e difesa dagli Avv.ti Pietro Augusto de Nicolo del Foro di Bari, Prof. Riccardo Villata ed Andreina Degli Esposti del Foro di Milano.
Letti gli atti e sciogliendo la riserva di cui all’udienza dell’11 marzo 2003, concernente la rimessione degli atti di causa alla Corte Costituzionale per incostituzionalità dell’articolo 1 del Decreto Legge 8.2.03 n.18 in rapporto agli artt. 3, 24, 25, 41, 77, 101, 102 e 104 della Costituzione OSSERVA
Con atto di citazione notificato in data 18.1.03 il sig. Di Bartolomeo Tommaso conveniva in giudizio la Sai Spa Ass.ni per sentirla condannare al pagamento della somma di €uro 182,14 oltre interessi e valutazione monetaria o di quella somma maggiore o minore che risulterà di giustizia entro i limiti di competenza del giudice adito da liquidarsi in via equitativa ex art. 1226 c.c. ed a titolo di responsabilità contrattuale in favore della odierna parte attrice, per avvenuta violazione dell’obbligo di buona fede nella formazione ed esecuzione del contratto, nonché per avvenuta violazione dei doveri di correttezza trasparenza ed equità imposti ex lege nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi, in via subordinata la medesima condanna ex art. 1226 c.c. ed a titolo di risarcimento danni ex art. 2043 c.c. In via gradata , condannare la Compagnia Assicuratrice alla restituzione della somma di € 182,14, indebitamente percepita, oltre gli interessi e rivalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 2033 c.c.; condannare la predetta Compagnia al pagamento delle spese e competenze di causa, nonchè il rimborso forfettario ex art. 15 T.F.
Alla prima udienza in data 25.2.2003 compariva per l’attore l’ Avv. Massimo Melpignani, il quale sollevava formale questione di illegittimità costituzionale dell’art.1 del Decreto Legge 8.2.2003 n.18 per violazione degli artt. 3,24,25,41,77,101,102 e 104 della Costituzione, nella parte in cui a modificazione dell’art.113 c.p.c., sottraeva alla valutazione secondo equità i giudizi pendenti innanzi agli uffici del Giudice di Pace e relativi ai contratti di massa di cui all’art. 1342 c.c. chiedeva, altresì, dichiararsi la contumacia della società convenuta Sai Spa Ass.ni. Il Giudicante controllata la regolarità della notifica dichiarava la contumacia della società convenuta ritualmente citata e non comparsa, rinviando la causa per la discussione in ordine alla questione di legittimità costituzionale sollevata all’udienza del 26.2.2003. In tale udienza l’Avv. Melpignano, anche in sostituzione dell’Avv. Antonio Tanza per l’attore, concludeva oralmente e a verbale la formale questione di illegittimità costituzionale dell’art. 1 del Decreto Legge 8.2.2003 n. 18, intitolato “ Disposizioni urgenti in materia di giudizio necessario secondo equità”, pubblicato in G.U. n.33 del 10.2.2003 per violazione degli artt. 3,24,25,41,77,101,102, e 104 della Costituzione, nella parte in cui modificava l’art. 113 co.2 del codice di procedura civile, il giudice si riservava.
Il Giudice di Pace con ordinanza emessa fuori udienza del 3.03.03, letti gli atti rimetteva la causa sul ruolo ritenendo opportuno chiedere alla parte attrice chiarimenti in ordine alla nuova ragione sociale della società convenuta e rinviava la causa all’ udienza dell’11.03.2003.
Il Giudicante infatti avvertito che la citazione risultava regolarmente recepita da addetti dell’ufficio della Sai Spa sede di Torino al Corso Galilei 12, che vi apponevano un timbro recante la dicitura – Fondiaria Sai SPA - mentre la citazione era notificata alla sola Sai Spa effettuava una ricerca normativa e rilevava che nella Gazzetta Ufficiale n.1 del 2.1.2003 era pubblicato il provvedimento dell’ISVAP del 20.12.2002, che disponeva la fusione per incorporazione della Fondiaria Spa nella Sai Spa con relativo cambio di denominazione sociale in Fondiaria Sai Spa e trasferimento della sede legale da Torino Corso Galilei 12 a Firenze Piazza della Libertà 6 a decorrere dalla data di efficacia della fusione.
Il Giudicante al riguardo, considerava la necessità di una eventuale revoca della dichiarazione di contumacia, stante l’indirizzo costante della giurisprudenza della Suprema Corte di considerare nulla la notifica della citazione alla società incorporata ad un’altra, per effetto di fusione, nel luogo ove aveva sede prima dell’incorporazione per essere venuta meno la sede legale.
All’udienza di rinvio dell’11.3.2003 si costituiva la convenuta Fondiaria Sai Spa con gli Avv.ti Pietro Augusto de Nicolo, Riccardo Villata ed Andreina Degli Esposti, i quali in via preliminare eccepivano l’incompetenza ratione materiae del giudice adito a favore della Corte d’Appello di Bari; nel merito eccepivano la prescrizione dell’avversa domanda, nonché il rigetto della stessa sia nell’an che nel quantum con vittoria di spese e competenze di lite. In ordine alla dedotta eccezione di illegittimità costituzionalità dell’art.1 del D.L. n.18 dell’’8.02.03 proposta da parte attrice dichiaravano la non fondatezza della stessa confutando punto per punto le avverse posizioni.
Il difensore di parte attrice impugnava e contestava quanto dedotto ed eccepito e concludeva sia nel merito che in ordine alla questione di legittimità costituzionale. Il Giudice di pace prendeva atto, constatato il regolare contraddittorio delle parti e si riservava.
Con la presente ordinanza il Giudice di Pace avendo preso atto del regolare contraddittorio istauratosi tra le parti fin dall’udienza del 25.2.2003, e considerato che deve intendersi intempestiva la eccezione di incompetenza ratione materiae sollevata nella comparsa di costituzione e risposta dalla Fondiaria Sai Spa, in quanto costituitasi solo in data 11.03.03, quindi oltre la I udienza di trattazione, si limita con la presente ordinanza a considerare le eccezioni di incostituzionalità sopra riportate.
Nel merito delle questioni di incostituzionalità si osserva quanto segue:
1) Si conviene in primo luogo sulla possibilità che il Giudice possa sollevare questioni di legittimità sulle norme del Decreto Legge nelle more della conversione in Legge stante la parificazione alla legge formale degli atti aventi valore di legge, sul quale si è ripetutamente ed in modo univoco espressa la Corte Costituzionale.
2) Non è fondata la eccezione di incostituzionalità del Decreto Legge relativamente alla violazione del principio del giudice naturale ex art. 25 della Costituzione. Lamenta al riguardo parte attrice che a contenzioso in corso e con il mutamento delle regole processuali sono stravolti i criteri stabiliti per il tipo di controversia e per valore ecc, in base al quale il cittadino deve conoscere in anticipo il giudice che giudicherà. Il Giudicante non ritiene fondata l’eccezione in quanto non può farsi assumere alla disposizione di cui all’art. 25 della Costituzione un effetto paralizzante nei confronti di ogni modifica della competenza tra i diversi giudici.
3) Non può nemmeno condividersi la eccezione di incostituzionalità del Decreto Legge per violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione sotto il profilo che il Decreto Legge riserverebbe un giustificato trattamento di favore nei confronti dei contraenti forti, sottraendo il vaglio di detti contratti al rito secondo equità che continua ad applicarsi per tutto il diverso contenzioso del Giudice di Pace al di sotto dei 1100 euro. Al riguardo si deve notare che il giudizio di equità ex lege consentito al Giudice di Pace rispetto al giudizio secondo diritto non costituisce una agevolazione per nessuna delle parti (contraente forte o debole) non potendosi assumere una gerarchia di favore tra il giudizio secondo diritto ed il possibile giudizio secondo equità. La scelta del legislatore si connette ad una valutazione di economia del giudizio connessa alla limitazione della possibilità di impugnazione. Sotto questo profilo la eliminazione della impossibilità di appello nei confronti delle sentente del Giudice di Pace di importo inferiore ai 1100 euro non limita di per sé il diritto della difesa che viene anzi formalmente esaltata dalla possibilità di avere un vaglio giurisdizionale plurimo, condizione di per sé non negativa ma positiva, costituente una assimilazione di tutte le sentente dei Giudici di Pace alle sentente degli altri Giudici. La possibilità di appello non costituisce un trattamento peggiorativo o ingiustificatamente anomalo, nemmeno nel caso proposto dal Decreto Legge, per cui la esclusione dalla impugnazione non viene effettuato solamente in base al valore della causa ma anche dalla materia e cioè i cosiddetti contratti di massa o di adesione regolati dall’art. 1342 c.c.
4) Non sono altresì condivisibili le eccezioni di incostituzionalità del Decreto Legge con il riferimento agli artt. 101 102 104 e 41 della Costituzione, norme che hanno una portata generale nella quale non sembra contrastare in modo specifico le norme della decretazione di urgenza in esame.
5) Non sussiste nemmeno la violazione dell’art. 77 della Costituzione in quanto il Decreto intenderebbe regolare una fattispecie di giudizi seriali consistenti che si sono creati solo nell’attualità del momento per cui se non si considera il merito politico economico sociale della vicenda ( sulla quale diverse possono essere le valutazioni circa la difesa dei diritti dei consumatori) non vi è dubbio che vi sarebbero in astratto i presupposti di urgenza e di necessità.
6) Ad avviso di questo Giudicante non è manifestamente infondata la questione di incostituzionalità dell’art.1 del Decreto Legge dell’8.2.2003 per violazione dell’art 24 Cost., limitatamente alla disposizione del suo III comma.
Secondo tale norma sono assicurati ai non abbienti con appositi istituti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. Non vi è dubbio che tra gli istituti che il legislatore ordinario ha ipotizzato per acconsentire un effettivo accesso alla giustizia dei non abbienti si debba annoverare tra gli altri ( quali il patrocinio gratuito regolamentato con il DPR 30.5.2002, n.115, ecc) anche l’art. 82 I comma del c.p.c. che ha una portata generale in quanto consente a tutti di stare in giudizio personalmente nelle cause davanti al Giudice di Pace il cui il valore non eccede 516,46 euro ivi compresi i non abbienti. Infatti, è proprio questa categoria di persone che vede riconosciuto il proprio diritto costituzionalmente garantito dall’art.24 della Costituzione con la predisposizione di appositi istituti fra i quali, la difesa processuale personale, per difendersi davanti ad ogni giurisdizione. Secondo il combinato disposto del I comma dell’art 82 c.p.c. ed il precedente II comma dell’art 113 cpc “tutti i cittadini” ma segnatamente i non abbienti potevano avere un accesso alla giustizia facilitato dalla difesa personale fino alla definizione del giudizio di merito che era in unico grado davanti al Giudice di Pace. Avere invece consentito, con l’emanazione del Decreto Legge n.18 l’impugnazione dinanzi al Tribunale di tutte le sentenze emesse dal Giudice di Pace anche di importo inferiore a 1100 euro, nei giudizi riguardanti i contratti di massa, e quindi istituito un doppio grado di giurisdizione, è aver limitato in modo grave e sostanziale l’accesso alla giustizia dei non abbienti per cause di importi modesti. Con l’entrata in vigore del D.L. tutte le volte che la controparte esercita l’impugnazione della sentenza di I grado, i meno abbienti, non essendo il giudizio concluso nel merito, vedono vanificare l’agevolazione della difesa personale dovendosi valere in appello della difesa tecnica. Sotto questo profilo si verrebbe a creare un danno al cittadino non abbiente che sarebbe scoraggiato dall’intraprendere un’azione nei confronti di una controparte “forte” nella prospettiva di un possibile giudizio di appello che lo costringerebbe ad una difesa tecnica (con eventuale ricorso al patrocinio gratuito) precludendolo dalla possibilità di difesa processuale personale per cause il cui valore è inferiore a 1100 euro. La norma del Decreto Legge costituisce di fatto una sostanziale limitazione di un diritto garantito ai non abbienti imprescindibile nella ratio della nostra Costituzione in quanto diritto riguardante i rapporti civili, da cui scaturirebbe di conseguenza un eccessivo esborso ( con eventuale danno dello stato per spese di giustizia) per cause di valore minimo, soggette ad impugnazione. Diversamente, i predetti, stando in giudizio davanti al Giudice di Pace senza il ministero o l’assistenza del difensore vedrebbe conclusa nel merito la causa. Da ciò deriva, ad avviso di questo giudicante la non manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale dell’art.1 del D.L.n.18 del 8.2.2003 nella parte in cui limita l’istituto della difesa personale ex art. 82 c.p.c. ai non abbienti per violazione dell’art. 24 III comma della Costituzione a seguito dell’istituito grado di appello.
Il procedimento de quo non potendo essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale che non appare manifestamente infondata, deve essere sospeso e gli atti devono essere rimessi, a mente dell’art. 23 L. 11.3.1953 n.87, alla Corte Costituzionale.
P.Q.M.
Ordina la sospensione del procedimento di cui in epigrafe e la trasmissione degli atti relativi alla Corte Costituzionale;
Ordina, inoltre, che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati.
Bari, 19 marzo 2003
Il GdP
Avv. Maria I.Goffredo
Avanti ! E' rimessa alla sensibilità dei Giudici di Pace la lotta verso il ripristino della legalità: sono necessarie decine e decine di rimessioni.
Lecce-Roma, 19 marzo 2003
Vicepresidenza e Delegazione Bari
Il Giudice di Pace di Lecce, Dott. Luigi PIRO, ha accolto la prima questione di legittimità costituzionale sollevata da ADUSBEF Onlus relativa all’art. 1 del DECRETO-LEGGE 8 febbraio 2003, n. 18, il c.d. decreto salva compagnie.
(degli Avv.ti Antonio TANZA e Massimo MELPIGNANO)
Solo trenta giorni sono passati da quando l’Italia dei consumatori apprendeva con sdegno l’emanazione dello sciagurato provvedimento governativo che già è stata emessa la prima ordinanza per il controllo di legittimità del decreto legge da parte della Corte Costituzionale.
Lo strumento del decreto legge e' già di per se provvisorio e potrà, comunque, non essere convertito in legge: tuttavia per il momento i consumatori si avvantaggeranno nelle trattative con il governo, al fianco delle compagnie di un’arma in più.
Milioni sono i cittadini che con quel colpo di spugna hanno perso la possibilità di vedersi riconosciuto un rimborso che mediamente si aggirava sui 500 euro ad automobile.
L’ANIA tra smentite e proposte ha offerto un bonus di 100 euro a quegli utenti che sono restati assicurati a quella compagnia.
Il Giudice di Pace di Lecce, dott. Luigi Piro, chiamato a pronunciarsi sul giudizio promosso dal Dott. Domenico NIGRO da Lecce, un utente ADUSBEF Onlus, rappresentato dagli avv.ti Antonio Tanza (Vicepresidente Adusbef), Salvatore De Gaetanis e Massimo Melpignano, sciogliendo la riserva del 5 marzo 2003, ha oggi depositato l’ordinanza (la prima in Italia) di rimessione degli atti processuali alla Corte Costituzionale per la dichiarazione di illegittimità (costituzionale) dell’art. 1 del DECRETO-LEGGE 8 febbraio 2003, n. 18, intitolato "Disposizioni urgenti in materia di giudizio necessario secondo equità", pubblicato in G.U. n. 33 del 10-2-2003, per violazione di legge nella parte in cui, a modificazione dell’art. 113 co. 2 del codice di procedura civile, sottrae alla valutazione secondo equità i giudizi pendenti innanzi agli Uffici del Giudice di Pace e relativi ai contratti c.d. di massa di cui all’art. 1342 codice civile.
Tale disposizione normativa è nata sicuramente per soffocare il nascente contenzioso teso al rimborso della somma percentuale di aumento del premio R.C. auto applicato da numerose Compagnie di Assicurazione in conseguenza ad un accordo di cartello, come accertato dalla Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato con provvedimento n. 8546 del 28/7/2000 e confermato dal T.A.R. Lazio con sentenza n. 6139/2001 e dal Consiglio di Stato con pronuncia n. 129/2002 ed interviene, più in generale, su tutti i contratti c.d. di massa (bancari, telefonici, di somministrazione di luce gas acqua, ecc.) perché tutti rispondenti ai richiamati requisiti ex art. 1342 cod. civ.-
La modifica dell’art. 113 c.p.c. di fatto, sottrae il contenzioso afferente i contratti di massa al vaglio secondo equità ed introduce per questa tipologia contenziosa il grado d’appello, in precedenza escluso potendosi invece impugnare le sentenze pronunciate secondo equità dinanzi alla Cassazione.
Tutto ciò comporterà l’allungamento dei tempi della giustizia, l’aumento dei costi con l’introduzione di altro grado del giudizio, la negazione (o comunque l’estrema difficoltà) all’esercizio del diritto di difesa.
Il Giudice di pace nella sua ordinanza ha toccato molti punti ed in particolar modo ha ritenuto che l’art. 1 del DECRETO-LEGGE 8 febbraio 2003, n. 18, ha comportato la
Violazione dei principi di straordinaria necessità ed urgenza per l'emanazione di decreti che abbiano valore di legge ordinaria tutelato dall’art. 77 Cost. L’attuale Governo, seguendo la pessima abitudine del precedente (anatocismo, mutui, micropermanennti, ecc…), ha abusato della c.d. decretazione d’urgenza repressiva: è mai possibile che detti provvedimenti vengano presi solo quando ci sono interessi economici delle banche, assicurazioni e potentati vari? Le compagnie di assicurazione, al cui favore sembra emanato "ad hoc" il citato decreto" hanno l'obbligo normativo di contrarre in materia di R.C. auto, attenendosi alle regole del libero mercato. Il decreto legge, in antitesi con la recente produzione normativa a tutela della parte contraente debole/consumatore (si pensi, alla L.108/96, alla L. 281/98 Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti che ha introdotto nel Codice Civile gli artt. 1469 bis e ss., alla legge sulla sub-fornuitura, alla L. 281/98) non tutela il contraente debole/consumatore/utente-assicurativo che, per legge, è obbligato a stipulare una polizza R.C. auto. Al contrario il D.L., di fatto introduce, a fronte di una sanzionata violazione da parte delle Compagnie delle regole del marcato, una imprevista compressione del diritto soggettivo al rispetto delle regole
Violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza previsto e tutelato dall’art. 3 Costituzione: il D.L. in esame riserva un ingiustificato trattamento di favore nei confronti dei c.d. "contraenti forti", cioè a dire di coloro che redigono ed "impongono" alla clientela in contratti standard ex art. 1342 C.C. Detto decreto sottrae solo questi contratti già sostanzialmente deboli alla decisione secondo equità, a differenza degli altri contratti, cui la novella non si applica. Risulta parimenti violato il principio di ragionevolezza che condiziona tutto l'ordinamento nella sua obiettiva struttura vietando che la legge ponga in essere una disciplina che direttamente o indirettamente dia vita ad una, non giustificata, disparità di trattamento delle situazioni giuridiche, indipendentemente dalla natura e dalla qualificazione dei soggetti ai quali queste vengono imputate.
Violazione delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario previsto e tutelato dagli artt. 24, 101, 102 e 104 della Costituzione: a tale riguardo la Corte Costituzionale ha piu' volte affermato che "il legislatore vulnera le funzioni giurisdizionali a) quando intervenga per annullare gli effetti del giudicato; b) quando la legge sia intenzionalmente diretta ad incidere su concrete fattispecie sub iudice". Come ben si vede, tale principio ben si attaglia al cospicuo contenzioso in essere in materia di rimborsi R.C. auto.
Violazione del diritto di difesa previsto e tutelato dagli artt. 24 della Costituzione: il D.L. n. 18/2003 di fatto preclude la tutela giurisdizionale del "contraente debole" sulla base del diritto vigente al tempo della domanda. E' infatti evidente che l'innovazione legislativa influisce con forza pressochè paralizzante sui giudizi in corso.
Ecco il testo del provvedimento del Dott. Luigi PIRO, Giudice di Pace di Lecce.
UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI LECCE
Il Giudice di Pace di Lecce, Avv. Luigi Piro, ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
Nella causa civile iscritta al numero del ruolo generale 343/2003 e promossa da:
NIGRO DOMENICO, elettivamente domiciliato in Lecce alla via Martiri D’Otranto n° 4 presso lo studio degli avv. ti Antonio Tanza, Salvatore De Gaetanis e Massimo Melpignano che lo rappresentano e difendono , in virtù di procura ad litem stesa a margine dell’atto di citazione;
Attore
Contro
LLOYD ADRIATICO S.p.a., in persona del suo legale rappresentante, corrente in Trieste ed elettivamente domiciliata in Lecce presso lo studio dell’avv. Antonio De Mauro che la rappresentata e difende in virtù di procura stesa in calce alla copia notificata dell’atto di citazione;
Convenuta
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 15.01.2003 notificato il successivo 19/gennaio/2003, Nigro Domenico adiva questo giudice onde ottenere la restituzione della somma di €. 903,00 , ovvero quella maggiore o minore di giustizia, da liquidarsi in via equitativa ex art. 1.226 c.c. ed a titolo di responsabilità contrattuale per violazione dell’obbligo di buona fede nella formazione ed esecuzione del contratto e per violazione dei doveri di correttezza, trasparenza ed equità imposti ex lege nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi.
In via alternativa chiedeva la condanna della convenuta al pagamento della somma di €. 903,00, o a quella maggiore o minore di giustizia, da liquidarsi in via equitativa a titolo di risarcimento del danno ex art. 2.043 c.c.
Ancora in via alternativa, chiedeva la condanna alla restituzione delle somme sopra indicate ex art. 2.033 c.c. poiché indebitamente percepite.
Il tutto con vittoria di spese e competenze di lite.
Venivano prodotte le quietanze di pagamento dei premi assicurativi nonché la sentenza del TAR Lazio n° 6139/2001, del Consiglio di Stato n° 129/2002 oltre alla pronunzia dell’autorità garante della concorrenza e del mercato resa all’ adunanza del 28/7/00.
L’attore, a sostegno della propria domanda, deduceva che l’Autorità Garante delle Comunicazioni e del Mercato, con provvedimento n. 8546 del 28.7.00, aveva accertato l’esistenza di una intesa restrittiva della concorrenza posta in essere in violazione dell’art. 2, 2°comma, L 287/90, da 39 imprese di assicurazioni operanti in Italia nel settore R.C.A., tra cui la convenuta Compagnia di assicurazioni. Tale intesa, secondo l’Autorità Garante, aveva comportato l’aumento del premio della polizza R.C. Auto di circa il 20% del costo dei premi assicurativi incassati dalle Imprese di assicurazione.
Per effetto di tale accordo e della partecipazione della Compagnia di assicurazioni convenuta al predetto “cartello”, l’attore sosteneva di aver sopportato un esborso, nel pagamento della polizza obbligatoria sulla R.C. Auto, pari al 20% dell’intera somma versata, quantificabile in €. 903,00.
Si costituiva ritualmente la Lloyd Adriatico con comparsa depositata in data 03/03/2003 ed in via preliminare deduceva l’incompetenza dell’adito giudice a favore della Corte d’Appello di Lecce
Eccepiva, poi, l’avvenuta prescrizione applicandosi alla specie l’art. 2.952 c.c. non avendo effetto la vigenza del contratto di assicurazione tra le parti al fine del decorso del termine.
La convenuta compagnia rilevava, ancora, la nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza della causa petendi per la carente allegazione degli elementi relativi al rapporto contrattuale.
Nel merito eccepiva che la vicenda amministrativa, che pur aveva riguardato, tra le altre, la compagnia convenuta, non poteva interferire nei singoli rapporti contrattuali alla luce del novellato art. 113 c.p.c.
In sostanza, secondo l’assunto della compagnia, la sanzione amministrativa ed il riconoscimento dell’illegittimità raggiunto in tale sede, non poteva interferire sul giudizio civile assoggettato, secondo le ordinarie regole, all’onere probatorio. Da ciò scaturiva la mancanza di qualsivoglia prova, in relazione al caso singolo, di quanto genericamente accertato dall’organo amministrativo.
Nella presente fattispecie la compagnia contestava l’esattezza del calcolo percentuale di aumento del premio che, secondo i propri computi, risultava ampliato. A ciò andava aggiunta la considerazione che l’utente, in ogni caso, non è vincolato a contrarre con le compagnie facenti parte del gruppo sottoposto a sanzione non versandosi in ipotesi monopolistica ed a causa del ventaglio di assicurazioni sul mercato raggiungibili anche telefonicamente o per via telematica. Ribadiva, sempre in conseguenza della novella all’art. 113 c.p.c., il rigoroso rispetto dell’onere della prova su ogni dedotta circostanza.
La difesa della convenuta, confutava le allegazioni di merito dell’attore dovute, a suo dire, ad inconferenti, inopportuni ed impropri riferimenti a norme specifiche di legge ed a princìpi di ordine generale che non si attagliavano al caso di specie.
Concludeva in via principale per la declaratoria d’incompetenza, per l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione, per il rigetto per nullità e gradatamente per infondatezza con vittoria di spese e competenze di lite.
Alla fissata udienza di comparizione, i procuratori dell’attore richiedevano che fosse sollevata eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto legge n° 18 dell’8/02/2003 ritenuto in contrasto con gli artt. 3, 24, 77, 101, 102, 104 e 111 della Carta Costituzionale.
Il procuratore della convenuta, rilevava la mancanza di fondamento dell’eccezione di incostituzionalità e chiedeva il rigetto della domanda con la decisione, in limine litis, delle avanzate eccezioni preliminari di prescrizione e di incompetenza.
In ogni caso chiedeva un termine, che veniva accordato, per memorie difensive, depositate in data 7/3/03 in ordine alla proposta eccezione di incostituzionalità e con le quali confutava, punto per punto, le deduzioni avversarie.
MOTIVAZIONE
Il Giudice di Pace di Lecce ritiene sussistenti i presupposti per sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del DECRETO-LEGGE 8 febbraio 2003, n. 18, intitolato: "Disposizioni urgenti in materia di giudizio necessario secondo equità", pubblicato in G.U. n. 33 del 10-2-2003, per violazione degli artt. 3, 24, 25, 41, 77, 101, 102 e 104 della Costituzione nella parte in cui, a modificazione dell’art. 113 co. 2 del codice di procedura civile, sottrae, alla valutazione secondo equità, tutti i giudizi pendenti innanzi agli Uffici del Giudice di Pace e relativi ai contratti c.d. di massa di cui all’art. 1342 codice civile.
In via preliminare é opportuno premettere che, ad avviso di questo giudice, anche il decreto legge, atto normativo non definitivo in attesa della conversione, è sottoponibile al sindacato di legittimità della Corte Costituzionale.
E’ Giurisprudenza pacifica, infatti, quella di poter sottoporre al vaglio di legittimità Costituzionale anche i decreti legge impugnati in via incidentale (cfr. sentenze 19/6/1974 n.184 e 20/7/1999 n.327).
Né costituiscono un ostacolo alla pronuncia del Giudice delle leggi il carattere provvisorio e i ristretti tempi di decisione prima della deliberazione delle Camere, atteso che, in ogni caso, una decisione d’accoglimento o di rigetto, che intervenisse prima della conversione o della decadenza del decreto legge, non sarebbe priva di rilevanti effetti giuridici.
In ogni caso, se la disposizione impugnata fosse riprodotta, prima della pronuncia della Corte Costituzionale sul decreto–legge, nella legge di conversione con il medesimo testo, la Corte potrebbe estendere la verifica della legittimità costituzionale a quest’ultima legge, che continua ad esprimere il contenuto precettivo della norma denunciata.
Nel presente giudizio civile la questione di legittimità costituzionale dell’impugnato decreto-legge appare essere rilevante in quanto dalla decisione della stessa dipende il contenuto della pronuncia che questo giudicante dovrà prendere sulle richieste delle parti e più in generale sull’istruzione della causa.
NORMA IMPUGNATA E SUA GENESI.
Il D.L. n. 18/03 è composto da due soli articoli. In particolare, l’art. 1 testualmente recita: “Il secondo comma dell'articolo 113 del codice di procedura civile e' sostituito dal seguente: "Il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all'articolo 1342 del codice civile.". L’art. 2, invece, si limita a prevedere l’entrata in vigore del provvedimento il giorno successivo alla sua pubblicazione sulla G.U.- La “motivazione” del ricorso alla decretazione d’urgenza è data nello stesso provvedimento, ove è testualmente scritto: “Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di modificare l'articolo 113 del codice di procedura civile escludendo il parametro equitativo per il giudice di pace nelle controversie derivanti da contratti di massa, allo scopo di evitare che il soggettivo apprezzamento, sulla base di tale parametro da parte dei singoli giudici di pace, possa comportare pronunce difformi riferite a identiche tipologie contrattuali”.
Come è immediatamente rilevabile, tale provvedimento modifica l'art. 113 co. 2 c.p.c. nel senso di sottrarre al giudizio secondo equità del Giudice di Pace, tutte le controversie relative ai c.d. contratti di massa (quelli cioè che, a mente dell'art. 1342 C.C., sono redatti su moduli standard e si rivolgono alla totalità dei contraenti). Il giudizio secondo equità, invece, permane per quelle controversie che, ratione valoris, siano inferiori ad euro millecento (la precedente formulazione indicava la soglia massima di Lit. 2.000.000).
Il provvedimento trae la propria giustificazione “storica” nella sentenza della Corte di Cassazione – Sezione I Civ. n. 17475 del 27/6-9/12/2002 che, tra le altre cose, ha affermato il principio della capacità e legittimazione del consumatore ad avvalersi direttamente dello strumento risarcitorio nei confronti di quei soggetti (Imprese) di cui sia stata accertata la violazione dei divieti posti dalla speciale normativa a tutela della concorrenza e del mercato. Sempre la S.C. ha poi affermato che l’azione risarcitoria promossa dal consumatore/utente nei confronti della impresa/professionista riveste i caratteri dell’ ordinaria azione di responsabilità soggetta ai criteri ordinari di competenza.
Pertanto, l’esclusione operata dalla S.C. dell’ applicabilità dell’art. 33 co. 2 della L. 287/90 ai giudizi risarcitori promossi dai consumatori/utenti, confermava la sempre ritenuta competenza da determinarsi secondo gli ordinari criteri che, per i rimborsi R.C. auto, ricade per valore nella giurisdizione del Giudice di Pace.
La novella introdotta dal D.L. n. 18/2003 sicuramente si attaglia al nascente contenzioso teso al rimborso della somma percentuale di aumento del premio R.C. auto applicato da numerose Compagnie di Assicurazione in conseguenza di accordo di cartello, come accertato dall’ Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato con provvedimento n. 8546 del 28/7/2000 e confermata dal T.A.R. Lazio con sentenza n. 6139/2001 e dal Consiglio di Stato con pronuncia n. 129/2002.
Più in generale la nuova formulazione dell’art. 113 co. 2 c.p.c. interviene su tutti i contratti c.d. di massa (bancari, telefonici, di somministrazione di luce gas acqua, ecc.) perché tutti rispondenti ai richiamati requisiti dell’ art. 1342 cod. civ.- Peraltro, per come appreso da riviste specializzate, la tendenza del legislatore di urgenza è quella di escludere, in sede di conversione in legge, tutti i contratti di massa diversi da quelli R.C.A. donde l’applicabilità della nuova formulazione dell’art. 113 c.p.c. solo a quest’ ultima categoria di negozi giuridici.
Se ciò si attuasse non potrebbe non ravvisarsi un ulteriore elemento di ingiustificata differenziazione.
Come effetti pratici, la riscrittura dell’art. 113 c.p.c., sottraendo il contenzioso afferente i contratti di massa al vaglio secondo equità, introduce per questa tipologia contenziosa il grado d’appello, in precedenza escluso. Chiaro che, una siffatta previsione – torna a dirsi limitata ai soli contratti di massa -, comporta il dilatare dei tempi della giustizia, il lievitare dei costi con l’introduzione di altro grado del giudizio, la negazione (o comunque l’estrema difficoltà) all’esercizio del diritto di difesa anche in riferimento all’art. 82 co. 1 c.p.c.
Ciò premesso, al vaglio della Corte Costituzionale vanno rimessi i seguenti profili di costituzionalità del decreto legge in parola.
VIOLAZIONE DEL DIRITTO DI DIFESA AI SENSI DELL’ART. 24 COSTITUZIONE E DEL DIRITTO AL GIUDICE NATURALE EX ART. 25 COST.
Questo Giudice ritiene che Il decreto legge de quo, di fatto precluda – ed in ogni caso renda sommamente difficoltosa -, la tutela giurisdizionale sulla base del diritto vigente al tempo della domanda. Il provvedimento infatti, per il principio del “tempus regit actum” si applica ai giudizi pendenti alla data della entrata in vigore e per i quali non sia ancora intervenuto deposito della sentenza. E’ dunque evidente che l’innovazione legislativa influisce con forza pressoché paralizzante sui giudizi in corso, quale quello che ci occupa, instaurati in vigenza della “vecchia” formulazione dell’art. 113 co. 2 c.p.c. ed al fine di ottenere una valutazione secondo equità. Deve rilevarsi che, non a caso, il “vecchio” art. 113 co. 2 c.p.c. aveva individuato un comune denominatore per il giudizio secondo equità, dato dal valore della controversia. Orbene, sottrarre i contratti di massa al vaglio secondo equità (criterio che invece permane per le controversie di medesimo valore economico ma rivenienti da contratti diversi da quelli di cui all’art. 1342 cod. civ.) significa, nei fatti, precludere l’accesso alla giustizia sostanziale per quelle controversie che, demandate all’esame del Giudice di Pace, solo astrattamente possono ritenersi di scarso valore. Nessun pregio può attribuirsi alla tesi secondo cui decidere secondo diritto (e non secondo equità) le controversie relative ai contratti di massa, non appare né illogico né arbitrario.
E’ appena il caso di ricordare che, un freno a possibili colorite pronunce secondo equità, è previsto dal gravame in Cassazione per la censura di eventuali violazioni di legge e/o errori e vizi attinenti alla decisione. Desta sospetti di Costituzionalità la ratio della norma che pertanto viene rimessa al Giudice delle leggi per l’esame, non comprendendosi perché i contratti cd. di massa, pur rientranti nei limiti di valore della decisione equitativa, non possono essere decisi con lo stesso criterio valutativo degli altri contratti dello stesso valore. Il semplice ragionamento porta a ritenere che unica differenza sia costituita dal dissimile elemento soggettivo delle controversie di massa rispetto agli altri giudizi non potendo essere credibile né accettabile che l’uniformità dei giudizi, verrebbe ad attuarsi solo con l’appellabilità e non anche con il giudizio finale della Cassazione ai cui principi, peraltro, il giudice di merito è tenuto ad uniformare la propria decisione.
Considerato in tale ottica, il D.L. n. 18/2003, sembrerebbe voler emarginare – rendendola anti-economica , farraginosa e dispendiosa – non la tutela giurisdizionale di tutti i diritti “ cd. minori”, che pur sarebbe ammissibile sotto il profilo della parità di trattamento anche se sicuramente meno sotto il punto di vista della civiltà giuridica, ma i diritti rivenienti dai contratti di massa ( ed in particolare, a causa del rivisitazione del D.L. in fieri in sede di conversione, solo quelli relativi agli esborsi R.C.A. ) mirando a scoraggiare solo ed esclusivamente questo tipo di azione avvantaggiando, una parte contraente. Questa si sentirebbe autorizzata a porre in essere violazioni, che pur se acclarate da decisioni e censure da parte degli organi di garanzia, rimarrebbero petizioni di principio, prive di effetti concreti risarcitori e/o ripristinatori e comunque privi di facile accesso giurisdizionale da parte di chi subisce effettivamente il danno.
Le conseguenze del D.L. in parola, con l’ introduzione del grado di appello in Tribunale, comporterebbe la limitazione all’esercizio del diritto di difesa, l’ obbligo di assistenza di un avvocato in appello anche se la parte si è difesa personalmente dinanzi al Giudice di Pace ex art. 82 co. 1 c.p.c., il lievitare dei costi e dei tempi del contenzioso, effetti di dissuasione per anti - economicità della tutela giudiziaria dei diritti lesi dalla adesione ai contratti di massa.
Inoltre, l’ immediata applicazione del D.L. appare vìolare in principio del Giudice naturale ex art. 25 poiché, a contenzioso in corso e con il mutamento delle regole processuali, verrebbero stravolti i criteri prestabiliti – per tipo di controversia, per valore ecc. - in base ai quali il cittadino deve conoscere in anticipo il Giudice che giudicherà.
VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA EX ART. 3 COST.
Da quanto innanzi sembra discendere la violazione del principio di uguaglianza, posto che il D.L. in esame riserva un ingiustificato trattamento di favore nei confronti dei c.d. "contraenti forti", cioè a dire di coloro che redigono ed "impongono" alla clientela la sottoscrizione di contratti standard ex art. 1342 cod. civ., poiché il vaglio della esecuzione dei detti contratti viene sottratto alla valutazione ed al “rito” secondo equità, a differenza dei contratti predisposti da altri “professionisti”, ma non riconducibili all’art. 1342 cod. civ., cui continua ad applicarsi il giudizio ed il “rito” secondo equità. Da diversa prospettiva il consumatore – alla cui tutela quale “contraente debole” il Legislatore ha dedicato copiosa produzione normativa – viene paradossalmente penalizzato nel far valere i propri diritti discendenti dalla stipula di un contratto di massa.
VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI RAGIONEVOLEZZA EX ART. 3 COST.
La Corte Costituzionale ha da tempo riconosciuto la propria competenza a sindacare la “ragionevolezza” di disposizioni normative che ledono il principio di uguaglianza “...anche quando la legge, senza un ragionevole motivo, faccia un trattamento diverso ai cittadini che si trovano in situazione eguale” (Cost. n° 15/1960, Cost. n° 104/1968; Cost. n° 144/70, Cost. n° 200/72), posto che un trattamento differenziato può trovare legittima applicazione solo ove vi sia l’indefettibile presenza di “ragionevoli motivi” (Cost. n° 61/1964), di “presupposti logici obiettivi” (Cost. n° 7/1963), di “limite della ragionevolezza” (Cost. n° 2/1966).
La “ragionevolezza” del D.L. n. 18/03 – potrebbe allocarsi nel preambolo provvedimentale “Ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di modificare l'articolo 113 del codice di procedura civile escludendo il parametro equitativo per il giudice di pace nelle controversie derivanti da contratti di massa, allo scopo di evitare che il soggettivo apprezzamento, sulla base di tale parametro da parte dei singoli giudici di pace, possa comportare pronunce difformi riferite a identiche tipologie contrattuali”.
In definitiva, a quanto è dato comprendere dalla motivazione, la straordinarietà e l’urgenza della decretazione sarebbe dettata dallo scopo di evitare (per il futuro, quindi) difformità di pronunce rese dai Giudici di Pace in via equitativa. L’ irragionevolezza della norma è immediatamente rilevabile sol che si consideri che, a distanza di molti anni dalla istituzione degli Uffici del Giudice di Pace, il Legislatore ravvisi la presenza di motivi così straordinariamente urgenti da escludere dalla valutazione secondo equità i contratti di massa.
In secondo luogo, il rimedio normativo non coglie nel segno laddove si propone l’ambizioso obiettivo di conseguire, attraverso l’ inibizione del giudizio secondo equità in favore di quello secondo diritto, una uniformità di giudizi in ordine alle medesime fattispecie di contratti massa. Non appare logico ritenere che le pronunce secondo diritto applicate ai contratti di massa, a differenza di quelle secondo equità, possono raggiungere il risultato dell’ uniformità.
Orbene, quanto non è dato prima facie comprendere, è il motivo per il quale, l’”apprezzamento” del Giudice di Pace debba – o possa – essere di spessore giuridico diverso a seconda che si giudichi secondo diritto o secondo equità.
Il Legislatore d’urgenza, nella stesura del D.L. 18/03, pare dimenticare che il principio del libero convincimento del giudice, del prudente e soggettivo apprezzamento delle risultanze processuali (prove, argomenti di prova, comportamento delle parti ecc.) costituisce uno dei cardini del processo civile. Pronunciamento secondo equità non significa né può significare, valutazione completamente disarticolata dalla realtà processuale e normativa (come parrebbe essere argomentando a contrario secondo le testuali parole utilizzate nel preambolo del D.L.
Il libero convincimento, il prudente apprezzamento, - sia in sede di valutazione secondo diritto che secondo equità – è invece l’espressione massima della libertà del Giudice - soggetto solo alla Legge – di individuare le fonti del proprio convincimento (c.f.r. in proposito Cass. n. 97/2700, Cass. n. 98/10896, Cass. n. 96/2008, Cass. n. 95/6956, Cass. n. 94/10121, Cass. n. 94/6868, Cass. n. 87/10896, Cass. n. 86/2590 e molte altre ancora). L’incongruità dell’espediente giuridico individuato nel D.L., balza in massima evidenza ove solo si consideri che il convincimento espresso dal giudice di merito nella valutazione ad es. delle prove secondo il suo soggettivo e prudente apprezzamento, è insindacabile in sede di Cassazione (tra le molte, vedasi più recentemente Cass. 95/1843, 97/12960).
VIOLAZIONE DELLE FUNZIONI COSTITUZIONALMENTE RISERVATE AL POTERE GIUDIZIARIO EX ARTT. 101, 102, 104 COST.
La Corte Costituzionale ha ripetutamente affermato il principio secondo cui il legislatore vulnera le funzioni giurisdizionali quando la legge sia intenzionalmente diretta ad incidere su concrete fattispecie sub judice" (c.f.r. Corte Cost. nn. 397/94, 6/94, 429/93, 424/93, 283/93, 39/93, 440/92, 429/91 ed altre). Si tratta allora di stabilire se la statuizione contenuta nell’art. 1 comma 1 D.L. 18/2003 integri un precetto normativo, come tale caratterizzato da generalità ed astrattezza, ovvero sia diretto ad incidere su concrete fattispecie “sub judice” e come più volte ribadito, a vantaggio di una delle due parti contraenti.
VIOLAZIONE DEI PRINCIPI DI STRAORDINARIA NECESSITÀ ED URGENZA PER L'EMANAZIONE DI DECRETI CHE ABBIANO VALORE DI LEGGE ORDINARIA EX ART. 77 COST. E VIOLAZIONE DELL’ART. 41 COST.
Per quanto fin qui dedotto, si sottopone all’esame della Corte, se nel caso di specie possa ravvisarsi la sussistenza dei motivi previsti dalla Carta relativi alla straordinaria necessità ed urgenza.
Come è noto, le compagnie di assicurazione, hanno l'obbligo normativo di contrarre in materia di R.C. auto, attenendosi alle regole del libero mercato così come, dall’altro versante, il contraente /consumatore/utente-, è obbligato a stipulare una polizza R.C. auto. Il rapporto contrattuale deve nascere e svilupparsi nel rispetto delle regole del mercato, quelle medesime regole la cui violazione da parte delle Imprese assicuratrici è stata accertata con la costituzione di un accordo di cartello mirante ad uniformare verso l’alto i prezzi delle polizze. Sotto questo profilo, il D.L. censurato apparrebbe in contrasto con l’art. 41 della Costituzione, in base al quale la libera iniziativa economica privata (quale quella delle Compagnie di assicurazione) “…Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Il D.L., di fatto sembrerebbe introdurre, a fronte di una sanzionata violazione da parte delle Compagnie delle "regole del mercato", un’ imprevista compressione del diritto soggettivo al rispetto delle regole.
P.Q.M.
Il Giudice di Pace di Lecce avv. Luigi Piro,
solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del DECRETO-LEGGE 8 febbraio 2003, n. 18, intitolato "Disposizioni urgenti in materia di giudizio necessario secondo equità", pubblicato in G.U. n. 33 del 10-2-2003, per violazione degli artt. 3, 24, 25, 41, 77, 101, 102 e 104 della Costituzione nei termini e per le ragioni di cui in motivazione;
dispone la sospensione del procedimento in corso;
ordina la notificazione della presente ordinanza ai procuratori delle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e la comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato;
ordina la trasmissione dell’ordinanza alla Corte Costituzionale insieme con gli atti del giudizio e con la prova delle notificazioni e delle comunicazioni prescritte.
Così deciso in Lecce in data 10/marzo/2003
Il Giudice di Pace
(Avv. Luigi Piro)
Questa di Lecce è solo la prima ordinanza di una serie che si leverà da moltissimi Uffici dei Giudici di Pace di tutta l’Italia: grido di dolore di cittadini che vedono minare ogni giorno la democrazia. Gia su Bari altro Giudice di Pace si è riservato sull’eccezione sollevata da ADUSBEF in altro provvedimento.
Giudici di Pace unitevi nell’affermazione e tutela dei Vostri diritti e di quelli dei consumatori italiani !
Lecce-Roma, 10 marzo 2002 Vicepresidenza e delegazione Bari